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Inesistenza del titolo esecutivo e acquisto dell’immobile pignorato dal terzo in buona fede nella procedura espropriativa

È controverso in giurisprudenza e in dottrina se l’inesistenza del titolo esecutivo, accertata all’esito di un giudizio di opposizione all’esecuzione, travolga o meno l’acquisto dell’immobile pignorato compiuto dal terzo di buona fede nel corso della procedura espropriativa.

È di immediata evidenza che ci si trova qui in presenza di un conflitto tra due posizioni giuridiche, quella di chi ha subito un procedimento di esecuzione forzata, che non avrebbe dovuto aver luogo, e quella di chi, in buona fede, ha acquistato l’immobile in base ad una procedura svoltasi secondo canoni legali apparentemente ineccepibili: posizioni entrambe in astratto meritevoli di tutela e, tuttavia, tra loro inconciliabili. Occorre perciò indagare sul come il legislatore ha inteso dirimere tale contrasto, cioè su quale dei due interessi contrapposti egli ha reputato meritevole di maggior tutela, verificando se e quali elementi siano a tal fine individuabili nella trama dell’ordinamento giuridico.

L’attenzione è attratta subito dal disposto dell’articolo 2929 Codice Civile, che, salvo il caso di collusione tra il creditore procedente e l’acquirente o l’assegnatario del bene pignorato, fa espressamente salvo il diritto di quest’ultimo pure se sussistano cause di nullità che abbiano colpito gli atti esecutivi precedenti la vendita o l’assegnazione.

L’interpretazione di detta disposizione non è però pacifica, benché la prevalente giurisprudenza di legittimità propenda da epoca risalente per una lettura restrittiva del citato articolo 2929, limitandone la portata alla sola ipotesi di vizi formali dai quali siano affetti uno o più singoli atti esecutivi antecedenti l’acquisto o l’assegnazione del bene pignorato. Si ritiene, cioè, che quella norma trovi applicazione quando sia venuto in discussione il quomodo dell’esecuzione, a seguito di un’opposizione agli atti esecutivi riconducibile al paradigma dell’articolo 617 Codice Procedura Civile, e non invece quando sia emersa l’inesistenza del diritto stesso del creditore procedente ad agire in executivis, come avviene nel caso dell’opposizione all’esecuzione disciplinata dall’articolo 615 Codice Procedura Civile[1]. Del pari si esclude che la menzionata disposizione dell’articolo 2929 possa entrare in gioco quando la nullità riguardi proprio la vendita o l’assegnazione, sia che si tratti di vizi che direttamente la concernono, sia che si tratti di vizi che rappresentano il riflesso della tempestiva e fondata impugnazione di atti del procedimento esecutivo anteriori ma necessariamente prodromici[2].

Non sono però mancate, benché più sporadiche nel tempo, pronunce che, pur confermando la convinzione secondo cui il citato articolo 2929 si riferirebbe unicamente all’ipotesi di vizi formali degli atti esecutivi precedenti l’aggiudicazione o l’assegnazione del bene pignorato, hanno ritenuto che ciò non impedisca di postulare la salvezza dei diritti dell’aggiudicatario o del terzo assegnatario di buona fede anche in caso di vizi afferenti al titolo esecutivo: sia in virtù di un generale principio di tutela dell’affidamento incolpevole, inerente all’ordinamento, sia in considerazione dell’esigenza di non scoraggiare preventivamente i potenziali concorrenti all’acquisto dei beni posti in vendita nell’ambito delle procedure di esecuzione forzata.

La possibilità d’individuare, nella disposizione di cui si sta parlando, una spia dell’esistenza del principio di tutela dell’affidamento del terzo non colluso è molto ben sottolineata nella motivazione di una ormai remota pronuncia[3], benché in quel caso la corte finì per sancire l’opponibilità dell’accertamento dell’inesistenza del titolo esecutivo all’assegnatario dell’immobile pignorato, per la ragione che l’assegnazione era stata disposta in favore dello stesso creditore procedente. L’inopponibilità dell’inesistenza del titolo esecutivo al terzo acquirente di buona fede è stata poi espressamente statuita facendo leva sul generale principio dell’affidamento, oltre che sull’inopportunità di scoraggiare la partecipazione alle vendite disposte nell’ambito di procedure esecutive[4].

