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Le condizioni di esercizio del potere di annullamento in autotutela

Nota a TAR Abruzzo, Sentenza 24 luglio 2006, n. 611
La sentenza n. 611 del 24.07.2006, resa dal TAR Abruzzo, offre la possibilità di procedere ad una sintetica ricostruzione delle posizioni giurisprudenziali relative alle condizioni di esercizio del potere, istituzionalmente attribuito alla P.A., di annullamento in autotutela di atti ampliativi precedentemente adottati anche, e forse soprattutto, alla luce delle innovazioni alla legge generale sul procedimento amministrativo introdotte dalla legge n. 15 del 2005 (ci si riferisce, in particolare, come è evidente, all’articolo 21 nonies della legge 241 del 1990).

Prima di affrontare la questione sopra richiamata si ritiene opportuno spendere qualche parola per tratteggiare la vicenda concreta sottesa alla decisione dei giudici abruzzesi e ciò allo scopo di meglio delineare lo scenario di riferimento.

Tizio, ricorrente, stipulava, nel 1981, con Caio, controinteressato e suo confinante, un contratto per la locazione di una porzione di terrazzo; il contratto in discorso aveva come suo presupposto l’attività edificatoria realizzata da Caio sulla base di due concessioni edilizie rilasciate nel 1979.

Il contratto predetto ha prodotto i suoi effetti per un lungo periodo di tempo e vale dire sino al 1999, anno in cui Caio otteneva dal Pretore di L’Aquila, con sentenza n. 226, la restituzione del bene oggetto della locazione.

A seguito di ciò, e dopo aver esercitato il diritto di accesso agli atti, il ricorrente aveva modo di rendersi conto che le concessioni, a suo tempo rilasciate a Caio, erano affette da vizi di legittimità, in particolare emergeva il contrasto con le norme tecniche di attuazione del PRG, e richiedeva, pertanto, al Comune di L’Aquila di esercitare il potere di autotutela annullando le concessioni.

La richiesta che precede era riscontrata negativamente dall’amministrazione comunale che deduceva la mancanza, atteso il tempo trascorso, di un pubblico interesse attuale e concreto alla rimozione delle concessioni, pur riconoscendo la sussistenza dei vizi denunciati.

Tale determinazione provvedimentale è stata oggetto di impugnativa da parte di Tizio che, dopo aver rammentato che le concessioni in discorso furono rilasciate, all’epoca, nonostante un parere tecnico contrario in violazione di quanto disposto dalla legge n. 47 del 1985, ha contestato, in radice, la motivazione posta a fondamento dell’atto, deducendo che non può attribuirsi rilievo assorbente al decorso del tempo, in quanto sussiste, per la P.A., un dovere generalizzato di ripristino della conformità a legge delle situazioni di fatto.

Per quel che concerne l’asserita mancanza di un interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento, il ricorrente ha dedotto che esso interesse pubblico è in re ipsa, se l’annullamento d’ufficio interviene a breve distanza di tempo dall’adozione dell’atto, mentre il decorso di un periodo più ampio non determina, di per sé, l’impossibilità di configurare un interesse pubblico all’annullamento ma implica soltanto la necessità di una motivazione aggravata.

L’amministrazione intimata si è costituita in giudizio eccependo l’inammissibilità e infondatezza del ricorso, eccezioni formulate anche dal controintertessato, pur esso costituitosi in giudizio; all’udienza del 31.05.06 la causa è stata trattenuta in decisione ed il ricorso è stato dichiarato infondato.

Il TAR Abruzzo ha rilevato, infatti, come la richiesta di annullamento d’ufficio di una concessione edilizia non comporti ex se l’obbligo della P.A. di provvedere in modo conforme; nel caso di specie, infatti, non ci si trova di fronte all’esercizio di un potere vincolato bensì ad una scelta connotata da ampia discrezionalità posto che la P.A. procedente deve valutare la rispondenza dell’annullamento stesso con un interesse pubblico concreto e attuale.

Tale valutazione deve essere condotta con ancora maggiore prudenza quando dal rilascio dell’atto ampliativo sia decorso un considerevole lasso di tempo che ha consolidato la posizione giuridica soggettiva del destinatario ingenerando, nello stesso, un ragionevole affidamento sulla sua conformità alle norme giuridiche.

