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La tutela del bene della vita nell'evento separativo-divorzile

Abstract: L’Autrice propone una breve rassegna di principi riguardanti gli eventi separazione e divorzio prendendo spunto da alcune pronunce giurisprudenziali

Ci si sposa per stare per tutta la vita con qualcuno, per realizzare un comune progetto di vita. Giuridicamente questo è espresso nell’articolo 144 del Codice Civile, uno dei tre articoli letti durante il rito del matrimonio, sia civile sia concordatario.

L’articolo 144 del Codice Civile “Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia” è emblematico per la rubrica e per il contenuto in cui si parla di “vita familiare” e di “esigenze” (concetti ripresi, anche se con accezioni differenti, nell’articolo 145 del Codice Civile “Intervento del giudice”, rimasto inapplicato).

 

“Esigenze” è un concetto più esteso e profondo di “bisogni”, di cui si parla nell’articolo 143, comma 3, del Codice Civile. Bisogno, da “cura”, si riferisce prevalentemente a necessità fisiche, mentre esigenza, da “spingere fuori, muovere”, si riferisce al moto interiore legato alla realizzazione della persona. Ed è questa una delle più grandi innovazioni della riforma del diritto di famiglia del 1975, anche se di esigenze s’era già parlato una prima volta nell’articolo 3 della Carta dei diritti del fanciullo e al lavoro in cui si legge che il fanciullo non deve “essere subordinato alle esigenze di vita dei genitori”.

Quando ripetutamente non si tiene conto delle “esigenze” ed è turbata la “vita familiare” si ha una crisi che, in mancanza di soluzione, può portare alla separazione dei coniugi durante la quale si dovrebbe tener conto delle stesse indicazioni dell’articolo 144 del Codice Civile.

 

Il bene che si cerca di tutelare di più durante l’evento separativo-divorzile è la vita rammentando che “un lenzuolo matrimoniale seppur diviso perfettamente a metà non dà luogo a due lenzuoli singoli”, ovvero nessuna separazione è indolore e non si può tornare alla propria vita singola come se nulla fosse accaduto.

È tutelata in particolare la “vita familiare”, insieme di legami (che vanno oltre i vincoli giuridici), spirito di servizio, intimità (che costituiscono la peculiarità e l’unicità della familiarità) che durante l’evento separativo-divorzile necessitano di essere rielaborati per poter, poi, “rifarsi una vita”, come si suole dire nel linguaggio comun

È quello che dovrebbero capire e far capire gli operatori, giuridici e non, che intervengono durante l’evento separativo-divorzile, a cominciare dagli avvocati, come ha cercato di richiamare il nuovo Codice Deontologico Forense aggiornato il 31 gennaio 2014, in cui si è sottolineata la responsabilità degli “avvocati di famiglia” soprattutto nell’articolo 56

Separarsi è un diritto costituzionalmente garantito (Corte di Cassazione sentenza n. 2183/2013),  disciplinato negli articoli 151 e seguenti del Codice Civile.

È prevista la separazione giudiziale (articolo 151 del Codice Civile) quando è divenuta “intollerabile la prosecuzione della convivenza”, contestazione che è distinta dalla richiesta declaratoria di addebitabilità che si dovrebbe evitare proprio per non rendere intollerabile anche la prosecuzione della vita di entrambi durante la separazione. Ecco perché il legislatore ha previsto una graduazione della disciplina proprio per non esacerbare la conflittualità.

Durante la separazione prima e il divorzio poi, al coniuge economicamente debole si deve garantire lo stesso “tenore di vita” goduto in regime matrimoniale (elaborazione giurisprudenziale sulla base delle indicazioni normative). “Tenore di vita” che è un insieme di condizioni diverse da quelle considerate nel concetto di “stile di vita”. Lo stile di vita, pur in presenza di rilevanti potenzialità economiche, può essere sottotono o dimesso, per scelta personale.

 

Il tenore di vita in costanza del matrimonio va valutato in relazione al complesso delle risorse economiche dei coniugi, tenendo conto di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere, oltre che di fondate aspettative per un rilevante cambiamento di stile di vita: è questo il contenuto della sentenza n. 23442 del 16/10/2013 Cassazione civile, Sezione Prima.

