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Le vittime del dovere

Nota a Sentenza del TAR Campania 7 marzo 2013, n. 17

La Sentenza 7 marzo 2013, n. 17 pronunziata dal Tribunale Amministrativo Regionale della Campania pone in risalto il principio in forza del quale sono equiparati alle vittime del dovere coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso in occasione, o a seguito, di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori i confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative.

Nel caso di specie un Sottufficiale dell’Esercito Italiano ricorre contro il Ministero della Difesa, lo Stato Maggiore dell’Esercito e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, riferendo di aver partecipato a numerose missioni internazionali di pace (Bosnia Erzegovina, Kosovo e Afghanistan) e chiede l’annullamento del Decreto Ministeriale con il quale è stata rigettata la sua istanza tendente alla concessione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo ai sensi dell’articolo 1, commi 563 e 564, della Legge 23 dicembre 2005, n. 266 e per l’accertamento del proprio diritto a tutti i benefici economici e giuridici in relazione alle infermità “insufficienza renale cronica stadio II - III da malattia di Berger, tiroidine autoimmune con ipotiroidismo in trattamento sostitutivo con rilievo di neoplasia microscopica renale di tipo papillare” e “soggetto iperteso”, con interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data di insorgenza della patologia e fino all’effettivo soddisfo, con conseguente condanna delle Amministrazioni intimate al relativo pagamento.

Il militare deduce che con verbale della Commissione Medico Ospedaliera di Caserta, veniva riscontrato affetto da neoplasia microscopica di tipo papillare a cellule renali rene sinistro in nefropatia a depositi IGA con ipertensione arteriosa nonché da Tiroidite di Haschimoto. Presentava quindi istanza per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle predette infermità nonché domanda di riconoscimento dei benefici già previsti per le vittime della criminalità organizzata e del terrorismo.

Evidenzia che il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio esprimeva parere negativo ai fini del riconoscimento dei benefici di cui all’articolo 1, commi 563 e 564 della Legge n. 266/2005, rilevando che “dall’esame degli atti, non si evidenziano condizioni ambientali ed operative di missione comunque implicanti l’esistenza od il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’Istituto e che si pongano quale causa ovvero concausa efficiente e determinante dell’infermità in questione”.

A seguito delle osservazioni dell’interessato, il quale evidenziava che il nesso causale fra l’insorgenza della patologia tumorale riscontratagli e la permanenza in teatri operativi dove era stato fatto utilizzo di proiettili all’uranio impoverito era stato riconosciuto dal legislatore sia con l’articolo 2, comma 78 della Legge n. 244/2007, sia con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 37/2009, il Comitato di Verifica per le cause di servizio il 26 luglio 2010 confermava il suddetto parere negativo, escludendo che le deduzioni prodotte fossero idonee a ricondurre le patologie in questione al servizio svolto.

L’Amministrazione intimata faceva quindi seguire, al parere contrario del Comitato, il provvedimento reiettivo, poi impugnato con il ricorso.  

Mediante le critiche proposte, al fine di conseguirne l’annullamento viene in particolare dedotto che il ricorrente ha dovuto permanere continuamente in siti devastati da bombardamenti senza essere munito di alcun mezzo di protezione in relazione all’ambiente altamente inquinato da esalazioni e residui tossici derivanti dalla combustione ed ossidazione dei metalli pesanti causate dall’impatto e dall’esplosione delle munizioni utilizzate per le operazioni belliche, fra le quali quelle con utilizzo di uranio impoverito per i bersagli corazzati.

Ebbene, la perdurante esposizione a fattori chimici e radioattivi, quali ad esempio le microparticelle di metalli pesanti presenti nell’aria a causa dell’esplosione delle fabbriche chimiche, di carri armati e di edifici, causata anche da proiettili con uranio impoverito, alle esalazioni di gas di scarico degli automezzi bellici e dei solventi utilizzati per la pulizia e manutenzione delle armi, insieme all’indebolimento delle difese immunitarie naturali derivante dai vaccini continuamente somministratigli, hanno costituito fattori determinanti nella genesi delle infermità riscontrate al ricorrente.

Il predetto nesso di causalità è poi dimostrato dalle indagini svolte da organismi internazionali, quali la Relazione di Eglin, il Rapporto dell’US Mobility Equipment Reserach and Development Command, la Conferenza di Bagnoli del luglio 1995, così come dalle norme approvate una volta acquisita consapevolezza, alla luce degli studi suindicati, degli effetti letali dell’esposizione ai suddetti fattori di rischio: le Regole d’Oro dettate nell’anno 1990 dagli U.S.A., il Decreto Legislativo 17 marzo 1995, n. 230, la Risoluzione O.N.U. n. 1996/16 della Sottocommissione sulla prevenzione della discriminazione e protezione delle minoranze, la Direttiva del Ministero della Difesa del 26 novembre 1999.

