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I "nuovi" livelli di tutela della forma dei prodotti, tra comunicazione e innovazione

Sintesi della relazione tenuta al convegno "Forma Design Prodotti", Università di Parma, 24 ottobre 2008
Abstract

L’attuale fase economica, in cui la nostra industria sta subendo una forte concorrenza da parte dei Paesi emergenti, rende sempre più importante tutelare i valori della nostra innovazione e della nostra capacità di comunicazione, avvalendosi degli strumenti offerti dai diritti della proprietà intellettuale.

Tra i possibili oggetti di questa tutela, assumono una particolare importanza le forme dei prodotti: perché la forma di un prodotto è, soprattutto (ma non solo) per i prodotti di massa, il primo elemento con cui il pubblico viene in contatto, e assume quindi spesso un valore decisivo per determinare il successo o l’insuccesso di quel prodotto. Proteggere la forma dei prodotti contro le imitazioni è quindi fondamentale per mantenere la competitività delle nostre imprese, difendendo le posizioni di mercato che il Made in Italy ha saputo conquistarsi in questi anni, grazie alla forte creatività e alle indiscutibili capacità tecniche di cui ha dato prova.

IL DESIGN E LA CRISI DEI SISTEMI TRADIZIONALI DI PROTEZIONE DELLE FORME

Tradizionalmente nel nostro sistema giuridico la protezione delle forme era imperniata su un meccanismo che era stato definito, con una formula efficace, dei diversi livelli di tutela.

Secondo questo schema, le forme distintive, magari anche gradevoli, ma non tanto da raggiungere un particolare gradiente estetico, potevano essere registrate come marchi ed eventualmente, se non erano state registrate, godere di una più limitata protezione contro la concorrenza sleale confusoria. Una volta raggiunta la soglia di quello che veniva definito lo “speciale ornamento”, le forme potevano invece essere tutelate con un particolare tipo di brevetto, il brevetto per modello ornamentale, di durata ventennale non prorogabile. Quando poi si attingeva il campo dell’arte, la forma poteva essere protetta con il diritto d’autore: ma doveva trattarsi di arte “pura”, nel senso che tutela come modello e tutela di diritto d’autore erano rigorosamente alternative e che il criterio che serviva per distinguere le forme in grado di essere protette come modello ornamentale da quelle che potevano beneficiare della protezione col diritto d’autore, era quello della cosiddetta “scindibilità”. In base a tale criterio, la forma di un oggetto era artistica, e quindi proteggibile col diritto d’autore, solo quando questa forma era “scindibile”, cioè apprezzabile autonomamente dal prodotto al quale essa era applicata: come una scultura applicata sopra il tappo di una bottiglia, ma mai la bottiglia in sé.

Questo sistema era stato in realtà messo in crisi proprio dall’irrompere del design e dalla sua affermazione come la forma d’arte per eccellenza della nostra epoca, perché è in grado di portare l’arte nella vita di ogni giorno, di trasformare oggetti d’uso in oggetti d’arte. Una forma d’arte che ha come sua caratteristica proprio quella della non scindibilità, cioè del fatto che il valore artistico dell’opera di design è strettamente connessa alla funzione contemporaneamente svolta dal prodotto per l’uso quotidiano che di questo prodotto viene fatto.

Come è possibile, infatti, negare carattere artistico, e quindi la tutela di diritto d’autore, ad esempio a certe lampade che sono diventate veri e propri simboli della creatività italiana, e che sono esposte nei maggiori musei del mondo? E allo stesso modo, come è possibile considerare degni di tutela soltanto i valori estetici e non anche quelli di mercato, che anche forme non “belle” possiedono, quando sono capaci di catalizzare l’attenzione del pubblico? E per le forme distintive, come è possibile pensare di proteggerle solo contro il pericolo di confusione, trascurando fenomeni come il cosiddetto look-alike, e cioè le condotte, assai più insidiose, di coloro che imitano la forma e la confezione dei prodotti non in modo così plateale da indurre il pubblico a scambiarli per quelli originali, ma comunque abbastanza da ricordarli e quindi da metterli nella loro scia in modo parassitario?

TUTELA DELLE FORME E NUOVE FORME DI TUTELA: LA REGISTRAZIONE PER DISEGNO O MODELLO

A queste domande hanno fornito una risposta i diversi interventi legislativi succedutisi a partire dal 1992 (prima riforma della legge marchi), sino al 2005 (entrata in vigore del Codice della Proprietà Industriale), passando per la riforma della legge modelli del 2001 e per il Regolamento n. 2002/6/C.E. sul modello comunitario, grazie ai quali oggi sostanzialmente il cumulo di protezioni non è più un tabù e la scindibilità è stata cancellata dal nostro ordinamento.

La prima importante novità riguarda le regole per l’accesso alla protezione come modello, che non è più subordinata al fatto che la forma conferisca al prodotto uno speciale ornamento, ma dipende da un requisito del tutto nuovo: il carattere individuale, definito come la capacità del modello di produrre un’impressione diversa sull’utilizzatore informato, rispetto alle forme già note nella Comunità Europea. Dunque la tutela riguarda oggi il valore di mercato delle forme dei prodotti, non più soltanto il loro valore estetico. E per rendere più evidente il cambio di prospettiva, è cambiato anche il nome: non si parla più di brevetto per modello ornamentale, ma di registrazione per disegno o modello.

Inoltre, sempre nella prospettiva di una maggiore attenzione alle esigenze di mercato, è stato introdotto il cosiddetto anno di grazia, cioè si è consentito all’autore di un nuovo modello di “provarlo” sul mercato per il tempo massimo di un anno, prima di decidere se registrarlo o meno, senza che la conseguente divulgazione del modello privi il modello di novità e quindi lo renda non proteggibile, come avveniva nel vecchio sistema (e come avviene tuttore per i brevetti per invenzione e per modello di utilità).

Non solo. Il Regolamento sul modello comunitario ha previsto una limitata protezione anche per le nuove forme dei prodotti che non vengano registrate come modelli dai loro titolari. E’ però una protezione che presuppone da partre del titolare la prova dell’avvenuta divulgazione in ambito comunitario, che segna anche il momento iniziale di questa tutela, e l’identificazione specifica degli elementi che conferiscono al modello la sua individualità; è comunque meno intensa, perché consente di opporsi soltanto alle “copiature”, cioè – come ha chiarito in un provvedimento da me ottenuto nel settembre 2005 il Tribunale di Bologna – quelle che non appaiono il frutto di una “coincidenza creativa”; ed è anche più breve, perché dura soltanto tre anni, mentre la registrazione conferisce oggi una tutela quinquennale, rinnovabile di cinque anni in cinque anni fino a una durata massima di un quarto di secolo.

