x

x

Segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia

La Giurisprudenza anticipa la soglia della pericolosità al c.d. fuori fido “past due”
Il 2013 si è aperto con un nuovo ed importante colpo inferto al sistema bancario italiano, il quale, a fronte di una crisi economica che sta strangolando famiglie ed imprese, continua sovente a dimostrarsi indifferente e senza scrupoli, nei confronti dei malcapitati clienti.Una delle tante manifestazioni di “strapotere” che caratterizzano le banche italiane, infatti, è rappresentata dall’uso strumentale della cosiddetta “segnalazione” alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia.

La Centrale dei Rischi, com’è noto, è un sistema informativo sull’indebitamento della clientela nei confronti delle banche e degli intermediari finanziari, vigilati dalla Banca d’Italia. Attraverso tale servizio centralizzato dei rischi, la Banca d’Italia fornisce agli intermediari partecipanti al sistema un’informativa utile per la valutazione del merito creditizio della clientela e, in generale, per l’analisi e la gestione del rischio di credito. Si tratta, dunque, di uno strumento pensato dal Legislatore in funzione di un interesse pubblico, quello della tutela del risparmio, attraverso una valutazione della solvibilità dei richiedenti il credito.

A fronte di tale interesse pubblico, è evidentemente un’opzione che impone estrema cautela nel suo utilizzo, perché in grado di innescare un “meccanismo a catena”, particolarmente dannoso per il cliente, per una serie di ragioni. In primo luogo, perché determina l’esclusione, dal sistema del credito, di un soggetto, per esempio un’impresa, che fa dell’accesso al credito, una condizione indispensabile per la propria sopravvivenza. In secondo luogo, e a maggior ragione, per il fatto che, l’istruttoria per l’accertamento della posizione o meno di sofferenza del credito, viene effettuata unilateralmente, senza che vi partecipi, in qualche forma di contraddittorio, l’imprenditore interessato.

Le banche, dunque, nel comunicare alla Banca d’Italia le esposizioni debitorie extra-affidamento, così come rilevate dagli e/c bancari, si assumono ogni rischio connesso alla veridicità degli stessi.

Ne consegue, soprattutto, che l’illegittima o errata segnalazione da parte della Banca, costituisce un danno, ingiustamente arrecato al cliente, sotto diversi profili.

Sul punto, esiste una consolidata giurisprudenza. In particolare, è stato stabilito che la responsabilità della Banca segnalante in caso di comunicazione erronea alla Centrale dei Rischi sembra potersi ricondurre, innanzitutto, nell’ambito di una responsabilità da false informazioni, in ordine alla quale è pacificamente riconosciuto il diritto al risarcimento del danno (ex multis Cassazione civile sez. I, 24 maggio 2010, n. 12626).

Storicamente il Tribunale di Milano, già con l’ordinanza 19 febbraio 2001, ha configurato tale responsabilità sia come extracontrattuale, (da fatto illecito) ex art. 2043 c.c., sia come responsabilità contrattuale, per violazione di norme di comportamento esistenti tra banca ed utente, a partire dagli artt. 1175, 1374, 1375.

Inoltre, la riduzione o persino l’impossibilità di accedere al sistema bancario comporta indubbiamente la riduzione delle possibilità di guadagni futuri, con il rischio di arrivare anche ad una lesione del diritto – costituzionalmente garantito all’art. 41 della Costituzione – di iniziativa economica privata, che, come è noto, si alimenta grazie al credito bancario, l’accesso al quale, a seguito di una ingannevole segnalazione presso la Centrale dei Rischi, è inevitabilmente precluso.

Difatti, occorre in proposito precisare che le banche, con certezza subiscono un condizionamento negativo qualora dall’informativa dovesse emergere l’esistenza di una posizione segnalata “in sofferenza”; in tale atteggiamento si riflette infatti la generale riluttanza (legittima in astratto) degli operatori a concedere credito a soggetti la cui situazione patrimoniale, in certi ambienti economici, sia stata valutata come inaffidabile e precaria.

Non si tratta, però, solo di responsabilità derivante da danno di natura patrimoniale. L’illegittimo blocco della ordinaria situazione generale di credito del ricorrente, e quindi della relativa situazione patrimoniale complessiva, l’impossibilità di ottenere da un giorno all’altro ogni finanziamento o movimentazione del credito indispensabile per l’ordinaria gestione dell’azienda, comporta l’effettivo e scontato “collasso” nella ordinaria gestione della stessa, con irrimediabile danno morale ed economico dovuto alla perdita di immagine, di competitività sul mercato, di ordinaria gestione di cassa, con evidente possibilità di addivenire quindi a posteriori e senza colpa alcuna ma per esclusiva responsabilità della Banca, in quella situazione di insolvibilità che causerebbe inevitabilmente il fallimento dall’azienda e la conseguente perdita di posti di lavoro.

Si determina in questo caso un danno che si ritiene in re ipsa e che legittima pertanto il diritto al risarcimento senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova dell’esistenza del danno. La Giurisprudenza sul punto è consolidata:

Da quanto innanzi discende la fondatezza della domanda attorea relativamente al danno da illegittima segnalazione presso la Centrale Rischi. Invero, il danno da illegittima segnalazione presso Centrale Rischi si profila sia nell’ipotesi di c.d. errore nella segnalazione di categoria (cioè a sofferenza e non ad incaglio, ecc.) che nel c.d. errore di quantificazione della presunta esposizione. Più grave è il primo errore, in quanto comporta la preclusione del credito, mentre il secondo comporta, nell’ipotesi più lieve, una saturazione dei credito, sino all’effettiva impossibilità di ottenere credito. Ovviamente, nella maggior parte delle volte, gli errori convivono. Il danno da informazione inesatta non si esplica soltanto nella mancata concessione di nuove linee di credito ma anche alla lesione della reputazione personale e commerciale, pregiudicata da un’erronea segnalazione che certamente costituisce causa di discredito del soggetto coinvolto, tanto più ove il discredito avvenga all’interno del sistema creditizio il quale fa fronte comune nella (di norma giustificata) difesa dagli insolventi o da chi è ritenuto tale anche da uno solo degli aderenti. Difatti «la segnalazione di una “sofferenza” non più esistente, conferendo pubblicità interbancaria ad un non reale protrarsi dell’insolvenza del debitore, è destinata ad assumere rilevanza peculiare in un’ottica commerciale ed imprenditoriale, risolvendosi in una complessa vicenda di indubitabile discredito patrimoniale, idonea a provocare un danno anche della reputazione imprenditoriale del segnalato. In tal caso è ipotizzabile una responsabilità dell’azienda di credito verso il cliente ingiustamente, e quindi antigiuridicamente, segnalato alla Centrale dei Rischi» (Trib. Bari, sez. I, G.U. dott. Cirillo, sent. del 22 dicembre 2000). Si determina in questo caso un danno che si ritiene in re ipsa e che legittima, pertanto, il diritto al risarcimento senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova dell’esistenza del danno (Cass. civ., Sez. III, sent. n, 4881 del 19/01/2001; Cass. civ. sent. n. 1103 del 05/11/1998). Tribunale di Bari, Sez. Dist. di Rutigliano, Dott. Nicola ACHILLE, Sent. n. 165 del 26 marzo 2012 (cfr. anche Tribunale di Novara, Dott. Simona GAMBACORTA, sent. n. 515 parz. del 18 maggio 2010; Tribunale di Lecce Sez. Maglie – Dott. Angelo Rizzo, Sent. 246 del 12 luglio 2010; Tribunale di Lecce Sez. Maglie – Dott. Angelo Rizzo, Sent. 246 del 12 luglio 2010, tutte edite in www.studiotanza.it).

La segnalazione alla Centrale dei rischi presso la Banca d’Italia, a cui tutto il sistema bancario è tenuto per legge, risulta quasi sempre del tutto illegittima poiché il saldo effettivo è differente da quello denunciato dalla Banca: il danno è pari a quello dell’illegittimo protesto e per la quantificazione dello stesso spesso l’utente non può che rimettersi alla Giustizia. La prova del danno da errata segnalazione a centrale dei rischi è, infatti, difficile da provare: le banche non rilasciano alcuna attestazione di diniego dell’affidamento.