Un’eco di tale impostazione si coglie anche nella motivazione di quella parte di giurisprudenza[5] che, nell’ammettere la possibilità per il debitore esecutato d’impugnare dopo la conclusione del processo esecutivo la vendita del bene pignorato avvenuta, in difetto di valido titolo esecutivo, in favore del terzo colluso col creditore procedente, si è spinta anche oltre, mostrandosi aperta alla tesi secondo cui la tutela assicurata al terzo di buona fede dal citato articolo 2929 si estenderebbe ad ogni ipotesi nella quale la nullità dell’atto esecutivo, precedente la vendita o l’assegnazione forzata, derivi dall’ingiustizia dell’esecuzione.

In tempi relativamente più recenti una conferma dell’intento del legislatore di salvaguardare la stabilità dell’acquisto del terzo non colluso è stata altresì individuata nel disposto dell’articolo 187 bis Disposizioni di attuazione del Codice Procedura Civile, introdotto dal Decreto-Legge 14 marzo 2005, n. 35, articolo 2, comma 4 novies, (convertito con modificazioni nella L. 14 maggio 2005, n. 80), a tenore del quale i diritti dei terzi aggiudicatari o assegnatari restano fermi se dopo l’aggiudicazione, anche provvisoria, o dopo l’assegnazione si verifichi l’estinzione o la chiusura anticipata del processo esecutivo[6].

Le SS. UU.[7] hanno aderito all’orientamento da ultimo riferito.

Il percorso seguito dalle Sezioni Unite è stato il seguente.

Si può agevolmente convenire sul rilievo secondo cui la più volte richiamata disposizione dell’articolo 2929 Codice Civile, in sé sola considerata, non è riferibile alla fattispecie in esame. Essa ha dichiaratamente riguardo alla "nullità degli atti esecutivi", cioè all’ipotesi in cui risultino gravemente viziati uno o più atti del procedimento di esecuzione forzata.

Il difetto di un idoneo titolo esecutivo, che lo si accerti all’esito di un giudizio di opposizione all’esecuzione o che si ammetta la possibilità di rilevarlo d’ufficio nell’ambito stesso del processo esecutivo, non si traduce in un vizio del procedimento, bensì nella mancanza del diritto del preteso creditore ad agire in executivis. Come nel processo di cognizione la mancanza del diritto fatto valere dall’attore non si confonde con i possibili vizi di nullità del procedimento azionato per l’accertamento e la tutela di quel diritto, così nel processo esecutivo il difetto di un idoneo titolo vale ad escludere il diritto di agire esecutivamente ma, in quanto tale, non si lascia definire in termini di nullità degli atti in cui il procedimento consiste.

Se ciò consente di affermare che la "nullità degli atti esecutivi" cui allude il citato articolo 2929 non può confondersi con l’accertata mancanza di un idoneo titolo esecutivo, non pare corretto farne discendere la conclusione che, in quest’ultima situazione, il diritto del terzo acquirente o aggiudicatario debba restare necessariamente travolto.

Secondo le SS. UU. la mancanza del diritto ad agire condiziona l’esito del procedimento ma non rende nulli gli atti attraverso i quali esso si è esplicato.

Ciò significa che il terzo acquirente o assegnatario del bene pignorato, il quale è estraneo al rapporto intercorrente tra il preteso creditore e l’esecutato, deriva il suo diritto da una sequela di atti culminanti nel decreto di trasferimento la cui validità non è in discussione. La vendita forzata produce un trasferimento per atto tra vivi, operante sul piano del diritto sostanziale, sotto molti aspetti assimilabile alla compravendita negoziale (articolo 2919 c.c.). Quando essa si sia perfezionata, nell’ambito del procedimento giudiziale che la prevede ed in conformità alle regole di quel procedimento, i suoi effetti non sono retrattabili, a meno d’individuare vizi propri dell’atto di trasferimento o della sequenza di atti che necessariamente lo precedono e che ad esso ineriscono (ed è a questo riguardo, come s’è visto, che opera la speciale disciplina delineata dall’articolo 2929 c.c.).

Al di fuori di tale ipotesi, il terzo acquista bene, perché l’atto dal quale egli deriva il suo diritto, nel momento in cui interviene, si configura come un atto perfettamente legittimo e regolare.