“Tenore” è “ciò che tiene un corso non interrotto, senza fermarsi”, quindi ha insito il significato di mantenimento e di prospettive di vita. “Tenore di vita” garantito con l’assegno di mantenimento (corrispondente all’affievolimento dei diritti e doveri coniugali dell’articolo 143 del Codice Civile) durante la separazione e con l’assegno divorzile (che rappresenta una forma di solidarietà post-coniugale) con la sentenza con cui si pronuncia lo scioglimento (matrimonio civile) o la cessazione (matrimonio concordatario) degli effetti civili del matrimonio (articolo 5, comma 6, legge 1 dicembre 1970 n. 898).

Il diritto al mantenimento può essere riconosciuto solo su richiesta di parte (come confermato dalla sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Prima, n. 5131 del 5 marzo 2014), anche in separato giudizio, ma è irrinunciabile, ed è nullo ogni patto mirante a mascherare tale rinuncia. Criteri stabiliti a livello giurisprudenziale (in particolare dalle pronunce di legittimità della Corte di Cassazione) per dirimere ulteriori conflitti.

 

L’assegno di mantenimento è una forma di solidarietà familiare, di quel “mantenimento della famiglia” (concetto introdotto nell’articolo 324 del Codice Civile dalla legge di riforma del diritto di famiglia del 1975), perché pur cambiando il “rapporto matrimoniale” rimane la “relazione familiare”, si ha una metamorfosi dell’amore che comunque è vita (dal latino “a mors”, non morte): “Tutto questo per dire che l’amore non è possesso, perché il possesso non tende al bene dell’altro, né alla lealtà verso l’altro, ma solo al mantenimento della relazione, che, lungi dal garantire la felicità, che è sempre nella ricerca e nella conoscenza di sé, la sacrifica in cambio di sicurezza” (Umberto Galimberti, filosofo e psicoanalista).

La tutela è ancor più ampliata per i figli. Il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, secondo il precetto contenuto nell'articolo 30 della Costituzione, impone ai genitori di far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, certamente non riconducibili solo a prestazioni essenziali per la vita, ma inevitabilmente estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione, fin quando l'età dei figli stessi lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione.

Nel determinare l’importo dell’assegno per il minore occorre considerare le “attuali esigenze” del figlio, che si concretizzano in bisogni, abitudini, legittime aspirazioni del minore, e in genere delle sue “prospettive di vita”, le quali non potranno non risentire del livello economico-sociale in cui si colloca la figura del genitore. Così si è espressa la Corte di Cassazione, VI Sezione Civile, nell’ordinanza n. 21273 del 18 settembre 2013 (relativa al caso della figlia minore di un chirurgo estetico).

La Corte di Cassazione, Sezione VI penale, con sentenza n. 44629 del 5 novembre 2013, ha stabilito che, qualora il mancato versamento dell’assegno di mantenimento si ripercuota in modo negativo sui figli, può scattare il carcere, soprattutto allorquando l’assegno costituisca l’unico cespite e si ometta di provvedere in altro modo alle loro “primarie esigenze di vita”.

 

Al coniuge separato con addebito (o in altri casi di “istato di bisogno”, articolo 438 comma 1 Codice Civile) sono dovuti gli alimenti (assegno alimentare), che “non devono tuttavia superare quanto sia necessario per la vita dell’alimentando, avuto però riguardo alla sua posizione sociale” (articolo 438 comma 2 Codice Civile).

 

Mentre l’assegno di mantenimento è espressione di una relazione (che fa riferimento ad una dimensione più personale ed intima), gli alimenti sono dovuti in virtù di vincoli giuridici. In caso di morte del coniuge obbligato agli alimenti, il coniuge superstite cui sia stata addebitata la separazione e cui sia stato riconosciuto il diritto alimentare ha diritto ad un assegno vitalizio a carico dell’eredità (artt. 548 e 585 Codice Civile).

Il coniuge superstite, seppure separato con addebito, già titolare di assegno, ha diritto anche alla pensione di reversibilità, in passato non riconosciuta (una delle sentenze della Corte di Cassazione che ha ridefinito in melius l’orientamento è la n. 4555 del 25 febbraio 2009, Sezione lavoro).

Visto che il coniuge cui sia stata addebitata la separazione ha comunque dei diritti patrimoniali, è consigliabile evitare la domanda di addebito soprattutto laddove sia “diabolica” la prova del nesso di causalità tra il comportamento del coniuge inadempiente e il fallimento del matrimonio.