Tuttavia è altrettanto pacifico che una segnalazione negativa in Centrale determini la chiusura del credito: l’imprenditore che riesce a documentare i danni è rarissimo. Ecco perché la Magistratura più obiettiva ricorre, oramai, ad una liquidazione equitativa del danno da erronea segnalazione alla Centrale dei rischi.

La Giurisprudenza di legittimità ha, sul punto, sottolineato più volte «l’inevitabile perturbazione dei rapporti economici, e una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o dalla privazione di un valore del soggetto e del suo patrimonio alla quale il risarcimento deve essere commisurato» (…). Pertanto è corretto anche il ricorso alla liquidazione del danno con criteri equitativi, ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., ammissibile secondo la giurisprudenza di legittimità qualora l’attività istruttoria svolta non consenta di dare certezza alla misura del danno stesso, come avviene quando, essendone certa l’esistenza, risulti impossibile o estremamente difficoltoso provare la precisa durata del pregiudizio economico, subito» (Cass. 19883/2005; 8271/2004; 188/1996).

Se, dunque, quanto sopra detto riposa su una consolidata Giurisprudenza, soltanto in parte indicata in questa sede, lo stesso non può dirsi per quella che può considerarsi l’ultima “frontiera” della lotta allo strapotere delle banche, che in questa sede è fondamentale evidenziare per la sua portata straordinariamente innovativa.

Il crescente sviluppo della sensibilità della Giurisprudenza sull’importanza della segnalazione alla CR ha comportato, anche con riferimento alla regolamentazione MIFID, la consapevolezza che la comunicazione di un erroneo sconfino, superiore ai 180 giorni (c.d. past due) crea un evidente danno al cliente.

Nasce, così, l’esigenza di evitare all’origine danni all’impresa; danni certi ma, come si è visto, difficilmente dimostrabili, che inevitabilmente conducono verso il disdoro commerciale con conseguente innalzamento del costo del denaro, sia presso l’istituto segnalante che verso l’intero sistema creditizio. Questa iniziale patologia comporta attraverso la riduzione del credito e l’aumento delle competenze e del costo del denaro una, spesso irreversibile crisi aziendale, cge porta alla c.d. sofferenza.

Insomma, la Giurisprudenza ha capito che “la medicina” è efficace se somministrata all’inizio della patologia: una cura tardiva, spesso, è inutile: infatti, un cliente segnalato “a sofferenza” è un cliente praticamente privo di credito e vita aziendale.

Il Tribunale di Lecce – Sez. distaccata di Galatina, con decreto, inaudita altera parte, emesso in data 20 dicembre 2012 dal Dott. Alessandro Maggiore, ha accolto il ricorso proposto ex Art. 700 cpc, dalla società M. Srl, in relazione ad una segnalazione alla Centrale Rischi compiuta dalla Banca Monte dei Paschi S.p.A. con riferimento ad un erroneo sconfino, superiore ai 180 giorni (c.d. past due); decreto confermato il successivo 8 gennaio 2013.

Dalle risultanze processuali è emerso che tale segnalazione sia stata assolutamente illegittima in quanto basata su un saldo dì e/c bancario erroneamente (e dopo lo svolgimento della CTU dolosamente) quantificato, creando un gravissimo pregiudizio, a breve irreparabile, a M. Srl, derivante sia dal vertiginoso aumentare delle competenze delle altre banche con cui intrattiene rapporti la ricorrente (dovute all’abbassamento del rating aziendale conseguente a simile segnalazione), che dalle sempre più pressanti minacce dì revoca degli affidamenti.

Il ricorso ex art. 700 c.p.c., com’è noto, si qualifica come una misura cautelare con funzione anticipatoria degli effetti della decisione di merito. Tale ricorso è subordinato alla sussistenza di una serie di presupposti, tra i quali la dimostrazione da parte del ricorrente del periculum in mora (Trib. Catania, ord. 5 gennaio 2004), del fumus boni iuris (Trib. Milano, ord. 9 febbraio 2005), della irreparabilità, gravità ed imminenza del danno (Trib. Napoli, ord. 24 aprile 2000).

Nel caso di specie, il fumus boni iuris risultava acclarato da una pacifica e consolidata Giurisprudenza sul punto, mentre l’esistenza, tanto del periculum in mora quanto dell’irreperabilità, gravità ed imminenza del danno, apparivano evidenti, tanto che i ricorrenti parlavano correttamente di una società seduta “su una bomba ad orologeria”.

Infatti entro il 25 di dicembre la Banca Monte dei Paschi di Siena avrebbe comunicato il falso saldo relativo al 30 novembre, mentre il 25 gennaio avrebbe comunicato il saldo relativo al 31 dicembre 2012: in questo minimo lasso di tempo vi era il gravissimo pericolo, rappresentato dal persistente sconfinamento, in grado di determinare un mutamento in peius dello status della ricorrente, con la conseguente perdita di ogni credito bancario.

Anche in questo caso, dunque, gli elementi presenti integravano una responsabilità, come evidenziato sopra, non solo da danno patrimoniale, ma anche da danno in re ipsa, conseguente ad una potenziale e pericolosissima esclusione dell’impresa dalla possibilità di accesso al credito bancario.

Sulla scorta, dunque, delle osservazioni dei ricorrenti, il GOT Maggiore, rilevando la presenza dei requisiti sopra citati, di cui all’art. 700 cpc, ha emesso un decreto particolarmente importante, confermandolo successivamente con ordinanza datata 08/01/2013, con la quale ha, inoltre, respinto tutte le istanze sollevate dalla controparte con la propria memoria.

La Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., è stata condannata all’“immediata rettifica della segnalazione effettuata e delle successive da effettuarsi alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia”.

Gli elementi di positività di tale pronuncia sono, dunque, ravvisabili innanzitutto, nella conferma di un orientamento giurisprudenziale oramai dominante, che configura il danno derivante da illegittima o erronea segnalazione alla Centrale Rischi, come danno dotato di una “autonoma dignità” rispetto a quello più prettamente di natura patrimoniale.

E, aspetto probabilmente ancora più rilevante, nella possibilità di ottenere una sua, autonoma, individuazione, in una fase, quella cautelare, significativamente antecedente a quella della pronuncia di merito. L’opzione offerta dall’art 700 cpc., nella “veste giuridica” sopra esposta, consente dunque di tutelare un utente rispetto ad un’ipotesi, quella dell’illegittima esclusione dall’accesso al credito motivata sulla base di presunte esposizioni debitorie extra-affidamento, in grado di produrre, nelle more dell’iter processuale, conseguenze fortemente pregiudizievoli e, verosimilmente, irreparabili.

Si tratta, in definitiva, di un provvedimento che conferma una linea evolutiva del diritto bancario (che cerca sempre di più di staccarsi dal “diritto delle banche”) sempre più attento alle posizioni soggettive di clienti, risparmiatori e imprese, attraverso un uso consapevole ed efficace, da parte di una certa avvocatura, degli strumenti giuridici e processuali offerti dall’ordinamento, e in virtù di una Magistratura che dimostra sempre maggiore sensibilità rispetto alle dinamiche negoziali tra utente e banca, caratterizzate, com’è noto, da una tradizionale disparità di potere contrattuale tra le parti contraenti.

TRIBUNALE DI LECCE

SEZIONE DISTACCATA DI GALATINA

Il Giudice

Nella causa civile iscritta al n. 495/08 R.G. promossa da

M. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Tanza ed elettivamente domiciliato nello studio di questi in Galatina al Corso Porta Luce n. 20

Contro

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Federico FEDELE ed elettivamente domiciliato nello studio di questi in Lecce alla Via Imbriani n. 30

Visto il ricorso ex art. 700 cpc - in corso di causa - depositato in data 17 dicembre 2012 dalla M. srl, ritenuto:

In fatto

Il giudizio n. 495 R.G. del 2008 è stato introdotto dalla M. Srl al fine di ottenere il ricalcolo dell’esatto dare-avere relativo ad un rapporto di apercredito utilizzata con scoperto su un c/c principale, con secondari confluenti, intrattenuto dall’attrice con la banca.

Nel corso del giudizio è stata espletata (depositata il 10 novembre 2010) CTU econometrica che ha evidenziato, alla data del 1° marzo 2008, un saldo “ricalcolato” di euro 38.383,46 (senza capitalizzazione: cfr. SU 24418/10), nettamente inferiore a quello riportato nell’e/c bancario e pari ad euro 147.386,23.

