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Truffa per finto infortunio

Le tematiche aventi ad oggetto la tutela della salute nei luoghi di lavoro, la corretta informazione, la formazione e il relativo addestramento rivestono, oggi più che mai, un particolare interesse.

I casi di morti bianche sono da sempre oggetto di roventi diatribe tra i datori di lavoro, i lavoratori e le organizzazioni sindacali.

E’ arduo trovare un corretto contemperamento tra le esigenze delle parti in causa.

Quando si presentano incidenti sui luoghi di lavoro, il tutto è amplificato; l’interrogativo ricorrente è sempre lo stesso: si è fatto a sufficienza per evitare quell’infortunio? Sono state adottate le misure necessarie e idonee ad impedire l’evento? Interrogativi che non cesseranno mai di essere riproposti in assenza di una sentita cultura della legalità in tema di sicurezza.

Ma questa è un’altra storia. Ora vorrei soffermarmi su un episodio in particolare, apparentemente riconducibile ad un infortunio cosiddetto in itinere, ma che tale non era, e, per come è stato artificiosamente costruito, in distinte occasioni e abilmente taciuto, ha indotto in errore l’INAIL, provocando danni di natura patrimoniale per ingenti somme indebitamente percepite dal lavoratore assicurato, con la partecipazione attiva e consapevole del datore di lavoro.

Prima di addentrarmi nella narrazione di questo evento (che è da ritenersi del tutto casuale), a titolo meramente illustrativo, è opportuno ricordare la norma che tra le altre cose tratta la fattispecie, vale a dire l’articolo 12 del decreto legislativo 38 del 2000 che riconosce e copre i lavoratori per gli infortuni subiti nei seguenti casi:- durante il normale percorso di andata e ritorno dall’abitazione al posto di lavoro (sono esclusi dalla tutela gli infortuni occorsi entro l’abitazione, comprensiva delle pertinenze e delle parti condominiali);

E ora veniamo al caso.

Un sabato di una afosa giornata d’estate, un vice presidente del consiglio di amministrazione di una nota Società per Azioni di diritto pubblico, si avventura con la sua moto per raggiungere, a suo dire, un’unità locale dell’azienda, utilizzata per l’uso esclusivo del rimessaggio di automezzi di servizio, incustodita, senza alcun ufficio e per nulla accogliente anche per gli stessi autobus. Il soggetto cade con la sua moto senza il coinvolgimento di terzi, rovinando in una scarpata. L’incidente gli procura lesioni gravi, successivamente riconosciute invalidanti sotto il profilo della deambulazione.

Prontamente soccorso, all’atto dell’accesso al medico di guardia dell’Ospedale, dichiara di essere caduto da solo mentre viaggiava a bordo della sua motocicletta, senza denunciare, manco a dirlo, che quella caduta e quell’evento erano da ricondursi al suo lavoro, o per meglio dire per raggiungere il posto di lavoro. Di conseguenza, gioco forza, il medico addetto al pronto soccorso redige il referto medico classificando quell’episodio come incidente stradale esonerandosi così dall’obbligo di trasmettere il referto medico all’INAIL e all’autorità di Pubblica sicurezza.

L’“infortunato”, dopo essersi rimesso dalle lesioni patite, comunica al proprio datore di lavoro, dopo circa sei mesi, che in ragione del suo ruolo di vice presidente della società si stava recando in un’unità ad uso della ditta per il deposito di automezzi, chiedendo che quell’evento gli fosse riconosciuto come infortunio. Grazie alla collaborazione del legale rappresentante (datore di lavoro), insieme redigono la modulistica necessaria e trasmettono all’INAIL i dati e la causa dell’evento, facendo rientrare la dinamica come infortunio in itinere, giustificando così la presenza su quella via e a bordo di una moto come evento in occasione di lavoro.

Dopo aver compilato scrupolosamente gli incartamenti, risposto ai quesiti posti dall’Istituto Assicurativo, nonostante il ritardo nella comunicazione del fatto, al lavoratore interessato, l’INAIL riconosce anche l’indennità temporanea sulla base del solo esame dei referti medici, senza nemmeno sottoporlo a visita medica (tra le altre cose in palese violazione dell’art 52 del DPR 1124 del 1965 [1] e dell’articolo 53 medesima disposizione di Legge [2]). Dopo qualche tempo dall’evento, comunque idoneo per proporre l’azione penale, mentre quel “furbacchione”, con l’avallo del proprio datore di lavoro, era riuscito ad ottenere anche un rendita vitalizia a seguito delle lesioni patite invalidanti, l’artificio, a seguito di altri accertamenti, emerge clamorosamente, e il dubbio in prime cure emerso si trasforma in certezza: quell’incidente non ha natura di infortunio.