 

In talune vicende separative-divorzili può anche essere riconosciuto il danno esistenziale (comunemente definito “danno alla vita di relazione”). Di particolare interesse la sentenza della Corte di Cassazione del 15/09/2011 n. 18853 che ha operato un allargamento rilevante nel campo dell’azione risarcitoria ai sensi dell’articolo 2043 del Codice Civile riconoscendo il danno esistenziale ad un coniuge nei confronti dell’altro indipendentemente dall’addebito della separazione. L’azione risarcitoria è stata riconosciuta in quanto l’assegno di mantenimento e quello divorzile non hanno natura risarcitoria.

La sentenza della Corte di Cassazione del 07/06/2000 n. 7713 è stata la prima a riconoscere la risarcibilità del cosiddetto “danno endo-familiare”: oltre al danno patrimoniale subito dal figlio trascurato, questa sentenza storica stabilì in modo chiaro la risarcibilità del danno esistenziale a favore del medesimo facendo riferimento all’articolo 2043 del Codice Civile e all’articolo 2 Costituzione.

La tutela penale per l’adempimento degli obblighi post-separazione o post-divorzio è data principalmente dall’articolo 388 cod. pen. “Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice” e dall’articolo 570 cod. pen. “Violazione degli obblighi di assistenza familiare”.

Per garantire la continuazione della vita familiare sono previsti “assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza” (articolo 337 sexies Codice Civile, prima articolo 155 quater abrogato) la cui ratio è chiara nel dettato: “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”.

Nella disciplina previgente si diceva in maniera impropria: “L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli” (abrogato articolo 155 comma 4 Codice Civile). Il concetto di casa familiare riguarda proprio il complesso di consuetudini, riti, relazioni ed interazioni sorte durante la vita familiare, è un concetto ben più ampio di “domicilio familiare” o “residenza familiare” cui si fa riferimento in altre disposizioni legislative.

L’assegnazione della casa familiare (e non “coniugale”) è finalizzata a tutelare la vita di figli minori o maggiorenni non ancora economicamente indipendenti (per esempio la Corte di Cassazione nella sentenza 21334 del 18 settembre 2013 ha ribadito che non ha diritto all’assegno di mantenimento per i figli né all’assegnazione della casa la moglie separata, convivente con due figli maggiorenni autosufficienti e con un figlio trentenne che, seppur disoccupato, aveva maturato esperienza professionale facendo pratica in uno studio e quindi con potenzialità reddituali).

 

Un’altra forma di tutela è quella degli ordini di protezione contro gli abusi familiari (artt. 342 bis e 342 ter Codice Civile), in cui si prevede l’allontanamento dalla casa familiare del soggetto che abbia tenuto una condotta pregiudizievole e a suo carico il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che abbiano subito pregiudizi.

 

Anche in questa disciplina, caratterizzata dalla temporaneità, gli aspetti che emergono sono la casa familiare e la convivenza. Significativa è la denominazione stessa di “ordini di protezione”, ricordando che “padre” significa colui che protegge e che la protezione è ciò che dovrebbe caratterizzare la famiglia e ciò di cui necessita la famiglia.

 

La legislazione cerca, quindi, di tutelare sempre e comunque le relazioni familiari e la vita familiare anche nelle vicende dolorose, spesso acuite da alcune applicazioni ed interpretazioni delle previsioni legislative.

Facendo un uso adeguato degli strumenti previsti dal legislatore si realizza il diritto e si persegue la giustizia. Giustizia dal latino “iustus”, che si potrebbe spezzare nelle due parole “ius”, diritto, e “tus”, incenso; l’incenso ha il significato di sacrificio ed offerta di vita

Ebbene, come il matrimonio, coronamento dell’amore di coppia, è inteso come sacrificio ed offerta di vita nella reciprocità, così l’evento separativo-divorzile dovrebbe essere vissuto come una possibile fase della propria vita, come ennesimo gesto d’amore cercando di mettere da parte egoismi, rancori o inasprimenti.

“C’è bisogno di una nuova cultura della separazione, che lasci maturare negli individui e nella società l'idea e il sentimento che la scelta del distacco ha lo stesso valore e merita lo stesso rispetto della scelta di unirsi. Se non altro perché l'una implica l'altra” (la mediatrice familiare Irene Bernardini)[1]. È questa la linea di principio del cosiddetto “diritto collaborativo”.

*** 

[1] I. Bernardini, “Finché vita non ci separi. Quando il matrimonio finisce: genitori e figli alla ricerca di una serenità possibile”, Rizzoli, 1996.