Il CTU, chiamato a chiarimenti, in data 13 febbraio 2012 depositava un ulteriore schema il quale evidenziava, anche tenuto conto del quesito formulato dal CTP della banca, che il presunto credito bancario ammontava ad euro 49.510,72; mentre applicando un ulteriore criterio suggerito da parte attrice il credito veniva ridotto ad euro 32.742,66.

Con ricorso ex art. 700 cpc depositato, in data 17 dicembre 2012, in corso di causa, la M. Srl deduceva che, nel corso del giudizio ordinario, la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., a fronte di un “accordato” di euro 240.000 abbia segnalato un “rischio di revoca” ma “utilizzato” per euro 474.418, così come risulta dalla documentazione prodotta a sostegno del ricorso.

In diritto

La presentazione del ricorso in corso di causa determina una situazione di non sussidiarietà nella gestione della fattispecie con differenti possibili strumenti processuali, poiché diversamente decidendo si appesantirebbe oltremodo la parte attrice con un aggravamento dell’onere della prova sia sull’esistenza del fumus boni juris che del periculum in mora, essendo evidente che un ricorso ex novo (promosso anche con diverso procedimento) non godrebbe appieno (in termini temporali, ma anche di cognizione) delle difese e del materiale raccolto nel procedimento ordinario naturale del giudizio in cui viene promosso (specialmente se dura da vari anni).

Sul fumus boni juris

L’esigenza di celerità propria della cognizione cautelare può essere praticamente assicurata sia sulle cadenze ordinatorie del processo, autorizzando p. es. termini di comparizione brevissimi nonché l’omissione di ogni formalità non essenziale al contraddittorio (si veda l’art. 669 sexies cpc); dall’altro si deve legittimare il giudice a decidere anche sulla base di materiale probatorio incompleto, qualora il tempo necessario per il completamento dell’istruttoria si appalesi troppo lungo in relazione alle concrete esigenze di velocità di tutela. Il fumus boni iuris o «parvenza di buon diritto è la prima condizione che in limine litis il giudice è chiamato ad accertare, sulla base, di una cognizione strutturalmente semplificata rispetto al giudizio di merito, per poter così concedere alla parte istante un provvedimento d’urgenza. Le difese espletate dalle parti e la conferma di alcuni pacifici principi anche nella recente giurisprudenza (cfr. SU n. 24418/2010), nonché gli esiti della CTU sulla base dei quesiti proposti, muniscono il ricorso sia della sussistenza della situazione giuridica soggettiva posta a fondamento della domanda cautelare, che del giudizio di probabilità e di verosimiglianza della bontà delle domande della ricorrente: i risultati della CTU alla stregua dei quesiti proposti evidenziano, quanto meno, una forte discrasia relativa al dato numerico risultante dal saldo bancario, rispetto a quello ricalcolato.

Sul periculum in mora

L’esistenza di un certo comportamento illecito (ad es. capitalizzazione composta ed altre competenze illegittime) della convenuta è stato dimostrato essere ancora in corso ed è produttivo di un pregiudizio imminente e irreparabile, potenzialmente in continuo aumento, per parte ricorrente, determinando una situazione di non sussidiarietà della gestione della presente fattispecie con differenti strumenti. E’ quindi provata, anche quantitativamente a mezzo di CTU, l’attualità del pericolo per la ricorrente di essere esposta a subire danni, sempre maggiori, sino alla definizione del giudizio di merito. L’irreparabilità del pregiudizio che giustifica l’accoglimento del ricorso ex art. 700 c.p.c., va intesa non solo nel senso di irreversibilità del danno alla situazione soggettiva di cui si invoca la cautela ma anche come insuscettibilità di tutela piena ed effettiva della situazione medesima all’esito del giudizio di merito: trattasi, in altri termini, di fattispecie che ricorre ove l’istante abbia a disposizione strumenti risarcitori per la riparazione del pregiudizio sofferto ma gli stessi non appaiano in grado di assicurare una tutela satisfattoria completa, con conseguente determinarsi di uno "scarto intollerabile" tra danno subito e danno risarcito (cfr. Tribunale di Catanzaro, sezione seconda, ordinanza del 10.2.2012 - Dott. LANIA), come accade per i danni derivanti da errata segnalazione alla centrale dei rischi, dove il risarcimento avviene pressoché equitativamente, senza riuscire a cogliere la fatalità degli stessi.

Una perdurante errata e considerevole segnalazione di “sconfinamento”, in quanto idonea a provocare un abbassamento del rating del segnalato con un ingiustificato innalzamento dei tassi e competenze, comporta la “saturazione delle possibilità di credito” limitando apprezzabilmente le ulteriori possibilità di ricorrere al credito ed è idonea a provocare la risoluzione dei rapporti di credito in essere.

Sussistono, altresì i presupposti per provvedere inaudita altera parte ex art. 669 sexies cpc potendo, in ipotesi, la previa convocazione della parte resistente pregiudicare l’attuazione del provvedimento stante i tempi brevissimi relativi alla comunicazione della Banca alla centrale dei rischi relativa al mese di novembre, nonchè la successiva del mese di dicembre 2012.

P.Q.M.

Visto l’art. 700 c.p.c.

Ordina

alla BANCA MONTE dei PASCHI di SIENA S.p.A.:

1. di rettificare immediatamente, con la notifica del presente atto, la segnalazione effettuata e le successive da effettuarsi alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia, segnalando una somma debitoria (voce “utilizzato”), non superiore a € 49.510,72 (dato evidenziato in CTU, seppur nell’ipotesi più sfavorevole alla ricorrente), compresa nei limiti voce “accordato operativo” (pari ad € 240.000,00);

2. di redigere, sulla scorta dei quesiti e metodologie indicate in CTU, con esclusione delle modalità relative a capitalizzazioni in favore della banca, i nuovi saldi ricalcolati del c/c, depositandoli nella prossima udienza di comparizione;

fissa

per la comparizione delle parti avanti a se per la revoca, modifica o conferma del decreto ai sensi dell’art. 669 sexies cpc l’udienza del 03 gennaio 2013, nei 15 giorni dall’emissione del presente procedimento, assegnando alla ricorrente termine fino a giorni 8 dall’emissione del presente rimedio, per la notifica alla controparte del ricorso e del presente provvedimento, riservando ogni ulteriore pronuncia (anche relativamente alle spese della presente fase) all’esito della fissata udienza.

Si comunichi, Galatina, 20 dicembre 2012

Il Giudice

Alessandro MAGGIORE

All’udienza del 3 gennaio 2012 la banca si costituiva ed il Tribunale si riservava nuovamente, adottando il seguente provvedimento:

TRIBUNALE DI LECCE

SEZIONE DISTACCATA DI GALATINA

Il Giudice

Nella causa civile iscritta al n. 495/08 R.G. promossa da

M. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Tanza ed elettivamente domiciliato nello studio di questi in Galatina al Corso Porta Luce n. 20

Contro

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Federico Fedele ed elettivamente domiciliato nello studio di questi in Lecce alla Via Imbriani n. 30

Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato in data 17 dicembre 2012, la M. s.r.l., chiedeva a questa Autorità Giudicante, verificata la sussistenza degli estremi di cui all’art. 700 c.p.c., con decreto ed inaudita altera parte, o altro provvedimento, di voler ordinare alla BANCA MONTE dei PASCHI di SIENA S.p.A.:

1) di rettificare immediatamente il saldo derivante dal c/c bancario n. 631003.80 (già n. 5.72 ed ancor prima 9013.56) e collegati sulla base della CTU in atti;

2) operando l’immediata rettifica della segnalazione effettuata alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia e le future da effettuarsi, con l’evidenza di un utilizzo pari ad euro 32.742,66 (unico dato allo stato attendibile), non attuando illegittime variazioni dello status dell’azienda, ciò al fine di evitare il pacifico e certo ingiusto danno al patrimonio della M. Srl nelle more della conclusione dell’azione di merito, diretta ad accertare l’esatto dare-avere tra le parti in causa.

