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Agenzia: è valida una clausola risolutiva in caso di mancato raggiungimento di obiettivi di vendita?

Una recente sentenza di merito prende posizione con encomiabile chiarezza sulla vexata quaestio della validità o meno di una clausola risolutiva in un contratto di agenzia, che legittimi la risoluzione “in tronco” del rapporto a prescindere dai presupposti di cui all’articolo 2119 del Codice Civile.

Nel caso di specie, il casus belli affondava le proprie radici nella risoluzione per giusta causa operata da una preponente italiana – produttrice di accessori per l’abbigliamento – nei confronti di un agente – società di capitali francese – in virtù di una clausola risolutiva espressa legata al mancato raggiungimento da parte dell’agente degli obiettivi minimi di vendita concordati.

Successivamente all’invio della lettera di risoluzione, la preponente conveniva in prevenzione l’agente francese davanti al proprio giudice, al fine di veder accertata e dichiarata la legittimità della propria posizione. La convenuta, ritualmente costituitasi in giudizio, reagiva chiedendo il totale rigetto delle domande attoree, eccependo la nullità della clausola risolutiva espressa ed avanzando una domanda riconvenzionale al fine di vedersi riconoscere l’indennità sostitutiva del preavviso e l’indennità di cessazione del rapporto.

Dopo lo scambio delle memorie ex articolo183 del Codice di Procedura Civile il Giudice tratteneva in decisione senza necessità di esperire alcuna istruttoria, ritenendo la causa matura e documentalmente provata. In sentenza, il Tribunale di Parma riconosceva la legittimità della risoluzione del contratto esercitata da parte attrice, dichiarando la validità della clausola risolutiva espressa, con conseguente diritto di risolvere il contratto in caso di mancato raggiungimento da parte dell’agente di un quantitativo minimo di ordini espressamente pattuito. Conseguentemente, veniva negato all’agente qualsiasi diritto all’indennità di mancato preavviso e di fine rapporto.

Il giudice nel riconoscere l’effettiva e valida pattuizione tra le parti di minimi contrattuali il cui mancato raggiungimento avrebbe legittimato la risoluzione del contratto, contestualmente respingeva la tesi della convenuta per la quale tale clausola risolutiva espressa sarebbe stata da ritenersi inammissibile, in quanto volta a dilatare in senso più favorevole all’agente il concetto di giusta causa di recesso, in base al combinato disposto dell’articolo 1751 e dell’articolo 2119 del Codice Civile, dettato in materia di lavoro subordinato ed applicabile quindi, per analogia, al rapporto di agenzia.

In tale contesto, il Giudice di Parma sposava apertamente l’orientamento di certa legittimità risalente (Cassazione 4659/1992: “[…] a differenza che per il rapporto di lavoro subordinato, la disciplina del contratto di agenzia non preclude alla parti la stipulazione della clausola risolutiva espressa (articolo 1456 cod. civ.) con la conseguenza che, ove le parti abbiano preventivamente valutato l’importanza di un determinato inadempimento, facendone discendere la risoluzione del contratto senza preavviso, il giudice non può compiere alcuna indagine sull’entità dell’inadempimento stesso rispetto all’interesse della controparte, ma deve solo accertare se esso sia imputabile al soggetto obbligato quanto meno a titolo di colpa” e Cassazione 8607/2002: “Nel rapporto di agenzia, a differenza del rapporto di lavoro subordinato, la legge non individua con norma inderogabile il fatto imputabile all'agente. Consegue che all'autonomia privata è consentita la predeterminazione consensuale dell'inadempimento che legittima il recesso senza preavviso”), ponendosi in aperto contrasto con una recente presa di posizione della Suprema Corte di segno completamente opposto.

Si tratta di Cassazione 10934/2011, che invece ha dichiarato illegittimo il recesso “in tronco” del preponente, dovuto ad un inadempimento previsto da una clausola risolutiva espressa. In tale pronuncia la Suprema Corte ha, infatti, valutato necessaria la verifica della sussistenza di un inadempimento che integri una giusta causa di recesso ai sensi dell’articolo 2119 del Codice Civile, assimilando quindi, sotto questo aspetto, il contratto di agenzia al rapporto di lavoro subordinato.