La protezione come modello – registrato e non registrato – non riguarda comunque solo la copiatura identica, ma anche le varianti che lascino invariata l’impressione generale: perciò una forma che si imponga veramente al mercato come molto innovativa avrà una tutela più ampia di un’altra che, pur possedendo una certa individualità, si distingua meno da quelle preesistenti.

Una disposizione espressa del Regolamento sul modello comunitario e del nostro Codice della Proprietà Industriale esclude invece dalla protezione come modello le caratteristiche di un prodotto “determinate unicamente dalla sua funzione tecnica”. A prima vista questa disposizione sembrerebbe in contrasto con una delle caratteristiche storiche del design, quella di coniugare bellezza e utilità. Ma il contrasto è soltanto apparente: lo scopo di questa norma è di tipo antimonopolistico, ossia è quello di evitare che il monopolio sulla forma, sotto il profilo dell’approccio dei consumatori, diventi anche monopolio sull’utilità. Per le forme in grado di fornire al prodotto “una particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego” il legislatore ha infatti previsto una tutela diversa, quella con il brevetto per modello di utilità che dura dieci anni, e non venticinque. Quando però il designer sceglie, tra infinite forme in grado di offrire la stessa utilità, una forma particolare in grado anche di imporsi all’attenzione del pubblico, niente si oppone alla registrazione di essa come disegno o modello, perché l’esclusiva venticinquennale su quella specifica forma non crea di per sé nessun vincolo sulla sua utilità.

MODELLI E MARCHI DI FORMA

Il requisito del carattere individuale, che, come abbiamo visto, le forme dei prodotti devono possedere per essere tutelate come disegni e modelli, registrati e non registrati, è stato paragonato da qualcuno alla capacità distintiva dei marchi, dalla quale si distinguerebbe perché mentre quest’ultima va misurata in base al giudizio del pubblico comune, dei consumatori, il carattere individuale, secondo il Codice e il regolamento sul modello comunitario, va accertato secondo l’opinione dell’utilizzatore informato, il quale, in quanto esperto, è di regola più sensibile alle differenze, anche limitate.

Tuttavia l’impressione diversa da cui dipende la proteggibilità di una forma come modello non è la stessa cosa della capacità distintiva: capacità distintiva significa capacità di distinguere comunicando un messaggio, cioè di essere segno, simbolo di qualcosa; carattere individuale significa capacità di distinguersi, di imporsi all’attenzione del pubblico come qualcosa di diverso dalle forma già conosciute, ma non necessariamente simboleggiando qualcosa.

Anche una forma può naturalmente avere una capacità distintiva, ma di regola non è così, perché è raro che il pubblico “legga” la forma di un prodotto come la portatrice di un messaggio e in particolare che il pubblico attribuisca la fonte di un prodotto alla sua forma. La Corte di Giustizia delle Comunità Europee lo ha sottolineato in una lunga serie di decisioni in materia di marchi di forma, mettendo in luce come, normalmente, perché la forma di un prodotto (o il suo colore) sia in grado di svolgere una funzione distintiva occorre che con l’uso la forma si imponga all’attenzione del pubblico non solo in sé considerata, ma come il simbolo di un messaggio: quello che, attraverso la comunicazione e soprattutto la comunicazione pubblicitaria, le imprese sono capaci di convogliare.

Quando questo accade, la forma può essere protetta come marchio, sia pure con alcuni limiti. Il nostro legislatore – e prima ancora il legislatore comunitario – ha infatti vietato la registrazione come marchio delle forme “necessarie per conseguire un risultato tecnico” e di quelle “idonee a conferire un valore sostanziale al prodotto”. Come è stato chiarito ancora dalla Corte di Giustizia comunitaria, lo scopo di questi divieti è ancora una volta quello di evitare che il monopolio della forma come segno diventi un monopolio sui valori sostanziali che la forma, in sé considerata, possiede: l’esclusiva sui marchi, infatti, è potenzialmente perpetua, e una tutela perpetua su questi valori sostanziali assumerebbe una valenza anticoncorrenziale. Perciò sono solo questi valori sostanziali che devono poter cadere in pubblico dominio, una volta scaduta la loro eventuale protezione come design o come modello di utilità: ma se la stessa utilità può essere conseguita attraverso infinite varianti, ciascuna di queste varianti può essere protetta come marchio o tutelata contro l’imitazione servile (e oggi anche contro l’appropriazione di pregi). Su questa base, sempre in una mia causa, il Tribunale di Milano ha recentemente ritenuto proteggibile come marchio (non registrato) la forma di un cavatappi per bottiglie di vino molto famoso in questo settore, di cui erano state imitate non solo le caratteristiche necessarie da un punto di vista tecnico ma anche quelle che potevano essere modificate senza perdite di utilità. E addirittura, se una forma possiede carattere individuale, ma non attribuisce di per sé al prodotto un valore sostanziale rilevante per il pubblico, questa forma, in quanto distintiva, può cumulare la protezione come modello con quella come marchio.

IL DESIGN COME ARTE: LA TUTELA DI DIRITTO D’AUTORE

Il cumulo di protezione è però oggi ammesso anche sotto un altro profilo: una stessa forma può cioè essere tutelata sia come modello, sia in base al diritto d’autore. Questo cumulo è stato però introdotto dal nostro legislatore con un eccesso di prudenza, forse anche a causa dell’azione della lobby dei contraffattori, che si è purtroppo dimostrata molto più efficiente di quella dei designers e delle imprese veramente innovative.

La norma che ha ammesso anche le opere del design a beneficiare della protezione del diritto d’autore sembra infatti scritta apposta per creare un rebus inestricabile, in quanto prevede che queste opere siano tutelabili solo quando possiedono di per sé carattere creativo e valore artistico. L’espressione “di per sé” è stata così talvolta interpretata, anche dalla giurisprudenza, nel senso che la tutela ci sarebbe solo per gli oggetti che non sono pensati soprattutto in funzione del loro uso quotidiano: mentre, come già si è detto, la caratteristica del design è proprio quella di portare l’arte nel quotidiano, di rendere delle forme, che hanno valore artistico, forme della nostra vita quotidiana. Questa interpretazione, che fa rientrare dalla finestra il requisito della scindibilità appena uscito dalla porta, è del resto incompatibile con le norme del diritto comunitario, che ne hanno imposto espressamente l’abbandono: e dunque non può essere accolta.