Rileva inoltre il ricorrente che, mentre il procedimento per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità riscontrata si incentra sull’accertamento della sussistenza di un nesso eziologico diretto tra l’infermità stessa ed il servizio prestato, la procedura da lui attivata si fonda sul riscontro di un nesso eziologico riconducibile alla sussistenza di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto l’interessato a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’istituto.

Deve quindi prescindersi, a tale ultimo fine, dall’accertamento di un nesso causale connesso all’effettivo contatto con nanoparticelle di metalli pesanti ovvero con proiettili all’uranio impoverito, dovendo invece porsi attenzione al verificarsi di una condizione di “maggior rischio” connessa al fatto che il militare è stato inviato in zone dove si è fatto massiccio utilizzo di detto munizionamento, con la conseguente dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di metalli pesanti.

Quanto all’impiego del ricorrente nei teatri operativi fortemente interessati dall’utilizzo di munizionamento all’uranio impoverito, esso è attestato dai rapporti informativi redatti su richiesta dello stesso Comitato di Verifica, in data 19 ottobre 2009 e 14 luglio 2010 dal Comandante del IX Reggimento Artiglieria Terrestre “Pasubio”, laddove dichiara di essere “venuto a conoscenza dell’uso da parte di Forze Armate non italiana di munizionamento all’uranio impoverito in alcuni teatri operativi in cui le nostre Forze Armate sono state impiegate, attraverso le notizie diffuse dai mass-media solo successivamente all’impiego del Militare nei teatri operativi in parola”.

Il ricorrente conclude quindi per l’annullamento degli atti impugnati e per l’accertamento del suo diritto al conseguimento dei benefici economici e giuridici oggetto dell’istanza presentata, con la conseguente condanna delle Amministrazioni intimate al relativo pagamento.

La difesa erariale si oppone all’accoglimento del ricorso.   

Venendo al merito della controversia, viene in primo luogo il principio secondo il quale “sono equiparati alle vittime del dovere coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative”.

Il regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, a sua volta prevede che si intendono “per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”.

In questo contesto normativo, il Tribunale ritiene che assuma rilevanza decisiva, ai fini dell’accertamento della sussistenza delle condizioni legittimanti l’attribuzione dei benefici in discorso, il riscontro di un nesso causale o concausale tra le patologie diagnosticate e le modalità e/o le circostanze caratterizzanti il servizio espletato, purché integranti “particolari condizioni ambientali od operative", ovvero "circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”.

Ne consegue che l’accertamento della sussistenza delle “particolari condizioni ambientali od operative”, lungi dall’elidere la necessità di verificare rigorosamente il nesso causale tra la patologia ed il servizio espletato, costituisce uno degli elementi che concorrono alla ricostruzione del nesso causale, in quanto idonee a qualificare in termini specializzanti (rispetto all’ordinario procedimento di riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio) la fonte genetica del processo patologico che ha condotto all’insorgenza dell’infermità.

Concorre, in tale direzione, l’articolo 6, comma 3, Decreto del Presidente della Repubblica cit., a mente del quale “le infermità si considerano dipendenti da causa di servizio per particolari condizioni ambientali od operative di missione, solo quando le straordinarie circostanze e i fatti di servizio di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), ne sono stati la causa ovvero la concausa efficiente e determinante", così come il successivo comma 4, ai sensi del quale "il Comitato di verifica per le cause di servizio (...) accerta la riconducibilità delle infermità dipendenti da causa di servizio alle particolari condizioni ambientali od operative di missione e si pronuncia con parere da comunicare all’amministrazione entro quindici giorni”.

Né a diverse conclusioni, quanto alla definizione del nesso causale di cui deve essere accertata la sussistenza ai fini del riconoscimento dei suddetti benefici, potrebbe giungersi sulla scorta dell’articolo 2, comma 78, Legge 24 dicembre 2007, n. 244, il quale dispone che “al fine di pervenire al riconoscimento della causa di servizio e di adeguati indennizzi al personale italiano impiegato nelle missioni militari all’estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti, nonché al personale civile italiano nei teatri di conflitto e nelle zone adiacenti le basi militari sul territorio nazionale, che abbiano contratto infermità o patologie tumorali connesse all’esposizione e all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e alla dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico, ovvero al coniuge, al convivente, ai figli superstiti, ai genitori, nonché ai fratelli conviventi e a carico qualora siano gli unici superstiti in caso di decesso a seguito di tali patologie, è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2008-2010”.