Il concreto esercizio del potere di autotutela, dunque, comporta l’onere da parte della P.A. di “valutare comparativamente l’interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento dell’atto con la qualificata posizione del privato, consolidatasi nel tempo, dando prevalenza all’affidamento del privato ove non sussistano particolari e pregnanti ragioni di interesse pubblico”; non costituisce, pertanto, presupposto sufficiente, per l’annullamento d’ufficio di un atto, l’illegittimità dello stesso occorrendo, infatti, in aggiunta, una valutazione di preminenza dell’interesse pubblico che non può identificarsi nell’esigenza di mero ripristino della legalità violata.

Sulla base di tale traiettoria argomentativa, cui si ritiene di aderire in toto stante la sua piena rispondenza a consolidati principi giurisprudenziali che si avrà modo di precisare nel prosieguo di questo scritto, i giudici abruzzesi hanno, come già accennato, respinto il ricorso ritenendo che, nel caso devoluto alla loro cognizione, correttamente il Comune abbia rilevato l’insussistenza di un interesse pubblico specifico, concreto e attuale all’annullamento degli atti concessori.

Ragionando in termini più generali deve, dunque, evidenziarsi che l’obbligo di motivazione delle determinazioni amministrative acquista particolare intensità e spessore allorquando si tratti di provvedimenti di secondo grado tesi, per loro natura, a comprimere la sfera giuridica dei destinatari; viene a determinarsi, in altri termini, una sorta di necessario aggravio della corposità della motivazione che oltre ad essere “sufficiente, logica, comprensibile” dovrà dare specificamente conto della sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento del atto, interesse all’annullamento che dovrà essere valutato attraverso tecniche comparative alla luce degli interessi pubblici e privati che militano in senso opposto, ossia verso la conservazione del provvedimento ipoteticamente illegittimo (in tal senso, ex multis, Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sent. n. 412 del 1990 e sez. V, sent. n. 1311 del 2000).

Il rispetto di principi fondamentali dell’ordinamento, con diretti riferimenti costituzionali, quali quello di ragionevolezza, di certezza dei rapporti giuridici, di tutela dell’affidamento, suggerisce, anzi impone, di operare la comparazione predetta (del resto, ora, positivamente prescritta dall’articolo 21 nonies della legge n. 241 che configurando l’annullamento di ufficio come potere discrezionale e meramente eventuale prevede che nel suo concreto esercizio si debba necessariamente tener conto “degli interessi dei destinatari e dei controinteressati”).

Come si è già avuto modo di accennare, inoltre, la giurisprudenza amministrativa è assolutamente granitica nel precisare che l’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto illegittimo non può identificarsi, sic et simpliciter, nell’interesse alla reintegrazione dell’ordine giuridico violato ma deve essere specificato e dimensionato in relazione ad esigenze concrete ed attuali (si rinvia, fra le tante pronunce sul punto, a Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 591 del 1983, a TAR Lombardia, Brescia, sent. n. 399 del 2003, a Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 3909 del 2005 e, da ultimo, a TAR Campania, Napoli, sez. IV, sent. n. 2026 del 2006) e non è consentito ricorrere, in sede di motivazione, a clausole di stile o formule sterotipe come, ad esempio, la necessità di garantire il corretto sviluppo edilizio del territorio (si veda sul punto, per la sua rilevanza, la recente sent. n. 671 del 2006 resa dalla sez. VI del Consiglio di Stato la cui massima, testualmente, recita: “Il provvedimento di autotutela non si sottrae, in parte “de qua”, alla censura di insufficienza ed inadeguatezza della motivazione, ove si consideri che esso interviene a salvaguardia dell’interesse di rilievo pubblico al corretto sviluppo urbanistico ed edilizio del territorio, la cui compromissione, prima di pervenire alla statuizione di annullamento d’ufficio, va valutata sul piano dell’effettività, in raffronto alle posizioni soggettive del privato beneficiario del provvedimento autorizzatorio”).

Un’ultima notazione si ritiene opportuna; il già citato articolo 21 nonies della legge 241 oltre a configurare come meramente eventuale, e dunque discrezionale, l’effettivo esercizio del potere di annullamento di ufficio dispone che lo stesso debba essere dispiegato “entro un termine ragionevole”.

Sulla base di tale formulazione legislativa, ad onta della laconicità della stessa, parrebbe potersi dedurre che il decorso di un lasso temporale sufficientemente ampio dall’adozione dell’atto ampliativo impedisce, de facto, il suo successivo annullamento qualora ne venga accertata l’originaria illegittimità e ciò anche in presenza di un interesse pubblico specifico e concreto alla rimozione dall’ordinamento dell’atto viziato (spunti di ulteriore riflessione sul punto possono essere sollecitati dalla lettura della sentenza n. 426 del 21.02.2006 resa dal TAR Sicilia, Palermo, sez. III).

