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La rimessione in termini riformata dalla L. 69 del 18.06.2009

L’applicazione al processo tributario
La rimessione in termini: art. 184 bis c.p.c. (abrogato); art. 153 comma 2 c.p.c.

L’ultimo intervento della riforma del Codice di procedura civile, attuato dalla L. 69 del 18.06.2009, ha abrogato l’art. 184 - bis c.p.c. creando un nuovo assetto generale per l’istituto della rimessione in termini, ora collocato, con contenuto pressoché identico, nell’art. 153 comma 2 c.p.c..

L’art. 184 bis prevedeva che “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per cause ad essa non imputabili può chiedere al giudice istruttore di essere rimessa in termini” ; attualmente la stessa disposizione è contenuta nell’art. 153 comma 2, rubricato “improrogabilità dei termini perentori”.

A seguito della riforma, la norma è stata trasferita, quindi, nel libro I delle disposizioni generali del Codice di procedura Civile.

In sostanza la ratio della norma consente al giudice di restituire alla parte incolpevole quella facoltà processuale che per il decorso del termine essa aveva perduto; la valenza d’istituto processuale, dunque, non è più circoscritta, come accadeva nel vigore dell’abrogato art. 184-bis, ai soli termini di trattazione della causa nel giudizio di primo grado, ma d’ora in poi estesa anche ai poteri processuali esterni allo svolgimento del giudizio, come quello di impugnare o di proseguire o di riassumere il giudizio. La parte dovrà allegare i fatti che hanno comportato e determinato la decadenza dando prova della loro non imputabilità.

La rimessione in termini nel processo tributario.

Il processo tributario regolato dal DPR 546/92 chiarisce subito all’art. 1 che “i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”.

Stante la disposizione d’apertura, risulta evidente la significativa evoluzione processuale che configura una vera e propria safety zone per tutti quei casi in cui “le decadenze non sono imputabili alla parte”.

Opportuno chiarire che l’impianto legislativo attuale prevede che il comportamento attivo della parte costituisce inequivocabilmente un’iniziativa per la tutela del proprio interesse e, pertanto, la sua inattività potrebbe, ambiguamente, essere figlia sì della volontà di abbandonare l’azione, ma anche dell’intervento di un fatto ad essa non imputabile che impedisce di fatto l’azione stessa (ad esempio quando nel caso di un avviso di accertamento, il contribuente non sia reso edotto della presenza di tale atto o mediante una notifica nulla o mediante l’inattività del difensore che non predisponga nessun atto difensivo a contrastare le pretese erariali).

Fino ad oggi, a causa della collocazione della norma – valevole per i soli processi di cognizione e in fase di trattazione del giudizio di primo grado – non vi era una facile ed esplicita riconoscibilità del disposto normativo in ambito tributario, stante l’esclusività del contenuto e la conseguente applicazione.

Il principio sotteso dell’”improrogabilità dei termini perentori” ha sempre riguardato, fino ad oggi, le parti, a prescindere dal tipo di “colpa” configuratasi; colpa intesa come inattività pura e semplice, qualunque ragione od omissione sottesa presente.

A seguito della riforma del 2009, e dunque della “deroga” del comma 2 dell’art 153 relativa all’improrogabilità dei termini, si è collaudato il processo di generalizzazione dell’istituto della rimessione in termini attraverso cui vediamo il passaggio dal sistema fondato sulla regola generale dell’autoresponsabilità da decadenza di tipo “oggettivo”, al sistema dell’autoresponsabilità da decadenza sul fondamento della colpa, di tipo quindi soggettivo (cd. autoresponsabilità “colposa”). Occorre precisare, come autorevole dottrina esprime (Caponi -La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996) che il concetto di “autoresponsabilità” – e non di “responsabilità” – evidenzia che il comportamento del soggetto non viola alcun dovere verso gli altri ed è finalizzato a realizzare interessi propri del soggetto.

La distinzione è nel fatto che ove la legge non concedesse alcuna possibilità di neutralizzare le conseguenze pregiudizievoli dell’intervento di un impedimento, l’eventuale decadenza del potere verrebbe imputata alla parte sia che l’impedimento sia dovuto a sua colpa, sia che esso sia incolpevole. Ove invece questa possibilità viene concessa, è aperta la strada verso l’autoresponsabilità su fondamento colposo (con la conseguente dimostrazione della parte valutata dal giudice caso per caso).