Lo stesso lavoratore, per il medesimo accadimento, aveva anche ottenuto e percepito l’indennità di malattia da parte di un altro datore di lavoro dove prestava la sua opera come dipendente allorquando ricopriva nel medesimo periodo anche la carica di vice presidente della spa. Questa circostanza era emersa a seguito di visita ispettiva presso il datore di lavoro che aveva anticipato la malattia e da controlli incrociati nelle banche dati della Pubblica Amministrazione; in sostanza, il lavoratore risultava essere stato in malattia e aver percepito l’indennità temporanea da infortunio per il medesimo sinistro stradale.

Questa artificiosa condotta è costata cara al datore di lavoro e al lavoratore che sono stati poi indagati in concorso per il reato di  truffa ai danni dell’Inail, per aver inscenato e rappresentato falsamente alla Pubblica Amministrazione un evento diverso da quello che realmente era avvenuto, cagionando all’Istituto Assicuratore un danno patrimoniale di ingente valore tacendo la circostanza che l’incidente stradale non era da ricondursi ad attività lavorativa e che il prestatore era già stato indennizzato dall’Inps per malattia (il silenzio serbato dall’agente è di per sé idoneo a integrare il reato di truffa).

In effetti, la condotta di raggiro ritenuta tale dall’Autorità Giudiziaria sussiste anche nel silenzio tenuto sul verificarsi di evento prima qualificato e soddisfatto dal creditore INPS come malattia e successivamente qualificato dall’INAIL come infortunio, ricavandone così l’agente un concreto beneficio, idoneo a trarre in inganno quest’ultimo debitore (Inail) quanto sulla causa dell’obbligazione che del suo permanere (rendita vitalizia a seguito di lesioni invalidanti da infortunio in itinere) [3].

Nel caso di specie, all’interessato è stato riconosciuto l’infortunio in itinere e conseguentemente l’invalidità che gli ha permesso di poter godere di una rendita vitalizia erogata mensilmente. L

a comunicazione in ritardo dell’evento ha costituito un ulteriore elemento idoneo ad indurre in errore l’Istituto Assicuratore che, sulla base della documentazione redatta dal datore di lavoro e dal lavoratore, ha ritenuto verosimile la natura di infortunio sul lavoro l’incidente in esame.

Che dire?

Solo una corretta disamina delle circostanze infortunistiche e una puntuale e solerte attività di verifica possono smascherare eventi che solo formalmente assumono una connotazione meritevole di tutela assistenziale. Sovente, alcuni episodi, così come quello sopra narrato sono ben altro che infortuni sul lavoro o in itinere.

[1]  Art. 52 L’assicurato è obbligato a dare immediata notizia di qualsiasi infortunio che gli accada, anche se di lieve entità, al proprio datore di lavoro. Quando l’assicurato abbia trascurato di ottemperare all’obbligo predetto ed il datore di lavoro, non essendo venuto altrimenti a conoscenza dell’infortunio, non abbia fatto la denuncia ai termini dell’articolo successivo, non è corrisposta l’indennità per i giorni antecedenti a quello in cui il datore di lavoro ha avuto notizia dell’infortunio etc

 

[2] Art. 53 primo comma:-Il datore di lavoro è tenuto a denunciare all’Istituto assicuratore gli infortuni da cui siano colpiti i dipendenti prestatori d’opera, e che siano prognosticati  non guaribili entro tre giorni, indipendentemente da ogni valutazione circa la ricorrenza degli estremi di legge per l’indennizzabilità. La denuncia dell’infortunio deve essere fatta con le modalità di cui all’art. 13 entro due giorni da quello in cui il datore di lavoro ne ha avuto notizia e deve essere corredata da certificato medico (2).

 

[3] Cassazione Penale Sentenza n. 17688 del 8 gennaio 2004 sezione VI; n. 22692 del 15 maggio 2008 Sezione 2 

- durante il normale percorso che il lavoratore deve fare per recarsi da un luogo di lavoro ad un altro, nel caso di rapporti di lavoro plurimi;

- durante l’abituale percorso per la consumazione dei pasti qualora non esista una mensa aziendale”.