Invero, a prescindere dall’intervenuta abrogazione della disposizione citata, essa presuppone la sussistenza di una “connessione” tra l’infermità lamentata e l’esposizione ovvero all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e alla dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico. Ciò trova conferma nell’articolo 2 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 37/09 (oggetto di abrogazione), ai sensi del quale “in attuazione dell’articolo 2, commi 78 e 79, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244, ai soggetti indicati al comma 2, che abbiano contratto menomazioni all’integrità psicofisica permanentemente invalidanti o a cui è conseguito il decesso, delle quali l’esposizione e l’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la dispersione nell’ambiente di nano-particelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico abbiano costituito la causa ovvero la concausa efficiente e determinante, è corrisposta l’elargizione di cui all’articolo 5 commi 1 e 5 Legge n. 206/04”.

Resta solo da rimarcare che, ai sensi dell’articolo 6, comma 5, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 243/06, “il parere di cui al comma 4 è motivato specificamente in ordine alla ricorrenza dei requisiti previsti dal comma 3” (essendo superfluo osservare che siffatto onere motivazionale deve essere assolto anche nell’ipotesi di “non ricorrenza” dei requisiti suindicati): disposizione che rafforza il generale obbligo motivazionale facente capo alla Pubblica Amministrazione, ai sensi dell’articolo 3 della Legge n. 241/90.

Ebbene, rileva il Tar che il Comitato di Verifica per le cause di servizio, nell’adottare i pareri richiamati dal provvedimento impugnato non si è adeguato a tale schema normativo.

Come si è visto, il parere negativo del Comitato di Verifica per le cause di servizio è incentrato sulla seguente motivazione: “dall’esame degli atti, non si evidenziano condizioni ambientali ed operative di missione comunque implicanti l’esistenza od il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’Istituto e che si pongano quale causa ovvero concausa efficiente e determinante dell’infermità in questione”.

È indeterminata, in primo luogo, la stessa ratio del parere negativo, in quanto non si capisce se esso sia derivato dalla ritenuta insussistenza di circostanze straordinarie e fatti di servizio che abbiano esposto il ricorrente a maggiori rischi o fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’istituto, oppure dalla ritenuta non riconoscibilità del loro assurgere, ammessane la sussistenza, a causa ovvero concausa efficiente e determinante delle infermità diagnosticate nei confronti del ricorrente, oppure da entrambe le ragioni suindicate.

Già tale rilievo sarebbe di per sé sufficiente ad chiarire l’illegittimità del provvedimento negativo impugnato, motivato per relationem al suddetto parere, non consentendo esso di decifrare le reali ragioni sottese al rigetto dell’istanza presentata dal ricorrente.

Leggendo il parere non è consentito stabilire i motivi per i quali l’organo consultivo ha inteso escludere che il ricorrente sia stato esposto, in misura causalmente significativa, agli effetti patogenetici connessi all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito; motivazione che si sarebbe resa vieppiù necessaria alla luce del contenuto dell’istanza presentata dal ricorrente, con la quale si evidenzia che egli è stato presente in teatri operativi interessati dall’utilizzo di munizionamento all’uranio impoverito senza essere munito di alcun mezzo di protezione.

Altrettanto carente deve dirsi la motivazione del provvedimento impugnato ove riferibile alla ritenuta inettitudine causale o concausale della suddetta esposizione in relazione alla genesi delle patologie lamentate dal ricorrente. Anche da questo punto di vista, infatti, nessuno specifico e puntuale argomento, scientificamente sorretto, si può trarre dal provvedimento impugnato al fine di corroborare la negazione del suddetto nesso causale o indicare una spiegazione causale alternativa in ordine all’insorgenza delle patologie lamentate dal ricorrente.

Alle stesse conclusioni deve poi pervenirsi con riguardo all’assenza nei fatti, e nelle circostanze di servizio allegate dal ricorrente, dei requisiti di straordinarietà, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’istituto, richiesti dalla normativa suindicata, costituendo essa oggetto di una mera asserzione, non altrimenti argomentata, delle Amministrazioni intimate.

La domanda di annullamento proposta con il ricorso in esame, in conclusione, merita quindi accoglimento e conseguentemente viene annullato il provvedimento impugnato.