In particolare, il Giudice di legittimità ha ritenuto che l’articolo 1750 del Codice Civile “[…] debba essere integrato con il riferimento ad una nozione di giusta causa che assume, non diversamente che nel rapporto di lavoro subordinato, un’efficacia non derogabile dalle parti del contratto individuale, perché la contraria conclusione attribuirebbe alle parti stesse la facoltà di incidere in senso limitativo su quel quadro di tutele normative minime delineato dal legislatore. Ne consegue che una clausola risolutiva espressa possa ritenersi legittima […] solo nei limiti in cui non venga a giustificare un recesso senza preavviso in situazioni concrete a norma di legge non legittimanti un recesso in tronco, e fermo restando che la clausola stessa può comportare la cessazione del rapporto di durata di agenzia solo per il futuro.”.

Considerata la citata giurisprudenza, la sentenza in commento ha il pregio di sottolineare lapidariamente come il mancato raggiungimento dell’obiettivo minimo concordato comporta la risoluzione di diritto del contratto, senza possibilità di valutare la gravità dell’inadempimento, già oggetto di valutazione delle parti con la valida stipulazione della clausola risolutiva espressa.

Risulta pertanto particolarmente apprezzabile la presa di posizione della pronuncia in commento, la quale, nel riconoscere la legittimità dell’intervenuta risoluzione, ha doverosamente tenuto in considerazione quelle che sono le sostanziali differenze tra il rapporto di agenzia ed il rapporto di lavoro subordinato. Tali differenze risultano ancor più marcate nelle circostanze, come nel caso di specie, in cui l’agente agisca in forma societaria e non come persona fisica, rendendo auspicabile un’approfondita e ponderata disamina del caso concreto prima di avventurarsi in estensioni analogiche, non sempre appropriate, del dettato legislativo.

Per visualizzare Tribunale di Parma, Sentenza n. 989 del 2013 clicca qui.

Una recente sentenza di merito prende posizione con encomiabile chiarezza sulla vexata quaestio della validità o meno di una clausola risolutiva in un contratto di agenzia, che legittimi la risoluzione “in tronco” del rapporto a prescindere dai presupposti di cui all’articolo 2119 del Codice Civile.

Nel caso di specie, il casus belli affondava le proprie radici nella risoluzione per giusta causa operata da una preponente italiana – produttrice di accessori per l’abbigliamento – nei confronti di un agente – società di capitali francese – in virtù di una clausola risolutiva espressa legata al mancato raggiungimento da parte dell’agente degli obiettivi minimi di vendita concordati.

Successivamente all’invio della lettera di risoluzione, la preponente conveniva in prevenzione l’agente francese davanti al proprio giudice, al fine di veder accertata e dichiarata la legittimità della propria posizione. La convenuta, ritualmente costituitasi in giudizio, reagiva chiedendo il totale rigetto delle domande attoree, eccependo la nullità della clausola risolutiva espressa ed avanzando una domanda riconvenzionale al fine di vedersi riconoscere l’indennità sostitutiva del preavviso e l’indennità di cessazione del rapporto.

Dopo lo scambio delle memorie ex articolo183 del Codice di Procedura Civile il Giudice tratteneva in decisione senza necessità di esperire alcuna istruttoria, ritenendo la causa matura e documentalmente provata. In sentenza, il Tribunale di Parma riconosceva la legittimità della risoluzione del contratto esercitata da parte attrice, dichiarando la validità della clausola risolutiva espressa, con conseguente diritto di risolvere il contratto in caso di mancato raggiungimento da parte dell’agente di un quantitativo minimo di ordini espressamente pattuito. Conseguentemente, veniva negato all’agente qualsiasi diritto all’indennità di mancato preavviso e di fine rapporto.

