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I punti principali della normativa giapponese sulla tutela del marchio

Com’è noto, le norme che si occupano della protezione e della tutela dei marchi perseguono, in primo luogo, l’obiettivo di permettere la chiara e semplice, e aggiungiamo anche la sicura identificazione di un determinato servizio e/o prodotto. Tali norme hanno, in altre parole, lo scopo di fornire un collegamento certo tra il prodotto/servizio offerto e la fonte di esso.

Allo stesso modo, il soggetto titolare del marchio è messo nella condizione di legare a tale strumento di identificazione il proprio prodotto, le qualità e le prerogative dello stesso, oltre ad avere la possibilità di usarlo in esclusiva.

Per dirla con le parole di una delle tante pronunce della suprema corte di Cassazione “Il marchio è tutelato per la sua funzione di individuazione dei prodotti, siccome diretto a garantire l’autenticità e la provenienza di questi …” (Cass. Civile, sez. I, 6 dicembre 1974, n. 4034).

Se è possibile affermare che quanto detto sino ad ora sia generalmente accettabile per tutti i sistemi giuridici di protezione del marchio, la normativa Giapponese merita forse un capitolo a parte, soprattutto per la particolare attenzione che essa dedica agli operatori stranieri.

Il sistema è regolato dalla Legge sui marchi, ma desideriamo sottolineare che particolare attenzione è stata concessa anche al design, tanto è vero che un intervento legislativo di recente emanazione si preoccupa di tutelare esclusivamente le caratteristiche estetiche di un determinato oggetto.

Le caratteristiche specifiche, in breve, di questa normativa le seguenti: il colore, la forma estetica, la funzione (se presenta funzionalità speciali), il disegno e, in generale, qualsiasi tipo di aspetto relativo all’aspetto esteriore. La normativa giapponese sul design, inoltre, concede una particolare prerogativa al progettista, che ne rimane il proprietario, incoraggiandone l’utilizzazione e promuovendo, in tale modo, lo sviluppo di nuove ricerche.

Ma andiamo con ordine. Per ciò che riguarda il marchio, è per prima cosa necessario sottolineare un aspetto molto importante della normativa, che la rende vantaggiosa anche per investitori stranieri. Infatti, per ottenere la registrazione di un marchio in Giappone non è richiesto che lo stesso sia già utilizzato al momento della domanda, né in Giappone, né in qualsiasi altro paese.

L’obiettivo della norma è piuttosto evidente ed esprime il tentativo di incoraggiare il più possibile società straniere ad investire ed operare nel mercato nipponico. Inoltre, altro aspetto decisamente vantaggioso per qualsiasi operatore del mercato, la normativa autorizza il titolare del diritto di proprietà sul marchio a registrarlo ugualmente, anche nel caso intenda utilizzarlo in futuro.

I vantaggi sono evidenti. Approfittando della citata norma, infatti, è possibile registrare il proprio marchio anche semplicemente in previsione della possibile e imminente espansione della propria attività commerciale in Giappone. In tal modo la società può anche tutelarsi nei confronti degli altri operatori, valendo, in buona sostanza, la regola che il primo che effettua la registrazione ha diritto di uso esclusivo del marchio.

È doveroso dunque rimarcare che la normativa giapponese sui marchi presenta un’invidiabile apertura verso l’esterno, garantendo la pari opportunità tra cittadini, si legga operatori del mercato, giapponesi e stranieri.

Non va tuttavia trascurato che, in ogni caso, i marchi registrati in giapponese devono, obbligatoriamente, essere utilizzati entro tre anni dal momento della avvenuta registrazione, pena l’annullamento e la cancellazione dal registro conservato dal competente Ufficio Brevetti. Per scongiurare tale conseguenza è sufficiente avere l’accortezza di utilizzare il marchio almeno una volta, attività che permette di interrompere il termine e di evitare la decadenza dei diritti sul marchio. Tuttavia, è necessario specificare cosa si debba intendere, esattamente, con il termine "utilizzare". Il marchio, infatti, non necessariamente deve essere posto su un prodotto pronto per la commercializzazione. La norma giapponese permette di considerare la locuzione “utilizzazione del marchio” comprensiva di attività quali, ad esempio, la pubblicazione del marchio in qualsiasi rivista o giornale accanto all’immagine del prodotto, oppure l’immagine del prodotto stesso, corredato con il marchio, in un sito internet o in una normale brochure.