 

 

La Sentenza 7 marzo 2013, n. 17 pronunziata dal Tribunale Amministrativo Regionale della Campania pone in risalto il principio in forza del quale sono equiparati alle vittime del dovere coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso in occasione, o a seguito, di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori i confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative.

Nel caso di specie un Sottufficiale dell’Esercito Italiano ricorre contro il Ministero della Difesa, lo Stato Maggiore dell’Esercito e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, riferendo di aver partecipato a numerose missioni internazionali di pace (Bosnia Erzegovina, Kosovo e Afghanistan) e chiede l’annullamento del Decreto Ministeriale con il quale è stata rigettata la sua istanza tendente alla concessione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo ai sensi dell’articolo 1, commi 563 e 564, della Legge 23 dicembre 2005, n. 266 e per l’accertamento del proprio diritto a tutti i benefici economici e giuridici in relazione alle infermità “insufficienza renale cronica stadio II - III da malattia di Berger, tiroidine autoimmune con ipotiroidismo in trattamento sostitutivo con rilievo di neoplasia microscopica renale di tipo papillare” e “soggetto iperteso”, con interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data di insorgenza della patologia e fino all’effettivo soddisfo, con conseguente condanna delle Amministrazioni intimate al relativo pagamento.

Il militare deduce che con verbale della Commissione Medico Ospedaliera di Caserta, veniva riscontrato affetto da neoplasia microscopica di tipo papillare a cellule renali rene sinistro in nefropatia a depositi IGA con ipertensione arteriosa nonché da Tiroidite di Haschimoto. Presentava quindi istanza per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle predette infermità nonché domanda di riconoscimento dei benefici già previsti per le vittime della criminalità organizzata e del terrorismo.

Evidenzia che il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio esprimeva parere negativo ai fini del riconoscimento dei benefici di cui all’articolo 1, commi 563 e 564 della Legge n. 266/2005, rilevando che “dall’esame degli atti, non si evidenziano condizioni ambientali ed operative di missione comunque implicanti l’esistenza od il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’Istituto e che si pongano quale causa ovvero concausa efficiente e determinante dell’infermità in questione”.

A seguito delle osservazioni dell’interessato, il quale evidenziava che il nesso causale fra l’insorgenza della patologia tumorale riscontratagli e la permanenza in teatri operativi dove era stato fatto utilizzo di proiettili all’uranio impoverito era stato riconosciuto dal legislatore sia con l’articolo 2, comma 78 della Legge n. 244/2007, sia con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 37/2009, il Comitato di Verifica per le cause di servizio il 26 luglio 2010 confermava il suddetto parere negativo, escludendo che le deduzioni prodotte fossero idonee a ricondurre le patologie in questione al servizio svolto.

L’Amministrazione intimata faceva quindi seguire, al parere contrario del Comitato, il provvedimento reiettivo, poi impugnato con il ricorso.  

Mediante le critiche proposte, al fine di conseguirne l’annullamento viene in particolare dedotto che il ricorrente ha dovuto permanere continuamente in siti devastati da bombardamenti senza essere munito di alcun mezzo di protezione in relazione all’ambiente altamente inquinato da esalazioni e residui tossici derivanti dalla combustione ed ossidazione dei metalli pesanti causate dall’impatto e dall’esplosione delle munizioni utilizzate per le operazioni belliche, fra le quali quelle con utilizzo di uranio impoverito per i bersagli corazzati.

Ebbene, la perdurante esposizione a fattori chimici e radioattivi, quali ad esempio le microparticelle di metalli pesanti presenti nell’aria a causa dell’esplosione delle fabbriche chimiche, di carri armati e di edifici, causata anche da proiettili con uranio impoverito, alle esalazioni di gas di scarico degli automezzi bellici e dei solventi utilizzati per la pulizia e manutenzione delle armi, insieme all’indebolimento delle difese immunitarie naturali derivante dai vaccini continuamente somministratigli, hanno costituito fattori determinanti nella genesi delle infermità riscontrate al ricorrente.

Il predetto nesso di causalità è poi dimostrato dalle indagini svolte da organismi internazionali, quali la Relazione di Eglin, il Rapporto dell’US Mobility Equipment Reserach and Development Command, la Conferenza di Bagnoli del luglio 1995, così come dalle norme approvate una volta acquisita consapevolezza, alla luce degli studi suindicati, degli effetti letali dell’esposizione ai suddetti fattori di rischio: le Regole d’Oro dettate nell’anno 1990 dagli U.S.A., il Decreto Legislativo 17 marzo 1995, n. 230, la Risoluzione O.N.U. n. 1996/16 della Sottocommissione sulla prevenzione della discriminazione e protezione delle minoranze, la Direttiva del Ministero della Difesa del 26 novembre 1999.