Abstract: L’Autrice propone una breve rassegna di principi riguardanti gli eventi separazione e divorzio prendendo spunto da alcune pronunce giurisprudenziali

Ci si sposa per stare per tutta la vita con qualcuno, per realizzare un comune progetto di vita. Giuridicamente questo è espresso nell’articolo 144 del Codice Civile, uno dei tre articoli letti durante il rito del matrimonio, sia civile sia concordatario.

L’articolo 144 del Codice Civile “Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia” è emblematico per la rubrica e per il contenuto in cui si parla di “vita familiare” e di “esigenze” (concetti ripresi, anche se con accezioni differenti, nell’articolo 145 del Codice Civile “Intervento del giudice”, rimasto inapplicato).

 

“Esigenze” è un concetto più esteso e profondo di “bisogni”, di cui si parla nell’articolo 143, comma 3, del Codice Civile. Bisogno, da “cura”, si riferisce prevalentemente a necessità fisiche, mentre esigenza, da “spingere fuori, muovere”, si riferisce al moto interiore legato alla realizzazione della persona. Ed è questa una delle più grandi innovazioni della riforma del diritto di famiglia del 1975, anche se di esigenze s’era già parlato una prima volta nell’articolo 3 della Carta dei diritti del fanciullo e al lavoro in cui si legge che il fanciullo non deve “essere subordinato alle esigenze di vita dei genitori”.

Quando ripetutamente non si tiene conto delle “esigenze” ed è turbata la “vita familiare” si ha una crisi che, in mancanza di soluzione, può portare alla separazione dei coniugi durante la quale si dovrebbe tener conto delle stesse indicazioni dell’articolo 144 del Codice Civile.

 

Il bene che si cerca di tutelare di più durante l’evento separativo-divorzile è la vita rammentando che “un lenzuolo matrimoniale seppur diviso perfettamente a metà non dà luogo a due lenzuoli singoli”, ovvero nessuna separazione è indolore e non si può tornare alla propria vita singola come se nulla fosse accaduto.

È tutelata in particolare la “vita familiare”, insieme di legami (che vanno oltre i vincoli giuridici), spirito di servizio, intimità (che costituiscono la peculiarità e l’unicità della familiarità) che durante l’evento separativo-divorzile necessitano di essere rielaborati per poter, poi, “rifarsi una vita”, come si suole dire nel linguaggio comun

È quello che dovrebbero capire e far capire gli operatori, giuridici e non, che intervengono durante l’evento separativo-divorzile, a cominciare dagli avvocati, come ha cercato di richiamare il nuovo Codice Deontologico Forense aggiornato il 31 gennaio 2014, in cui si è sottolineata la responsabilità degli “avvocati di famiglia” soprattutto nell’articolo 56

Separarsi è un diritto costituzionalmente garantito (Corte di Cassazione sentenza n. 2183/2013),  disciplinato negli articoli 151 e seguenti del Codice Civile.

È prevista la separazione giudiziale (articolo 151 del Codice Civile) quando è divenuta “intollerabile la prosecuzione della convivenza”, contestazione che è distinta dalla richiesta declaratoria di addebitabilità che si dovrebbe evitare proprio per non rendere intollerabile anche la prosecuzione della vita di entrambi durante la separazione. Ecco perché il legislatore ha previsto una graduazione della disciplina proprio per non esacerbare la conflittualità.

Durante la separazione prima e il divorzio poi, al coniuge economicamente debole si deve garantire lo stesso “tenore di vita” goduto in regime matrimoniale (elaborazione giurisprudenziale sulla base delle indicazioni normative). “Tenore di vita” che è un insieme di condizioni diverse da quelle considerate nel concetto di “stile di vita”. Lo stile di vita, pur in presenza di rilevanti potenzialità economiche, può essere sottotono o dimesso, per scelta personale.

 

Il tenore di vita in costanza del matrimonio va valutato in relazione al complesso delle risorse economiche dei coniugi, tenendo conto di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere, oltre che di fondate aspettative per un rilevante cambiamento di stile di vita: è questo il contenuto della sentenza n. 23442 del 16/10/2013 Cassazione civile, Sezione Prima.