La naturale conseguenza dell’avvenuta registrazione di un marchio è la protezione riconosciuta al titolare del diritto di proprietà. E tale protezione è molto alta e rigorosa. La legislazione giapponese in materia, infatti, è decisamente severa nei confronti di coloro che vendono prodotti contraffatti e, in molti casi, chi compie tali attività illecite è direttamente sottoposto al regime dei reati penali.

In Giappone (come in Italia) un marchio registrato gode di una tutela decennale, naturalmente a partire dalla data della domanda di registrazione sempre che esso, in questo periodo, non sia stato annullato o invalidato. Il rinnovo della registrazione non pone particolari questioni e può essere eseguito ad ogni scadenza senza formalità.

Sul punto vale appena la pena di ricordare che, nel caso il proprietario del marchio non si preoccupi di chiederne la registrazione presso il competente ufficio, esso non sarà tutelato, a meno che non si tratti di un marchio noto in ambito mondiale, nel qual caso la normativa Giapponese ne assicura comunque la tutela sul presupposto che il marchio sia noto anche in Giappone. Va da sé che una regola di prudenza suggerirebbe di procede alla registrazione in ogni caso.

Ritornando alle caratteristiche che il marchio deve possedere per poter usufruire della tutela accordata dalla normativa, dobbiamo sottolineare che, nella legislazione giapponese, vi sono aspetti di particolarità dei quali è doveroso occuparci brevemente.

In primo luogo, non dobbiamo dimenticare che chiunque desideri registrare un marchio che sia composto, anche solo in parte, da caratteri alfabetici, dovrà riporre molta attenzione all’uso eventuale dei simboli propri della scrittura Giapponese, e cioè gli ideogrammi (Kanji), e ai due sillabari (Hiragana e Katakana). Questo in ragione dell’incredibile prolificità del settore e dell’altissimo numero di marchi, già presenti nel mercato giapponese, che abusano, ormai, di qualsiasi tipo di possibile traslitterazione dei più usati termini commerciali internazionali, anche italiani. Ci occuperemo tra poco di questo aspetto con riferimento al “significato” del marchio.

In seconda istanza, non possiamo non occuparci di un’importante evoluzione della normativa giapponese, dovuta allo sviluppo tecnologico del mercato e, forse, anche in parte alla diversa concezione di marchio presente nel paese del sol levante. Fatto sta che la legge quadro in materia è stata ampliata ed emendata con l’inserimento, nel 1996, di un’apposita nuova categoria: i “marchi tridimensionali” (si intendano anche, e soprattutto, bambole, pupazzi, cubi, forme astratte ed altri simboli tridimensionali).

Altrettanto importante, inoltre, è la previsione, anch’essa scaturita dalla riforma della legge sui marchi nell’ambito della revisione del 1996, di un istituto giuridico noto sotto la denominazione di “Registrazione collettiva dei marchi”.

Detto sistema differisce dal sistema ordinario perché prevede la possibilità, da parte di una qualsiasi azienda facente parte di un gruppo imprenditoriale, di registrare marchi che potranno poi essere utilizzati da tutti i membri dello stesso gruppo.

Tale strumento è stato introdotto allo scopo di garantire una maggior protezione dell’unicità dei marchi e dei nomi impiegati da gruppi aziendali, formatisi al preciso scopo di risollevare il sistema economico o specifici settori industriali. Naturalmente, tale sistema non è riservato agli operatori locali, ed anche gruppi di società straniere ne possono usufruirne, anche in questo caso, con benefici piuttosto evidenti.

Vale ricordare che anche il nostro ordinamento giuridico non è rimasto indifferente a questo tipo di esigenza. Con l’intervento del 1992 (Decreto Legislativo del 4 dicembre, in attuazione della direttiva n. 89/194/CEE) l’articolo 2570 del c.c. è stato sostituito e prevede ora la possibilità, per tutti i soggetti che svolgono la funzione di garantire l’origine dei prodotti in commercio, di poter ottenere la registrazione di marchi collettivi, e di poter poi concedere l’uso di tali marchi a produttori o commercianti.