Le tematiche aventi ad oggetto la tutela della salute nei luoghi di lavoro, la corretta informazione, la formazione e il relativo addestramento rivestono, oggi più che mai, un particolare interesse.

I casi di morti bianche sono da sempre oggetto di roventi diatribe tra i datori di lavoro, i lavoratori e le organizzazioni sindacali.

E’ arduo trovare un corretto contemperamento tra le esigenze delle parti in causa.

Quando si presentano incidenti sui luoghi di lavoro, il tutto è amplificato; l’interrogativo ricorrente è sempre lo stesso: si è fatto a sufficienza per evitare quell’infortunio? Sono state adottate le misure necessarie e idonee ad impedire l’evento? Interrogativi che non cesseranno mai di essere riproposti in assenza di una sentita cultura della legalità in tema di sicurezza.

Ma questa è un’altra storia. Ora vorrei soffermarmi su un episodio in particolare, apparentemente riconducibile ad un infortunio cosiddetto in itinere, ma che tale non era, e, per come è stato artificiosamente costruito, in distinte occasioni e abilmente taciuto, ha indotto in errore l’INAIL, provocando danni di natura patrimoniale per ingenti somme indebitamente percepite dal lavoratore assicurato, con la partecipazione attiva e consapevole del datore di lavoro.

Prima di addentrarmi nella narrazione di questo evento (che è da ritenersi del tutto casuale), a titolo meramente illustrativo, è opportuno ricordare la norma che tra le altre cose tratta la fattispecie, vale a dire l’articolo 12 del decreto legislativo 38 del 2000 che riconosce e copre i lavoratori per gli infortuni subiti nei seguenti casi:- durante il normale percorso di andata e ritorno dall’abitazione al posto di lavoro (sono esclusi dalla tutela gli infortuni occorsi entro l’abitazione, comprensiva delle pertinenze e delle parti condominiali);

E ora veniamo al caso.

Un sabato di una afosa giornata d’estate, un vice presidente del consiglio di amministrazione di una nota Società per Azioni di diritto pubblico, si avventura con la sua moto per raggiungere, a suo dire, un’unità locale dell’azienda, utilizzata per l’uso esclusivo del rimessaggio di automezzi di servizio, incustodita, senza alcun ufficio e per nulla accogliente anche per gli stessi autobus. Il soggetto cade con la sua moto senza il coinvolgimento di terzi, rovinando in una scarpata. L’incidente gli procura lesioni gravi, successivamente riconosciute invalidanti sotto il profilo della deambulazione.

Prontamente soccorso, all’atto dell’accesso al medico di guardia dell’Ospedale, dichiara di essere caduto da solo mentre viaggiava a bordo della sua motocicletta, senza denunciare, manco a dirlo, che quella caduta e quell’evento erano da ricondursi al suo lavoro, o per meglio dire per raggiungere il posto di lavoro. Di conseguenza, gioco forza, il medico addetto al pronto soccorso redige il referto medico classificando quell’episodio come incidente stradale esonerandosi così dall’obbligo di trasmettere il referto medico all’INAIL e all’autorità di Pubblica sicurezza.

L’“infortunato”, dopo essersi rimesso dalle lesioni patite, comunica al proprio datore di lavoro, dopo circa sei mesi, che in ragione del suo ruolo di vice presidente della società si stava recando in un’unità ad uso della ditta per il deposito di automezzi, chiedendo che quell’evento gli fosse riconosciuto come infortunio. Grazie alla collaborazione del legale rappresentante (datore di lavoro), insieme redigono la modulistica necessaria e trasmettono all’INAIL i dati e la causa dell’evento, facendo rientrare la dinamica come infortunio in itinere, giustificando così la presenza su quella via e a bordo di una moto come evento in occasione di lavoro.

Dopo aver compilato scrupolosamente gli incartamenti, risposto ai quesiti posti dall’Istituto Assicurativo, nonostante il ritardo nella comunicazione del fatto, al lavoratore interessato, l’INAIL riconosce anche l’indennità temporanea sulla base del solo esame dei referti medici, senza nemmeno sottoporlo a visita medica (tra le altre cose in palese violazione dell’art 52 del DPR 1124 del 1965 [1] e dell’articolo 53 medesima disposizione di Legge [2]). Dopo qualche tempo dall’evento, comunque idoneo per proporre l’azione penale, mentre quel “furbacchione”, con l’avallo del proprio datore di lavoro, era riuscito ad ottenere anche un rendita vitalizia a seguito delle lesioni patite invalidanti, l’artificio, a seguito di altri accertamenti, emerge clamorosamente, e il dubbio in prime cure emerso si trasforma in certezza: quell’incidente non ha natura di infortunio.