Con decreto emesso in data 20 dicembre 2012 questo Giudice ravvisando, alla luce di una sommaria valutazione dei fatti e degli elementi di diritto, l’esistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora, nonché la sussistenza dei presupposti per provvedere inaudita altera parte ex art. 669 sexies c.p.c., attesi i tempi brevissimi relativi alla comunicazione della Banca alla centrale dei rischi relativa al mese di novembre, nonché la successiva del mese di dicembre 2012, disponeva: - a carico della banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a. l’immediata rettifica, con la notifica del detto decreto, della segnalazione effettuata e le successive da effettuarsi alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia, segnalando una somma debitoria (voce “utilizzo”), non superiore a Euro 49.510,72 (dato evidenziato in CTU, seppur nell’ipotesi più sfavore alla ricorrente), compresa nei limiti voce “accordato operativo” (pari ad Euro 240.000,00); - di redigere, sulla scorta dei quesiti e metodologie indicate in CTU, con esclusione delle modalità relative a capitalizzazioni in favore della banca, i nuovi saldi ricalcolati del c/c, depositandoli nella prossima udienza di comparizione.

Fissava, altresì, la comparizione delle parti avanti a sé per la revoca, modifica o conferma del decreto ai sensi dell’art. 669 sexies c.p.c. all’udienza del 3 gennaio 2013, assegnando alla ricorrente termine perentorio fino a 8 giorni dall’emissione del decreto, per la notifica al resistente del detto decreto e del ricorso cautelare, riservando ogni ulteriore pronuncia (anche relativamente alle spese della presente fase) all’esito della fissata udienza.

All’udienza citata compariva in giudizio il ricorrente che depositava l’originale della copia autentica del ricorso cautelare con pedissequo provvedimento, regolarmente notificato, nonché computo dei saldi ricalcolati al 31 dicembre 2012.

Compariva, altresì, parte resistente la quale depositava memoria avverso ricorso ex art. 700 c.p.c. in corso di causa con la quale contestava sotto vari profili la pretesa della ricorrente e chiedeva la declaratoria della inammissibilità ed improcedibilità del ricorso, o il suo rigetto per carenza dei requisiti di legge in quanto, in particolare: 1) in via preliminare ed assorbente, nel presente giudizio parte ricorrente non ha promosso alcuna azione risarcitoria in danno della Banca in relazione a quella che ritiene una illegittima segnalazione alla Centrale rischi; 2) nel merito, per mancata prova della sussistenza del periculum in mora e del fumus boni iuris; comunque, per mancanza del periculum in mora. Concludeva pertanto per la revoca del provvedimento emesso il 20.12.2012 inaudita altera parte; la dichiarazione dell’avverso ricorso inammissibile, irricevibile ovvero improcedibile con condanna di controparte ex art. 96 c.p.c., nonché al pagamento delle spese della presente fase cautelare. Parte resistente con la detta memoria, coglieva, altresì l’occasione per domandare a questo Giudice l’emissione di ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. per l’importo di Euro 49.510,72 per come quantificato dalla c.t.u. per dott. B., oltre interessi e rivalutazione monetaria decorrenti dal 16.12.2008 data del deposito della comparsa di costituzione con domanda riconvenzionale della banca nel presente giudizio.

A riguardo, parte resistente deduceva che ricorrono tutti gli elementi della detta norma essendosi chiusa l’istruttoria ed essendo stata fissata per il 12.02.2013 l’udienza per la precisazione delle conclusioni.

Parte ricorrente insisteva per la conferma del provvedimento de quo e per il rigetto dell’avversa istanza di ordinanza ex art. 186 quater c.p.c.

All’esito dell’udienza questo Giudice assumeva la causa in riserva.

Tanto premesso, si osserva quanto segue:

- Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione d’inammissibilità, irricevibilità ed improcedibilità della tutela del ricorso per non aver parte ricorrente promosso nel presente giudizio alcuna azione risarcitoria in danno della Banca in relazione a quella che ritiene una illegittima segnalazione alla Centrale rischi. In verità, nel caso in esame è di tutta evidenza che la necessità cautelare non è mai stata legata ad un’azione risarcitoria, bensì alla corretta comunicazione alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia dell’esatto dare-avere. Il giudizio n. 495 R.G. del 2008 è stato introdotto dalla M. Srl al fine di ottenere il ricalcolo dell’esatto dare-avere relativo ad un rapporto di apercredito utilizzata con scoperto su un c/c principale, con secondari confluenti, intrattenuto dall’attrice con la banca e detto ricalcolo costituisce elemento fondamentale per la comunicazione alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia del saldo. Detta comunicazione, inoltre, è dovuta per legge in quanto si tratta di un servizio gestito dalla Banca d’Italia e disciplinato dalla delibera del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) del 29 marzo 1994 e dalle circolari emanate dalla Banca d’Italia fra le quali vi è la circolare n, 139 dell’11 febbraio 2004 ( cfr. D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 51 e art. 53, comma 1, lett. b), art. 67, comma 1, lett. b), artt. 106 e 107 - come integrati: a) dalla Delib. Comitato interministeriale del credito e del risparmio (CICR) 29 marzo 1994; b) dalla Circolare Banca d’Italia n. dell’11 febbraio 1991 in tema di istruzioni per gli intermediari creditizi nel testo risultante dall’8^ aggiornamento del 14 novembre 2001 e dal provvedimento della Banca d’Italia del 5 agosto 1995 denominato “Obbligo di partecipazione degli intermediari finanziari al servizio di centralizzazione dei rischi gestito dalla Banca d’Italia ed infine dalle “Modifiche alla Circolare 139/91. Centrale dei rischi. Istruzioni per gli intermediari Creditizi” della stessa Banca d’Italia del novembre 2009). Il punto 6.5 del foglio informativo così dispone: “Se ci sono errori nelle segnalazioni trasmesse, gli intermediari devono inviare subito le relative rettifiche. La C.R. acquisisce le rettifiche e le comunica immediatamente a tutti gli intermediari che avevano ricevuto l’informazione errata”. In sostanza, dunque, nel caso in esame la CTU è servita a delineare l’oggetto della domanda, ovvero l’esatto saldo e, dunque, anche il dato che la banca avrebbe dovuto comunicare alla C.R.

- Del pari devono essere rigettate le eccezioni di merito sollevate da parte resistente volte a sostenere la revoca del provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. in corso di causa per non aver parte ricorrente provato la sussistenza dei presupposti del periculum in mora e del fumus boni iuris e comunque per insussistenza degli stessi. Infatti, il risultato della CTU che si discosta fortemente dal saldo dell’e/c bancario, già di per sé, prova il fumus boni iuris, quanto al periculum in mora è oramai acquisito nella giurisprudenza di merito ma anche in quella di legittimità (Cassazione civile sez. I, 24 maggio 2010, n. 12626 Banca Carime c/ I.MAR.FA. SRL) che l’errata segnalazione alla C.R. provoca un danno “in re ipsa” e la misura cautelare serve proprio ad evitare/limitare quel danno.

Segue l’accoglimento del ricorso e la conferma del predetto provvedimento.

La pronuncia delle spese deve essere rimessa al giudizio di merito trattandosi di provvedimento di accoglimento di misura cautelare.

- Quanto all’istanza di emissione di ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. per l’importo di Euro 49.510,72 per come quantificato dalla c.t.u. per dott. Bellantone, oltre interessi e rivalutazione monetaria decorrenti dal 16.12.2008, la stessa non può trovare accoglimento non ricorrendone i presupposti, anche perché il saldo indicato dalla difesa della banca non è l’unico risultato rilevato dal CTU, anzi è quello più favorevole alla banca. Inoltre non risulta depositato agli atti il computo richiesto nel provvedimento cautelare.

P.Q.M.

Visti gli artt. 700 c.p.c. e 186-quater c.p.c.

Ogni diversa istanza disattesa

1) accoglie il ricorso proposto da M. s.r.l. nei confronti della banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a. e per l’effetto, a conferma del provvedimento emesso inaudita altera parte in data 20 dicembre 2012, condanna il resistente all’immediata rettifica della segnalazione effettuata e le successive da effettuarsi alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia, segnalando una somma debitoria (voce “utilizzo”), non superiore a Euro 49.510,72 (dato evidenziato in CTU, seppur nell’ipotesi più sfavore alla ricorrente), compresa nei limiti voce “accordato operativo” (pari ad Euro 240.000,00);

2) dichiara chiusa la fase d’urgenza;

3) Spese all’esito del giudizio di merito

Si comunichi

Così deciso in Galatina, l’8 gennaio 2013

Il Giudice

Alessandro MAGGIORE

Il 2013 si è aperto con un nuovo ed importante colpo inferto al sistema bancario italiano, il quale, a fronte di una crisi economica che sta strangolando famiglie ed imprese, continua sovente a dimostrarsi indifferente e senza scrupoli, nei confronti dei malcapitati clienti.Una delle tante manifestazioni di “strapotere” che caratterizzano le banche italiane, infatti, è rappresentata dall’uso strumentale della cosiddetta “segnalazione” alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia.