Tornando alle caratteristiche distintive dei marchi, senza dubbio, per poter essere registrato, un marchio deve presentare caratteristiche peculiari che lo rendano unico. Qualsiasi tipo di somiglianza ad altri marchi, singoli o collettivi, ne impedirà la registrazione.

Un carattere assolutamente peculiare alla realtà giapponese è quello che fa riferimento al “suono” del marchio. Per suono si intende la pronuncia dei caratteri che compongono il marchio e tale aspetto si collega, come vedremo tra breve, anche alla caratteristica del significato. Poco sopra abbiamo accennato alle peculiarità del sistema di scrittura giapponese, che naturalmente si riverbera anche nel momento della lettura.

Chiediamo al lettore di accontentarsi, in questa sede, di una sommaria descrizione della questione, rimandando ad altri il compito di descrivere compiutamente il sistema linguistico nipponico.

Nonostante la presenza nelle scuole dell’insegnamento di lingua inglese, i giapponesi tendono sempre a “nazionalizzare” le parole straniere che vengono usate nel linguaggio comune (ad esempio “chatto” da “Chat”, in italiano (?) chattare, o ancora “deepato”, da “Depart store”, “Grandi magazzini”), che è proprio del messaggio pubblicitario, con il risultato che anche termini che per noi possiedono suoni conosciuti e ben definiti, in Giappone potrebbero non essere immediatamente compresi, oppure confusi con altre parole con le medesime caratteristiche fonetiche. È per questa ragione che, onde evitare possibili confusioni e proteggere la corretta pronuncia di un marchio realizzato con lingue straniere, è sempre preferibile aggiungere i caratteri giapponesi che indicano la fonetica corretta (katakana).

Tale aspetto non è secondario se consideriamo il marchio alla stregua di una intera frase o di un motto. In tale ipotesi è sempre opportuno preoccuparsi preventivamente di ottenere la relativa tutela del marchio, tramite la traduzione giapponese della frase originale. È dunque per tali ragioni che chi intenda registrare un proprio marchio in Giappone dovrà valutare attentamente anche l’aspetto attinente all’eventuale “significato” che esso possiede.

Com’è noto, le norme che si occupano della protezione e della tutela dei marchi perseguono, in primo luogo, l’obiettivo di permettere la chiara e semplice, e aggiungiamo anche la sicura identificazione di un determinato servizio e/o prodotto. Tali norme hanno, in altre parole, lo scopo di fornire un collegamento certo tra il prodotto/servizio offerto e la fonte di esso.

Allo stesso modo, il soggetto titolare del marchio è messo nella condizione di legare a tale strumento di identificazione il proprio prodotto, le qualità e le prerogative dello stesso, oltre ad avere la possibilità di usarlo in esclusiva.

Per dirla con le parole di una delle tante pronunce della suprema corte di Cassazione “Il marchio è tutelato per la sua funzione di individuazione dei prodotti, siccome diretto a garantire l’autenticità e la provenienza di questi …” (Cass. Civile, sez. I, 6 dicembre 1974, n. 4034).

Se è possibile affermare che quanto detto sino ad ora sia generalmente accettabile per tutti i sistemi giuridici di protezione del marchio, la normativa Giapponese merita forse un capitolo a parte, soprattutto per la particolare attenzione che essa dedica agli operatori stranieri.

Il sistema è regolato dalla Legge sui marchi, ma desideriamo sottolineare che particolare attenzione è stata concessa anche al design, tanto è vero che un intervento legislativo di recente emanazione si preoccupa di tutelare esclusivamente le caratteristiche estetiche di un determinato oggetto.

Le caratteristiche specifiche, in breve, di questa normativa le seguenti: il colore, la forma estetica, la funzione (se presenta funzionalità speciali), il disegno e, in generale, qualsiasi tipo di aspetto relativo all’aspetto esteriore. La normativa giapponese sul design, inoltre, concede una particolare prerogativa al progettista, che ne rimane il proprietario, incoraggiandone l’utilizzazione e promuovendo, in tale modo, lo sviluppo di nuove ricerche.

