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Deontologia dell’avvocato familiarista: vietato assumere un incarico contro il coniuge già assistito

1. La massima

L'avvocato che abbia assistito congiuntamente i coniugi in controversie familiari deve sempre astenersi dal prestare, in favore di uno di essi, la propria assistenza in controversie successive tra i medesimi: l’illecito disciplinare sussiste anche ove manchi la prova del conferimento formale del mandato o dell'assolvimento di un'attività di consulenza, essendo sufficiente la prova che l'avvocato abbia già svolto un'attività di assistenza, anche soltanto formale.

2. Il caso

L’avvocato Tizio, dopo aver prestato la propria assistenza in favore di ambedue i coniugi in un giudizio di separazione, a distanza di poco più di un anno e mezzo, prestava il proprio patrocinio in favore della sola moglie della coppia per l’ottenimento della revisione delle condizioni della separazione. Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma, in relazione alla condotta descritta, infliggeva all’avvocato Tizio la sanzione disciplinare della censura, ritenutolo responsabile della violazione dell’articolo 51 del vigente Codice Deontologico Forense, a mente del cui primo canone complementare “L’avvocato che abbia assistito congiuntamente i coniugi in controversie familiari deve astenersi dal prestare, in favore di uno di essi, la propria assistenza in controversie successive tra i medesimi”.

L’avvocato Tizio spiegava impugnazione al Consiglio Nazionale Forense, che – con sentenza – respingeva il ricorso dell’incolpato. Il CNF, nel rigettare l’impugnativa, enunciava il principio per cui, affinché possa ritenersi integrata la violazione del richiamato parametro deontologico, è sufficiente che l’avvocato abbia svolto – in favore di entrambi i coniugi – un’attività di assistenza, anche solo formale, in favore di una parte nei cui confronti, per lo stesso oggetto, abbia successivamente assunto iniziative giudiziarie. Nella specie, la prova di una simile assistenza era rinvenuta nel fatto che l’avvocato avesse, per sua stessa ammissione, ricevuto nel proprio studio ambedue i coniugi e concordato con essi il ricorso per la separazione giudiziale, nonché assistito gli stessi in udienza.

L’avvocato Tizio proponeva, quindi, ricorso per Cassazione, affidandosi ad un unico motivo, denunciando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente lamentava che il CNF avesse ritenuto l'ammissione, da parte sua, del fatto di aver prestato assistenza in favore di entrambi i coniugi nella separazione, circostanza che l'incolpato deduceva di avere sempre negato. La motivazione sarebbe pertanto carente, illogica e contraddittoria perché basata su un presupposto privo di riscontro in atti. La motivazione risulterebbe altresì viziata perché il CNF aveva ritenuto che la presenza di un solo avvocato nell'udienza camerale di separazione proverebbe che egli avesse prestato assistenza in favore di entrambi i coniugi, deduzione smentita dal fatto che l’altro coniuge avesse inteso comparire all’udienza senza l’assistenza di un avvocato, facoltà accordata dall’ordinamento.

3. La decisione

La Suprema Corte ritiene inammissibile il ricorso.

Il CNF era, infatti, pervenuto alla sanzione alla luce del dato inconfutabile per cui l’avvocato Tizio ebbe a raccogliere la volontà di entrambi i coniugi di separarsi, nonché curò la redazione e la presentazione del ricorso predisposto per entrambi e presenziò all’udienza, così come risultava dagli atti processuali. Egli, inoltre, aveva, per sua stessa ammissione, ricevuto nel proprio studio i coniugi, raccogliendo le loro determinazioni, poi trasfuse nel ricorso. Pure avendo l’incolpato sempre negato avere mai ricevuto apposita procura dal marito nel giudizio di separazione, il CNF riteneva detto dato del tutto irrilevante, potendo ritenersi integrato il divieto anche ove manchi la prova del conferimento del mandato, giacché basta che l’avvocato abbia svolto un’attività di assistenza, anche soltanto formale.