La portata della norma è comunque limitativa, perché ammette alla tutela di diritto d’autore le opere del design solo a condizione che possiedano non solo carattere creativo, come tutte le opere tutelate, ma anche valore artistico, valore che dovrà dunque essere oggetto di specifica valutazione da parte del giudice. In pratica, ciò significa che la tutela di diritto d’autore verrà riservata alle opere di più elevato livello, alla fascia alta del design, spesso rivelate come tali proprio dalla “lunga durata” del loro apprezzamento da parte del pubblico, oltre le mode e l’evoluzione del gusto. Proprio su questo argomento due anni fa Indicam mi ha chiesto un parere pro veritate, da depositare in una causa che opponeva un associato Indicam ad un contraffattore di una sua lampada che costituisce forse uno dei simboli della creatività italiana in questo settore; ed io ho convintamente sostenuto la proteggibilità di essa, e la sua proteggibilità anche contro le imitazioni che non siano strettamente identiche, perché la tutela di diritto d’autore riserva all’autore non soltanto la riproduzione dell’opera, ma anche il diritto di elaborazione sull’opera stessa.

IL REGIME TRANSITORIO (ILLEGITTIMO) DEL DESIGN ARTISTICO

In questa maniera sembra dunque possibile ricondurre ad unità il sistema.

Abbiamo una protezione del design che si configuri come innovativo rispetto alle forme preesistenti sotto il profilo del modello; abbiamo una protezione come marchio (registrato e non registrato) delle forme che abbiano acquistato carattere distintivo e che non diano comunque valore sostanziale al prodotto; e abbiamo anche una protezione di diritto d’autore del design più elevato, di quello che, pur riguardando sempre oggetti d’uso, assume un vero e proprio valore artistico, destinato a durare nel tempo. Sottolineo la particella “anche”, perché è ovvio che, anche per queste forme – come per tutte le forme di design –, la registrazione come modello (e come marchio, quando ne sussistono i presupposti) è assolutamente consigliabile, anche per superare i problemi interpretativi ai quali ho fatto cenno, sulla base dei quali la giurisprudena ha talvolta negato protezione a opere di design di indiscutibile valore artistico.

Il cerchio però non si chiude ancora. La protezione di diritto d’autore che il legislatore italiano ha attribuito a queste opere aveva infatti assurdamente una durata molto più breve di quella attribuita alle altre opere protette: ventincinque anni dopo quello della morte dell’autore, anziché settantacinque come per tutte le altre. Un assurdo che non solo sviliva ingiustamente il design, ma che si poneva in contrasto con specifici obblighi imposti anche al nostro Paese dal diritto comunitario: ed infatti in sede europea era stata avviata per questo una procedura d’infrazione contro l’Italia, su segnalazione ancora di Indicam. E a seguito della pressione europea l’allineamento della durata della protezione del design a quella delle altre opere del diritto d’autore – già previsto nel progetto di revisione del Codice della Proprietà Industriale elaborato dalla Commissione ministeriale di cui anch’io avevo fatto parte – è finalmente arrivato, con il decreto legge 15 febbraio 2007, n. 10 poi convertito nella legge 6 aprile 2007, n. 46.

Sennonché la nuova legge è intervenuta anche sull’art. 239 del Codice, ossia sulla norma transitoria relativa alle opera create prima dell’introduzione in Italia di questa protezione, avvenuta appunto nel 2001. Il testo dell’art. 239 anteriore a quest’ultima riforma prevedeva (implicitamente ma inequivocabilmente) che la protezione venisse riconosciuta anche alle opere create anteriormente alla modifica legislativa del 2001, ma in pari tempo si preoccupa di salvaguardare la posizione dei soggetti terzi che in buona fede, confidando nell’assenza di protezione, avevano intrapreso prima di tale data la protezione di prodotti corrispondenti a tali opere (si tratta, principalmente, di lampade e di poltrone di cui sono autori indiscussi maestri del design, come Mies Van Der Rohe, o Le Corbusier): a questi soggetti veniva infatti consentito di continuare per dieci anni questa attività anteriormente lecita. Il nuovo testo dell’art. 239 ora introdotto, viceversa, ha invece stabilito che “La protezione accordata ai disegni e modelli industriali ai sensi dell’articolo 2, primo comma, numero 10, della legge 22 aprile 1941, n. 633, non opera in relazione ai prodotti realizzati in conformità ai disegni o modelli che, anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 95, erano oppure erano divenuti di pubblico dominio”.

L’interpretazione più ovvia di questa disposizione (conforme anche ai lavori preparatori di essa, giacché questo testo riprende quello che era stato proposto in seno alla Commisione per la revisione del C.P.I. dal Prof. Avv. Giorgio Floridia, in contrapposizione con il testo che era stato invece proposto allora da me) era quella di escludere tout court dalla protezione le opere create anteriormente al 2001, che a quella data non fossero coperte dalla protezione come modello (perché non registrate o perché oggetto di modelli scaduti), cosicché essa sembra comportare una sorta di espropriazione senza indennizzo dei diritti attribuiti dal d.lgs 95/2001 su queste opere, con una discriminazione del tutto irragionevole, che come tale appare chiaramente viziata di illegittimità costituzionale e prima ancora è sua volta contraria alla Direttiva comunitaria sul design. La procedura d’infrazione europea era stata anzi intrapresa anche in relazione al vecchio testo dell’art. 239 del Codice, poiché secondo la Commissione già esso limitava in modo eccessivo il diritto dei creatori delle opere anteriori al 2001, imponendo loro di sopportare per un decennio la prosecuzione senza limiti dell’attività dei preutenti; e questa censura vale evidentemente a più forte ragione per la nuova norma che questa protezione addirittura cancella completamente.

INTERPRETAZIONI GIURISPRUDENZIALI E PROSPETTIVE DI RIFORMA

In tal modo la nuova norma comporta una sorta di espropriazione senza indennizzo dei diritti attribuiti dal d.lgs 95/2001 alle opere anteriori non registrate o non più protette come modelli ornamentali, con una discriminazione del tutto irragionevole, che come tale appare chiaramente viziata di illegittimità costituzionale e comunque è sua volta contraria alla Direttiva sul design: la procedura d’infrazione europea era stata anzi intrapresa anche in relazione al vecchio testo dell’art. 239 del Codice, che secondo la Commissione limitava in modo eccessivo il diritto dei creatori delle opere anteriori al 2001, imponendo loro di sopportare per un decennio la prosecuzione senza limiti dell’attività dei preutenti; e questa censura vale evidentemente a più forte ragione per la nuova norma che questa protezione addirittura cancella completamente. Della questione è stata così investita l’autorità giudiziaria: Assoluce mi ha infatti incaricato di intervenire in una causa in corso, per ottenere la rimessione della questione alla Corte di Giustizia C.E. (e se necessario alla Corte Costituzionale), e la decisione del Tribunale di Milano su questa richiesta è attesa per la fine dell’anno.

