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Composizione della crisi da sovraindebitamento e sanzioni penali

Sommario: 1. Introduzione. 2. La procedura per risolvere la crisi da sovraindebitamento. 3. L’articolo 16 della Legge n. 3 del 2012. 4. Le fattispecie penali relative alle condotte poste in essere nella fase antecedente all’ammissione alla procedura per la soluzione della crisi.  4.1. La lettera a). 4.2. La lettera b). 4.3. La lettera c). 5. Le fattispecie inerenti alla fase esecutiva dell’accordo. 5.1. La lettera d). 5.2. La lettera e). 5.3. La lettera f). 6. I delitti commessi dal componente dell’organismo di composizione della crisi. 6.1. Le false attestazioni del professionista. 6.2. Il rifiuto di atti di ufficio del professionista. 7. Conclusioni.

1. Introduzione

Con la Legge del 27 gennaio 2012, n. 3 (modificata dal Decreto Legge n. 179/2012, convertito nella Legge 221/2012), il legislatore italiano ha introdotto, sulla scia di quanto già fatto proprio da altre realtà nazionali, una nuova procedura volontaria di ristrutturazione della crisi da sovraindebitamento destinata agli imprenditori non soggetti alle procedure fallimentari ed ai consumatori, prevedendo poi all’articolo 16 un sistema sanzionatorio di chiara matrice penalistica.

La legge affronta insieme i temi dell’usura, dell’estorsione e della crisi da sovraindebitamento del privato in quanto, secondo i compilatori della legge in parola, sia i consumatori che i piccoli imprenditori – in assenza di strumenti giuridici atti a garantire la possibilità di superare la situazione di difficoltà economica in cui versano – rischiano di entrare in un circuito illecito di erogazione del credito ritrovandosi così vittime di usura.

La nuova procedura di composizione della crisi è quindi tesa sia a diminuire l’incidenza di tali reati indebolendo le stesse organizzazioni criminali che li pongono in essere, sia a rendere maggiormente efficiente il soddisfacimento delle ragioni creditorie nei confronti dei debitori non fallibili[1].

Proprio per i motivi anzidetti, appare chiaro come le finalità fatte proprie da questa nuova procedura siano appunto quelle di permettere una ristrutturazione del debito ed il recupero della solvibilità del soggetto non fallibile.

Una disciplina in tal senso non appare affatto nuova se raffrontata con quanto accade nelle altre realtà nazionali collocate all’interno dell’area euro, le quali prevedono apposite procedure sdebitorie che hanno come destinatari proprio i consumatori e le piccole imprese, in mancanze delle quali l’unica soluzione adottabile in situazioni di codesto genere sarebbe una normale esecuzione forzata individuale[2].

2. La procedura per risolvere la crisi da sovraindebitamento

L’intero nuovo impianto normativo ruota attorno al concetto di crisi da sovraindebitamento, definito come una “situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente[3].

È una nozione che risulta particolarmente ampia, rivolta a garantire la massima estensione del raggio applicativo della normativa, concentrandosi su una crisi non certo di tipo transitorio od occasionale, ma espressiva di una difficoltà finanziaria che assume carattere più profondo e strutturale (forse) addirittura non reversibile.

La definizione oscilla tra il profilo dinamico – funzionale dell’illiquidità finanziaria dell’impresa (riprendendo il modello dell’articolo 5 della Legge fallimentare), e quello invece statico – reale dell’incapienza patrimoniale, più adatto a descrivere l’esposizione debitoria del consumatore[4].

Il legislatore offre la possibilità di accedere ad una composizione della crisi individuale per due distinte categorie di soggetti: i titolari di imprese non fallibili da un lato, i comuni debitori dall’altro[5].

Rapidamente sull’anzidetta procedura[6], questa prevede che il debitore in difficoltà possa rivolgersi ad un apposito organismo di composizione della crisi per formulare una proposta circa un accordo di ristrutturazione dei debiti che sarà poi posto all’attenzione dei creditori.

La proposta sarà poi depositata in tribunale a cui seguirà la fissazione dell’udienza da parte del giudice che renderà pubblico l’accordo.

Tale accordo diverrà omologabile se i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti comunicano al predetto organismo di composizione della crisi il loro consenso.

A seguito dell’intesa viene trasmessa una relazione sui consensi espressi. Eventuali contestazioni da parte dei creditori dovranno essere sollevate entro 10 giorni.

Dopodiché l’organismo trasmetterà quanto acquisito al giudice, assieme ad un parere definitivo sulla fattibilità del piano di ristrutturazione dei debiti.

Infine, dopo aver debitamente controllato i requisiti, il giudice procede all’omologazione dell’accordo disponendone la pubblicazione. Seguirà poi la fase esecutiva dell’accordo secondo le modalità previste nel testo omologato, essendo prevista anche la possibilità di una nomina giudiziale di un liquidatore sotto la vigilanza dell’organismo di composizione della crisi che dovrà risolvere eventuali difficoltà pratiche nella fase attuativa del piano.

Rimane comunque ferma la competenza del giudice a conoscere di qualsiasi contestazione riguardante la lesione di diritti soggettivi[7].

Qualsiasi pagamento o atto dispositivo in violazione dell’accordo è sanzionato con l’inefficacia relativa ai sensi dell’articolo 13, comma 4, e potrà assumere rilevo penale (come si vedrà a breve) ai sensi dell’articolo 16, lettera d) della legge in parola.

Si segnala per completezza che, con la Legge n. 221 del 2012 si è provveduto ad ampliare il capo della Legge n. 3 del 2012 sulla crisi da sovraindebitamento, prevedendo ora tre possibili procedure: l’accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti che si fonda su un piano proposto dal debitore; il piano del consumatore che persegue il medesimo fine dell’accordo anzidetto, ma senza che sia necessario l’accordo con i creditori ed, infine, la liquidazione del patrimonio.

Le prime due procedure presentano molti elementi di affinità con il concordato, mentre la terza è più vicina alla procedura fallimentare.

3. L'articolo 16 della legge n. 3 del 2012: generalità

Il presidio penalistico a tutela della nuova procedura per il sovraindebitamento privato è rappresentato dall’articolo 16, il quale descrive autonomamente le condotte penalmente rilevanti seguendo il metodo casistico tipico della Legge fallimentare (articolo 216 e seguenti).

In particolare, la disposizione si compone di tre commi: il primo stabilisce la responsabilità sia nella fase antecedente all’ammissione alla procedura per la soluzione del sovra indebitamento (lettere a, b, c) sia nella fase esecutiva della procedura medesima (lettere d, e ,f). Il secondo e il terzo comma si occupano, invece, dello statuto penale dell’inedita figura del componente dell’organismo di composizione della crisi, cui è da equipararsi il professionista incaricato dell’attestazione del piano.

La cornice edittale è inferiore  a quella dei reati fallimentari: i fatti di cui al comma primo sono puniti con la reclusione da sei mesi a due anni e la multa da mille a cinquantamila euro; le ipotesi dei commi due e tre prevedono la stessa pena pecuniaria mentre la reclusione va da uno a tre anni.