La Corte evidenzia come il ricorrente abbia denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio con l’intento di ottenere, in realtà, un sindacato – da parte delle Sezioni Unite – sul valore e la ponderazione, operata dal giudice disciplinare, degli elementi di fatto emergenti dalle risultanze processuali. Il Supremo Collegio ritiene, pertanto, inammissibile il ricorso poiché la valutazione richiesta fuoriesce dall'ambito del controllo devoluto al giudice di legittimità.

Non essendo stato spiegato controricorso da parte degli intimati, nessuna pronuncia viene emessa dalla Corte in ordine alle spese del giudizio. Tuttavia, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile - ai sensi del comma 1 quater dell'articolo 13 del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica del 30 maggio 2002, n. 115, introdotto con Legge n. 228/2012 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013”, la Corte condanna il ricorrente al pagamento di un importo corrispondente a quello già versato a titolo di contributo unificato.

4. Il “nuovo” Codice deontologico forense in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale: l’articolo 68, comma 4

Come noto, il “nuovo” Codice deontologico è stato approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 31 gennaio 2014, in attuazione della Legge n. 247/2012, recante la “Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense”. Il nuovo Codice è in corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore decorsi 60 giorni dalla pubblicazione.

L’articolo 68, comma 4, del nuovo Codice sostanzialmente riproduce il primo canone complementare dell’art. 51 del “vecchio” Codice, quello tuttora vigente, prevedendo la sanzione della “sospensione” da due a sei mesi.

Significativamente, inoltre, l’articolo 68, comma 4, amplia la portata del divieto, includendovi anche all’assistenza prestata in favore dei “conviventi”, così dando atto dell’accresciuta rilevanza sociale del fenomeno delle convivenze. Il successivo comma 5 dell’articolo 68 arricchisce ulteriormente il divieto, recando la previsione secondo cui “L’avvocato che abbia assistito il minore in controversie familiari deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno dei genitori in successive controversie aventi la medesima natura, e viceversa”.

1. La massima

L'avvocato che abbia assistito congiuntamente i coniugi in controversie familiari deve sempre astenersi dal prestare, in favore di uno di essi, la propria assistenza in controversie successive tra i medesimi: l’illecito disciplinare sussiste anche ove manchi la prova del conferimento formale del mandato o dell'assolvimento di un'attività di consulenza, essendo sufficiente la prova che l'avvocato abbia già svolto un'attività di assistenza, anche soltanto formale.

2. Il caso

L’avvocato Tizio, dopo aver prestato la propria assistenza in favore di ambedue i coniugi in un giudizio di separazione, a distanza di poco più di un anno e mezzo, prestava il proprio patrocinio in favore della sola moglie della coppia per l’ottenimento della revisione delle condizioni della separazione. Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma, in relazione alla condotta descritta, infliggeva all’avvocato Tizio la sanzione disciplinare della censura, ritenutolo responsabile della violazione dell’articolo 51 del vigente Codice Deontologico Forense, a mente del cui primo canone complementare “L’avvocato che abbia assistito congiuntamente i coniugi in controversie familiari deve astenersi dal prestare, in favore di uno di essi, la propria assistenza in controversie successive tra i medesimi”.

L’avvocato Tizio spiegava impugnazione al Consiglio Nazionale Forense, che – con sentenza – respingeva il ricorso dell’incolpato. Il CNF, nel rigettare l’impugnativa, enunciava il principio per cui, affinché possa ritenersi integrata la violazione del richiamato parametro deontologico, è sufficiente che l’avvocato abbia svolto – in favore di entrambi i coniugi – un’attività di assistenza, anche solo formale, in favore di una parte nei cui confronti, per lo stesso oggetto, abbia successivamente assunto iniziative giudiziarie. Nella specie, la prova di una simile assistenza era rinvenuta nel fatto che l’avvocato avesse, per sua stessa ammissione, ricevuto nel proprio studio ambedue i coniugi e concordato con essi il ricorso per la separazione giudiziale, nonché assistito gli stessi in udienza.