Di questa norma, tuttavia, il Tribunale di Milano ha cercato di fornire una lettura che potremmo definire «costituzionalmente orientata», perché idonea a superare il vizio di incostituzionalità della norma stessa, con un’ordinanza cautelare del 20 giugno 2008, a firma del dott. de Sapia. Valorizzando il suo carattere di norma transitoria, anche al di là della lettera di essa, l’ordinanza ha ritenuto che l’art. 239 C.P.I. sia applicabile soltanto per dirimere il conflitto tra i titolari di diritti d’autore su un’opera di design ed i soggetti che già realizzavano prodotti corrispondenti a tale opera prima dell’introduzione della protezione di diritto d’autore, quando la loro attività era lecita, cosicché la portata della norma sarebbe unicamente quella di consentire a questi soli soggetti di continuare la loro attività anche dopo l’entrata in vigore di questa protezione, mentre le opere di design che possiedano i requisiti per la protezione di diritto d’autore, ancorché non protette (o non più protette) prima dell’introduzione della tutela d’autore, ne beneficerebbero pienamente nei confronti dei soggetti che abbiano cominciato a realizzare prodotti corrispondenti a tali opere dopo l’entrata in vigore di questa protezione.

Ancora più in là si era spinta una sentenza del Tribunale di Monza datata 15 luglio 2007 e resa in una causa promossa prima dell’istituzione delle Sezioni Specializzate. In questo caso il Giudice ha addirittura ritenuto che per “prodotti realizzati in conformità ai disegni o modelli” si dovrebbero intendere unicamente quelli che erano già stati realizzati al momento dell’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 239 C.P.I., cosicché il senso della nuova norma sarebbe stato quello di abrogare il regime che consentiva ai preutenti di continuare a realizzare prodotti conformi alle opere protette per dieci anni, mantenendo la legittimità per i soli prodotti già realizzati prima dell’ultima modifica legislativa.

Almeno la lettura della norma data da quest’ultima pronuncia appare tuttavia criticabile, pur nell’apprezzabile sforzo di rendere coerente al sistema una norma evidentemente deviante, perché valorizza singoli elementi letterali di essa, prescindendo dal suo significato complessivo e dalla sua stessa ratio, che è chiaramente quella di valorizzare la circostanza che un determinato «disegno o modello» divenuto proteggibile anche come opera del diritto d’autore fosse in pubblico dominio nel momento dell’introduzione di quest’ultima tutela, per escludere che in tal caso fosse possibile far sorgere un’esclusiva su di esso. Anche il provvedimento milanese richiamato per primo introduce una distinzione certamente razionale ed opportuna, ma non presente nella norma, cosicché l’opzione interpretativa accolta non può dirsi sicura, almeno finché non venga coonestata dalla Corte di Giustizia C.E. o dalla Corte Costituzionale.

Nel frattempo un’altra ordinanza milanese, resa il 30 giugno 2008 (questa volta a firma del dott. Marangoni), ha respinto l’istanza di dissequestro di prodotti conformi ad un’opera di design anteriore al 2001 realizzati da un soggetto che ne aveva intrapreso la produzione per la prima volta solo dopo l’introduzione della tutela di diritto d’autore su quest’opera, sulla base del rilievo di diritto intertemporale – svolto nelle difese di Assoluce, rappresentata dal nostro Studio e intervenuta nella causa proprio al fine di ottenere che sull’art. 239 C.P.I. si pronuncino i Giudici comunitari o la nostra Corte Costituzionale – che i prodotti sequestrati erano stati realizzati prima della modifica dell’art. 239 C.P.I. operata nel 2007, cosicché rientravano ratione temporis nell’applicazione del regime previgente, in base al quale il produttore non poteva vantare alcuna franchigia dal diritto d’autore, di cui i suoi prodotti costituivano quindi violazione. Nella stessa causa in cui quest’ultima ordinanza è stata resa sono state già precisate le conclusioni e depositate e si attende quindi per la fine dell’anno o l’inizio dell’anno prossimo una pronuncia sull’istanza di Assoluce di rimessione della causa alla Corte di Giustizia C.E. per la richiesta di interpretazione pregiudiziale della Direttiva n. 98/71/C.E., in modo da ottenere una pronuncia che chiarisca la portata da assegnare alla nostra norma interna per renderla conforme al dettato del legislatore comunitario.

In realtà la riscrittura della disposizione transitoria in materia di diritto d’autore sulle opere dell’industrial design è prevista nell’art. 13 del disegno di legge del Governo n. 1441-ter, attualmente in discussione alla Camera, che chiarisce come anche le opere create anteriormente alla riforma del 2001 siano oggetto di tale protezione, escludendo peraltro ancora questa protezione nei confronti di attività contraffattoire che rappresentino la prosecuzione di un’attività cominciata prima della riforma del 2001, attività che quindi resterebbe indefinitamente lecita, svuotando in gran parte il contenuto dell’esclusiva e riproponendo il contrasto con la Direttiva. Per questo sono stati presentati alcuni emendamenti parlamentari al testo di legge in discussione, che mirano quanto meno a limitare nel tempo il diritto di questi soggetti a continuare nella loro attività di sfruttamento del diritto d’autore altrui, stabilendo che questa attività debba cessare dodici mesi dopo l’entrata in vigore della nuova norma, ma naturalmente non è dato sapere se queste norme saranno adottate, adesso o quanto meno in occasione della revisione del Codice, per la quale il ddl 1441-ter rinnoverebbe la delega, consentendo l’adozione anche delle altre norme studiate dalla Commissioen a suo tempo insediata.

Non rimane che augurarsi che il lavoro fatto – che avrebbe portato a un significativo rafforzamento anche sul piano processuale della tutela dei diritti di proprietà industriale e intellettuale, particolarmente necessario per fronteggiare la “nuova contraffazione” proveniente in particolare dall’Estremo Oriente – non vada perduto e venga fatto proprio anche dal nuovo Governo. Per dare un aiuto concreto alla nostra economia e anche per un doveroso atto di giustizia verso il mondo del design.