La Centrale dei Rischi, com’è noto, è un sistema informativo sull’indebitamento della clientela nei confronti delle banche e degli intermediari finanziari, vigilati dalla Banca d’Italia. Attraverso tale servizio centralizzato dei rischi, la Banca d’Italia fornisce agli intermediari partecipanti al sistema un’informativa utile per la valutazione del merito creditizio della clientela e, in generale, per l’analisi e la gestione del rischio di credito. Si tratta, dunque, di uno strumento pensato dal Legislatore in funzione di un interesse pubblico, quello della tutela del risparmio, attraverso una valutazione della solvibilità dei richiedenti il credito.

A fronte di tale interesse pubblico, è evidentemente un’opzione che impone estrema cautela nel suo utilizzo, perché in grado di innescare un “meccanismo a catena”, particolarmente dannoso per il cliente, per una serie di ragioni. In primo luogo, perché determina l’esclusione, dal sistema del credito, di un soggetto, per esempio un’impresa, che fa dell’accesso al credito, una condizione indispensabile per la propria sopravvivenza. In secondo luogo, e a maggior ragione, per il fatto che, l’istruttoria per l’accertamento della posizione o meno di sofferenza del credito, viene effettuata unilateralmente, senza che vi partecipi, in qualche forma di contraddittorio, l’imprenditore interessato.

Le banche, dunque, nel comunicare alla Banca d’Italia le esposizioni debitorie extra-affidamento, così come rilevate dagli e/c bancari, si assumono ogni rischio connesso alla veridicità degli stessi.

Ne consegue, soprattutto, che l’illegittima o errata segnalazione da parte della Banca, costituisce un danno, ingiustamente arrecato al cliente, sotto diversi profili.

Sul punto, esiste una consolidata giurisprudenza. In particolare, è stato stabilito che la responsabilità della Banca segnalante in caso di comunicazione erronea alla Centrale dei Rischi sembra potersi ricondurre, innanzitutto, nell’ambito di una responsabilità da false informazioni, in ordine alla quale è pacificamente riconosciuto il diritto al risarcimento del danno (ex multis Cassazione civile sez. I, 24 maggio 2010, n. 12626).

Storicamente il Tribunale di Milano, già con l’ordinanza 19 febbraio 2001, ha configurato tale responsabilità sia come extracontrattuale, (da fatto illecito) ex art. 2043 c.c., sia come responsabilità contrattuale, per violazione di norme di comportamento esistenti tra banca ed utente, a partire dagli artt. 1175, 1374, 1375.

Inoltre, la riduzione o persino l’impossibilità di accedere al sistema bancario comporta indubbiamente la riduzione delle possibilità di guadagni futuri, con il rischio di arrivare anche ad una lesione del diritto – costituzionalmente garantito all’art. 41 della Costituzione – di iniziativa economica privata, che, come è noto, si alimenta grazie al credito bancario, l’accesso al quale, a seguito di una ingannevole segnalazione presso la Centrale dei Rischi, è inevitabilmente precluso.

Difatti, occorre in proposito precisare che le banche, con certezza subiscono un condizionamento negativo qualora dall’informativa dovesse emergere l’esistenza di una posizione segnalata “in sofferenza”; in tale atteggiamento si riflette infatti la generale riluttanza (legittima in astratto) degli operatori a concedere credito a soggetti la cui situazione patrimoniale, in certi ambienti economici, sia stata valutata come inaffidabile e precaria.

Non si tratta, però, solo di responsabilità derivante da danno di natura patrimoniale. L’illegittimo blocco della ordinaria situazione generale di credito del ricorrente, e quindi della relativa situazione patrimoniale complessiva, l’impossibilità di ottenere da un giorno all’altro ogni finanziamento o movimentazione del credito indispensabile per l’ordinaria gestione dell’azienda, comporta l’effettivo e scontato “collasso” nella ordinaria gestione della stessa, con irrimediabile danno morale ed economico dovuto alla perdita di immagine, di competitività sul mercato, di ordinaria gestione di cassa, con evidente possibilità di addivenire quindi a posteriori e senza colpa alcuna ma per esclusiva responsabilità della Banca, in quella situazione di insolvibilità che causerebbe inevitabilmente il fallimento dall’azienda e la conseguente perdita di posti di lavoro.

Si determina in questo caso un danno che si ritiene in re ipsa e che legittima pertanto il diritto al risarcimento senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova dell’esistenza del danno. La Giurisprudenza sul punto è consolidata:

Da quanto innanzi discende la fondatezza della domanda attorea relativamente al danno da illegittima segnalazione presso la Centrale Rischi. Invero, il danno da illegittima segnalazione presso Centrale Rischi si profila sia nell’ipotesi di c.d. errore nella segnalazione di categoria (cioè a sofferenza e non ad incaglio, ecc.) che nel c.d. errore di quantificazione della presunta esposizione. Più grave è il primo errore, in quanto comporta la preclusione del credito, mentre il secondo comporta, nell’ipotesi più lieve, una saturazione dei credito, sino all’effettiva impossibilità di ottenere credito. Ovviamente, nella maggior parte delle volte, gli errori convivono. Il danno da informazione inesatta non si esplica soltanto nella mancata concessione di nuove linee di credito ma anche alla lesione della reputazione personale e commerciale, pregiudicata da un’erronea segnalazione che certamente costituisce causa di discredito del soggetto coinvolto, tanto più ove il discredito avvenga all’interno del sistema creditizio il quale fa fronte comune nella (di norma giustificata) difesa dagli insolventi o da chi è ritenuto tale anche da uno solo degli aderenti. Difatti «la segnalazione di una “sofferenza” non più esistente, conferendo pubblicità interbancaria ad un non reale protrarsi dell’insolvenza del debitore, è destinata ad assumere rilevanza peculiare in un’ottica commerciale ed imprenditoriale, risolvendosi in una complessa vicenda di indubitabile discredito patrimoniale, idonea a provocare un danno anche della reputazione imprenditoriale del segnalato. In tal caso è ipotizzabile una responsabilità dell’azienda di credito verso il cliente ingiustamente, e quindi antigiuridicamente, segnalato alla Centrale dei Rischi» (Trib. Bari, sez. I, G.U. dott. Cirillo, sent. del 22 dicembre 2000). Si determina in questo caso un danno che si ritiene in re ipsa e che legittima, pertanto, il diritto al risarcimento senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova dell’esistenza del danno (Cass. civ., Sez. III, sent. n, 4881 del 19/01/2001; Cass. civ. sent. n. 1103 del 05/11/1998). Tribunale di Bari, Sez. Dist. di Rutigliano, Dott. Nicola ACHILLE, Sent. n. 165 del 26 marzo 2012 (cfr. anche Tribunale di Novara, Dott. Simona GAMBACORTA, sent. n. 515 parz. del 18 maggio 2010; Tribunale di Lecce Sez. Maglie – Dott. Angelo Rizzo, Sent. 246 del 12 luglio 2010; Tribunale di Lecce Sez. Maglie – Dott. Angelo Rizzo, Sent. 246 del 12 luglio 2010, tutte edite in www.studiotanza.it).

La segnalazione alla Centrale dei rischi presso la Banca d’Italia, a cui tutto il sistema bancario è tenuto per legge, risulta quasi sempre del tutto illegittima poiché il saldo effettivo è differente da quello denunciato dalla Banca: il danno è pari a quello dell’illegittimo protesto e per la quantificazione dello stesso spesso l’utente non può che rimettersi alla Giustizia. La prova del danno da errata segnalazione a centrale dei rischi è, infatti, difficile da provare: le banche non rilasciano alcuna attestazione di diniego dell’affidamento.