“Tenore” è “ciò che tiene un corso non interrotto, senza fermarsi”, quindi ha insito il significato di mantenimento e di prospettive di vita. “Tenore di vita” garantito con l’assegno di mantenimento (corrispondente all’affievolimento dei diritti e doveri coniugali dell’articolo 143 del Codice Civile) durante la separazione e con l’assegno divorzile (che rappresenta una forma di solidarietà post-coniugale) con la sentenza con cui si pronuncia lo scioglimento (matrimonio civile) o la cessazione (matrimonio concordatario) degli effetti civili del matrimonio (articolo 5, comma 6, legge 1 dicembre 1970 n. 898).

Il diritto al mantenimento può essere riconosciuto solo su richiesta di parte (come confermato dalla sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Prima, n. 5131 del 5 marzo 2014), anche in separato giudizio, ma è irrinunciabile, ed è nullo ogni patto mirante a mascherare tale rinuncia. Criteri stabiliti a livello giurisprudenziale (in particolare dalle pronunce di legittimità della Corte di Cassazione) per dirimere ulteriori conflitti.

 

L’assegno di mantenimento è una forma di solidarietà familiare, di quel “mantenimento della famiglia” (concetto introdotto nell’articolo 324 del Codice Civile dalla legge di riforma del diritto di famiglia del 1975), perché pur cambiando il “rapporto matrimoniale” rimane la “relazione familiare”, si ha una metamorfosi dell’amore che comunque è vita (dal latino “a mors”, non morte): “Tutto questo per dire che l’amore non è possesso, perché il possesso non tende al bene dell’altro, né alla lealtà verso l’altro, ma solo al mantenimento della relazione, che, lungi dal garantire la felicità, che è sempre nella ricerca e nella conoscenza di sé, la sacrifica in cambio di sicurezza” (Umberto Galimberti, filosofo e psicoanalista).

La tutela è ancor più ampliata per i figli. Il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, secondo il precetto contenuto nell'articolo 30 della Costituzione, impone ai genitori di far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, certamente non riconducibili solo a prestazioni essenziali per la vita, ma inevitabilmente estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione, fin quando l'età dei figli stessi lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione.

Nel determinare l’importo dell’assegno per il minore occorre considerare le “attuali esigenze” del figlio, che si concretizzano in bisogni, abitudini, legittime aspirazioni del minore, e in genere delle sue “prospettive di vita”, le quali non potranno non risentire del livello economico-sociale in cui si colloca la figura del genitore. Così si è espressa la Corte di Cassazione, VI Sezione Civile, nell’ordinanza n. 21273 del 18 settembre 2013 (relativa al caso della figlia minore di un chirurgo estetico).

La Corte di Cassazione, Sezione VI penale, con sentenza n. 44629 del 5 novembre 2013, ha stabilito che, qualora il mancato versamento dell’assegno di mantenimento si ripercuota in modo negativo sui figli, può scattare il carcere, soprattutto allorquando l’assegno costituisca l’unico cespite e si ometta di provvedere in altro modo alle loro “primarie esigenze di vita”.

 

Al coniuge separato con addebito (o in altri casi di “istato di bisogno”, articolo 438 comma 1 Codice Civile) sono dovuti gli alimenti (assegno alimentare), che “non devono tuttavia superare quanto sia necessario per la vita dell’alimentando, avuto però riguardo alla sua posizione sociale” (articolo 438 comma 2 Codice Civile).

 

Mentre l’assegno di mantenimento è espressione di una relazione (che fa riferimento ad una dimensione più personale ed intima), gli alimenti sono dovuti in virtù di vincoli giuridici. In caso di morte del coniuge obbligato agli alimenti, il coniuge superstite cui sia stata addebitata la separazione e cui sia stato riconosciuto il diritto alimentare ha diritto ad un assegno vitalizio a carico dell’eredità (artt. 548 e 585 Codice Civile).

Il coniuge superstite, seppure separato con addebito, già titolare di assegno, ha diritto anche alla pensione di reversibilità, in passato non riconosciuta (una delle sentenze della Corte di Cassazione che ha ridefinito in melius l’orientamento è la n. 4555 del 25 febbraio 2009, Sezione lavoro).

Visto che il coniuge cui sia stata addebitata la separazione ha comunque dei diritti patrimoniali, è consigliabile evitare la domanda di addebito soprattutto laddove sia “diabolica” la prova del nesso di causalità tra il comportamento del coniuge inadempiente e il fallimento del matrimonio.