La sentenza n. 611 del 24.07.2006, resa dal TAR Abruzzo, offre la possibilità di procedere ad una sintetica ricostruzione delle posizioni giurisprudenziali relative alle condizioni di esercizio del potere, istituzionalmente attribuito alla P.A., di annullamento in autotutela di atti ampliativi precedentemente adottati anche, e forse soprattutto, alla luce delle innovazioni alla legge generale sul procedimento amministrativo introdotte dalla legge n. 15 del 2005 (ci si riferisce, in particolare, come è evidente, all’articolo 21 nonies della legge 241 del 1990).

Prima di affrontare la questione sopra richiamata si ritiene opportuno spendere qualche parola per tratteggiare la vicenda concreta sottesa alla decisione dei giudici abruzzesi e ciò allo scopo di meglio delineare lo scenario di riferimento.

Tizio, ricorrente, stipulava, nel 1981, con Caio, controinteressato e suo confinante, un contratto per la locazione di una porzione di terrazzo; il contratto in discorso aveva come suo presupposto l’attività edificatoria realizzata da Caio sulla base di due concessioni edilizie rilasciate nel 1979.

Il contratto predetto ha prodotto i suoi effetti per un lungo periodo di tempo e vale dire sino al 1999, anno in cui Caio otteneva dal Pretore di L’Aquila, con sentenza n. 226, la restituzione del bene oggetto della locazione.

A seguito di ciò, e dopo aver esercitato il diritto di accesso agli atti, il ricorrente aveva modo di rendersi conto che le concessioni, a suo tempo rilasciate a Caio, erano affette da vizi di legittimità, in particolare emergeva il contrasto con le norme tecniche di attuazione del PRG, e richiedeva, pertanto, al Comune di L’Aquila di esercitare il potere di autotutela annullando le concessioni.

La richiesta che precede era riscontrata negativamente dall’amministrazione comunale che deduceva la mancanza, atteso il tempo trascorso, di un pubblico interesse attuale e concreto alla rimozione delle concessioni, pur riconoscendo la sussistenza dei vizi denunciati.

Tale determinazione provvedimentale è stata oggetto di impugnativa da parte di Tizio che, dopo aver rammentato che le concessioni in discorso furono rilasciate, all’epoca, nonostante un parere tecnico contrario in violazione di quanto disposto dalla legge n. 47 del 1985, ha contestato, in radice, la motivazione posta a fondamento dell’atto, deducendo che non può attribuirsi rilievo assorbente al decorso del tempo, in quanto sussiste, per la P.A., un dovere generalizzato di ripristino della conformità a legge delle situazioni di fatto.

Per quel che concerne l’asserita mancanza di un interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento, il ricorrente ha dedotto che esso interesse pubblico è in re ipsa, se l’annullamento d’ufficio interviene a breve distanza di tempo dall’adozione dell’atto, mentre il decorso di un periodo più ampio non determina, di per sé, l’impossibilità di configurare un interesse pubblico all’annullamento ma implica soltanto la necessità di una motivazione aggravata.

L’amministrazione intimata si è costituita in giudizio eccependo l’inammissibilità e infondatezza del ricorso, eccezioni formulate anche dal controintertessato, pur esso costituitosi in giudizio; all’udienza del 31.05.06 la causa è stata trattenuta in decisione ed il ricorso è stato dichiarato infondato.

Il TAR Abruzzo ha rilevato, infatti, come la richiesta di annullamento d’ufficio di una concessione edilizia non comporti ex se l’obbligo della P.A. di provvedere in modo conforme; nel caso di specie, infatti, non ci si trova di fronte all’esercizio di un potere vincolato bensì ad una scelta connotata da ampia discrezionalità posto che la P.A. procedente deve valutare la rispondenza dell’annullamento stesso con un interesse pubblico concreto e attuale.

Tale valutazione deve essere condotta con ancora maggiore prudenza quando dal rilascio dell’atto ampliativo sia decorso un considerevole lasso di tempo che ha consolidato la posizione giuridica soggettiva del destinatario ingenerando, nello stesso, un ragionevole affidamento sulla sua conformità alle norme giuridiche.

Il concreto esercizio del potere di autotutela, dunque, comporta l’onere da parte della P.A. di “valutare comparativamente l’interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento dell’atto con la qualificata posizione del privato, consolidatasi nel tempo, dando prevalenza all’affidamento del privato ove non sussistano particolari e pregnanti ragioni di interesse pubblico”; non costituisce, pertanto, presupposto sufficiente, per l’annullamento d’ufficio di un atto, l’illegittimità dello stesso occorrendo, infatti, in aggiunta, una valutazione di preminenza dell’interesse pubblico che non può identificarsi nell’esigenza di mero ripristino della legalità violata.