Tuttavia è altrettanto pacifico che una segnalazione negativa in Centrale determini la chiusura del credito: l’imprenditore che riesce a documentare i danni è rarissimo. Ecco perché la Magistratura più obiettiva ricorre, oramai, ad una liquidazione equitativa del danno da erronea segnalazione alla Centrale dei rischi.

La Giurisprudenza di legittimità ha, sul punto, sottolineato più volte «l’inevitabile perturbazione dei rapporti economici, e una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o dalla privazione di un valore del soggetto e del suo patrimonio alla quale il risarcimento deve essere commisurato» (…). Pertanto è corretto anche il ricorso alla liquidazione del danno con criteri equitativi, ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., ammissibile secondo la giurisprudenza di legittimità qualora l’attività istruttoria svolta non consenta di dare certezza alla misura del danno stesso, come avviene quando, essendone certa l’esistenza, risulti impossibile o estremamente difficoltoso provare la precisa durata del pregiudizio economico, subito» (Cass. 19883/2005; 8271/2004; 188/1996).

Se, dunque, quanto sopra detto riposa su una consolidata Giurisprudenza, soltanto in parte indicata in questa sede, lo stesso non può dirsi per quella che può considerarsi l’ultima “frontiera” della lotta allo strapotere delle banche, che in questa sede è fondamentale evidenziare per la sua portata straordinariamente innovativa.

Il crescente sviluppo della sensibilità della Giurisprudenza sull’importanza della segnalazione alla CR ha comportato, anche con riferimento alla regolamentazione MIFID, la consapevolezza che la comunicazione di un erroneo sconfino, superiore ai 180 giorni (c.d. past due) crea un evidente danno al cliente.

Nasce, così, l’esigenza di evitare all’origine danni all’impresa; danni certi ma, come si è visto, difficilmente dimostrabili, che inevitabilmente conducono verso il disdoro commerciale con conseguente innalzamento del costo del denaro, sia presso l’istituto segnalante che verso l’intero sistema creditizio. Questa iniziale patologia comporta attraverso la riduzione del credito e l’aumento delle competenze e del costo del denaro una, spesso irreversibile crisi aziendale, cge porta alla c.d. sofferenza.

Insomma, la Giurisprudenza ha capito che “la medicina” è efficace se somministrata all’inizio della patologia: una cura tardiva, spesso, è inutile: infatti, un cliente segnalato “a sofferenza” è un cliente praticamente privo di credito e vita aziendale.

Il Tribunale di Lecce – Sez. distaccata di Galatina, con decreto, inaudita altera parte, emesso in data 20 dicembre 2012 dal Dott. Alessandro Maggiore, ha accolto il ricorso proposto ex Art. 700 cpc, dalla società M. Srl, in relazione ad una segnalazione alla Centrale Rischi compiuta dalla Banca Monte dei Paschi S.p.A. con riferimento ad un erroneo sconfino, superiore ai 180 giorni (c.d. past due); decreto confermato il successivo 8 gennaio 2013.

Dalle risultanze processuali è emerso che tale segnalazione sia stata assolutamente illegittima in quanto basata su un saldo dì e/c bancario erroneamente (e dopo lo svolgimento della CTU dolosamente) quantificato, creando un gravissimo pregiudizio, a breve irreparabile, a M. Srl, derivante sia dal vertiginoso aumentare delle competenze delle altre banche con cui intrattiene rapporti la ricorrente (dovute all’abbassamento del rating aziendale conseguente a simile segnalazione), che dalle sempre più pressanti minacce dì revoca degli affidamenti.

Il ricorso ex art. 700 c.p.c., com’è noto, si qualifica come una misura cautelare con funzione anticipatoria degli effetti della decisione di merito. Tale ricorso è subordinato alla sussistenza di una serie di presupposti, tra i quali la dimostrazione da parte del ricorrente del periculum in mora (Trib. Catania, ord. 5 gennaio 2004), del fumus boni iuris (Trib. Milano, ord. 9 febbraio 2005), della irreparabilità, gravità ed imminenza del danno (Trib. Napoli, ord. 24 aprile 2000).

Nel caso di specie, il fumus boni iuris risultava acclarato da una pacifica e consolidata Giurisprudenza sul punto, mentre l’esistenza, tanto del periculum in mora quanto dell’irreperabilità, gravità ed imminenza del danno, apparivano evidenti, tanto che i ricorrenti parlavano correttamente di una società seduta “su una bomba ad orologeria”.

Infatti entro il 25 di dicembre la Banca Monte dei Paschi di Siena avrebbe comunicato il falso saldo relativo al 30 novembre, mentre il 25 gennaio avrebbe comunicato il saldo relativo al 31 dicembre 2012: in questo minimo lasso di tempo vi era il gravissimo pericolo, rappresentato dal persistente sconfinamento, in grado di determinare un mutamento in peius dello status della ricorrente, con la conseguente perdita di ogni credito bancario.

Anche in questo caso, dunque, gli elementi presenti integravano una responsabilità, come evidenziato sopra, non solo da danno patrimoniale, ma anche da danno in re ipsa, conseguente ad una potenziale e pericolosissima esclusione dell’impresa dalla possibilità di accesso al credito bancario.

Sulla scorta, dunque, delle osservazioni dei ricorrenti, il GOT Maggiore, rilevando la presenza dei requisiti sopra citati, di cui all’art. 700 cpc, ha emesso un decreto particolarmente importante, confermandolo successivamente con ordinanza datata 08/01/2013, con la quale ha, inoltre, respinto tutte le istanze sollevate dalla controparte con la propria memoria.

La Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., è stata condannata all’“immediata rettifica della segnalazione effettuata e delle successive da effettuarsi alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia”.

Gli elementi di positività di tale pronuncia sono, dunque, ravvisabili innanzitutto, nella conferma di un orientamento giurisprudenziale oramai dominante, che configura il danno derivante da illegittima o erronea segnalazione alla Centrale Rischi, come danno dotato di una “autonoma dignità” rispetto a quello più prettamente di natura patrimoniale.

E, aspetto probabilmente ancora più rilevante, nella possibilità di ottenere una sua, autonoma, individuazione, in una fase, quella cautelare, significativamente antecedente a quella della pronuncia di merito. L’opzione offerta dall’art 700 cpc., nella “veste giuridica” sopra esposta, consente dunque di tutelare un utente rispetto ad un’ipotesi, quella dell’illegittima esclusione dall’accesso al credito motivata sulla base di presunte esposizioni debitorie extra-affidamento, in grado di produrre, nelle more dell’iter processuale, conseguenze fortemente pregiudizievoli e, verosimilmente, irreparabili.

Si tratta, in definitiva, di un provvedimento che conferma una linea evolutiva del diritto bancario (che cerca sempre di più di staccarsi dal “diritto delle banche”) sempre più attento alle posizioni soggettive di clienti, risparmiatori e imprese, attraverso un uso consapevole ed efficace, da parte di una certa avvocatura, degli strumenti giuridici e processuali offerti dall’ordinamento, e in virtù di una Magistratura che dimostra sempre maggiore sensibilità rispetto alle dinamiche negoziali tra utente e banca, caratterizzate, com’è noto, da una tradizionale disparità di potere contrattuale tra le parti contraenti.

TRIBUNALE DI LECCE

SEZIONE DISTACCATA DI GALATINA

Il Giudice

Nella causa civile iscritta al n. 495/08 R.G. promossa da

M. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Tanza ed elettivamente domiciliato nello studio di questi in Galatina al Corso Porta Luce n. 20

Contro

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Federico FEDELE ed elettivamente domiciliato nello studio di questi in Lecce alla Via Imbriani n. 30

Visto il ricorso ex art. 700 cpc - in corso di causa - depositato in data 17 dicembre 2012 dalla M. srl, ritenuto:

In fatto

Il giudizio n. 495 R.G. del 2008 è stato introdotto dalla M. Srl al fine di ottenere il ricalcolo dell’esatto dare-avere relativo ad un rapporto di apercredito utilizzata con scoperto su un c/c principale, con secondari confluenti, intrattenuto dall’attrice con la banca.

Nel corso del giudizio è stata espletata (depositata il 10 novembre 2010) CTU econometrica che ha evidenziato, alla data del 1° marzo 2008, un saldo “ricalcolato” di euro 38.383,46 (senza capitalizzazione: cfr. SU 24418/10), nettamente inferiore a quello riportato nell’e/c bancario e pari ad euro 147.386,23.