 

In talune vicende separative-divorzili può anche essere riconosciuto il danno esistenziale (comunemente definito “danno alla vita di relazione”). Di particolare interesse la sentenza della Corte di Cassazione del 15/09/2011 n. 18853 che ha operato un allargamento rilevante nel campo dell’azione risarcitoria ai sensi dell’articolo 2043 del Codice Civile riconoscendo il danno esistenziale ad un coniuge nei confronti dell’altro indipendentemente dall’addebito della separazione. L’azione risarcitoria è stata riconosciuta in quanto l’assegno di mantenimento e quello divorzile non hanno natura risarcitoria.

La sentenza della Corte di Cassazione del 07/06/2000 n. 7713 è stata la prima a riconoscere la risarcibilità del cosiddetto “danno endo-familiare”: oltre al danno patrimoniale subito dal figlio trascurato, questa sentenza storica stabilì in modo chiaro la risarcibilità del danno esistenziale a favore del medesimo facendo riferimento all’articolo 2043 del Codice Civile e all’articolo 2 Costituzione.

La tutela penale per l’adempimento degli obblighi post-separazione o post-divorzio è data principalmente dall’articolo 388 cod. pen. “Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice” e dall’articolo 570 cod. pen. “Violazione degli obblighi di assistenza familiare”.

Per garantire la continuazione della vita familiare sono previsti “assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza” (articolo 337 sexies Codice Civile, prima articolo 155 quater abrogato) la cui ratio è chiara nel dettato: “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”.

Nella disciplina previgente si diceva in maniera impropria: “L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli” (abrogato articolo 155 comma 4 Codice Civile). Il concetto di casa familiare riguarda proprio il complesso di consuetudini, riti, relazioni ed interazioni sorte durante la vita familiare, è un concetto ben più ampio di “domicilio familiare” o “residenza familiare” cui si fa riferimento in altre disposizioni legislative.

L’assegnazione della casa familiare (e non “coniugale”) è finalizzata a tutelare la vita di figli minori o maggiorenni non ancora economicamente indipendenti (per esempio la Corte di Cassazione nella sentenza 21334 del 18 settembre 2013 ha ribadito che non ha diritto all’assegno di mantenimento per i figli né all’assegnazione della casa la moglie separata, convivente con due figli maggiorenni autosufficienti e con un figlio trentenne che, seppur disoccupato, aveva maturato esperienza professionale facendo pratica in uno studio e quindi con potenzialità reddituali).

 

Un’altra forma di tutela è quella degli ordini di protezione contro gli abusi familiari (artt. 342 bis e 342 ter Codice Civile), in cui si prevede l’allontanamento dalla casa familiare del soggetto che abbia tenuto una condotta pregiudizievole e a suo carico il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che abbiano subito pregiudizi.

 

Anche in questa disciplina, caratterizzata dalla temporaneità, gli aspetti che emergono sono la casa familiare e la convivenza. Significativa è la denominazione stessa di “ordini di protezione”, ricordando che “padre” significa colui che protegge e che la protezione è ciò che dovrebbe caratterizzare la famiglia e ciò di cui necessita la famiglia.

 

La legislazione cerca, quindi, di tutelare sempre e comunque le relazioni familiari e la vita familiare anche nelle vicende dolorose, spesso acuite da alcune applicazioni ed interpretazioni delle previsioni legislative.

Facendo un uso adeguato degli strumenti previsti dal legislatore si realizza il diritto e si persegue la giustizia. Giustizia dal latino “iustus”, che si potrebbe spezzare nelle due parole “ius”, diritto, e “tus”, incenso; l’incenso ha il significato di sacrificio ed offerta di vita

Ebbene, come il matrimonio, coronamento dell’amore di coppia, è inteso come sacrificio ed offerta di vita nella reciprocità, così l’evento separativo-divorzile dovrebbe essere vissuto come una possibile fase della propria vita, come ennesimo gesto d’amore cercando di mettere da parte egoismi, rancori o inasprimenti.

“C’è bisogno di una nuova cultura della separazione, che lasci maturare negli individui e nella società l'idea e il sentimento che la scelta del distacco ha lo stesso valore e merita lo stesso rispetto della scelta di unirsi. Se non altro perché l'una implica l'altra” (la mediatrice familiare Irene Bernardini)[1]. È questa la linea di principio del cosiddetto “diritto collaborativo”.

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[1] I. Bernardini, “Finché vita non ci separi. Quando il matrimonio finisce: genitori e figli alla ricerca di una serenità possibile”, Rizzoli, 1996.