Non diversamente, del resto, in caso di dichiarazione di fallimento, poi revocata per l’accertato difetto delle condizioni che l’avrebbero potuta giustificare, è previsto che restino salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura (L. Fall., articolo 18, penultimo comma, che ha sostituito l’analoga disposizione contenuta nel primo comma dell’abrogato articolo 21). E non si saprebbe agevolmente giustificare la ragione per la quale al trasferimento coattivo disposto in favore dell’aggiudicatario nell’ambito di una procedura esecutiva concorsuale debba esser riconosciuta una stabilità che è invece negata in caso di analogo trasferimento intervenuto nell’ambito di una procedura esecutiva individuale, quando nell’uno come nell’altro caso si sia dimostrato poi carente il titolo in base al quale dette procedure hanno preso avvio.

In una procedura esecutiva individuale nella quale venga dichiarata l’inesistenza del titolo esecutivo l’acquisto del terzo ha luogo in base ad una serie di atti posti in essere sotto il controllo del giudice, conformi al modello legale e privi di vizi intrinseci[8].

Proprio per l’ineccepibilità formale di quegli atti, al tempo del loro compimento, il terzo acquirente o assegnatario ha piena ragione di fare affidamento sulla regolarità del trasferimento disposto in suo favore. E sembra francamente eccessivo pretendere da lui una diligenza tale da imporgli d’indagare sulla sussistenza e validità del titolo esecutivo per il quale si sta procedendo, volta che non sia stata disposta dal giudice la sospensione dell’esecuzione richiesta dall’esecutato o che, magari, nessuna contestazione sia stata neppure ancora sollevata in proposito al momento della vendita. Non soltanto il terzo potrebbe non essere in grado di procurarsi con facilità tutte le informazioni occorrenti per svolgere autonomamente una simile indagine, ma ciò significherebbe porre comunque a suo carico l’alea dell’esito incerto delle eventuali opposizioni all’esecuzione che siano pendenti: con un effetto di scoraggiamento dei concorrenti alla gara per l’acquisto dei beni pignorati sicuramente non voluto dal legislatore.

Anche a giudizio delle SS. UU. l’intento del legislatore è quello di garantire il più possibile la stabilità dell’acquisto conseguito dal terzo nell’ambito del processo esecutivo che trova oggi una decisiva conferma anche nella previsione del già citato articolo 187 bis delle disposizioni di attuazione del codice di rito, significativamente introdotto dalla Legge 14 maggio 2005, n. 80, che ha convertito il Decreto-Legge 14 marzo 2005, n. 35 (articolo 2, comma 4 novies), al dichiarato scopo di "ribadire la corretta interpretazione della normativa in materia di esecuzione forzata". Il legislatore, precisando che gli effetti dell’aggiudicazione, anche provvisoria, ma a maggior ragione se definitiva, restano fermi nei confronti degli aggiudicatari "in ogni caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo", ha inteso evidentemente ben sottolineare l’autonomia di quegli effetti, e dunque del diritto acquisito dall’aggiudicatario o dall’assegnatario, rispetto agli eventi che possano successivamente incidere sul corso del processo esecutivo. E, se si conviene su fatto che l’accertata mancanza di un idoneo titolo esecutivo comporta l’improcedibilità del processo di esecuzione forzata, si dovrà necessariamente anche convenire sulla riconducibilità di tale evento nel novero delle cosiddette ipotesi di chiusura atipica di quel processo, cui la citata disposizione d’attuazione allude con l’espressione "chiusura anticipata"; ipotesi in presenza delle quali, però, come s’è detto, restano salvi gli effetti delle aggiudicazioni e delle assegnazioni frattanto intervenute[9].

La salvezza dei diritti acquisiti dal terzo aggiudicatario o assegnatario, pur se fondata sull’autonomia dell’acquisto, rispetto agli ulteriori sviluppi ed all’esito finale del processo esecutivo nel cui ambito esso è intervenuto, non può realizzarsi ove ricorra una dimostrata situazione di collusione del terzo e del creditore procedente in danno dell’esecutato[10] (o in qualsiasi altro caso di uso illecito da parte dell’acquirente del subprocedimento di vendita coattiva).

La tutela che l’ordinamento assicura alla posizione del terzo aggiudicatario o assegnatario (nei termini di cui s’è detto), pur quando la vendita coatta abbia avuto luogo nell’ambito di una procedura esecutiva che risulti poi essere stata promossa in difetto di titolo idoneo, non comporta che resti priva di difese e del tutto sacrificata la contrapposta posizione del debitore esecutato.