4. Le fattispecie penali relative alle condotte poste in essere nella fase antecedente all’ammissione alla procedura per la soluzione della crisi

Si procederà ora all’analisi delle singole fattispecie incriminatrici presenti nell’articolo 16, primo comma, della legge in commento e, per ragioni di maggior chiarezza, si seguirà la suddivisione in lettere prevista dal legislatore.

4.1. La lettera a)

Il primo comma dell’articolo 16 sanziona, alla lettera a), il debitore che al fine di ottenere l’accesso alla procedura di composizione della crisi di cui si è detto, “aumenta o diminuisce il passivo ovvero sottrae o dissimula una parte rilevante dell'attivo ovvero dolosamente simula attività inesistenti[8].

Si tratta di ipotesi caratterizzate dall'elemento soggettivo del dolo specifico, riecheggiando così la lettera dell’articolo 236 della Legge fallimentare in materia di concordato preventivo. Nel caso dell’articolo 16 però manca l’elemento dell’esclusività circa la finalità da perseguire (cosa invece presente nell’articolo 236 della Legge fallimentare) con la conseguenza che lo scopo di ottenere l’accesso alla procedura potrebbe non essere l’unica direzione finalistica ad assumere rilevanza penale[9].

La prima delle tre condotte considerate consiste nell’aumentare o diminuire il passivo per accedere alla procedura di composizione della crisi: attività che non deve essere meramente contabile o simulata, altrimenti si verserà nella fattispecie di esposizione fittizia di passività inesistenti[10].

La diminuzione del passivo alternativa all’aumento doloso è da considerarsi come ipotesi affine al reato fallimentare di cui all’articolo 236 della Legge fallimentare: il debitore vuole, con questa sua condotta, mascherare la carenza delle proprie risorse patrimoniali per permettere l’esecuzione dell’accordo coi creditori[11].

Maggior conformità con lo spirito della riforma, assume invece la condotta di simulazione dolosa di attività inesistenti che appare in maniera manifesta idonea a viziare il consenso dei creditori e, di conseguenza, l’accordo stesso.

In questa ipotesi, l’avverbio “dolosamente” appare superfluo, non venendo messa in discussione la natura dolosa di tutte le fattispecie ricomprese nella lettera a).

Per “simulazione” si deve necessariamente intendere un’attività riguardante qualsiasi mezzo di rappresentazione non veritiero, che vada oltre i limiti dell’istituto del negozio simulato disciplinato dal codice civile[12].

In virtù della clausola di sussidiarietà (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”), troverà applicazione la fattispecie di truffa qualora, in seguito alla condotta oggetto di analisi, si realizzi tutta la serie causale imposta dall’articolo 640 del codice penale (nello specifico: artifici e raggiri, induzione in errore, atto di disposizione patrimoniale, ingiusto profitto e altrui danno) [13].

In ordine alla condotta di dissimulazione di una parte rilevante dell’attivo anche qui si ha una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale posta in essere dal debitore al fine di persuadere i creditori ad accettare la proposta formulata. La mancanza d’incriminazione delle condotte riguardanti la simulazione di passività inesistenti o di dissimulazione di passività esistenti idonee ad alterare la percezione circa l’effettiva consistenza del patrimonio del debitore rappresenta una grave lacuna da parte del legislatore[14].

I comportamenti vietati sono un chiaro maquillage delle ipotesi contemplate all’interno della bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e per dissimulazione ai sensi dell’articolo 216, comma primo, n. 1 della Legge fallimentare.

Le attività appena descritte sono tutte attività che normalmente si realizzano mediante operazioni di tipo documentale poste in essere dal debitore e su cui gravano gli obblighi imposti dall’articolo 9, commi secondo e terzo della legge in esame.

4.2. La lettera b)

La successiva lettera b), punisce il debitore che, sempre con lo scopo di ottenere l’accesso alla procedura, “produce documentazione contraffatta o alterata, ovvero sottrae, occulta o distrugge, in tutto o in parte, la documentazione relativa alla propria situazione debitoria ovvero la propria documentazione contabile[15], sulla scorta di quanto previsto in tema di bancarotta documentale.

Dette condotte devono essere tali da alterare le percezioni dei creditori circa la “fattibilità” del piano proposto.

Tale norma si applica anche qualora il debitore intenda ottenere l’accesso alla procedura di liquidazione dei beni ai sensi della Legge n. 221 del 2012, essendo “alternativa alla proposta per la composizione della crisi[16] la quale impone l’onere di allegazione documentale al debitore al fine di ricostruirne la situazione patrimoniale.

Tale fattispecie presenta forti analogie con la bancarotta fraudolenta documentale, incriminata all’articolo 216, comma primo, n. 2) della Legge fallimentare; diverso, tuttavia è l’elemento del dolo specifico: nella Legge del 2012 si richiede il fine di ottenere l’accesso alla procedura di composizione della crisi, nella legge fallimentare invece si richiede lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare un pregiudizio ai creditori[17].

La circostanza che la lettera b) faccia riferimento alla produzione contraffatta o alterata della documentazione parrebbe, ad una prima analisi, riferirsi al solo falso materiale e non anche al falso di tipo ideologico, posto che la terminologia utilizzata dal legislatore ricalca quella delle disposizioni della parte speciale del codice penale in tema di falso materiale.

Tuttavia non sembra doversi escludere dalla tipicità della norma le ipotesi di falso ideologico in quanto, secondo un primo ragionamento di ordine teleologico, la fattispecie è stata senza dubbio alcuno introdotta per garantire l’affidamento circa la veridicità dei documenti posti a fondamento della proposta di accordo, e quindi ricomprendendo anche la verità delle dichiarazioni contenute in essi[18].

In secondo luogo, ragionando a livello sistematico, se è vero che il falso ideologico commesso dal privato non è punibile, è pur vero che in tali ipotesi si è di fronte alla diversa circostanza di false dichiarazioni rese dinnanzi al pubblico ufficiale (in quanto i documenti sono forniti al giudice della procedura): ne consegue che, prescindendo dal dato del dolo specifico, la condotta è di per sè già tipica e sussumibile nell’articolo 483 del codice penale[19].

Raffrontando infine tale disciplina con l’archetipo contenuto nell’articolo 216 della Legge fallimentare, si giunge alla conclusione di ritenere che la lettera b) in parola incrimini tanto il falso materiale quanto il falso ideologico dei documenti da depositare nella cancelleria del tribunale.

4.3. La lettera c)

L’articolo 16, lettera c) incrimina l’omessa indicazione di beni nell’inventario presentato dal debitore a corredo della domanda di liquidazione.

Subito si nota un collegamento con la lettera a) dello stesso articolo, nella parte in cui prevede l’incriminazione di chi “sottrae una parte rilevante del suo attivo[20], differenziandosene però in merito alla mancanza della finalità di ottenere l’accesso alle procedure e per la mancanza di una esplicita indicazione della soglia di rilevanza[21].

La ragion d’essere di questa incriminazione si potrebbe individuare nella necessità di attribuire una rilevanza penale ad ogni genere di omissione posta in essere dal debitore, e non solo a quella che minacci l’attendibilità del piano[22].