Abstract

L’attuale fase economica, in cui la nostra industria sta subendo una forte concorrenza da parte dei Paesi emergenti, rende sempre più importante tutelare i valori della nostra innovazione e della nostra capacità di comunicazione, avvalendosi degli strumenti offerti dai diritti della proprietà intellettuale.

Tra i possibili oggetti di questa tutela, assumono una particolare importanza le forme dei prodotti: perché la forma di un prodotto è, soprattutto (ma non solo) per i prodotti di massa, il primo elemento con cui il pubblico viene in contatto, e assume quindi spesso un valore decisivo per determinare il successo o l’insuccesso di quel prodotto. Proteggere la forma dei prodotti contro le imitazioni è quindi fondamentale per mantenere la competitività delle nostre imprese, difendendo le posizioni di mercato che il Made in Italy ha saputo conquistarsi in questi anni, grazie alla forte creatività e alle indiscutibili capacità tecniche di cui ha dato prova.

IL DESIGN E LA CRISI DEI SISTEMI TRADIZIONALI DI PROTEZIONE DELLE FORME

Tradizionalmente nel nostro sistema giuridico la protezione delle forme era imperniata su un meccanismo che era stato definito, con una formula efficace, dei diversi livelli di tutela.

Secondo questo schema, le forme distintive, magari anche gradevoli, ma non tanto da raggiungere un particolare gradiente estetico, potevano essere registrate come marchi ed eventualmente, se non erano state registrate, godere di una più limitata protezione contro la concorrenza sleale confusoria. Una volta raggiunta la soglia di quello che veniva definito lo “speciale ornamento”, le forme potevano invece essere tutelate con un particolare tipo di brevetto, il brevetto per modello ornamentale, di durata ventennale non prorogabile. Quando poi si attingeva il campo dell’arte, la forma poteva essere protetta con il diritto d’autore: ma doveva trattarsi di arte “pura”, nel senso che tutela come modello e tutela di diritto d’autore erano rigorosamente alternative e che il criterio che serviva per distinguere le forme in grado di essere protette come modello ornamentale da quelle che potevano beneficiare della protezione col diritto d’autore, era quello della cosiddetta “scindibilità”. In base a tale criterio, la forma di un oggetto era artistica, e quindi proteggibile col diritto d’autore, solo quando questa forma era “scindibile”, cioè apprezzabile autonomamente dal prodotto al quale essa era applicata: come una scultura applicata sopra il tappo di una bottiglia, ma mai la bottiglia in sé.

Questo sistema era stato in realtà messo in crisi proprio dall’irrompere del design e dalla sua affermazione come la forma d’arte per eccellenza della nostra epoca, perché è in grado di portare l’arte nella vita di ogni giorno, di trasformare oggetti d’uso in oggetti d’arte. Una forma d’arte che ha come sua caratteristica proprio quella della non scindibilità, cioè del fatto che il valore artistico dell’opera di design è strettamente connessa alla funzione contemporaneamente svolta dal prodotto per l’uso quotidiano che di questo prodotto viene fatto.

Come è possibile, infatti, negare carattere artistico, e quindi la tutela di diritto d’autore, ad esempio a certe lampade che sono diventate veri e propri simboli della creatività italiana, e che sono esposte nei maggiori musei del mondo? E allo stesso modo, come è possibile considerare degni di tutela soltanto i valori estetici e non anche quelli di mercato, che anche forme non “belle” possiedono, quando sono capaci di catalizzare l’attenzione del pubblico? E per le forme distintive, come è possibile pensare di proteggerle solo contro il pericolo di confusione, trascurando fenomeni come il cosiddetto look-alike, e cioè le condotte, assai più insidiose, di coloro che imitano la forma e la confezione dei prodotti non in modo così plateale da indurre il pubblico a scambiarli per quelli originali, ma comunque abbastanza da ricordarli e quindi da metterli nella loro scia in modo parassitario?

TUTELA DELLE FORME E NUOVE FORME DI TUTELA: LA REGISTRAZIONE PER DISEGNO O MODELLO

A queste domande hanno fornito una risposta i diversi interventi legislativi succedutisi a partire dal 1992 (prima riforma della legge marchi), sino al 2005 (entrata in vigore del Codice della Proprietà Industriale), passando per la riforma della legge modelli del 2001 e per il Regolamento n. 2002/6/C.E. sul modello comunitario, grazie ai quali oggi sostanzialmente il cumulo di protezioni non è più un tabù e la scindibilità è stata cancellata dal nostro ordinamento.

La prima importante novità riguarda le regole per l’accesso alla protezione come modello, che non è più subordinata al fatto che la forma conferisca al prodotto uno speciale ornamento, ma dipende da un requisito del tutto nuovo: il carattere individuale, definito come la capacità del modello di produrre un’impressione diversa sull’utilizzatore informato, rispetto alle forme già note nella Comunità Europea. Dunque la tutela riguarda oggi il valore di mercato delle forme dei prodotti, non più soltanto il loro valore estetico. E per rendere più evidente il cambio di prospettiva, è cambiato anche il nome: non si parla più di brevetto per modello ornamentale, ma di registrazione per disegno o modello.

Inoltre, sempre nella prospettiva di una maggiore attenzione alle esigenze di mercato, è stato introdotto il cosiddetto anno di grazia, cioè si è consentito all’autore di un nuovo modello di “provarlo” sul mercato per il tempo massimo di un anno, prima di decidere se registrarlo o meno, senza che la conseguente divulgazione del modello privi il modello di novità e quindi lo renda non proteggibile, come avveniva nel vecchio sistema (e come avviene tuttore per i brevetti per invenzione e per modello di utilità).

Non solo. Il Regolamento sul modello comunitario ha previsto una limitata protezione anche per le nuove forme dei prodotti che non vengano registrate come modelli dai loro titolari. E’ però una protezione che presuppone da partre del titolare la prova dell’avvenuta divulgazione in ambito comunitario, che segna anche il momento iniziale di questa tutela, e l’identificazione specifica degli elementi che conferiscono al modello la sua individualità; è comunque meno intensa, perché consente di opporsi soltanto alle “copiature”, cioè – come ha chiarito in un provvedimento da me ottenuto nel settembre 2005 il Tribunale di Bologna – quelle che non appaiono il frutto di una “coincidenza creativa”; ed è anche più breve, perché dura soltanto tre anni, mentre la registrazione conferisce oggi una tutela quinquennale, rinnovabile di cinque anni in cinque anni fino a una durata massima di un quarto di secolo.