A parte la possibilità di evitare la vendita chiedendo tempestivamente al giudice di sospendere l’esecuzione, è ovvio che, quando la sospensione non sia stata possibile o comunque non sia stata concessa, all’esecutato vittorioso nel giudizio di opposizione non soltanto compererà il ricavato della vendita ma si offrirà anche la possibilità di agire per il risarcimento degli eventuali danni nei confronti del creditore che colposamente – ossia senza la normale prudenza richiamata dal secondo comma dell’articolo 96 c.p.c. – abbia agito in executivis non avendone titolo.

Per concludere, secondo le SS. UU. il sopravvenuto accertamento dell’inesistenza di un titolo idoneo a giustificare l’esercizio dell’azione esecutiva non fa venir meno l’acquisto dell’immobile pignorato, che sia stato compiuto dal terzo nel corso della procedura espropriativa in conformità alle regole che disciplinano lo svolgimento di tale procedura, salvo che sia dimostrata la collusione del terzo col creditore procedente, fermo peraltro restando il diritto dell’esecutato di far proprio il ricavato della vendita e di agire per il risarcimento dell’eventuale danno nei confronti di chi, agendo senza la normale prudenza, abbia dato corso al procedimento esecutivo in difetto di un titolo idoneo.

[1] Cass. 14 luglio 1967, n. 1768, Cass. 11 novembre 2004, n. 21439, e Cass. 13 febbraio 2009, n. 3531.

[2] Cass. 9 giugno 2010, n. 13824.

[3] Cass. 4 giugno 1969, n. 1968.

[4] Cass. 1 agosto 1991, n. 8471.

[5] Cass. 7 ottobre 1997, n. 9744.

[6] La vendita forzata immobiliare e la custodia dell’immobile pignorato in AA. VV, Il processo civile di riforma in riforma, Milano 2006, 129 e ss.

[7] Corte di Cassazione Sezioni unite civili n. 21110/2012 del 28/11/2012.

[8] Corte di Cassazione Sezioni unite civili n. 21110/2012 del 28/11/2012.

[9] Corte di Cassazione Sezioni unite civili n. 21110/2012 del 28/11/2012.

[10] Corte di Cassazione Sezioni unite civili cit.

È controverso in giurisprudenza e in dottrina se l’inesistenza del titolo esecutivo, accertata all’esito di un giudizio di opposizione all’esecuzione, travolga o meno l’acquisto dell’immobile pignorato compiuto dal terzo di buona fede nel corso della procedura espropriativa.

È di immediata evidenza che ci si trova qui in presenza di un conflitto tra due posizioni giuridiche, quella di chi ha subito un procedimento di esecuzione forzata, che non avrebbe dovuto aver luogo, e quella di chi, in buona fede, ha acquistato l’immobile in base ad una procedura svoltasi secondo canoni legali apparentemente ineccepibili: posizioni entrambe in astratto meritevoli di tutela e, tuttavia, tra loro inconciliabili. Occorre perciò indagare sul come il legislatore ha inteso dirimere tale contrasto, cioè su quale dei due interessi contrapposti egli ha reputato meritevole di maggior tutela, verificando se e quali elementi siano a tal fine individuabili nella trama dell’ordinamento giuridico.

L’attenzione è attratta subito dal disposto dell’articolo 2929 Codice Civile, che, salvo il caso di collusione tra il creditore procedente e l’acquirente o l’assegnatario del bene pignorato, fa espressamente salvo il diritto di quest’ultimo pure se sussistano cause di nullità che abbiano colpito gli atti esecutivi precedenti la vendita o l’assegnazione.

L’interpretazione di detta disposizione non è però pacifica, benché la prevalente giurisprudenza di legittimità propenda da epoca risalente per una lettura restrittiva del citato articolo 2929, limitandone la portata alla sola ipotesi di vizi formali dai quali siano affetti uno o più singoli atti esecutivi antecedenti l’acquisto o l’assegnazione del bene pignorato. Si ritiene, cioè, che quella norma trovi applicazione quando sia venuto in discussione il quomodo dell’esecuzione, a seguito di un’opposizione agli atti esecutivi riconducibile al paradigma dell’articolo 617 Codice Procedura Civile, e non invece quando sia emersa l’inesistenza del diritto stesso del creditore procedente ad agire in executivis, come avviene nel caso dell’opposizione all’esecuzione disciplinata dall’articolo 615 Codice Procedura Civile[1]. Del pari si esclude che la menzionata disposizione dell’articolo 2929 possa entrare in gioco quando la nullità riguardi proprio la vendita o l’assegnazione, sia che si tratti di vizi che direttamente la concernono, sia che si tratti di vizi che rappresentano il riflesso della tempestiva e fondata impugnazione di atti del procedimento esecutivo anteriori ma necessariamente prodromici[2].