Il CTU, chiamato a chiarimenti, in data 13 febbraio 2012 depositava un ulteriore schema il quale evidenziava, anche tenuto conto del quesito formulato dal CTP della banca, che il presunto credito bancario ammontava ad euro 49.510,72; mentre applicando un ulteriore criterio suggerito da parte attrice il credito veniva ridotto ad euro 32.742,66.

Con ricorso ex art. 700 cpc depositato, in data 17 dicembre 2012, in corso di causa, la M. Srl deduceva che, nel corso del giudizio ordinario, la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., a fronte di un “accordato” di euro 240.000 abbia segnalato un “rischio di revoca” ma “utilizzato” per euro 474.418, così come risulta dalla documentazione prodotta a sostegno del ricorso.

In diritto

La presentazione del ricorso in corso di causa determina una situazione di non sussidiarietà nella gestione della fattispecie con differenti possibili strumenti processuali, poiché diversamente decidendo si appesantirebbe oltremodo la parte attrice con un aggravamento dell’onere della prova sia sull’esistenza del fumus boni juris che del periculum in mora, essendo evidente che un ricorso ex novo (promosso anche con diverso procedimento) non godrebbe appieno (in termini temporali, ma anche di cognizione) delle difese e del materiale raccolto nel procedimento ordinario naturale del giudizio in cui viene promosso (specialmente se dura da vari anni).

Sul fumus boni juris

L’esigenza di celerità propria della cognizione cautelare può essere praticamente assicurata sia sulle cadenze ordinatorie del processo, autorizzando p. es. termini di comparizione brevissimi nonché l’omissione di ogni formalità non essenziale al contraddittorio (si veda l’art. 669 sexies cpc); dall’altro si deve legittimare il giudice a decidere anche sulla base di materiale probatorio incompleto, qualora il tempo necessario per il completamento dell’istruttoria si appalesi troppo lungo in relazione alle concrete esigenze di velocità di tutela. Il fumus boni iuris o «parvenza di buon diritto è la prima condizione che in limine litis il giudice è chiamato ad accertare, sulla base, di una cognizione strutturalmente semplificata rispetto al giudizio di merito, per poter così concedere alla parte istante un provvedimento d’urgenza. Le difese espletate dalle parti e la conferma di alcuni pacifici principi anche nella recente giurisprudenza (cfr. SU n. 24418/2010), nonché gli esiti della CTU sulla base dei quesiti proposti, muniscono il ricorso sia della sussistenza della situazione giuridica soggettiva posta a fondamento della domanda cautelare, che del giudizio di probabilità e di verosimiglianza della bontà delle domande della ricorrente: i risultati della CTU alla stregua dei quesiti proposti evidenziano, quanto meno, una forte discrasia relativa al dato numerico risultante dal saldo bancario, rispetto a quello ricalcolato.

Sul periculum in mora

L’esistenza di un certo comportamento illecito (ad es. capitalizzazione composta ed altre competenze illegittime) della convenuta è stato dimostrato essere ancora in corso ed è produttivo di un pregiudizio imminente e irreparabile, potenzialmente in continuo aumento, per parte ricorrente, determinando una situazione di non sussidiarietà della gestione della presente fattispecie con differenti strumenti. E’ quindi provata, anche quantitativamente a mezzo di CTU, l’attualità del pericolo per la ricorrente di essere esposta a subire danni, sempre maggiori, sino alla definizione del giudizio di merito. L’irreparabilità del pregiudizio che giustifica l’accoglimento del ricorso ex art. 700 c.p.c., va intesa non solo nel senso di irreversibilità del danno alla situazione soggettiva di cui si invoca la cautela ma anche come insuscettibilità di tutela piena ed effettiva della situazione medesima all’esito del giudizio di merito: trattasi, in altri termini, di fattispecie che ricorre ove l’istante abbia a disposizione strumenti risarcitori per la riparazione del pregiudizio sofferto ma gli stessi non appaiano in grado di assicurare una tutela satisfattoria completa, con conseguente determinarsi di uno "scarto intollerabile" tra danno subito e danno risarcito (cfr. Tribunale di Catanzaro, sezione seconda, ordinanza del 10.2.2012 - Dott. LANIA), come accade per i danni derivanti da errata segnalazione alla centrale dei rischi, dove il risarcimento avviene pressoché equitativamente, senza riuscire a cogliere la fatalità degli stessi.

Una perdurante errata e considerevole segnalazione di “sconfinamento”, in quanto idonea a provocare un abbassamento del rating del segnalato con un ingiustificato innalzamento dei tassi e competenze, comporta la “saturazione delle possibilità di credito” limitando apprezzabilmente le ulteriori possibilità di ricorrere al credito ed è idonea a provocare la risoluzione dei rapporti di credito in essere.

Sussistono, altresì i presupposti per provvedere inaudita altera parte ex art. 669 sexies cpc potendo, in ipotesi, la previa convocazione della parte resistente pregiudicare l’attuazione del provvedimento stante i tempi brevissimi relativi alla comunicazione della Banca alla centrale dei rischi relativa al mese di novembre, nonchè la successiva del mese di dicembre 2012.

P.Q.M.

Visto l’art. 700 c.p.c.

Ordina

alla BANCA MONTE dei PASCHI di SIENA S.p.A.:

1. di rettificare immediatamente, con la notifica del presente atto, la segnalazione effettuata e le successive da effettuarsi alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia, segnalando una somma debitoria (voce “utilizzato”), non superiore a € 49.510,72 (dato evidenziato in CTU, seppur nell’ipotesi più sfavorevole alla ricorrente), compresa nei limiti voce “accordato operativo” (pari ad € 240.000,00);

2. di redigere, sulla scorta dei quesiti e metodologie indicate in CTU, con esclusione delle modalità relative a capitalizzazioni in favore della banca, i nuovi saldi ricalcolati del c/c, depositandoli nella prossima udienza di comparizione;

fissa

per la comparizione delle parti avanti a se per la revoca, modifica o conferma del decreto ai sensi dell’art. 669 sexies cpc l’udienza del 03 gennaio 2013, nei 15 giorni dall’emissione del presente procedimento, assegnando alla ricorrente termine fino a giorni 8 dall’emissione del presente rimedio, per la notifica alla controparte del ricorso e del presente provvedimento, riservando ogni ulteriore pronuncia (anche relativamente alle spese della presente fase) all’esito della fissata udienza.

Si comunichi, Galatina, 20 dicembre 2012

Il Giudice

Alessandro MAGGIORE

All’udienza del 3 gennaio 2012 la banca si costituiva ed il Tribunale si riservava nuovamente, adottando il seguente provvedimento:

TRIBUNALE DI LECCE

SEZIONE DISTACCATA DI GALATINA

Il Giudice

Nella causa civile iscritta al n. 495/08 R.G. promossa da

M. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Tanza ed elettivamente domiciliato nello studio di questi in Galatina al Corso Porta Luce n. 20

Contro

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Federico Fedele ed elettivamente domiciliato nello studio di questi in Lecce alla Via Imbriani n. 30

Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato in data 17 dicembre 2012, la M. s.r.l., chiedeva a questa Autorità Giudicante, verificata la sussistenza degli estremi di cui all’art. 700 c.p.c., con decreto ed inaudita altera parte, o altro provvedimento, di voler ordinare alla BANCA MONTE dei PASCHI di SIENA S.p.A.:

1) di rettificare immediatamente il saldo derivante dal c/c bancario n. 631003.80 (già n. 5.72 ed ancor prima 9013.56) e collegati sulla base della CTU in atti;

2) operando l’immediata rettifica della segnalazione effettuata alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia e le future da effettuarsi, con l’evidenza di un utilizzo pari ad euro 32.742,66 (unico dato allo stato attendibile), non attuando illegittime variazioni dello status dell’azienda, ciò al fine di evitare il pacifico e certo ingiusto danno al patrimonio della M. Srl nelle more della conclusione dell’azione di merito, diretta ad accertare l’esatto dare-avere tra le parti in causa.