L’avvocato Tizio proponeva, quindi, ricorso per Cassazione, affidandosi ad un unico motivo, denunciando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente lamentava che il CNF avesse ritenuto l'ammissione, da parte sua, del fatto di aver prestato assistenza in favore di entrambi i coniugi nella separazione, circostanza che l'incolpato deduceva di avere sempre negato. La motivazione sarebbe pertanto carente, illogica e contraddittoria perché basata su un presupposto privo di riscontro in atti. La motivazione risulterebbe altresì viziata perché il CNF aveva ritenuto che la presenza di un solo avvocato nell'udienza camerale di separazione proverebbe che egli avesse prestato assistenza in favore di entrambi i coniugi, deduzione smentita dal fatto che l’altro coniuge avesse inteso comparire all’udienza senza l’assistenza di un avvocato, facoltà accordata dall’ordinamento.

3. La decisione

La Suprema Corte ritiene inammissibile il ricorso.

Il CNF era, infatti, pervenuto alla sanzione alla luce del dato inconfutabile per cui l’avvocato Tizio ebbe a raccogliere la volontà di entrambi i coniugi di separarsi, nonché curò la redazione e la presentazione del ricorso predisposto per entrambi e presenziò all’udienza, così come risultava dagli atti processuali. Egli, inoltre, aveva, per sua stessa ammissione, ricevuto nel proprio studio i coniugi, raccogliendo le loro determinazioni, poi trasfuse nel ricorso. Pure avendo l’incolpato sempre negato avere mai ricevuto apposita procura dal marito nel giudizio di separazione, il CNF riteneva detto dato del tutto irrilevante, potendo ritenersi integrato il divieto anche ove manchi la prova del conferimento del mandato, giacché basta che l’avvocato abbia svolto un’attività di assistenza, anche soltanto formale.

La Corte evidenzia come il ricorrente abbia denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio con l’intento di ottenere, in realtà, un sindacato – da parte delle Sezioni Unite – sul valore e la ponderazione, operata dal giudice disciplinare, degli elementi di fatto emergenti dalle risultanze processuali. Il Supremo Collegio ritiene, pertanto, inammissibile il ricorso poiché la valutazione richiesta fuoriesce dall'ambito del controllo devoluto al giudice di legittimità.

Non essendo stato spiegato controricorso da parte degli intimati, nessuna pronuncia viene emessa dalla Corte in ordine alle spese del giudizio. Tuttavia, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile - ai sensi del comma 1 quater dell'articolo 13 del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica del 30 maggio 2002, n. 115, introdotto con Legge n. 228/2012 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013”, la Corte condanna il ricorrente al pagamento di un importo corrispondente a quello già versato a titolo di contributo unificato.

4. Il “nuovo” Codice deontologico forense in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale: l’articolo 68, comma 4

Come noto, il “nuovo” Codice deontologico è stato approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 31 gennaio 2014, in attuazione della Legge n. 247/2012, recante la “Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense”. Il nuovo Codice è in corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore decorsi 60 giorni dalla pubblicazione.

L’articolo 68, comma 4, del nuovo Codice sostanzialmente riproduce il primo canone complementare dell’art. 51 del “vecchio” Codice, quello tuttora vigente, prevedendo la sanzione della “sospensione” da due a sei mesi.

Significativamente, inoltre, l’articolo 68, comma 4, amplia la portata del divieto, includendovi anche all’assistenza prestata in favore dei “conviventi”, così dando atto dell’accresciuta rilevanza sociale del fenomeno delle convivenze. Il successivo comma 5 dell’articolo 68 arricchisce ulteriormente il divieto, recando la previsione secondo cui “L’avvocato che abbia assistito il minore in controversie familiari deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno dei genitori in successive controversie aventi la medesima natura, e viceversa”.