Non sono però mancate, benché più sporadiche nel tempo, pronunce che, pur confermando la convinzione secondo cui il citato articolo 2929 si riferirebbe unicamente all’ipotesi di vizi formali degli atti esecutivi precedenti l’aggiudicazione o l’assegnazione del bene pignorato, hanno ritenuto che ciò non impedisca di postulare la salvezza dei diritti dell’aggiudicatario o del terzo assegnatario di buona fede anche in caso di vizi afferenti al titolo esecutivo: sia in virtù di un generale principio di tutela dell’affidamento incolpevole, inerente all’ordinamento, sia in considerazione dell’esigenza di non scoraggiare preventivamente i potenziali concorrenti all’acquisto dei beni posti in vendita nell’ambito delle procedure di esecuzione forzata.

La possibilità d’individuare, nella disposizione di cui si sta parlando, una spia dell’esistenza del principio di tutela dell’affidamento del terzo non colluso è molto ben sottolineata nella motivazione di una ormai remota pronuncia[3], benché in quel caso la corte finì per sancire l’opponibilità dell’accertamento dell’inesistenza del titolo esecutivo all’assegnatario dell’immobile pignorato, per la ragione che l’assegnazione era stata disposta in favore dello stesso creditore procedente. L’inopponibilità dell’inesistenza del titolo esecutivo al terzo acquirente di buona fede è stata poi espressamente statuita facendo leva sul generale principio dell’affidamento, oltre che sull’inopportunità di scoraggiare la partecipazione alle vendite disposte nell’ambito di procedure esecutive[4].

Un’eco di tale impostazione si coglie anche nella motivazione di quella parte di giurisprudenza[5] che, nell’ammettere la possibilità per il debitore esecutato d’impugnare dopo la conclusione del processo esecutivo la vendita del bene pignorato avvenuta, in difetto di valido titolo esecutivo, in favore del terzo colluso col creditore procedente, si è spinta anche oltre, mostrandosi aperta alla tesi secondo cui la tutela assicurata al terzo di buona fede dal citato articolo 2929 si estenderebbe ad ogni ipotesi nella quale la nullità dell’atto esecutivo, precedente la vendita o l’assegnazione forzata, derivi dall’ingiustizia dell’esecuzione.

In tempi relativamente più recenti una conferma dell’intento del legislatore di salvaguardare la stabilità dell’acquisto del terzo non colluso è stata altresì individuata nel disposto dell’articolo 187 bis Disposizioni di attuazione del Codice Procedura Civile, introdotto dal Decreto-Legge 14 marzo 2005, n. 35, articolo 2, comma 4 novies, (convertito con modificazioni nella L. 14 maggio 2005, n. 80), a tenore del quale i diritti dei terzi aggiudicatari o assegnatari restano fermi se dopo l’aggiudicazione, anche provvisoria, o dopo l’assegnazione si verifichi l’estinzione o la chiusura anticipata del processo esecutivo[6].

Le SS. UU.[7] hanno aderito all’orientamento da ultimo riferito.

Il percorso seguito dalle Sezioni Unite è stato il seguente.

Si può agevolmente convenire sul rilievo secondo cui la più volte richiamata disposizione dell’articolo 2929 Codice Civile, in sé sola considerata, non è riferibile alla fattispecie in esame. Essa ha dichiaratamente riguardo alla "nullità degli atti esecutivi", cioè all’ipotesi in cui risultino gravemente viziati uno o più atti del procedimento di esecuzione forzata.

Il difetto di un idoneo titolo esecutivo, che lo si accerti all’esito di un giudizio di opposizione all’esecuzione o che si ammetta la possibilità di rilevarlo d’ufficio nell’ambito stesso del processo esecutivo, non si traduce in un vizio del procedimento, bensì nella mancanza del diritto del preteso creditore ad agire in executivis. Come nel processo di cognizione la mancanza del diritto fatto valere dall’attore non si confonde con i possibili vizi di nullità del procedimento azionato per l’accertamento e la tutela di quel diritto, così nel processo esecutivo il difetto di un idoneo titolo vale ad escludere il diritto di agire esecutivamente ma, in quanto tale, non si lascia definire in termini di nullità degli atti in cui il procedimento consiste.