Altro collegamento si ha con l’ipotesi tipica dell’articolo 220 della Legge fallimentare, la quale incrimina l’omessa dichiarazione da parte del soggetto fallibile dell’esistenza di “altri beni da comprendere nell’inventario”; nella Legge fallimentare però, il delitto è punito con una pena molto più lieve delle ipotesi di bancarotta, mentre nell’articolo 16 si ha una equiparazione sanzionatoria con le lettere a) e b) che presentano però un disvalore assai più rilevante essendo ipotesi di tipo commissivo[23].

È importante rilevare come la fattispecie in esame sia esclusivamente dolosa e non anche colposa come invece previsto all’articolo 236, comma 2 della Legge fallimentare.

Con la lettera c) si esauriscono gli illeciti penali precedenti all’ammissione alla procedura per la soluzione del sovraindebitamento.

5. Le fattispecie inerenti alla fase esecutiva dell’accordo

Dopo aver esaminato le fattispecie inerenti alla fase che precede l’accordo, è ora il momento di analizzare meglio le successive lettere d), e) ed f), le quali fanno invece riferimento ai comportamenti posti in essere dal debitore nella fase esecutiva dell’accordo.

5.1. La lettera d)

La disposizione punisce il comportamento del debitore che “nel corso della procedura […] effettua pagamenti in violazione dell'accordo o del piano del consumatore[24]: detti pagamenti sono da considerarsi inefficaci per tutti coloro che figurino quali creditori anteriormente alla data in cui viene reso pubblico il decreto di ammissione alla procedura[25] o il decreto di omologazione del piano del consumatore.

Analogamente alla fattispecie di bancarotta preferenziale il comportamento incriminato è potenzialmente lesivo della par condicio creditorum ed inoltre potrebbe minare il buon esito della procedura di composizione della crisi, tutta incentrata sul corretto adempimento degli obblighi assunti dal debitore[26].

Proprio la particolare gravità di queste condotte all’interno del quadro di composizione della crisi giustificherebbe un trattamento sanzionatorio assai elevato, a dispetto di quanto previsto in ambito di bancarotta preferenziale ex articolo 216, comma terzo, della Legge fallimentare[27].

Il comportamento incriminato deve essere posto nel “corso della procedura”. Che dire allora di quelle attività compiute dal debitore nel periodo tra il deposito della proposta e la conclusione dell’accordo che siano in grado di alterare la situazione patrimoniale contenuta nel programma e in base alla quale vengono effettuate le valutazioni dei creditori?

A rigor di logica questa situazione dovrebbe essere estranea all’ambito applicativo della norma posto che, parlandosi di “pagamenti in violazione dell’accordo” si presuppone che l’accordo si sia già perfezionato tra le parti.

Inoltre, una lettura sistematica della norma ne ribadirebbe l’esclusione in quanto, la lettera e) della stessa norma (come si vedrà a breve) parla del momento successivo al deposito della proposta qualificato come riferimento iniziale dal quale è proibito, per il debitore, aggravare la propria posizione. Peraltro in quest’ultimo caso si fa riferimento all’assunzione di nuove obbligazioni da parte del debitore, rendendosi quindi impossibile colmare la lacuna appena vista ricollegandosi alla fattispecie inclusa nella lettera e)[28].

Guardando poi all’articolo 10, comma 3 bis, il quale prevede l’inefficacia, nei confronti dei creditori anteriori, degli atti di straordinaria amministrazione che siano stati compiuti senza autorizzazione del giudice, nel periodo intercorrente tra il decreto di fissazione dell’udienza e l’omologazione, sembrerebbe plausibile ritenere che il debitore possa continuare a svolgere ciò che normalmente è connesso con la sua attività, compresa quindi la possibilità di contrarre nuove passività purché rimangano all’interno della soglia dell’ordinaria amministrazione[29].

5.2. La lettera e)

La lettera e) della legge in parola presenta un chiaro collegamento con l’articolo 217, n. 4 della Legge fallimentare: analogamente all’ipotesi di bancarotta semplice, la norma colpisce le condotte successive all’inizio della procedura che siano tali da provocare un peggioramento, in concreto, dell’esposizione debitoria[30].

Residuano incertezze interpretative in riferimento all’esatta definizione del concetto di “aggravamento della posizione debitoria”, non rientrando nella fattispecie le spese correnti necessarie per il mantenimento del debitore e della propria famiglia, stante altrimenti una contraddizione evidente con l’articolo 9, secondo comma, della legge[31].

Nella lettera e) si parla di una condotta che riguarda “tutta la durata della procedura”, ma non per questo ci si trova di fronte ad un reato di durata, in quanto il fatto dell’aggravamento può derivare da una singola azione od omissione dolosa. L’intera durata della procedura serve solo a delineare l’esatta collocazione temporale della condotta tipica[32].

Si potrebbe qui configurare una responsabilità a titolo di dolo eventuale in tutte quelle ipotesi in cui l’agente ponga in essere un determinato comportamento che appaia di dubbia utilità, accettando comunque il rischio che da esso ne derivi l’aggravamento del dissesto.

Quanto all’elemento soggettivo occorre inoltre rilevare come mentre l’ipotesi della legge fallimentare è chiaramente una fattispecie colposa dato il tenore testuale, la norma della Legge del 2012 invece tace sul punto, con la conseguenza che il delitto in esame è esclusivamente doloso, ai sensi dell’articolo 42, comma secondo, del codice penale[33].

5.3. La lettera f)

Dolo eventuale che è sicuramente escluso nella fattispecie prevista alla lettera f) che richiede un dolo di tipo intenzionale, escludendosi così anche la rilevanza del dolo diretto[34].

Qui si prevede la perseguibilità del debitore che "intenzionalmente non rispetta i contenuti dell'accordo o del piano del consumatore”: tale ipotesi può trovare applicazione quando il fatto non rientri nelle precedenti incriminazioni.

L’inadempimento dell’accordo porterà alla risoluzione del contratto e all’impossibilità di esecuzione del piano ai sensi dell’articolo 14, comma 2 della Legge del 2012 ed il debitore decadrà da tutti i benefici della nuova procedura di composizione[35].

I casi di inadempimento possono essere i più vari: si va da comportamenti omissivi di mancata esecuzione delle prestazioni e di omessa costituzione di garanzie, a comportamenti attivi, tra cui il pagamento di crediti contrari all’assetto negoziale risultante dal piano e l’assunzione di nuove obbligazioni estranee all’accordo[36].

6. I delitti commessi dal componente dell'organismo di composizione della crisi

Il legislatore ha previsto poi ipotesi delittuose che colpiscono i componenti dell’organo di composizione della crisi al secondo e terzo comma dell’articolo 16 della Legge n. 3 del 2012. Sono ipotesi di false attestazioni o di omissione o rifiuto ingiustificato di compiere un atto del proprio ufficio.

Tale organo si occupa del complesso di attività che riguardano l’assistenza al debitore e sono finalizzate a superare la situazione di crisi. Esso si occupa di fornire ausilio nella realizzazione del piano di ristrutturazione da proporre ai creditori e ne attesta la fattibilità. Infine partecipa a tutta la procedura finalizzata all’omologazione da parte del giudice con compiti di vigilanza sulla corretta esecuzione dell’accordo.