Con decreto emesso in data 20 dicembre 2012 questo Giudice ravvisando, alla luce di una sommaria valutazione dei fatti e degli elementi di diritto, l’esistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora, nonché la sussistenza dei presupposti per provvedere inaudita altera parte ex art. 669 sexies c.p.c., attesi i tempi brevissimi relativi alla comunicazione della Banca alla centrale dei rischi relativa al mese di novembre, nonché la successiva del mese di dicembre 2012, disponeva: - a carico della banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a. l’immediata rettifica, con la notifica del detto decreto, della segnalazione effettuata e le successive da effettuarsi alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia, segnalando una somma debitoria (voce “utilizzo”), non superiore a Euro 49.510,72 (dato evidenziato in CTU, seppur nell’ipotesi più sfavore alla ricorrente), compresa nei limiti voce “accordato operativo” (pari ad Euro 240.000,00); - di redigere, sulla scorta dei quesiti e metodologie indicate in CTU, con esclusione delle modalità relative a capitalizzazioni in favore della banca, i nuovi saldi ricalcolati del c/c, depositandoli nella prossima udienza di comparizione.

Fissava, altresì, la comparizione delle parti avanti a sé per la revoca, modifica o conferma del decreto ai sensi dell’art. 669 sexies c.p.c. all’udienza del 3 gennaio 2013, assegnando alla ricorrente termine perentorio fino a 8 giorni dall’emissione del decreto, per la notifica al resistente del detto decreto e del ricorso cautelare, riservando ogni ulteriore pronuncia (anche relativamente alle spese della presente fase) all’esito della fissata udienza.

All’udienza citata compariva in giudizio il ricorrente che depositava l’originale della copia autentica del ricorso cautelare con pedissequo provvedimento, regolarmente notificato, nonché computo dei saldi ricalcolati al 31 dicembre 2012.

Compariva, altresì, parte resistente la quale depositava memoria avverso ricorso ex art. 700 c.p.c. in corso di causa con la quale contestava sotto vari profili la pretesa della ricorrente e chiedeva la declaratoria della inammissibilità ed improcedibilità del ricorso, o il suo rigetto per carenza dei requisiti di legge in quanto, in particolare: 1) in via preliminare ed assorbente, nel presente giudizio parte ricorrente non ha promosso alcuna azione risarcitoria in danno della Banca in relazione a quella che ritiene una illegittima segnalazione alla Centrale rischi; 2) nel merito, per mancata prova della sussistenza del periculum in mora e del fumus boni iuris; comunque, per mancanza del periculum in mora. Concludeva pertanto per la revoca del provvedimento emesso il 20.12.2012 inaudita altera parte; la dichiarazione dell’avverso ricorso inammissibile, irricevibile ovvero improcedibile con condanna di controparte ex art. 96 c.p.c., nonché al pagamento delle spese della presente fase cautelare. Parte resistente con la detta memoria, coglieva, altresì l’occasione per domandare a questo Giudice l’emissione di ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. per l’importo di Euro 49.510,72 per come quantificato dalla c.t.u. per dott. B., oltre interessi e rivalutazione monetaria decorrenti dal 16.12.2008 data del deposito della comparsa di costituzione con domanda riconvenzionale della banca nel presente giudizio.

A riguardo, parte resistente deduceva che ricorrono tutti gli elementi della detta norma essendosi chiusa l’istruttoria ed essendo stata fissata per il 12.02.2013 l’udienza per la precisazione delle conclusioni.

Parte ricorrente insisteva per la conferma del provvedimento de quo e per il rigetto dell’avversa istanza di ordinanza ex art. 186 quater c.p.c.

All’esito dell’udienza questo Giudice assumeva la causa in riserva.

Tanto premesso, si osserva quanto segue:

- Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione d’inammissibilità, irricevibilità ed improcedibilità della tutela del ricorso per non aver parte ricorrente promosso nel presente giudizio alcuna azione risarcitoria in danno della Banca in relazione a quella che ritiene una illegittima segnalazione alla Centrale rischi. In verità, nel caso in esame è di tutta evidenza che la necessità cautelare non è mai stata legata ad un’azione risarcitoria, bensì alla corretta comunicazione alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia dell’esatto dare-avere. Il giudizio n. 495 R.G. del 2008 è stato introdotto dalla M. Srl al fine di ottenere il ricalcolo dell’esatto dare-avere relativo ad un rapporto di apercredito utilizzata con scoperto su un c/c principale, con secondari confluenti, intrattenuto dall’attrice con la banca e detto ricalcolo costituisce elemento fondamentale per la comunicazione alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia del saldo. Detta comunicazione, inoltre, è dovuta per legge in quanto si tratta di un servizio gestito dalla Banca d’Italia e disciplinato dalla delibera del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) del 29 marzo 1994 e dalle circolari emanate dalla Banca d’Italia fra le quali vi è la circolare n, 139 dell’11 febbraio 2004 ( cfr. D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 51 e art. 53, comma 1, lett. b), art. 67, comma 1, lett. b), artt. 106 e 107 - come integrati: a) dalla Delib. Comitato interministeriale del credito e del risparmio (CICR) 29 marzo 1994; b) dalla Circolare Banca d’Italia n. dell’11 febbraio 1991 in tema di istruzioni per gli intermediari creditizi nel testo risultante dall’8^ aggiornamento del 14 novembre 2001 e dal provvedimento della Banca d’Italia del 5 agosto 1995 denominato “Obbligo di partecipazione degli intermediari finanziari al servizio di centralizzazione dei rischi gestito dalla Banca d’Italia ed infine dalle “Modifiche alla Circolare 139/91. Centrale dei rischi. Istruzioni per gli intermediari Creditizi” della stessa Banca d’Italia del novembre 2009). Il punto 6.5 del foglio informativo così dispone: “Se ci sono errori nelle segnalazioni trasmesse, gli intermediari devono inviare subito le relative rettifiche. La C.R. acquisisce le rettifiche e le comunica immediatamente a tutti gli intermediari che avevano ricevuto l’informazione errata”. In sostanza, dunque, nel caso in esame la CTU è servita a delineare l’oggetto della domanda, ovvero l’esatto saldo e, dunque, anche il dato che la banca avrebbe dovuto comunicare alla C.R.

- Del pari devono essere rigettate le eccezioni di merito sollevate da parte resistente volte a sostenere la revoca del provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. in corso di causa per non aver parte ricorrente provato la sussistenza dei presupposti del periculum in mora e del fumus boni iuris e comunque per insussistenza degli stessi. Infatti, il risultato della CTU che si discosta fortemente dal saldo dell’e/c bancario, già di per sé, prova il fumus boni iuris, quanto al periculum in mora è oramai acquisito nella giurisprudenza di merito ma anche in quella di legittimità (Cassazione civile sez. I, 24 maggio 2010, n. 12626 Banca Carime c/ I.MAR.FA. SRL) che l’errata segnalazione alla C.R. provoca un danno “in re ipsa” e la misura cautelare serve proprio ad evitare/limitare quel danno.

Segue l’accoglimento del ricorso e la conferma del predetto provvedimento.

La pronuncia delle spese deve essere rimessa al giudizio di merito trattandosi di provvedimento di accoglimento di misura cautelare.

- Quanto all’istanza di emissione di ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. per l’importo di Euro 49.510,72 per come quantificato dalla c.t.u. per dott. Bellantone, oltre interessi e rivalutazione monetaria decorrenti dal 16.12.2008, la stessa non può trovare accoglimento non ricorrendone i presupposti, anche perché il saldo indicato dalla difesa della banca non è l’unico risultato rilevato dal CTU, anzi è quello più favorevole alla banca. Inoltre non risulta depositato agli atti il computo richiesto nel provvedimento cautelare.

P.Q.M.

Visti gli artt. 700 c.p.c. e 186-quater c.p.c.

Ogni diversa istanza disattesa

1) accoglie il ricorso proposto da M. s.r.l. nei confronti della banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a. e per l’effetto, a conferma del provvedimento emesso inaudita altera parte in data 20 dicembre 2012, condanna il resistente all’immediata rettifica della segnalazione effettuata e le successive da effettuarsi alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia, segnalando una somma debitoria (voce “utilizzo”), non superiore a Euro 49.510,72 (dato evidenziato in CTU, seppur nell’ipotesi più sfavore alla ricorrente), compresa nei limiti voce “accordato operativo” (pari ad Euro 240.000,00);

2) dichiara chiusa la fase d’urgenza;

3) Spese all’esito del giudizio di merito

Si comunichi

Così deciso in Galatina, l’8 gennaio 2013

Il Giudice

Alessandro MAGGIORE