La protezione come modello – registrato e non registrato – non riguarda comunque solo la copiatura identica, ma anche le varianti che lascino invariata l’impressione generale: perciò una forma che si imponga veramente al mercato come molto innovativa avrà una tutela più ampia di un’altra che, pur possedendo una certa individualità, si distingua meno da quelle preesistenti.

Una disposizione espressa del Regolamento sul modello comunitario e del nostro Codice della Proprietà Industriale esclude invece dalla protezione come modello le caratteristiche di un prodotto “determinate unicamente dalla sua funzione tecnica”. A prima vista questa disposizione sembrerebbe in contrasto con una delle caratteristiche storiche del design, quella di coniugare bellezza e utilità. Ma il contrasto è soltanto apparente: lo scopo di questa norma è di tipo antimonopolistico, ossia è quello di evitare che il monopolio sulla forma, sotto il profilo dell’approccio dei consumatori, diventi anche monopolio sull’utilità. Per le forme in grado di fornire al prodotto “una particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego” il legislatore ha infatti previsto una tutela diversa, quella con il brevetto per modello di utilità che dura dieci anni, e non venticinque. Quando però il designer sceglie, tra infinite forme in grado di offrire la stessa utilità, una forma particolare in grado anche di imporsi all’attenzione del pubblico, niente si oppone alla registrazione di essa come disegno o modello, perché l’esclusiva venticinquennale su quella specifica forma non crea di per sé nessun vincolo sulla sua utilità.

MODELLI E MARCHI DI FORMA

Il requisito del carattere individuale, che, come abbiamo visto, le forme dei prodotti devono possedere per essere tutelate come disegni e modelli, registrati e non registrati, è stato paragonato da qualcuno alla capacità distintiva dei marchi, dalla quale si distinguerebbe perché mentre quest’ultima va misurata in base al giudizio del pubblico comune, dei consumatori, il carattere individuale, secondo il Codice e il regolamento sul modello comunitario, va accertato secondo l’opinione dell’utilizzatore informato, il quale, in quanto esperto, è di regola più sensibile alle differenze, anche limitate.

Tuttavia l’impressione diversa da cui dipende la proteggibilità di una forma come modello non è la stessa cosa della capacità distintiva: capacità distintiva significa capacità di distinguere comunicando un messaggio, cioè di essere segno, simbolo di qualcosa; carattere individuale significa capacità di distinguersi, di imporsi all’attenzione del pubblico come qualcosa di diverso dalle forma già conosciute, ma non necessariamente simboleggiando qualcosa.

Anche una forma può naturalmente avere una capacità distintiva, ma di regola non è così, perché è raro che il pubblico “legga” la forma di un prodotto come la portatrice di un messaggio e in particolare che il pubblico attribuisca la fonte di un prodotto alla sua forma. La Corte di Giustizia delle Comunità Europee lo ha sottolineato in una lunga serie di decisioni in materia di marchi di forma, mettendo in luce come, normalmente, perché la forma di un prodotto (o il suo colore) sia in grado di svolgere una funzione distintiva occorre che con l’uso la forma si imponga all’attenzione del pubblico non solo in sé considerata, ma come il simbolo di un messaggio: quello che, attraverso la comunicazione e soprattutto la comunicazione pubblicitaria, le imprese sono capaci di convogliare.

Quando questo accade, la forma può essere protetta come marchio, sia pure con alcuni limiti. Il nostro legislatore – e prima ancora il legislatore comunitario – ha infatti vietato la registrazione come marchio delle forme “necessarie per conseguire un risultato tecnico” e di quelle “idonee a conferire un valore sostanziale al prodotto”. Come è stato chiarito ancora dalla Corte di Giustizia comunitaria, lo scopo di questi divieti è ancora una volta quello di evitare che il monopolio della forma come segno diventi un monopolio sui valori sostanziali che la forma, in sé considerata, possiede: l’esclusiva sui marchi, infatti, è potenzialmente perpetua, e una tutela perpetua su questi valori sostanziali assumerebbe una valenza anticoncorrenziale. Perciò sono solo questi valori sostanziali che devono poter cadere in pubblico dominio, una volta scaduta la loro eventuale protezione come design o come modello di utilità: ma se la stessa utilità può essere conseguita attraverso infinite varianti, ciascuna di queste varianti può essere protetta come marchio o tutelata contro l’imitazione servile (e oggi anche contro l’appropriazione di pregi). Su questa base, sempre in una mia causa, il Tribunale di Milano ha recentemente ritenuto proteggibile come marchio (non registrato) la forma di un cavatappi per bottiglie di vino molto famoso in questo settore, di cui erano state imitate non solo le caratteristiche necessarie da un punto di vista tecnico ma anche quelle che potevano essere modificate senza perdite di utilità. E addirittura, se una forma possiede carattere individuale, ma non attribuisce di per sé al prodotto un valore sostanziale rilevante per il pubblico, questa forma, in quanto distintiva, può cumulare la protezione come modello con quella come marchio.

IL DESIGN COME ARTE: LA TUTELA DI DIRITTO D’AUTORE

Il cumulo di protezione è però oggi ammesso anche sotto un altro profilo: una stessa forma può cioè essere tutelata sia come modello, sia in base al diritto d’autore. Questo cumulo è stato però introdotto dal nostro legislatore con un eccesso di prudenza, forse anche a causa dell’azione della lobby dei contraffattori, che si è purtroppo dimostrata molto più efficiente di quella dei designers e delle imprese veramente innovative.

La norma che ha ammesso anche le opere del design a beneficiare della protezione del diritto d’autore sembra infatti scritta apposta per creare un rebus inestricabile, in quanto prevede che queste opere siano tutelabili solo quando possiedono di per sé carattere creativo e valore artistico. L’espressione “di per sé” è stata così talvolta interpretata, anche dalla giurisprudenza, nel senso che la tutela ci sarebbe solo per gli oggetti che non sono pensati soprattutto in funzione del loro uso quotidiano: mentre, come già si è detto, la caratteristica del design è proprio quella di portare l’arte nel quotidiano, di rendere delle forme, che hanno valore artistico, forme della nostra vita quotidiana. Questa interpretazione, che fa rientrare dalla finestra il requisito della scindibilità appena uscito dalla porta, è del resto incompatibile con le norme del diritto comunitario, che ne hanno imposto espressamente l’abbandono: e dunque non può essere accolta.