Ai sensi dell’articolo 15, comma 1 della Legge in parola, possono costituire organismi per la composizione delle crisi da sovraindebitamento gli enti pubblici dotati di requisiti di indipendenza e professionalità determinati con il regolamento di cui al comma 3 del medesimo articolo, gli organismi di conciliazione costituiti presso le camere di commercio, il segretariato sociale costituito ai sensi dell’articolo 22, comma 4, lettera a), della Legge 8 novembre 2000, n. 328.

Gli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai sono iscritti di diritto, a semplice domanda, nel registro di cui al comma 2 dell’articolo 15.

6.1. Le false attestazioni del professionista

La falsità de qua concerne, più precisamente, i dati indicati nella proposta dell’accordo del debitore, nonché i documenti ad essa allegati[37], la fattibilità del piano, il contenuto della relazione di accompagnamento o la domanda di liquidazione[38] e l’esito della votazione dei creditori[39].

Oggetto di queste falsità sarebbero sia componenti di tipo fattuale che componenti di tipo valutativo: ad esempio la valutazione circa la fattibilità del piano, che comprende un giudizio di carattere prognostico avente per oggetto una valutazione circa l’idoneità del progetto del debitore a raggiungere il fine voluto[40].

Il problema finisce per concernere il tema della rilevanza del falso in valutazione: per ciò che riguarda la presente analisi, va segnalato che l’attenzione deve necessariamente concentrarsi sulla verifica se il componente dell’organismo abbia espresso la sua valutazione in base a criteri comunemente accettati e, comunque, precisati nella relazione sulla fattibilità del piano[41].

Si tratta comunque di un’attività perlopiù vincolata ai principi della tecnica professionale, la cui conformità permette di valutare se vi sia correttezza o meno: tale correttezza deve avere come riferimento l’elaborato a livello globale, uscendo dall’area del penalmente rilevante quelle attestazioni che, pur essendo false, hanno per oggetto dati poco significativi rispetto alle successive determinazione dei creditori o al controllo giudiziale[42].

Vista la natura negoziale e privatistica che caratterizza la nuova procedura, sembra doversi escludere la qualifica pubblicistica dei membri del procedimento di composizione della crisi[43].

Ciò parrebbe confermato dall’analisi circa il trattamento sanzionatorio previsto dal legislatore in questo caso, che è assai inferiore rispetto alla fattispecie di falsità commesse da un pubblico ufficiale: ciò parrebbe (qui il condizionale è d’obbligo) esser dovuto proprio al carattere privatistico dell’ufficio di cui ci si occupa.

Altra dottrina propende invece per una qualifica pubblicistica di tale organismo argomentando sul fatto che i requisiti soggettivi richiesti ai fini della nomina sono gli stessi necessari per ottenere l’assunzione della qualifica di curatore o di notaio, o sul fatto che la costituzione degli organismi è demandata ad enti pubblici o, ancora, argomentando sul fatto che il contenuto dell’attività dei soggetti facenti parte di questi organi ha i caratteri di tipo pubblicistico comportando l’esercizio di poteri di verifica, attestazione, vigilanza, pubblicizzazione e notificazione simili a quelli previsti in capo al curatore fallimentare[44].

Si controbatte però che l’attività posta in essere dal componente dell’organismo si fonda sull’azione fatta dal privato che a lui si rivolge. Addirittura, se tra i beni destinati a soddisfare i creditori ve ne siano alcuni di pignorati è prevista la nomina da parte del giudice di un apposito liquidatore che abbia i requisiti per la nomina di curatore fallimentare.

Ciò basterebbe, a parer di chi scrive, per l’accoglimento della natura privatistica di questa figura che, seppur formalmente potrebbe apparire di tipo pubblicistico, a livello sostanziale sarebbe più opportuno propendere per una considerazione privatistica della stessa.

6.2. Il rifiuto di atti d’ufficio del professionista

Infine, come già detto, l’impianto normativo prevede una responsabilità a carico del componente dell’organismo di composizione della crisi che arrechi un danno ai creditori omettendo o rifiutando in maniera ingiustificata un atto del proprio ufficio.

Subito traspare il collegamento con la fattispecie di cui all’articolo 328 del codice penale (rifiuto di atti d’ufficio) con l’aggiunta dell’elemento del danno ai creditori di natura essenzialmente patrimoniale inteso come effettiva deminutio patrimonii e non come semplice perdita di un diritto secondo l’accezione giuridica di danno.

Per ciò che concerne l’attività doverosa si dovrà far riferimento a quanto previsto nella Legge n. 3 del 2012 in merito all’attività di spettanza all’organismo di composizione della crisi con il rischio, data l’eccessiva genericità presente in alcune disposizioni, di sollevare problemi circa il principio di determinatezza.

È necessaria un’espressa manifestazione di diniego di fronte ad una richiesta, oppure un comportamento di tipo omissivo per l’integrazione della fattispecie penale de qua.

7. Conclusioni

L’articolo 16 della Legge n. 3 del 2012 tende a tutelare una serie differente di interessi, primo fra tutti quello dei creditori all’esatta esecuzione di un accordo, quello di composizione della crisi, che si fondi su una rappresentazione veritiera della situazione patrimoniale e reddituale del debitore e su una ragionevole previsione di fattibilità del piano di recupero.

Più nello specifico, l’oggetto giuridico del primo comma dell’articolo 16 parrebbe essere rappresentato dal patrimonio nell’accezione che quest’ultimo assume in materia di bancarotta: ciò si desume dai molteplici collegamenti che si sono evidenziati nel corso del presente elaborato con gli articoli 216 e seguenti della Legge fallimentare, e dal fatto che tutte le lettere del primo comma sono espressive di una lesione degli interessi patrimoniali dei creditori, sia se di mero pericolo, sia in ipotesi di danno già realizzato[45].

La medesima lettura deve essere data anche alla lettera b) in quanto la correttezza e l’affidabilità delle allegazioni documentali sono beni giuridici di carattere meramente strumentale all’interesse primario di soddisfazione dei creditori.

Sul versante della tecnica normativa si può affermare che, similmente alle fattispecie di bancarotta, l’articolo 16 delinea una disposizione a più norme. Cosicché, in base a quanto affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione del 27 gennaio 2011[46], ogni lettera raffigura una fattispecie incriminatrice a sé stante con la conseguenza che la commissione di più fatti rientranti in lettere differenti della norma darà luogo ad una pluralità di reati[47] .

Dal raffronto con le norme in materia di bancarotta, tuttavia, si nota subito la mancanza di una norma parallela a quella dell’articolo 219 comma 2, n. 1, della Legge fallimentare che regoli la risposta sanzionatoria nel caso di pluralità di fatti contemplati dalla norma. Ne deriva che l’escalation punitiva può essere mitigata solo dall’istituto della continuazione[48].

In conclusione, si deve in ogni caso propendere per una considerazione positiva circa la novella Legge del 2012: conferma di ciò si trova nella circostanza che la successiva novella penale fallimentare del 2012 n. 134 ha preso spunto proprio dalla Legge n. 3 del 2012 per quanto riguarda la disciplina della tutela penale apprestata all’attendibilità e alla veridicità dei piani di risanamento, degli accordi di ristrutturazione e dei concordati preventivi offerti dall’imprenditore per evitare il proprio fallimento, basandosi sulla disciplina del falso del professionista nella composizione della crisi da sovraindebitamento[49].