Ciò comporta che d’ora in poi sarà affidato al giudice il compito di trovare, di volta in volta e nel caso concreto, il giusto equilibrio tra l’effettività del diritto alla difesa della parte che invoca la rimessione e, a contrario, la sua improrogabilità.

L’effetto di questa modificazione nel processo tributario è ancora tutto da vagliare e da sperimentare attentamente, però già dal 2008, giurisprudenza di Cassazione cominciava ad appoggiare la teoria della soggettività dell’autoresponsabilità, da verificarsi ad hoc (sentenza n. 3006 dell’8 febbraio 2008). In buona sostanza, per la Corte di Cassazione il giudice tributario può temperare il rigore della previsione di un termine di decadenza ove ritenga che l’errore in cui è incorso il ricorrente possa essere ritenuto scusabile ossia non imputabile alla parte. La rimessione in termini deroga il principio di perentorietà del termine per ricorrere e il suo conseguente effetto di decadenza, cui è collegato il mancato rispetto del termine stesso; costituisce, così, un rimedio avverso l’irricevibilità del ricorso tardivo.

Con la riforma assistiamo ad una forte attenuazione dell’inderogabilità dei termini, consentendo così alla parte che sia incorsa in decadenze per cause a lui non imputabili di essere rimessa in termini.

Una delle prime decisioni della giurisprudenza di merito in tema di applicabilità della rimessione in termini nel processo tributario è l’ordinanza n. 125 del 15.10.2010 con cui la CTP di Bari ha ritenuto compatibile con il rito tributario l’istituto processuale civilistico della rimessione dei termini previsto dall’art. 153, comma 2, c.p.c..

Attraverso l’ordinanza de quo, è stato, infatti, deciso che in presenza di un impedimento derivante da causa di forza maggiore, quale un periodo di riposo forzato a letto, la parte può essere rimessa nei termini per compiere l’atto, anche se questo era previsto a pena di decadenza, qualora sia in grado di dimostrare che l’inadempimento deriva da una causa a lui non imputabile.

L’impedimento derivante da causa di forza maggiore, che il giudice tributario deve vagliare caso per caso, può essere costituito, come nel caso della recentissima ordinanza della CTP di Lecce n. 377/1/2011, anche da una inattività processuale radicata nella “imperizia” del difensore (fattispecie ormai frequentissima) che “pone in essere atti o gesti di una mente turbata e sconvolta, sicchè assolutamente irresponsabile”.

Nel caso di specie, infatti, lo spirare dei termini per il contenzioso non poteva essere rispettato dal difensore, deceduto a causa di un insano gesto posto da lui in essere. Nello specifico, il contribuente si vedeva notificare una cartella di pagamento dopo aver affidato l’incarico al proprio difensore a seguito dell’avviso di accertamento correttamente pervenutogli. Inizialmente l’ufficio delle Entrate invitava il contribuente al pagamento suggerendo, in un momento successivo, la rivalsa sugli eredi del proprio difensore; il contribuente, preso atto della presa di posizione dell’ufficio, dando incarico ad altro difensore proponeva ricorso avverso la cartella di pagamento chiedendo in via preliminare la rimessione in termini per impugnare l’accertamento originario.

Il giudice, dopo aver accertato che la decadenza in cui era incorso il contribuente era per una causa ad esso non imputabile – l’insano gesto del difensore -, valutata irrilevante la prospettata azione di rivalsa nei confronti degli eredi del difensore, concedeva la rimessione in termini, in piena applicazione delle disposizioni normative della L. 69/2009, avvalorando, così, la presenza della norma che regola l’istituto della rimessione in termini come istituto processuale di carattere generale, come tale estendibile al processo tributario.

Pertanto, nella materia tributaria la forza maggiore o il caso fortuito possono verificarsi al di fuori del procedimento giudiziale (prima che il processo sia ancora instaurato) ovvero possono riferirsi a decadenze legate ai termini per l’instaurazione del processo o al giudizio d’impugnazione; così, anche nell’ordinamento tributario processuale è configurabile il principio secondo cui gli effetti preclusivi non possono prodursi in modo definitivo, quando la parte si sia trovata per forza maggiore o caso fortuito in circostanze impeditive dell’esercizio del potere.