La portata della norma è comunque limitativa, perché ammette alla tutela di diritto d’autore le opere del design solo a condizione che possiedano non solo carattere creativo, come tutte le opere tutelate, ma anche valore artistico, valore che dovrà dunque essere oggetto di specifica valutazione da parte del giudice. In pratica, ciò significa che la tutela di diritto d’autore verrà riservata alle opere di più elevato livello, alla fascia alta del design, spesso rivelate come tali proprio dalla “lunga durata” del loro apprezzamento da parte del pubblico, oltre le mode e l’evoluzione del gusto. Proprio su questo argomento due anni fa Indicam mi ha chiesto un parere pro veritate, da depositare in una causa che opponeva un associato Indicam ad un contraffattore di una sua lampada che costituisce forse uno dei simboli della creatività italiana in questo settore; ed io ho convintamente sostenuto la proteggibilità di essa, e la sua proteggibilità anche contro le imitazioni che non siano strettamente identiche, perché la tutela di diritto d’autore riserva all’autore non soltanto la riproduzione dell’opera, ma anche il diritto di elaborazione sull’opera stessa.

IL REGIME TRANSITORIO (ILLEGITTIMO) DEL DESIGN ARTISTICO

In questa maniera sembra dunque possibile ricondurre ad unità il sistema.

Abbiamo una protezione del design che si configuri come innovativo rispetto alle forme preesistenti sotto il profilo del modello; abbiamo una protezione come marchio (registrato e non registrato) delle forme che abbiano acquistato carattere distintivo e che non diano comunque valore sostanziale al prodotto; e abbiamo anche una protezione di diritto d’autore del design più elevato, di quello che, pur riguardando sempre oggetti d’uso, assume un vero e proprio valore artistico, destinato a durare nel tempo. Sottolineo la particella “anche”, perché è ovvio che, anche per queste forme – come per tutte le forme di design –, la registrazione come modello (e come marchio, quando ne sussistono i presupposti) è assolutamente consigliabile, anche per superare i problemi interpretativi ai quali ho fatto cenno, sulla base dei quali la giurisprudena ha talvolta negato protezione a opere di design di indiscutibile valore artistico.

Il cerchio però non si chiude ancora. La protezione di diritto d’autore che il legislatore italiano ha attribuito a queste opere aveva infatti assurdamente una durata molto più breve di quella attribuita alle altre opere protette: ventincinque anni dopo quello della morte dell’autore, anziché settantacinque come per tutte le altre. Un assurdo che non solo sviliva ingiustamente il design, ma che si poneva in contrasto con specifici obblighi imposti anche al nostro Paese dal diritto comunitario: ed infatti in sede europea era stata avviata per questo una procedura d’infrazione contro l’Italia, su segnalazione ancora di Indicam. E a seguito della pressione europea l’allineamento della durata della protezione del design a quella delle altre opere del diritto d’autore – già previsto nel progetto di revisione del Codice della Proprietà Industriale elaborato dalla Commissione ministeriale di cui anch’io avevo fatto parte – è finalmente arrivato, con il decreto legge 15 febbraio 2007, n. 10 poi convertito nella legge 6 aprile 2007, n. 46.

Sennonché la nuova legge è intervenuta anche sull’art. 239 del Codice, ossia sulla norma transitoria relativa alle opera create prima dell’introduzione in Italia di questa protezione, avvenuta appunto nel 2001. Il testo dell’art. 239 anteriore a quest’ultima riforma prevedeva (implicitamente ma inequivocabilmente) che la protezione venisse riconosciuta anche alle opere create anteriormente alla modifica legislativa del 2001, ma in pari tempo si preoccupa di salvaguardare la posizione dei soggetti terzi che in buona fede, confidando nell’assenza di protezione, avevano intrapreso prima di tale data la protezione di prodotti corrispondenti a tali opere (si tratta, principalmente, di lampade e di poltrone di cui sono autori indiscussi maestri del design, come Mies Van Der Rohe, o Le Corbusier): a questi soggetti veniva infatti consentito di continuare per dieci anni questa attività anteriormente lecita. Il nuovo testo dell’art. 239 ora introdotto, viceversa, ha invece stabilito che “La protezione accordata ai disegni e modelli industriali ai sensi dell’articolo 2, primo comma, numero 10, della legge 22 aprile 1941, n. 633, non opera in relazione ai prodotti realizzati in conformità ai disegni o modelli che, anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 95, erano oppure erano divenuti di pubblico dominio”.

L’interpretazione più ovvia di questa disposizione (conforme anche ai lavori preparatori di essa, giacché questo testo riprende quello che era stato proposto in seno alla Commisione per la revisione del C.P.I. dal Prof. Avv. Giorgio Floridia, in contrapposizione con il testo che era stato invece proposto allora da me) era quella di escludere tout court dalla protezione le opere create anteriormente al 2001, che a quella data non fossero coperte dalla protezione come modello (perché non registrate o perché oggetto di modelli scaduti), cosicché essa sembra comportare una sorta di espropriazione senza indennizzo dei diritti attribuiti dal d.lgs 95/2001 su queste opere, con una discriminazione del tutto irragionevole, che come tale appare chiaramente viziata di illegittimità costituzionale e prima ancora è sua volta contraria alla Direttiva comunitaria sul design. La procedura d’infrazione europea era stata anzi intrapresa anche in relazione al vecchio testo dell’art. 239 del Codice, poiché secondo la Commissione già esso limitava in modo eccessivo il diritto dei creatori delle opere anteriori al 2001, imponendo loro di sopportare per un decennio la prosecuzione senza limiti dell’attività dei preutenti; e questa censura vale evidentemente a più forte ragione per la nuova norma che questa protezione addirittura cancella completamente.

INTERPRETAZIONI GIURISPRUDENZIALI E PROSPETTIVE DI RIFORMA

In tal modo la nuova norma comporta una sorta di espropriazione senza indennizzo dei diritti attribuiti dal d.lgs 95/2001 alle opere anteriori non registrate o non più protette come modelli ornamentali, con una discriminazione del tutto irragionevole, che come tale appare chiaramente viziata di illegittimità costituzionale e comunque è sua volta contraria alla Direttiva sul design: la procedura d’infrazione europea era stata anzi intrapresa anche in relazione al vecchio testo dell’art. 239 del Codice, che secondo la Commissione limitava in modo eccessivo il diritto dei creatori delle opere anteriori al 2001, imponendo loro di sopportare per un decennio la prosecuzione senza limiti dell’attività dei preutenti; e questa censura vale evidentemente a più forte ragione per la nuova norma che questa protezione addirittura cancella completamente. Della questione è stata così investita l’autorità giudiziaria: Assoluce mi ha infatti incaricato di intervenire in una causa in corso, per ottenere la rimessione della questione alla Corte di Giustizia C.E. (e se necessario alla Corte Costituzionale), e la decisione del Tribunale di Milano su questa richiesta è attesa per la fine dell’anno.