 

BIBLIOGRAFIA

Alessandri A., Profili penalistici delle innovazioni in tema di soluzioni concordate delle crisi di impresa, in Riv. it. dir. e proc. penale, 2006, p. 111 s.;

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Mucciarelli F., Stato di crisi, piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo e fattispecie penali, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2009, p. 825 s.;

Merenda I., Profili penali della disciplina sul sovraindebitamento, in Cass. pen., 2013, p. 3355 s.;

Poli F., Nuove fattispecie penali nella disciplina della crisi da sovraindebitamento: alcuni spunti di riflessione, in Riv. dottori comm., 2012, p. 589 s.;

Spadavecchia D., I reati nelle procedure concorsuali dei “non fallibili”, in www.ilfallimentarista.it;

Spinosa V., Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali: è nata la bancarotta del piccolo imprenditore e del consumatore?, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2013, p. 787 s.;

L. Pistorelli,Rel. n. III/3/2012 dell’Ufficio Massimario della Corte di Cassazione, in http://www.penalecontemporaneo.it/upload/Legge%20crisi%20sovraindebitamento.pdf;

 

[1] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali: è nata la bancarotta del piccolo imprenditore e del consumatore?, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, n. 4, Padova 2013, p. 788;

[2] Sul punto vedi F. Poli, Nuove fattispecie penali nella disciplina della crisi da sovraindebitamento: alcuni spunti di riflessione, in Riv. dottori comm., n. 3, Milano 2012, pag. 589;

[3] Vedi art. 6, comma 2, l. 3/2012 così come modificato dalla l. n. 221 del 2012;

[4] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 790;

[5] Inizialmente le procedure pensate dal legislatore dovevano essere distinte per questi soggetti; scelta poi non accolta per non prevedere una inutile duplicazione dell’istituto, come segnalato dall’Ufficio Massimario della Cassazione, L. Pistorelli, Rel. n. III/3/2012;

[6] Per un’analisi più approfondita si può rinviare alla lettura di F. Di Marzio (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, Milano 2012;

[7] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 792;

[8] Art. 16, comma 1, l. 3/2012;

[9] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 795;

[10] Ivi., p. 796;

[11] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 796;

[12] Ivi,p. 797;

[13] I. Merenda, Profili penali della disciplina sul sovraindebitamento, cit., p. 3; F. Poli, Nuove fattispecie penali nella disciplina della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 593;

[14] I. Merenda, Profili penali della disciplina sul sovraindebitamento, cit., p. 3358;

[15] Art. 16, primo comma, lett. b), legge n. 3 del 2012;

[16] Artt. 14-ter e ss., legge n. 221 del 2012;

[17] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 797;

[18] Ivi, p. 798;

[19] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 798;

[20] Art. 16, primo comma, lett. a), legge n. 3 del 2012;

[21] Concorde sul punto D. Spadavecchia, I reati nelle procedure concorsuali dei non fallibili, in www.ilfallimentarista.it;

[22] I. Merenda, Profili penali della disciplina sul sovraindebitamento, cit., p. 3360;

[23] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 799;

[24] Art. 16, comma primo, lett. d), legge n. 3 del 2012;

[25] Vedi art. 10, comma 2, legge n. 3 del 2012;

[26] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 799;

[27] Ivi, p. 800;

[28] I. Merenda, Profili penali della disciplina sul sovraindebitamento, cit., pp. 3360 - 3361;

[29] Concorde sul punto I. Merenda, Profili penali della disciplina sul sovraindebitamento, cit., p. 3361;

[30] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 801;

[31] L’art. 9, comma seconda, della l. 3/2012 come successivamente modificato prevede che “unitamente alla proposta devono essere depositati l’elenco di tutti i creditori, con l’indicazione delle somme dovute, di tutti i beni del debitore e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni, corredati delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni e dell’attestazione sulla fattibilità del piano, nonché l’elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento suo e della sua famiglia, previa indicazione della composizione del nucleo familiare corredata del certificato dello stato di famiglia”.

[32] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 801;;

[33] Ibidem;

[34] F. Poli, Nuove fattispecie penali nella disciplina della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 593;

[35] Vedi art. 10, comma 3, legge n. 3 del 2012;

[36] Tutto ciò si desume dal combinato disposto dell’art. 8 e dell’art. 14, comma 2, della legge n. 3 del 2012;

[37] Vedi art. 9, comma 2, legge n. 3 del 2012;

[38] Vedi artt. 9, comma 3 bis, 14 ter, comma terzo, legge n. 3 del 2012;

[39] Vedi art. 12, comma 1, legge n. 3 del 2012;

[40] Concorde sul punto F. Mucciarelli, Stato di crisi, piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo e fattispecie penali, in Riv. trim. dir. pen. econ., n. 4, Padova 2009, p. 840;

[41] I. Merenda, Profili penali della disciplina sul sovraindebitamento, cit., p. 3362;

[42] I. Merenda, Profili penali della disciplina sul sovraindebitamento, cit., p. 3363;

[43] Come già affermato dalla dottrina nell’ottica della qualifica dell’esperto attestatore nell’ambito del concordato preventivo, fra tutti A. Alessandri, Profili penalistici delle innovazioni in tema di soluzioni concordate delle crisi di impresa, in Riv. it. dir. e proc. penale, Milano 2006, p. 457;

[44] F. Poli, Nuove fattispecie penali nella disciplina della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 596;

[45] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 803;

[46] Cass. Sez. Un., Sent. 27 gennaio 2012, n. 21039;

[47] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 795;

[48] Ivi, pp. 802 - 803;

[49] Ivi, p. 819;

Sommario: 1. Introduzione. 2. La procedura per risolvere la crisi da sovraindebitamento. 3. L’articolo 16 della Legge n. 3 del 2012. 4. Le fattispecie penali relative alle condotte poste in essere nella fase antecedente all’ammissione alla procedura per la soluzione della crisi.  4.1. La lettera a). 4.2. La lettera b). 4.3. La lettera c). 5. Le fattispecie inerenti alla fase esecutiva dell’accordo. 5.1. La lettera d). 5.2. La lettera e). 5.3. La lettera f). 6. I delitti commessi dal componente dell’organismo di composizione della crisi. 6.1. Le false attestazioni del professionista. 6.2. Il rifiuto di atti di ufficio del professionista. 7. Conclusioni.

1. Introduzione

Con la Legge del 27 gennaio 2012, n. 3 (modificata dal Decreto Legge n. 179/2012, convertito nella Legge 221/2012), il legislatore italiano ha introdotto, sulla scia di quanto già fatto proprio da altre realtà nazionali, una nuova procedura volontaria di ristrutturazione della crisi da sovraindebitamento destinata agli imprenditori non soggetti alle procedure fallimentari ed ai consumatori, prevedendo poi all’articolo 16 un sistema sanzionatorio di chiara matrice penalistica.

La legge affronta insieme i temi dell’usura, dell’estorsione e della crisi da sovraindebitamento del privato in quanto, secondo i compilatori della legge in parola, sia i consumatori che i piccoli imprenditori – in assenza di strumenti giuridici atti a garantire la possibilità di superare la situazione di difficoltà economica in cui versano – rischiano di entrare in un circuito illecito di erogazione del credito ritrovandosi così vittime di usura.