La rimessione in termini: art. 184 bis c.p.c. (abrogato); art. 153 comma 2 c.p.c.

L’ultimo intervento della riforma del Codice di procedura civile, attuato dalla L. 69 del 18.06.2009, ha abrogato l’art. 184 - bis c.p.c. creando un nuovo assetto generale per l’istituto della rimessione in termini, ora collocato, con contenuto pressoché identico, nell’art. 153 comma 2 c.p.c..

L’art. 184 bis prevedeva che “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per cause ad essa non imputabili può chiedere al giudice istruttore di essere rimessa in termini” ; attualmente la stessa disposizione è contenuta nell’art. 153 comma 2, rubricato “improrogabilità dei termini perentori”.

A seguito della riforma, la norma è stata trasferita, quindi, nel libro I delle disposizioni generali del Codice di procedura Civile.

In sostanza la ratio della norma consente al giudice di restituire alla parte incolpevole quella facoltà processuale che per il decorso del termine essa aveva perduto; la valenza d’istituto processuale, dunque, non è più circoscritta, come accadeva nel vigore dell’abrogato art. 184-bis, ai soli termini di trattazione della causa nel giudizio di primo grado, ma d’ora in poi estesa anche ai poteri processuali esterni allo svolgimento del giudizio, come quello di impugnare o di proseguire o di riassumere il giudizio. La parte dovrà allegare i fatti che hanno comportato e determinato la decadenza dando prova della loro non imputabilità.

La rimessione in termini nel processo tributario.

Il processo tributario regolato dal DPR 546/92 chiarisce subito all’art. 1 che “i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”.

Stante la disposizione d’apertura, risulta evidente la significativa evoluzione processuale che configura una vera e propria safety zone per tutti quei casi in cui “le decadenze non sono imputabili alla parte”.

Opportuno chiarire che l’impianto legislativo attuale prevede che il comportamento attivo della parte costituisce inequivocabilmente un’iniziativa per la tutela del proprio interesse e, pertanto, la sua inattività potrebbe, ambiguamente, essere figlia sì della volontà di abbandonare l’azione, ma anche dell’intervento di un fatto ad essa non imputabile che impedisce di fatto l’azione stessa (ad esempio quando nel caso di un avviso di accertamento, il contribuente non sia reso edotto della presenza di tale atto o mediante una notifica nulla o mediante l’inattività del difensore che non predisponga nessun atto difensivo a contrastare le pretese erariali).

Fino ad oggi, a causa della collocazione della norma – valevole per i soli processi di cognizione e in fase di trattazione del giudizio di primo grado – non vi era una facile ed esplicita riconoscibilità del disposto normativo in ambito tributario, stante l’esclusività del contenuto e la conseguente applicazione.

Il principio sotteso dell’”improrogabilità dei termini perentori” ha sempre riguardato, fino ad oggi, le parti, a prescindere dal tipo di “colpa” configuratasi; colpa intesa come inattività pura e semplice, qualunque ragione od omissione sottesa presente.

A seguito della riforma del 2009, e dunque della “deroga” del comma 2 dell’art 153 relativa all’improrogabilità dei termini, si è collaudato il processo di generalizzazione dell’istituto della rimessione in termini attraverso cui vediamo il passaggio dal sistema fondato sulla regola generale dell’autoresponsabilità da decadenza di tipo “oggettivo”, al sistema dell’autoresponsabilità da decadenza sul fondamento della colpa, di tipo quindi soggettivo (cd. autoresponsabilità “colposa”). Occorre precisare, come autorevole dottrina esprime (Caponi -La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996) che il concetto di “autoresponsabilità” – e non di “responsabilità” – evidenzia che il comportamento del soggetto non viola alcun dovere verso gli altri ed è finalizzato a realizzare interessi propri del soggetto.

La distinzione è nel fatto che ove la legge non concedesse alcuna possibilità di neutralizzare le conseguenze pregiudizievoli dell’intervento di un impedimento, l’eventuale decadenza del potere verrebbe imputata alla parte sia che l’impedimento sia dovuto a sua colpa, sia che esso sia incolpevole. Ove invece questa possibilità viene concessa, è aperta la strada verso l’autoresponsabilità su fondamento colposo (con la conseguente dimostrazione della parte valutata dal giudice caso per caso).