Rileva inoltre il ricorrente che, mentre il procedimento per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità riscontrata si incentra sull’accertamento della sussistenza di un nesso eziologico diretto tra l’infermità stessa ed il servizio prestato, la procedura da lui attivata si fonda sul riscontro di un nesso eziologico riconducibile alla sussistenza di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto l’interessato a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’istituto.

Deve quindi prescindersi, a tale ultimo fine, dall’accertamento di un nesso causale connesso all’effettivo contatto con nanoparticelle di metalli pesanti ovvero con proiettili all’uranio impoverito, dovendo invece porsi attenzione al verificarsi di una condizione di “maggior rischio” connessa al fatto che il militare è stato inviato in zone dove si è fatto massiccio utilizzo di detto munizionamento, con la conseguente dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di metalli pesanti.

Quanto all’impiego del ricorrente nei teatri operativi fortemente interessati dall’utilizzo di munizionamento all’uranio impoverito, esso è attestato dai rapporti informativi redatti su richiesta dello stesso Comitato di Verifica, in data 19 ottobre 2009 e 14 luglio 2010 dal Comandante del IX Reggimento Artiglieria Terrestre “Pasubio”, laddove dichiara di essere “venuto a conoscenza dell’uso da parte di Forze Armate non italiana di munizionamento all’uranio impoverito in alcuni teatri operativi in cui le nostre Forze Armate sono state impiegate, attraverso le notizie diffuse dai mass-media solo successivamente all’impiego del Militare nei teatri operativi in parola”.

Il ricorrente conclude quindi per l’annullamento degli atti impugnati e per l’accertamento del suo diritto al conseguimento dei benefici economici e giuridici oggetto dell’istanza presentata, con la conseguente condanna delle Amministrazioni intimate al relativo pagamento.

La difesa erariale si oppone all’accoglimento del ricorso.   

Venendo al merito della controversia, viene in primo luogo il principio secondo il quale “sono equiparati alle vittime del dovere coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative”.

Il regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, a sua volta prevede che si intendono “per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”.

In questo contesto normativo, il Tribunale ritiene che assuma rilevanza decisiva, ai fini dell’accertamento della sussistenza delle condizioni legittimanti l’attribuzione dei benefici in discorso, il riscontro di un nesso causale o concausale tra le patologie diagnosticate e le modalità e/o le circostanze caratterizzanti il servizio espletato, purché integranti “particolari condizioni ambientali od operative", ovvero "circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”.

Ne consegue che l’accertamento della sussistenza delle “particolari condizioni ambientali od operative”, lungi dall’elidere la necessità di verificare rigorosamente il nesso causale tra la patologia ed il servizio espletato, costituisce uno degli elementi che concorrono alla ricostruzione del nesso causale, in quanto idonee a qualificare in termini specializzanti (rispetto all’ordinario procedimento di riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio) la fonte genetica del processo patologico che ha condotto all’insorgenza dell’infermità.

Concorre, in tale direzione, l’articolo 6, comma 3, Decreto del Presidente della Repubblica cit., a mente del quale “le infermità si considerano dipendenti da causa di servizio per particolari condizioni ambientali od operative di missione, solo quando le straordinarie circostanze e i fatti di servizio di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), ne sono stati la causa ovvero la concausa efficiente e determinante", così come il successivo comma 4, ai sensi del quale "il Comitato di verifica per le cause di servizio (...) accerta la riconducibilità delle infermità dipendenti da causa di servizio alle particolari condizioni ambientali od operative di missione e si pronuncia con parere da comunicare all’amministrazione entro quindici giorni”.

Né a diverse conclusioni, quanto alla definizione del nesso causale di cui deve essere accertata la sussistenza ai fini del riconoscimento dei suddetti benefici, potrebbe giungersi sulla scorta dell’articolo 2, comma 78, Legge 24 dicembre 2007, n. 244, il quale dispone che “al fine di pervenire al riconoscimento della causa di servizio e di adeguati indennizzi al personale italiano impiegato nelle missioni militari all’estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti, nonché al personale civile italiano nei teatri di conflitto e nelle zone adiacenti le basi militari sul territorio nazionale, che abbiano contratto infermità o patologie tumorali connesse all’esposizione e all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e alla dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico, ovvero al coniuge, al convivente, ai figli superstiti, ai genitori, nonché ai fratelli conviventi e a carico qualora siano gli unici superstiti in caso di decesso a seguito di tali patologie, è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2008-2010”.