Lo stesso lavoratore, per il medesimo accadimento, aveva anche ottenuto e percepito l’indennità di malattia da parte di un altro datore di lavoro dove prestava la sua opera come dipendente allorquando ricopriva nel medesimo periodo anche la carica di vice presidente della spa. Questa circostanza era emersa a seguito di visita ispettiva presso il datore di lavoro che aveva anticipato la malattia e da controlli incrociati nelle banche dati della Pubblica Amministrazione; in sostanza, il lavoratore risultava essere stato in malattia e aver percepito l’indennità temporanea da infortunio per il medesimo sinistro stradale.

Questa artificiosa condotta è costata cara al datore di lavoro e al lavoratore che sono stati poi indagati in concorso per il reato di  truffa ai danni dell’Inail, per aver inscenato e rappresentato falsamente alla Pubblica Amministrazione un evento diverso da quello che realmente era avvenuto, cagionando all’Istituto Assicuratore un danno patrimoniale di ingente valore tacendo la circostanza che l’incidente stradale non era da ricondursi ad attività lavorativa e che il prestatore era già stato indennizzato dall’Inps per malattia (il silenzio serbato dall’agente è di per sé idoneo a integrare il reato di truffa).

In effetti, la condotta di raggiro ritenuta tale dall’Autorità Giudiziaria sussiste anche nel silenzio tenuto sul verificarsi di evento prima qualificato e soddisfatto dal creditore INPS come malattia e successivamente qualificato dall’INAIL come infortunio, ricavandone così l’agente un concreto beneficio, idoneo a trarre in inganno quest’ultimo debitore (Inail) quanto sulla causa dell’obbligazione che del suo permanere (rendita vitalizia a seguito di lesioni invalidanti da infortunio in itinere) [3].

Nel caso di specie, all’interessato è stato riconosciuto l’infortunio in itinere e conseguentemente l’invalidità che gli ha permesso di poter godere di una rendita vitalizia erogata mensilmente. L

a comunicazione in ritardo dell’evento ha costituito un ulteriore elemento idoneo ad indurre in errore l’Istituto Assicuratore che, sulla base della documentazione redatta dal datore di lavoro e dal lavoratore, ha ritenuto verosimile la natura di infortunio sul lavoro l’incidente in esame.

Che dire?

Solo una corretta disamina delle circostanze infortunistiche e una puntuale e solerte attività di verifica possono smascherare eventi che solo formalmente assumono una connotazione meritevole di tutela assistenziale. Sovente, alcuni episodi, così come quello sopra narrato sono ben altro che infortuni sul lavoro o in itinere.

[1]  Art. 52 L’assicurato è obbligato a dare immediata notizia di qualsiasi infortunio che gli accada, anche se di lieve entità, al proprio datore di lavoro. Quando l’assicurato abbia trascurato di ottemperare all’obbligo predetto ed il datore di lavoro, non essendo venuto altrimenti a conoscenza dell’infortunio, non abbia fatto la denuncia ai termini dell’articolo successivo, non è corrisposta l’indennità per i giorni antecedenti a quello in cui il datore di lavoro ha avuto notizia dell’infortunio etc

 

[2] Art. 53 primo comma:-Il datore di lavoro è tenuto a denunciare all’Istituto assicuratore gli infortuni da cui siano colpiti i dipendenti prestatori d’opera, e che siano prognosticati  non guaribili entro tre giorni, indipendentemente da ogni valutazione circa la ricorrenza degli estremi di legge per l’indennizzabilità. La denuncia dell’infortunio deve essere fatta con le modalità di cui all’art. 13 entro due giorni da quello in cui il datore di lavoro ne ha avuto notizia e deve essere corredata da certificato medico (2).

 

[3] Cassazione Penale Sentenza n. 17688 del 8 gennaio 2004 sezione VI; n. 22692 del 15 maggio 2008 Sezione 2 

- durante il normale percorso che il lavoratore deve fare per recarsi da un luogo di lavoro ad un altro, nel caso di rapporti di lavoro plurimi;

- durante l’abituale percorso per la consumazione dei pasti qualora non esista una mensa aziendale”.