Sulla base di tale traiettoria argomentativa, cui si ritiene di aderire in toto stante la sua piena rispondenza a consolidati principi giurisprudenziali che si avrà modo di precisare nel prosieguo di questo scritto, i giudici abruzzesi hanno, come già accennato, respinto il ricorso ritenendo che, nel caso devoluto alla loro cognizione, correttamente il Comune abbia rilevato l’insussistenza di un interesse pubblico specifico, concreto e attuale all’annullamento degli atti concessori.

Ragionando in termini più generali deve, dunque, evidenziarsi che l’obbligo di motivazione delle determinazioni amministrative acquista particolare intensità e spessore allorquando si tratti di provvedimenti di secondo grado tesi, per loro natura, a comprimere la sfera giuridica dei destinatari; viene a determinarsi, in altri termini, una sorta di necessario aggravio della corposità della motivazione che oltre ad essere “sufficiente, logica, comprensibile” dovrà dare specificamente conto della sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento del atto, interesse all’annullamento che dovrà essere valutato attraverso tecniche comparative alla luce degli interessi pubblici e privati che militano in senso opposto, ossia verso la conservazione del provvedimento ipoteticamente illegittimo (in tal senso, ex multis, Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sent. n. 412 del 1990 e sez. V, sent. n. 1311 del 2000).

Il rispetto di principi fondamentali dell’ordinamento, con diretti riferimenti costituzionali, quali quello di ragionevolezza, di certezza dei rapporti giuridici, di tutela dell’affidamento, suggerisce, anzi impone, di operare la comparazione predetta (del resto, ora, positivamente prescritta dall’articolo 21 nonies della legge n. 241 che configurando l’annullamento di ufficio come potere discrezionale e meramente eventuale prevede che nel suo concreto esercizio si debba necessariamente tener conto “degli interessi dei destinatari e dei controinteressati”).

Come si è già avuto modo di accennare, inoltre, la giurisprudenza amministrativa è assolutamente granitica nel precisare che l’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto illegittimo non può identificarsi, sic et simpliciter, nell’interesse alla reintegrazione dell’ordine giuridico violato ma deve essere specificato e dimensionato in relazione ad esigenze concrete ed attuali (si rinvia, fra le tante pronunce sul punto, a Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 591 del 1983, a TAR Lombardia, Brescia, sent. n. 399 del 2003, a Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 3909 del 2005 e, da ultimo, a TAR Campania, Napoli, sez. IV, sent. n. 2026 del 2006) e non è consentito ricorrere, in sede di motivazione, a clausole di stile o formule sterotipe come, ad esempio, la necessità di garantire il corretto sviluppo edilizio del territorio (si veda sul punto, per la sua rilevanza, la recente sent. n. 671 del 2006 resa dalla sez. VI del Consiglio di Stato la cui massima, testualmente, recita: “Il provvedimento di autotutela non si sottrae, in parte “de qua”, alla censura di insufficienza ed inadeguatezza della motivazione, ove si consideri che esso interviene a salvaguardia dell’interesse di rilievo pubblico al corretto sviluppo urbanistico ed edilizio del territorio, la cui compromissione, prima di pervenire alla statuizione di annullamento d’ufficio, va valutata sul piano dell’effettività, in raffronto alle posizioni soggettive del privato beneficiario del provvedimento autorizzatorio”).

Un’ultima notazione si ritiene opportuna; il già citato articolo 21 nonies della legge 241 oltre a configurare come meramente eventuale, e dunque discrezionale, l’effettivo esercizio del potere di annullamento di ufficio dispone che lo stesso debba essere dispiegato “entro un termine ragionevole”.

Sulla base di tale formulazione legislativa, ad onta della laconicità della stessa, parrebbe potersi dedurre che il decorso di un lasso temporale sufficientemente ampio dall’adozione dell’atto ampliativo impedisce, de facto, il suo successivo annullamento qualora ne venga accertata l’originaria illegittimità e ciò anche in presenza di un interesse pubblico specifico e concreto alla rimozione dall’ordinamento dell’atto viziato (spunti di ulteriore riflessione sul punto possono essere sollecitati dalla lettura della sentenza n. 426 del 21.02.2006 resa dal TAR Sicilia, Palermo, sez. III).