Ma andiamo con ordine. Per ciò che riguarda il marchio, è per prima cosa necessario sottolineare un aspetto molto importante della normativa, che la rende vantaggiosa anche per investitori stranieri. Infatti, per ottenere la registrazione di un marchio in Giappone non è richiesto che lo stesso sia già utilizzato al momento della domanda, né in Giappone, né in qualsiasi altro paese.

L’obiettivo della norma è piuttosto evidente ed esprime il tentativo di incoraggiare il più possibile società straniere ad investire ed operare nel mercato nipponico. Inoltre, altro aspetto decisamente vantaggioso per qualsiasi operatore del mercato, la normativa autorizza il titolare del diritto di proprietà sul marchio a registrarlo ugualmente, anche nel caso intenda utilizzarlo in futuro.

I vantaggi sono evidenti. Approfittando della citata norma, infatti, è possibile registrare il proprio marchio anche semplicemente in previsione della possibile e imminente espansione della propria attività commerciale in Giappone. In tal modo la società può anche tutelarsi nei confronti degli altri operatori, valendo, in buona sostanza, la regola che il primo che effettua la registrazione ha diritto di uso esclusivo del marchio.

È doveroso dunque rimarcare che la normativa giapponese sui marchi presenta un’invidiabile apertura verso l’esterno, garantendo la pari opportunità tra cittadini, si legga operatori del mercato, giapponesi e stranieri.

Non va tuttavia trascurato che, in ogni caso, i marchi registrati in giapponese devono, obbligatoriamente, essere utilizzati entro tre anni dal momento della avvenuta registrazione, pena l’annullamento e la cancellazione dal registro conservato dal competente Ufficio Brevetti. Per scongiurare tale conseguenza è sufficiente avere l’accortezza di utilizzare il marchio almeno una volta, attività che permette di interrompere il termine e di evitare la decadenza dei diritti sul marchio. Tuttavia, è necessario specificare cosa si debba intendere, esattamente, con il termine "utilizzare". Il marchio, infatti, non necessariamente deve essere posto su un prodotto pronto per la commercializzazione. La norma giapponese permette di considerare la locuzione “utilizzazione del marchio” comprensiva di attività quali, ad esempio, la pubblicazione del marchio in qualsiasi rivista o giornale accanto all’immagine del prodotto, oppure l’immagine del prodotto stesso, corredato con il marchio, in un sito internet o in una normale brochure.

La naturale conseguenza dell’avvenuta registrazione di un marchio è la protezione riconosciuta al titolare del diritto di proprietà. E tale protezione è molto alta e rigorosa. La legislazione giapponese in materia, infatti, è decisamente severa nei confronti di coloro che vendono prodotti contraffatti e, in molti casi, chi compie tali attività illecite è direttamente sottoposto al regime dei reati penali.

In Giappone (come in Italia) un marchio registrato gode di una tutela decennale, naturalmente a partire dalla data della domanda di registrazione sempre che esso, in questo periodo, non sia stato annullato o invalidato. Il rinnovo della registrazione non pone particolari questioni e può essere eseguito ad ogni scadenza senza formalità.

Sul punto vale appena la pena di ricordare che, nel caso il proprietario del marchio non si preoccupi di chiederne la registrazione presso il competente ufficio, esso non sarà tutelato, a meno che non si tratti di un marchio noto in ambito mondiale, nel qual caso la normativa Giapponese ne assicura comunque la tutela sul presupposto che il marchio sia noto anche in Giappone. Va da sé che una regola di prudenza suggerirebbe di procede alla registrazione in ogni caso.

Ritornando alle caratteristiche che il marchio deve possedere per poter usufruire della tutela accordata dalla normativa, dobbiamo sottolineare che, nella legislazione giapponese, vi sono aspetti di particolarità dei quali è doveroso occuparci brevemente.

In primo luogo, non dobbiamo dimenticare che chiunque desideri registrare un marchio che sia composto, anche solo in parte, da caratteri alfabetici, dovrà riporre molta attenzione all’uso eventuale dei simboli propri della scrittura Giapponese, e cioè gli ideogrammi (Kanji), e ai due sillabari (Hiragana e Katakana). Questo in ragione dell’incredibile prolificità del settore e dell’altissimo numero di marchi, già presenti nel mercato giapponese, che abusano, ormai, di qualsiasi tipo di possibile traslitterazione dei più usati termini commerciali internazionali, anche italiani. Ci occuperemo tra poco di questo aspetto con riferimento al “significato” del marchio.