La nuova procedura di composizione della crisi è quindi tesa sia a diminuire l’incidenza di tali reati indebolendo le stesse organizzazioni criminali che li pongono in essere, sia a rendere maggiormente efficiente il soddisfacimento delle ragioni creditorie nei confronti dei debitori non fallibili[1].

Proprio per i motivi anzidetti, appare chiaro come le finalità fatte proprie da questa nuova procedura siano appunto quelle di permettere una ristrutturazione del debito ed il recupero della solvibilità del soggetto non fallibile.

Una disciplina in tal senso non appare affatto nuova se raffrontata con quanto accade nelle altre realtà nazionali collocate all’interno dell’area euro, le quali prevedono apposite procedure sdebitorie che hanno come destinatari proprio i consumatori e le piccole imprese, in mancanze delle quali l’unica soluzione adottabile in situazioni di codesto genere sarebbe una normale esecuzione forzata individuale[2].

2. La procedura per risolvere la crisi da sovraindebitamento

L’intero nuovo impianto normativo ruota attorno al concetto di crisi da sovraindebitamento, definito come una “situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente[3].

È una nozione che risulta particolarmente ampia, rivolta a garantire la massima estensione del raggio applicativo della normativa, concentrandosi su una crisi non certo di tipo transitorio od occasionale, ma espressiva di una difficoltà finanziaria che assume carattere più profondo e strutturale (forse) addirittura non reversibile.

La definizione oscilla tra il profilo dinamico – funzionale dell’illiquidità finanziaria dell’impresa (riprendendo il modello dell’articolo 5 della Legge fallimentare), e quello invece statico – reale dell’incapienza patrimoniale, più adatto a descrivere l’esposizione debitoria del consumatore[4].

Il legislatore offre la possibilità di accedere ad una composizione della crisi individuale per due distinte categorie di soggetti: i titolari di imprese non fallibili da un lato, i comuni debitori dall’altro[5].

Rapidamente sull’anzidetta procedura[6], questa prevede che il debitore in difficoltà possa rivolgersi ad un apposito organismo di composizione della crisi per formulare una proposta circa un accordo di ristrutturazione dei debiti che sarà poi posto all’attenzione dei creditori.

La proposta sarà poi depositata in tribunale a cui seguirà la fissazione dell’udienza da parte del giudice che renderà pubblico l’accordo.

Tale accordo diverrà omologabile se i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti comunicano al predetto organismo di composizione della crisi il loro consenso.

A seguito dell’intesa viene trasmessa una relazione sui consensi espressi. Eventuali contestazioni da parte dei creditori dovranno essere sollevate entro 10 giorni.

Dopodiché l’organismo trasmetterà quanto acquisito al giudice, assieme ad un parere definitivo sulla fattibilità del piano di ristrutturazione dei debiti.

Infine, dopo aver debitamente controllato i requisiti, il giudice procede all’omologazione dell’accordo disponendone la pubblicazione. Seguirà poi la fase esecutiva dell’accordo secondo le modalità previste nel testo omologato, essendo prevista anche la possibilità di una nomina giudiziale di un liquidatore sotto la vigilanza dell’organismo di composizione della crisi che dovrà risolvere eventuali difficoltà pratiche nella fase attuativa del piano.

Rimane comunque ferma la competenza del giudice a conoscere di qualsiasi contestazione riguardante la lesione di diritti soggettivi[7].

Qualsiasi pagamento o atto dispositivo in violazione dell’accordo è sanzionato con l’inefficacia relativa ai sensi dell’articolo 13, comma 4, e potrà assumere rilevo penale (come si vedrà a breve) ai sensi dell’articolo 16, lettera d) della legge in parola.

Si segnala per completezza che, con la Legge n. 221 del 2012 si è provveduto ad ampliare il capo della Legge n. 3 del 2012 sulla crisi da sovraindebitamento, prevedendo ora tre possibili procedure: l’accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti che si fonda su un piano proposto dal debitore; il piano del consumatore che persegue il medesimo fine dell’accordo anzidetto, ma senza che sia necessario l’accordo con i creditori ed, infine, la liquidazione del patrimonio.

Le prime due procedure presentano molti elementi di affinità con il concordato, mentre la terza è più vicina alla procedura fallimentare.

3. L'articolo 16 della legge n. 3 del 2012: generalità

Il presidio penalistico a tutela della nuova procedura per il sovraindebitamento privato è rappresentato dall’articolo 16, il quale descrive autonomamente le condotte penalmente rilevanti seguendo il metodo casistico tipico della Legge fallimentare (articolo 216 e seguenti).

In particolare, la disposizione si compone di tre commi: il primo stabilisce la responsabilità sia nella fase antecedente all’ammissione alla procedura per la soluzione del sovra indebitamento (lettere a, b, c) sia nella fase esecutiva della procedura medesima (lettere d, e ,f). Il secondo e il terzo comma si occupano, invece, dello statuto penale dell’inedita figura del componente dell’organismo di composizione della crisi, cui è da equipararsi il professionista incaricato dell’attestazione del piano.

La cornice edittale è inferiore  a quella dei reati fallimentari: i fatti di cui al comma primo sono puniti con la reclusione da sei mesi a due anni e la multa da mille a cinquantamila euro; le ipotesi dei commi due e tre prevedono la stessa pena pecuniaria mentre la reclusione va da uno a tre anni.

4. Le fattispecie penali relative alle condotte poste in essere nella fase antecedente all’ammissione alla procedura per la soluzione della crisi

Si procederà ora all’analisi delle singole fattispecie incriminatrici presenti nell’articolo 16, primo comma, della legge in commento e, per ragioni di maggior chiarezza, si seguirà la suddivisione in lettere prevista dal legislatore.

4.1. La lettera a)

Il primo comma dell’articolo 16 sanziona, alla lettera a), il debitore che al fine di ottenere l’accesso alla procedura di composizione della crisi di cui si è detto, “aumenta o diminuisce il passivo ovvero sottrae o dissimula una parte rilevante dell'attivo ovvero dolosamente simula attività inesistenti[8].

Si tratta di ipotesi caratterizzate dall'elemento soggettivo del dolo specifico, riecheggiando così la lettera dell’articolo 236 della Legge fallimentare in materia di concordato preventivo. Nel caso dell’articolo 16 però manca l’elemento dell’esclusività circa la finalità da perseguire (cosa invece presente nell’articolo 236 della Legge fallimentare) con la conseguenza che lo scopo di ottenere l’accesso alla procedura potrebbe non essere l’unica direzione finalistica ad assumere rilevanza penale[9].

La prima delle tre condotte considerate consiste nell’aumentare o diminuire il passivo per accedere alla procedura di composizione della crisi: attività che non deve essere meramente contabile o simulata, altrimenti si verserà nella fattispecie di esposizione fittizia di passività inesistenti[10].

La diminuzione del passivo alternativa all’aumento doloso è da considerarsi come ipotesi affine al reato fallimentare di cui all’articolo 236 della Legge fallimentare: il debitore vuole, con questa sua condotta, mascherare la carenza delle proprie risorse patrimoniali per permettere l’esecuzione dell’accordo coi creditori[11].

