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La lesione del dovere di lealtà da parte del lavoratore

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 14 settembre 2007, n.19232
Notevole per importanza e chiarezza è la recentissima sentenza n. 19232/32007 della Corte di Cassazione. Essa affronta in particolare il problema del comportamento che il lavoratore deve mantenere nei confronti della società e dei colleghi, soffermandosi indirettamente sulla portata che deve essere riconosciuta alla violazione, da parte del lavoratore, degli obblighi di fedeltà e diligenza ai quali è sottoposto.

Il lavoratore dipendente che esprime pubblicamente il proprio disappunto relativamente all’attività della società e che, soprattutto, si esprime in termini negativi e denigratori sulla stessa società e sul grado di preparazione professionali dei colleghi pone in essere un comportamento che lede l’immagine e la rispettabilità dell’azienda e, per questo, è soggetto a licenziamento per giusta causa.

La Suprema Corte non trascura di individuare le modalità con le quali il giudice del merito deve affrontare la valutazione di tali episodi, stabilendo che è tenuto a verificare con attenzione, in ogni circostanza, se gli episodi contestati, considerati nel loro complesso, siano effettivamente tali da ledere il rapporto di fiducia che il datore di lavoro ripone nel dipendente, senza con ciò sottovalutare che il grado di fiducia risposto in un lavoratore è diverso per ciascun dipendente, in ragione della diversa qualità del singolo rapporto lavorativo, che com’è noto è caratterizzato da elementi quali le mansioni ed il grado di affidamento che queste richiedono.

Ai fini di quanto appena detto, è opportuno ricordare la portata dell’articolo 2105 Codice Civile, secondo il quale il prestatore di lavoro, per quel che interessa nella presente sede, non deve di divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, né farne uso in modo da poter arrecare ad essa pregiudizio.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che la lavoratrice, con il suo comportamento, concretizzatosi nell’aver "proferito espressioni offensive sulla capacità e sulla professionalità del personale" oltre ad aver di fatto divulgato "gli addebiti contenuti nella precedente lettera di contestazione, ha leso l’immagine e la rispettabilità dell’impresa. Il fatto concreto, infatti, deve essere valutato nella sua portata oggettiva e soggettiva, attribuendo rilievo determinante, alla sua potenzialità di negazione della futura correttezza dell’adempimento il che, evidentemente, può far venire meno la fiducia riposta nel lavoratore dal datore di lavoro".

Notevole per importanza e chiarezza è la recentissima sentenza n. 19232/32007 della Corte di Cassazione. Essa affronta in particolare il problema del comportamento che il lavoratore deve mantenere nei confronti della società e dei colleghi, soffermandosi indirettamente sulla portata che deve essere riconosciuta alla violazione, da parte del lavoratore, degli obblighi di fedeltà e diligenza ai quali è sottoposto.

Il lavoratore dipendente che esprime pubblicamente il proprio disappunto relativamente all’attività della società e che, soprattutto, si esprime in termini negativi e denigratori sulla stessa società e sul grado di preparazione professionali dei colleghi pone in essere un comportamento che lede l’immagine e la rispettabilità dell’azienda e, per questo, è soggetto a licenziamento per giusta causa.

La Suprema Corte non trascura di individuare le modalità con le quali il giudice del merito deve affrontare la valutazione di tali episodi, stabilendo che è tenuto a verificare con attenzione, in ogni circostanza, se gli episodi contestati, considerati nel loro complesso, siano effettivamente tali da ledere il rapporto di fiducia che il datore di lavoro ripone nel dipendente, senza con ciò sottovalutare che il grado di fiducia risposto in un lavoratore è diverso per ciascun dipendente, in ragione della diversa qualità del singolo rapporto lavorativo, che com’è noto è caratterizzato da elementi quali le mansioni ed il grado di affidamento che queste richiedono.

Ai fini di quanto appena detto, è opportuno ricordare la portata dell’articolo 2105 Codice Civile, secondo il quale il prestatore di lavoro, per quel che interessa nella presente sede, non deve di divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, né farne uso in modo da poter arrecare ad essa pregiudizio.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che la lavoratrice, con il suo comportamento, concretizzatosi nell’aver "proferito espressioni offensive sulla capacità e sulla professionalità del personale" oltre ad aver di fatto divulgato "gli addebiti contenuti nella precedente lettera di contestazione, ha leso l’immagine e la rispettabilità dell’impresa. Il fatto concreto, infatti, deve essere valutato nella sua portata oggettiva e soggettiva, attribuendo rilievo determinante, alla sua potenzialità di negazione della futura correttezza dell’adempimento il che, evidentemente, può far venire meno la fiducia riposta nel lavoratore dal datore di lavoro".