Il giudice nel riconoscere l’effettiva e valida pattuizione tra le parti di minimi contrattuali il cui mancato raggiungimento avrebbe legittimato la risoluzione del contratto, contestualmente respingeva la tesi della convenuta per la quale tale clausola risolutiva espressa sarebbe stata da ritenersi inammissibile, in quanto volta a dilatare in senso più favorevole all’agente il concetto di giusta causa di recesso, in base al combinato disposto dell’articolo 1751 e dell’articolo 2119 del Codice Civile, dettato in materia di lavoro subordinato ed applicabile quindi, per analogia, al rapporto di agenzia.

In tale contesto, il Giudice di Parma sposava apertamente l’orientamento di certa legittimità risalente (Cassazione 4659/1992: “[…] a differenza che per il rapporto di lavoro subordinato, la disciplina del contratto di agenzia non preclude alla parti la stipulazione della clausola risolutiva espressa (articolo 1456 cod. civ.) con la conseguenza che, ove le parti abbiano preventivamente valutato l’importanza di un determinato inadempimento, facendone discendere la risoluzione del contratto senza preavviso, il giudice non può compiere alcuna indagine sull’entità dell’inadempimento stesso rispetto all’interesse della controparte, ma deve solo accertare se esso sia imputabile al soggetto obbligato quanto meno a titolo di colpa” e Cassazione 8607/2002: “Nel rapporto di agenzia, a differenza del rapporto di lavoro subordinato, la legge non individua con norma inderogabile il fatto imputabile all'agente. Consegue che all'autonomia privata è consentita la predeterminazione consensuale dell'inadempimento che legittima il recesso senza preavviso”), ponendosi in aperto contrasto con una recente presa di posizione della Suprema Corte di segno completamente opposto.

Si tratta di Cassazione 10934/2011, che invece ha dichiarato illegittimo il recesso “in tronco” del preponente, dovuto ad un inadempimento previsto da una clausola risolutiva espressa. In tale pronuncia la Suprema Corte ha, infatti, valutato necessaria la verifica della sussistenza di un inadempimento che integri una giusta causa di recesso ai sensi dell’articolo 2119 del Codice Civile, assimilando quindi, sotto questo aspetto, il contratto di agenzia al rapporto di lavoro subordinato.

In particolare, il Giudice di legittimità ha ritenuto che l’articolo 1750 del Codice Civile “[…] debba essere integrato con il riferimento ad una nozione di giusta causa che assume, non diversamente che nel rapporto di lavoro subordinato, un’efficacia non derogabile dalle parti del contratto individuale, perché la contraria conclusione attribuirebbe alle parti stesse la facoltà di incidere in senso limitativo su quel quadro di tutele normative minime delineato dal legislatore. Ne consegue che una clausola risolutiva espressa possa ritenersi legittima […] solo nei limiti in cui non venga a giustificare un recesso senza preavviso in situazioni concrete a norma di legge non legittimanti un recesso in tronco, e fermo restando che la clausola stessa può comportare la cessazione del rapporto di durata di agenzia solo per il futuro.”.

Considerata la citata giurisprudenza, la sentenza in commento ha il pregio di sottolineare lapidariamente come il mancato raggiungimento dell’obiettivo minimo concordato comporta la risoluzione di diritto del contratto, senza possibilità di valutare la gravità dell’inadempimento, già oggetto di valutazione delle parti con la valida stipulazione della clausola risolutiva espressa.

Risulta pertanto particolarmente apprezzabile la presa di posizione della pronuncia in commento, la quale, nel riconoscere la legittimità dell’intervenuta risoluzione, ha doverosamente tenuto in considerazione quelle che sono le sostanziali differenze tra il rapporto di agenzia ed il rapporto di lavoro subordinato. Tali differenze risultano ancor più marcate nelle circostanze, come nel caso di specie, in cui l’agente agisca in forma societaria e non come persona fisica, rendendo auspicabile un’approfondita e ponderata disamina del caso concreto prima di avventurarsi in estensioni analogiche, non sempre appropriate, del dettato legislativo.

Per visualizzare Tribunale di Parma, Sentenza n. 989 del 2013 clicca qui.