Se ciò consente di affermare che la "nullità degli atti esecutivi" cui allude il citato articolo 2929 non può confondersi con l’accertata mancanza di un idoneo titolo esecutivo, non pare corretto farne discendere la conclusione che, in quest’ultima situazione, il diritto del terzo acquirente o aggiudicatario debba restare necessariamente travolto.

Secondo le SS. UU. la mancanza del diritto ad agire condiziona l’esito del procedimento ma non rende nulli gli atti attraverso i quali esso si è esplicato.

Ciò significa che il terzo acquirente o assegnatario del bene pignorato, il quale è estraneo al rapporto intercorrente tra il preteso creditore e l’esecutato, deriva il suo diritto da una sequela di atti culminanti nel decreto di trasferimento la cui validità non è in discussione. La vendita forzata produce un trasferimento per atto tra vivi, operante sul piano del diritto sostanziale, sotto molti aspetti assimilabile alla compravendita negoziale (articolo 2919 c.c.). Quando essa si sia perfezionata, nell’ambito del procedimento giudiziale che la prevede ed in conformità alle regole di quel procedimento, i suoi effetti non sono retrattabili, a meno d’individuare vizi propri dell’atto di trasferimento o della sequenza di atti che necessariamente lo precedono e che ad esso ineriscono (ed è a questo riguardo, come s’è visto, che opera la speciale disciplina delineata dall’articolo 2929 c.c.).

Al di fuori di tale ipotesi, il terzo acquista bene, perché l’atto dal quale egli deriva il suo diritto, nel momento in cui interviene, si configura come un atto perfettamente legittimo e regolare.

Non diversamente, del resto, in caso di dichiarazione di fallimento, poi revocata per l’accertato difetto delle condizioni che l’avrebbero potuta giustificare, è previsto che restino salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura (L. Fall., articolo 18, penultimo comma, che ha sostituito l’analoga disposizione contenuta nel primo comma dell’abrogato articolo 21). E non si saprebbe agevolmente giustificare la ragione per la quale al trasferimento coattivo disposto in favore dell’aggiudicatario nell’ambito di una procedura esecutiva concorsuale debba esser riconosciuta una stabilità che è invece negata in caso di analogo trasferimento intervenuto nell’ambito di una procedura esecutiva individuale, quando nell’uno come nell’altro caso si sia dimostrato poi carente il titolo in base al quale dette procedure hanno preso avvio.

In una procedura esecutiva individuale nella quale venga dichiarata l’inesistenza del titolo esecutivo l’acquisto del terzo ha luogo in base ad una serie di atti posti in essere sotto il controllo del giudice, conformi al modello legale e privi di vizi intrinseci[8].

Proprio per l’ineccepibilità formale di quegli atti, al tempo del loro compimento, il terzo acquirente o assegnatario ha piena ragione di fare affidamento sulla regolarità del trasferimento disposto in suo favore. E sembra francamente eccessivo pretendere da lui una diligenza tale da imporgli d’indagare sulla sussistenza e validità del titolo esecutivo per il quale si sta procedendo, volta che non sia stata disposta dal giudice la sospensione dell’esecuzione richiesta dall’esecutato o che, magari, nessuna contestazione sia stata neppure ancora sollevata in proposito al momento della vendita. Non soltanto il terzo potrebbe non essere in grado di procurarsi con facilità tutte le informazioni occorrenti per svolgere autonomamente una simile indagine, ma ciò significherebbe porre comunque a suo carico l’alea dell’esito incerto delle eventuali opposizioni all’esecuzione che siano pendenti: con un effetto di scoraggiamento dei concorrenti alla gara per l’acquisto dei beni pignorati sicuramente non voluto dal legislatore.