Ciò comporta che d’ora in poi sarà affidato al giudice il compito di trovare, di volta in volta e nel caso concreto, il giusto equilibrio tra l’effettività del diritto alla difesa della parte che invoca la rimessione e, a contrario, la sua improrogabilità.

L’effetto di questa modificazione nel processo tributario è ancora tutto da vagliare e da sperimentare attentamente, però già dal 2008, giurisprudenza di Cassazione cominciava ad appoggiare la teoria della soggettività dell’autoresponsabilità, da verificarsi ad hoc (sentenza n. 3006 dell’8 febbraio 2008). In buona sostanza, per la Corte di Cassazione il giudice tributario può temperare il rigore della previsione di un termine di decadenza ove ritenga che l’errore in cui è incorso il ricorrente possa essere ritenuto scusabile ossia non imputabile alla parte. La rimessione in termini deroga il principio di perentorietà del termine per ricorrere e il suo conseguente effetto di decadenza, cui è collegato il mancato rispetto del termine stesso; costituisce, così, un rimedio avverso l’irricevibilità del ricorso tardivo.

Con la riforma assistiamo ad una forte attenuazione dell’inderogabilità dei termini, consentendo così alla parte che sia incorsa in decadenze per cause a lui non imputabili di essere rimessa in termini.

Una delle prime decisioni della giurisprudenza di merito in tema di applicabilità della rimessione in termini nel processo tributario è l’ordinanza n. 125 del 15.10.2010 con cui la CTP di Bari ha ritenuto compatibile con il rito tributario l’istituto processuale civilistico della rimessione dei termini previsto dall’art. 153, comma 2, c.p.c..

Attraverso l’ordinanza de quo, è stato, infatti, deciso che in presenza di un impedimento derivante da causa di forza maggiore, quale un periodo di riposo forzato a letto, la parte può essere rimessa nei termini per compiere l’atto, anche se questo era previsto a pena di decadenza, qualora sia in grado di dimostrare che l’inadempimento deriva da una causa a lui non imputabile.

L’impedimento derivante da causa di forza maggiore, che il giudice tributario deve vagliare caso per caso, può essere costituito, come nel caso della recentissima ordinanza della CTP di Lecce n. 377/1/2011, anche da una inattività processuale radicata nella “imperizia” del difensore (fattispecie ormai frequentissima) che “pone in essere atti o gesti di una mente turbata e sconvolta, sicchè assolutamente irresponsabile”.

Nel caso di specie, infatti, lo spirare dei termini per il contenzioso non poteva essere rispettato dal difensore, deceduto a causa di un insano gesto posto da lui in essere. Nello specifico, il contribuente si vedeva notificare una cartella di pagamento dopo aver affidato l’incarico al proprio difensore a seguito dell’avviso di accertamento correttamente pervenutogli. Inizialmente l’ufficio delle Entrate invitava il contribuente al pagamento suggerendo, in un momento successivo, la rivalsa sugli eredi del proprio difensore; il contribuente, preso atto della presa di posizione dell’ufficio, dando incarico ad altro difensore proponeva ricorso avverso la cartella di pagamento chiedendo in via preliminare la rimessione in termini per impugnare l’accertamento originario.

Il giudice, dopo aver accertato che la decadenza in cui era incorso il contribuente era per una causa ad esso non imputabile – l’insano gesto del difensore -, valutata irrilevante la prospettata azione di rivalsa nei confronti degli eredi del difensore, concedeva la rimessione in termini, in piena applicazione delle disposizioni normative della L. 69/2009, avvalorando, così, la presenza della norma che regola l’istituto della rimessione in termini come istituto processuale di carattere generale, come tale estendibile al processo tributario.

Pertanto, nella materia tributaria la forza maggiore o il caso fortuito possono verificarsi al di fuori del procedimento giudiziale (prima che il processo sia ancora instaurato) ovvero possono riferirsi a decadenze legate ai termini per l’instaurazione del processo o al giudizio d’impugnazione; così, anche nell’ordinamento tributario processuale è configurabile il principio secondo cui gli effetti preclusivi non possono prodursi in modo definitivo, quando la parte si sia trovata per forza maggiore o caso fortuito in circostanze impeditive dell’esercizio del potere.