In seconda istanza, non possiamo non occuparci di un’importante evoluzione della normativa giapponese, dovuta allo sviluppo tecnologico del mercato e, forse, anche in parte alla diversa concezione di marchio presente nel paese del sol levante. Fatto sta che la legge quadro in materia è stata ampliata ed emendata con l’inserimento, nel 1996, di un’apposita nuova categoria: i “marchi tridimensionali” (si intendano anche, e soprattutto, bambole, pupazzi, cubi, forme astratte ed altri simboli tridimensionali).

Altrettanto importante, inoltre, è la previsione, anch’essa scaturita dalla riforma della legge sui marchi nell’ambito della revisione del 1996, di un istituto giuridico noto sotto la denominazione di “Registrazione collettiva dei marchi”.

Detto sistema differisce dal sistema ordinario perché prevede la possibilità, da parte di una qualsiasi azienda facente parte di un gruppo imprenditoriale, di registrare marchi che potranno poi essere utilizzati da tutti i membri dello stesso gruppo.

Tale strumento è stato introdotto allo scopo di garantire una maggior protezione dell’unicità dei marchi e dei nomi impiegati da gruppi aziendali, formatisi al preciso scopo di risollevare il sistema economico o specifici settori industriali. Naturalmente, tale sistema non è riservato agli operatori locali, ed anche gruppi di società straniere ne possono usufruirne, anche in questo caso, con benefici piuttosto evidenti.

Vale ricordare che anche il nostro ordinamento giuridico non è rimasto indifferente a questo tipo di esigenza. Con l’intervento del 1992 (Decreto Legislativo del 4 dicembre, in attuazione della direttiva n. 89/194/CEE) l’articolo 2570 del c.c. è stato sostituito e prevede ora la possibilità, per tutti i soggetti che svolgono la funzione di garantire l’origine dei prodotti in commercio, di poter ottenere la registrazione di marchi collettivi, e di poter poi concedere l’uso di tali marchi a produttori o commercianti.

Tornando alle caratteristiche distintive dei marchi, senza dubbio, per poter essere registrato, un marchio deve presentare caratteristiche peculiari che lo rendano unico. Qualsiasi tipo di somiglianza ad altri marchi, singoli o collettivi, ne impedirà la registrazione.

Un carattere assolutamente peculiare alla realtà giapponese è quello che fa riferimento al “suono” del marchio. Per suono si intende la pronuncia dei caratteri che compongono il marchio e tale aspetto si collega, come vedremo tra breve, anche alla caratteristica del significato. Poco sopra abbiamo accennato alle peculiarità del sistema di scrittura giapponese, che naturalmente si riverbera anche nel momento della lettura.

Chiediamo al lettore di accontentarsi, in questa sede, di una sommaria descrizione della questione, rimandando ad altri il compito di descrivere compiutamente il sistema linguistico nipponico.

Nonostante la presenza nelle scuole dell’insegnamento di lingua inglese, i giapponesi tendono sempre a “nazionalizzare” le parole straniere che vengono usate nel linguaggio comune (ad esempio “chatto” da “Chat”, in italiano (?) chattare, o ancora “deepato”, da “Depart store”, “Grandi magazzini”), che è proprio del messaggio pubblicitario, con il risultato che anche termini che per noi possiedono suoni conosciuti e ben definiti, in Giappone potrebbero non essere immediatamente compresi, oppure confusi con altre parole con le medesime caratteristiche fonetiche. È per questa ragione che, onde evitare possibili confusioni e proteggere la corretta pronuncia di un marchio realizzato con lingue straniere, è sempre preferibile aggiungere i caratteri giapponesi che indicano la fonetica corretta (katakana).

Tale aspetto non è secondario se consideriamo il marchio alla stregua di una intera frase o di un motto. In tale ipotesi è sempre opportuno preoccuparsi preventivamente di ottenere la relativa tutela del marchio, tramite la traduzione giapponese della frase originale. È dunque per tali ragioni che chi intenda registrare un proprio marchio in Giappone dovrà valutare attentamente anche l’aspetto attinente all’eventuale “significato” che esso possiede.