Invero, a prescindere dall’intervenuta abrogazione della disposizione citata, essa presuppone la sussistenza di una “connessione” tra l’infermità lamentata e l’esposizione ovvero all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e alla dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico. Ciò trova conferma nell’articolo 2 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 37/09 (oggetto di abrogazione), ai sensi del quale “in attuazione dell’articolo 2, commi 78 e 79, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244, ai soggetti indicati al comma 2, che abbiano contratto menomazioni all’integrità psicofisica permanentemente invalidanti o a cui è conseguito il decesso, delle quali l’esposizione e l’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la dispersione nell’ambiente di nano-particelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico abbiano costituito la causa ovvero la concausa efficiente e determinante, è corrisposta l’elargizione di cui all’articolo 5 commi 1 e 5 Legge n. 206/04”.

Resta solo da rimarcare che, ai sensi dell’articolo 6, comma 5, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 243/06, “il parere di cui al comma 4 è motivato specificamente in ordine alla ricorrenza dei requisiti previsti dal comma 3” (essendo superfluo osservare che siffatto onere motivazionale deve essere assolto anche nell’ipotesi di “non ricorrenza” dei requisiti suindicati): disposizione che rafforza il generale obbligo motivazionale facente capo alla Pubblica Amministrazione, ai sensi dell’articolo 3 della Legge n. 241/90.

Ebbene, rileva il Tar che il Comitato di Verifica per le cause di servizio, nell’adottare i pareri richiamati dal provvedimento impugnato non si è adeguato a tale schema normativo.

Come si è visto, il parere negativo del Comitato di Verifica per le cause di servizio è incentrato sulla seguente motivazione: “dall’esame degli atti, non si evidenziano condizioni ambientali ed operative di missione comunque implicanti l’esistenza od il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’Istituto e che si pongano quale causa ovvero concausa efficiente e determinante dell’infermità in questione”.

È indeterminata, in primo luogo, la stessa ratio del parere negativo, in quanto non si capisce se esso sia derivato dalla ritenuta insussistenza di circostanze straordinarie e fatti di servizio che abbiano esposto il ricorrente a maggiori rischi o fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’istituto, oppure dalla ritenuta non riconoscibilità del loro assurgere, ammessane la sussistenza, a causa ovvero concausa efficiente e determinante delle infermità diagnosticate nei confronti del ricorrente, oppure da entrambe le ragioni suindicate.

Già tale rilievo sarebbe di per sé sufficiente ad chiarire l’illegittimità del provvedimento negativo impugnato, motivato per relationem al suddetto parere, non consentendo esso di decifrare le reali ragioni sottese al rigetto dell’istanza presentata dal ricorrente.

Leggendo il parere non è consentito stabilire i motivi per i quali l’organo consultivo ha inteso escludere che il ricorrente sia stato esposto, in misura causalmente significativa, agli effetti patogenetici connessi all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito; motivazione che si sarebbe resa vieppiù necessaria alla luce del contenuto dell’istanza presentata dal ricorrente, con la quale si evidenzia che egli è stato presente in teatri operativi interessati dall’utilizzo di munizionamento all’uranio impoverito senza essere munito di alcun mezzo di protezione.

Altrettanto carente deve dirsi la motivazione del provvedimento impugnato ove riferibile alla ritenuta inettitudine causale o concausale della suddetta esposizione in relazione alla genesi delle patologie lamentate dal ricorrente. Anche da questo punto di vista, infatti, nessuno specifico e puntuale argomento, scientificamente sorretto, si può trarre dal provvedimento impugnato al fine di corroborare la negazione del suddetto nesso causale o indicare una spiegazione causale alternativa in ordine all’insorgenza delle patologie lamentate dal ricorrente.

Alle stesse conclusioni deve poi pervenirsi con riguardo all’assenza nei fatti, e nelle circostanze di servizio allegate dal ricorrente, dei requisiti di straordinarietà, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’istituto, richiesti dalla normativa suindicata, costituendo essa oggetto di una mera asserzione, non altrimenti argomentata, delle Amministrazioni intimate.

La domanda di annullamento proposta con il ricorso in esame, in conclusione, merita quindi accoglimento e conseguentemente viene annullato il provvedimento impugnato.