Maggior conformità con lo spirito della riforma, assume invece la condotta di simulazione dolosa di attività inesistenti che appare in maniera manifesta idonea a viziare il consenso dei creditori e, di conseguenza, l’accordo stesso.

In questa ipotesi, l’avverbio “dolosamente” appare superfluo, non venendo messa in discussione la natura dolosa di tutte le fattispecie ricomprese nella lettera a).

Per “simulazione” si deve necessariamente intendere un’attività riguardante qualsiasi mezzo di rappresentazione non veritiero, che vada oltre i limiti dell’istituto del negozio simulato disciplinato dal codice civile[12].

In virtù della clausola di sussidiarietà (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”), troverà applicazione la fattispecie di truffa qualora, in seguito alla condotta oggetto di analisi, si realizzi tutta la serie causale imposta dall’articolo 640 del codice penale (nello specifico: artifici e raggiri, induzione in errore, atto di disposizione patrimoniale, ingiusto profitto e altrui danno) [13].

In ordine alla condotta di dissimulazione di una parte rilevante dell’attivo anche qui si ha una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale posta in essere dal debitore al fine di persuadere i creditori ad accettare la proposta formulata. La mancanza d’incriminazione delle condotte riguardanti la simulazione di passività inesistenti o di dissimulazione di passività esistenti idonee ad alterare la percezione circa l’effettiva consistenza del patrimonio del debitore rappresenta una grave lacuna da parte del legislatore[14].

I comportamenti vietati sono un chiaro maquillage delle ipotesi contemplate all’interno della bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e per dissimulazione ai sensi dell’articolo 216, comma primo, n. 1 della Legge fallimentare.

Le attività appena descritte sono tutte attività che normalmente si realizzano mediante operazioni di tipo documentale poste in essere dal debitore e su cui gravano gli obblighi imposti dall’articolo 9, commi secondo e terzo della legge in esame.

4.2. La lettera b)

La successiva lettera b), punisce il debitore che, sempre con lo scopo di ottenere l’accesso alla procedura, “produce documentazione contraffatta o alterata, ovvero sottrae, occulta o distrugge, in tutto o in parte, la documentazione relativa alla propria situazione debitoria ovvero la propria documentazione contabile[15], sulla scorta di quanto previsto in tema di bancarotta documentale.

Dette condotte devono essere tali da alterare le percezioni dei creditori circa la “fattibilità” del piano proposto.

Tale norma si applica anche qualora il debitore intenda ottenere l’accesso alla procedura di liquidazione dei beni ai sensi della Legge n. 221 del 2012, essendo “alternativa alla proposta per la composizione della crisi[16] la quale impone l’onere di allegazione documentale al debitore al fine di ricostruirne la situazione patrimoniale.

Tale fattispecie presenta forti analogie con la bancarotta fraudolenta documentale, incriminata all’articolo 216, comma primo, n. 2) della Legge fallimentare; diverso, tuttavia è l’elemento del dolo specifico: nella Legge del 2012 si richiede il fine di ottenere l’accesso alla procedura di composizione della crisi, nella legge fallimentare invece si richiede lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare un pregiudizio ai creditori[17].

La circostanza che la lettera b) faccia riferimento alla produzione contraffatta o alterata della documentazione parrebbe, ad una prima analisi, riferirsi al solo falso materiale e non anche al falso di tipo ideologico, posto che la terminologia utilizzata dal legislatore ricalca quella delle disposizioni della parte speciale del codice penale in tema di falso materiale.

Tuttavia non sembra doversi escludere dalla tipicità della norma le ipotesi di falso ideologico in quanto, secondo un primo ragionamento di ordine teleologico, la fattispecie è stata senza dubbio alcuno introdotta per garantire l’affidamento circa la veridicità dei documenti posti a fondamento della proposta di accordo, e quindi ricomprendendo anche la verità delle dichiarazioni contenute in essi[18].

In secondo luogo, ragionando a livello sistematico, se è vero che il falso ideologico commesso dal privato non è punibile, è pur vero che in tali ipotesi si è di fronte alla diversa circostanza di false dichiarazioni rese dinnanzi al pubblico ufficiale (in quanto i documenti sono forniti al giudice della procedura): ne consegue che, prescindendo dal dato del dolo specifico, la condotta è di per sè già tipica e sussumibile nell’articolo 483 del codice penale[19].

Raffrontando infine tale disciplina con l’archetipo contenuto nell’articolo 216 della Legge fallimentare, si giunge alla conclusione di ritenere che la lettera b) in parola incrimini tanto il falso materiale quanto il falso ideologico dei documenti da depositare nella cancelleria del tribunale.

4.3. La lettera c)

L’articolo 16, lettera c) incrimina l’omessa indicazione di beni nell’inventario presentato dal debitore a corredo della domanda di liquidazione.

Subito si nota un collegamento con la lettera a) dello stesso articolo, nella parte in cui prevede l’incriminazione di chi “sottrae una parte rilevante del suo attivo[20], differenziandosene però in merito alla mancanza della finalità di ottenere l’accesso alle procedure e per la mancanza di una esplicita indicazione della soglia di rilevanza[21].

La ragion d’essere di questa incriminazione si potrebbe individuare nella necessità di attribuire una rilevanza penale ad ogni genere di omissione posta in essere dal debitore, e non solo a quella che minacci l’attendibilità del piano[22].

Altro collegamento si ha con l’ipotesi tipica dell’articolo 220 della Legge fallimentare, la quale incrimina l’omessa dichiarazione da parte del soggetto fallibile dell’esistenza di “altri beni da comprendere nell’inventario”; nella Legge fallimentare però, il delitto è punito con una pena molto più lieve delle ipotesi di bancarotta, mentre nell’articolo 16 si ha una equiparazione sanzionatoria con le lettere a) e b) che presentano però un disvalore assai più rilevante essendo ipotesi di tipo commissivo[23].

È importante rilevare come la fattispecie in esame sia esclusivamente dolosa e non anche colposa come invece previsto all’articolo 236, comma 2 della Legge fallimentare.

Con la lettera c) si esauriscono gli illeciti penali precedenti all’ammissione alla procedura per la soluzione del sovraindebitamento.

5. Le fattispecie inerenti alla fase esecutiva dell’accordo

Dopo aver esaminato le fattispecie inerenti alla fase che precede l’accordo, è ora il momento di analizzare meglio le successive lettere d), e) ed f), le quali fanno invece riferimento ai comportamenti posti in essere dal debitore nella fase esecutiva dell’accordo.

5.1. La lettera d)

La disposizione punisce il comportamento del debitore che “nel corso della procedura […] effettua pagamenti in violazione dell'accordo o del piano del consumatore[24]: detti pagamenti sono da considerarsi inefficaci per tutti coloro che figurino quali creditori anteriormente alla data in cui viene reso pubblico il decreto di ammissione alla procedura[25] o il decreto di omologazione del piano del consumatore.

Analogamente alla fattispecie di bancarotta preferenziale il comportamento incriminato è potenzialmente lesivo della par condicio creditorum ed inoltre potrebbe minare il buon esito della procedura di composizione della crisi, tutta incentrata sul corretto adempimento degli obblighi assunti dal debitore[26].