Anche a giudizio delle SS. UU. l’intento del legislatore è quello di garantire il più possibile la stabilità dell’acquisto conseguito dal terzo nell’ambito del processo esecutivo che trova oggi una decisiva conferma anche nella previsione del già citato articolo 187 bis delle disposizioni di attuazione del codice di rito, significativamente introdotto dalla Legge 14 maggio 2005, n. 80, che ha convertito il Decreto-Legge 14 marzo 2005, n. 35 (articolo 2, comma 4 novies), al dichiarato scopo di "ribadire la corretta interpretazione della normativa in materia di esecuzione forzata". Il legislatore, precisando che gli effetti dell’aggiudicazione, anche provvisoria, ma a maggior ragione se definitiva, restano fermi nei confronti degli aggiudicatari "in ogni caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo", ha inteso evidentemente ben sottolineare l’autonomia di quegli effetti, e dunque del diritto acquisito dall’aggiudicatario o dall’assegnatario, rispetto agli eventi che possano successivamente incidere sul corso del processo esecutivo. E, se si conviene su fatto che l’accertata mancanza di un idoneo titolo esecutivo comporta l’improcedibilità del processo di esecuzione forzata, si dovrà necessariamente anche convenire sulla riconducibilità di tale evento nel novero delle cosiddette ipotesi di chiusura atipica di quel processo, cui la citata disposizione d’attuazione allude con l’espressione "chiusura anticipata"; ipotesi in presenza delle quali, però, come s’è detto, restano salvi gli effetti delle aggiudicazioni e delle assegnazioni frattanto intervenute[9].

La salvezza dei diritti acquisiti dal terzo aggiudicatario o assegnatario, pur se fondata sull’autonomia dell’acquisto, rispetto agli ulteriori sviluppi ed all’esito finale del processo esecutivo nel cui ambito esso è intervenuto, non può realizzarsi ove ricorra una dimostrata situazione di collusione del terzo e del creditore procedente in danno dell’esecutato[10] (o in qualsiasi altro caso di uso illecito da parte dell’acquirente del subprocedimento di vendita coattiva).

La tutela che l’ordinamento assicura alla posizione del terzo aggiudicatario o assegnatario (nei termini di cui s’è detto), pur quando la vendita coatta abbia avuto luogo nell’ambito di una procedura esecutiva che risulti poi essere stata promossa in difetto di titolo idoneo, non comporta che resti priva di difese e del tutto sacrificata la contrapposta posizione del debitore esecutato.

A parte la possibilità di evitare la vendita chiedendo tempestivamente al giudice di sospendere l’esecuzione, è ovvio che, quando la sospensione non sia stata possibile o comunque non sia stata concessa, all’esecutato vittorioso nel giudizio di opposizione non soltanto compererà il ricavato della vendita ma si offrirà anche la possibilità di agire per il risarcimento degli eventuali danni nei confronti del creditore che colposamente – ossia senza la normale prudenza richiamata dal secondo comma dell’articolo 96 c.p.c. – abbia agito in executivis non avendone titolo.

Per concludere, secondo le SS. UU. il sopravvenuto accertamento dell’inesistenza di un titolo idoneo a giustificare l’esercizio dell’azione esecutiva non fa venir meno l’acquisto dell’immobile pignorato, che sia stato compiuto dal terzo nel corso della procedura espropriativa in conformità alle regole che disciplinano lo svolgimento di tale procedura, salvo che sia dimostrata la collusione del terzo col creditore procedente, fermo peraltro restando il diritto dell’esecutato di far proprio il ricavato della vendita e di agire per il risarcimento dell’eventuale danno nei confronti di chi, agendo senza la normale prudenza, abbia dato corso al procedimento esecutivo in difetto di un titolo idoneo.

[1] Cass. 14 luglio 1967, n. 1768, Cass. 11 novembre 2004, n. 21439, e Cass. 13 febbraio 2009, n. 3531.

[2] Cass. 9 giugno 2010, n. 13824.

[3] Cass. 4 giugno 1969, n. 1968.

[4] Cass. 1 agosto 1991, n. 8471.

[5] Cass. 7 ottobre 1997, n. 9744.

[6] La vendita forzata immobiliare e la custodia dell’immobile pignorato in AA. VV, Il processo civile di riforma in riforma, Milano 2006, 129 e ss.

[7] Corte di Cassazione Sezioni unite civili n. 21110/2012 del 28/11/2012.

[8] Corte di Cassazione Sezioni unite civili n. 21110/2012 del 28/11/2012.

[9] Corte di Cassazione Sezioni unite civili n. 21110/2012 del 28/11/2012.

[10] Corte di Cassazione Sezioni unite civili cit.