Di questa norma, tuttavia, il Tribunale di Milano ha cercato di fornire una lettura che potremmo definire «costituzionalmente orientata», perché idonea a superare il vizio di incostituzionalità della norma stessa, con un’ordinanza cautelare del 20 giugno 2008, a firma del dott. de Sapia. Valorizzando il suo carattere di norma transitoria, anche al di là della lettera di essa, l’ordinanza ha ritenuto che l’art. 239 C.P.I. sia applicabile soltanto per dirimere il conflitto tra i titolari di diritti d’autore su un’opera di design ed i soggetti che già realizzavano prodotti corrispondenti a tale opera prima dell’introduzione della protezione di diritto d’autore, quando la loro attività era lecita, cosicché la portata della norma sarebbe unicamente quella di consentire a questi soli soggetti di continuare la loro attività anche dopo l’entrata in vigore di questa protezione, mentre le opere di design che possiedano i requisiti per la protezione di diritto d’autore, ancorché non protette (o non più protette) prima dell’introduzione della tutela d’autore, ne beneficerebbero pienamente nei confronti dei soggetti che abbiano cominciato a realizzare prodotti corrispondenti a tali opere dopo l’entrata in vigore di questa protezione.

Ancora più in là si era spinta una sentenza del Tribunale di Monza datata 15 luglio 2007 e resa in una causa promossa prima dell’istituzione delle Sezioni Specializzate. In questo caso il Giudice ha addirittura ritenuto che per “prodotti realizzati in conformità ai disegni o modelli” si dovrebbero intendere unicamente quelli che erano già stati realizzati al momento dell’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 239 C.P.I., cosicché il senso della nuova norma sarebbe stato quello di abrogare il regime che consentiva ai preutenti di continuare a realizzare prodotti conformi alle opere protette per dieci anni, mantenendo la legittimità per i soli prodotti già realizzati prima dell’ultima modifica legislativa.

Almeno la lettura della norma data da quest’ultima pronuncia appare tuttavia criticabile, pur nell’apprezzabile sforzo di rendere coerente al sistema una norma evidentemente deviante, perché valorizza singoli elementi letterali di essa, prescindendo dal suo significato complessivo e dalla sua stessa ratio, che è chiaramente quella di valorizzare la circostanza che un determinato «disegno o modello» divenuto proteggibile anche come opera del diritto d’autore fosse in pubblico dominio nel momento dell’introduzione di quest’ultima tutela, per escludere che in tal caso fosse possibile far sorgere un’esclusiva su di esso. Anche il provvedimento milanese richiamato per primo introduce una distinzione certamente razionale ed opportuna, ma non presente nella norma, cosicché l’opzione interpretativa accolta non può dirsi sicura, almeno finché non venga coonestata dalla Corte di Giustizia C.E. o dalla Corte Costituzionale.

Nel frattempo un’altra ordinanza milanese, resa il 30 giugno 2008 (questa volta a firma del dott. Marangoni), ha respinto l’istanza di dissequestro di prodotti conformi ad un’opera di design anteriore al 2001 realizzati da un soggetto che ne aveva intrapreso la produzione per la prima volta solo dopo l’introduzione della tutela di diritto d’autore su quest’opera, sulla base del rilievo di diritto intertemporale – svolto nelle difese di Assoluce, rappresentata dal nostro Studio e intervenuta nella causa proprio al fine di ottenere che sull’art. 239 C.P.I. si pronuncino i Giudici comunitari o la nostra Corte Costituzionale – che i prodotti sequestrati erano stati realizzati prima della modifica dell’art. 239 C.P.I. operata nel 2007, cosicché rientravano ratione temporis nell’applicazione del regime previgente, in base al quale il produttore non poteva vantare alcuna franchigia dal diritto d’autore, di cui i suoi prodotti costituivano quindi violazione. Nella stessa causa in cui quest’ultima ordinanza è stata resa sono state già precisate le conclusioni e depositate e si attende quindi per la fine dell’anno o l’inizio dell’anno prossimo una pronuncia sull’istanza di Assoluce di rimessione della causa alla Corte di Giustizia C.E. per la richiesta di interpretazione pregiudiziale della Direttiva n. 98/71/C.E., in modo da ottenere una pronuncia che chiarisca la portata da assegnare alla nostra norma interna per renderla conforme al dettato del legislatore comunitario.

In realtà la riscrittura della disposizione transitoria in materia di diritto d’autore sulle opere dell’industrial design è prevista nell’art. 13 del disegno di legge del Governo n. 1441-ter, attualmente in discussione alla Camera, che chiarisce come anche le opere create anteriormente alla riforma del 2001 siano oggetto di tale protezione, escludendo peraltro ancora questa protezione nei confronti di attività contraffattoire che rappresentino la prosecuzione di un’attività cominciata prima della riforma del 2001, attività che quindi resterebbe indefinitamente lecita, svuotando in gran parte il contenuto dell’esclusiva e riproponendo il contrasto con la Direttiva. Per questo sono stati presentati alcuni emendamenti parlamentari al testo di legge in discussione, che mirano quanto meno a limitare nel tempo il diritto di questi soggetti a continuare nella loro attività di sfruttamento del diritto d’autore altrui, stabilendo che questa attività debba cessare dodici mesi dopo l’entrata in vigore della nuova norma, ma naturalmente non è dato sapere se queste norme saranno adottate, adesso o quanto meno in occasione della revisione del Codice, per la quale il ddl 1441-ter rinnoverebbe la delega, consentendo l’adozione anche delle altre norme studiate dalla Commissioen a suo tempo insediata.

Non rimane che augurarsi che il lavoro fatto – che avrebbe portato a un significativo rafforzamento anche sul piano processuale della tutela dei diritti di proprietà industriale e intellettuale, particolarmente necessario per fronteggiare la “nuova contraffazione” proveniente in particolare dall’Estremo Oriente – non vada perduto e venga fatto proprio anche dal nuovo Governo. Per dare un aiuto concreto alla nostra economia e anche per un doveroso atto di giustizia verso il mondo del design.