Proprio la particolare gravità di queste condotte all’interno del quadro di composizione della crisi giustificherebbe un trattamento sanzionatorio assai elevato, a dispetto di quanto previsto in ambito di bancarotta preferenziale ex articolo 216, comma terzo, della Legge fallimentare[27].

Il comportamento incriminato deve essere posto nel “corso della procedura”. Che dire allora di quelle attività compiute dal debitore nel periodo tra il deposito della proposta e la conclusione dell’accordo che siano in grado di alterare la situazione patrimoniale contenuta nel programma e in base alla quale vengono effettuate le valutazioni dei creditori?

A rigor di logica questa situazione dovrebbe essere estranea all’ambito applicativo della norma posto che, parlandosi di “pagamenti in violazione dell’accordo” si presuppone che l’accordo si sia già perfezionato tra le parti.

Inoltre, una lettura sistematica della norma ne ribadirebbe l’esclusione in quanto, la lettera e) della stessa norma (come si vedrà a breve) parla del momento successivo al deposito della proposta qualificato come riferimento iniziale dal quale è proibito, per il debitore, aggravare la propria posizione. Peraltro in quest’ultimo caso si fa riferimento all’assunzione di nuove obbligazioni da parte del debitore, rendendosi quindi impossibile colmare la lacuna appena vista ricollegandosi alla fattispecie inclusa nella lettera e)[28].

Guardando poi all’articolo 10, comma 3 bis, il quale prevede l’inefficacia, nei confronti dei creditori anteriori, degli atti di straordinaria amministrazione che siano stati compiuti senza autorizzazione del giudice, nel periodo intercorrente tra il decreto di fissazione dell’udienza e l’omologazione, sembrerebbe plausibile ritenere che il debitore possa continuare a svolgere ciò che normalmente è connesso con la sua attività, compresa quindi la possibilità di contrarre nuove passività purché rimangano all’interno della soglia dell’ordinaria amministrazione[29].

5.2. La lettera e)

La lettera e) della legge in parola presenta un chiaro collegamento con l’articolo 217, n. 4 della Legge fallimentare: analogamente all’ipotesi di bancarotta semplice, la norma colpisce le condotte successive all’inizio della procedura che siano tali da provocare un peggioramento, in concreto, dell’esposizione debitoria[30].

Residuano incertezze interpretative in riferimento all’esatta definizione del concetto di “aggravamento della posizione debitoria”, non rientrando nella fattispecie le spese correnti necessarie per il mantenimento del debitore e della propria famiglia, stante altrimenti una contraddizione evidente con l’articolo 9, secondo comma, della legge[31].

Nella lettera e) si parla di una condotta che riguarda “tutta la durata della procedura”, ma non per questo ci si trova di fronte ad un reato di durata, in quanto il fatto dell’aggravamento può derivare da una singola azione od omissione dolosa. L’intera durata della procedura serve solo a delineare l’esatta collocazione temporale della condotta tipica[32].

Si potrebbe qui configurare una responsabilità a titolo di dolo eventuale in tutte quelle ipotesi in cui l’agente ponga in essere un determinato comportamento che appaia di dubbia utilità, accettando comunque il rischio che da esso ne derivi l’aggravamento del dissesto.

Quanto all’elemento soggettivo occorre inoltre rilevare come mentre l’ipotesi della legge fallimentare è chiaramente una fattispecie colposa dato il tenore testuale, la norma della Legge del 2012 invece tace sul punto, con la conseguenza che il delitto in esame è esclusivamente doloso, ai sensi dell’articolo 42, comma secondo, del codice penale[33].

5.3. La lettera f)

Dolo eventuale che è sicuramente escluso nella fattispecie prevista alla lettera f) che richiede un dolo di tipo intenzionale, escludendosi così anche la rilevanza del dolo diretto[34].

Qui si prevede la perseguibilità del debitore che "intenzionalmente non rispetta i contenuti dell'accordo o del piano del consumatore”: tale ipotesi può trovare applicazione quando il fatto non rientri nelle precedenti incriminazioni.

L’inadempimento dell’accordo porterà alla risoluzione del contratto e all’impossibilità di esecuzione del piano ai sensi dell’articolo 14, comma 2 della Legge del 2012 ed il debitore decadrà da tutti i benefici della nuova procedura di composizione[35].

I casi di inadempimento possono essere i più vari: si va da comportamenti omissivi di mancata esecuzione delle prestazioni e di omessa costituzione di garanzie, a comportamenti attivi, tra cui il pagamento di crediti contrari all’assetto negoziale risultante dal piano e l’assunzione di nuove obbligazioni estranee all’accordo[36].

6. I delitti commessi dal componente dell'organismo di composizione della crisi

Il legislatore ha previsto poi ipotesi delittuose che colpiscono i componenti dell’organo di composizione della crisi al secondo e terzo comma dell’articolo 16 della Legge n. 3 del 2012. Sono ipotesi di false attestazioni o di omissione o rifiuto ingiustificato di compiere un atto del proprio ufficio.

Tale organo si occupa del complesso di attività che riguardano l’assistenza al debitore e sono finalizzate a superare la situazione di crisi. Esso si occupa di fornire ausilio nella realizzazione del piano di ristrutturazione da proporre ai creditori e ne attesta la fattibilità. Infine partecipa a tutta la procedura finalizzata all’omologazione da parte del giudice con compiti di vigilanza sulla corretta esecuzione dell’accordo.

Ai sensi dell’articolo 15, comma 1 della Legge in parola, possono costituire organismi per la composizione delle crisi da sovraindebitamento gli enti pubblici dotati di requisiti di indipendenza e professionalità determinati con il regolamento di cui al comma 3 del medesimo articolo, gli organismi di conciliazione costituiti presso le camere di commercio, il segretariato sociale costituito ai sensi dell’articolo 22, comma 4, lettera a), della Legge 8 novembre 2000, n. 328.

Gli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai sono iscritti di diritto, a semplice domanda, nel registro di cui al comma 2 dell’articolo 15.

6.1. Le false attestazioni del professionista

La falsità de qua concerne, più precisamente, i dati indicati nella proposta dell’accordo del debitore, nonché i documenti ad essa allegati[37], la fattibilità del piano, il contenuto della relazione di accompagnamento o la domanda di liquidazione[38] e l’esito della votazione dei creditori[39].

Oggetto di queste falsità sarebbero sia componenti di tipo fattuale che componenti di tipo valutativo: ad esempio la valutazione circa la fattibilità del piano, che comprende un giudizio di carattere prognostico avente per oggetto una valutazione circa l’idoneità del progetto del debitore a raggiungere il fine voluto[40].

Il problema finisce per concernere il tema della rilevanza del falso in valutazione: per ciò che riguarda la presente analisi, va segnalato che l’attenzione deve necessariamente concentrarsi sulla verifica se il componente dell’organismo abbia espresso la sua valutazione in base a criteri comunemente accettati e, comunque, precisati nella relazione sulla fattibilità del piano[41].

Si tratta comunque di un’attività perlopiù vincolata ai principi della tecnica professionale, la cui conformità permette di valutare se vi sia correttezza o meno: tale correttezza deve avere come riferimento l’elaborato a livello globale, uscendo dall’area del penalmente rilevante quelle attestazioni che, pur essendo false, hanno per oggetto dati poco significativi rispetto alle successive determinazione dei creditori o al controllo giudiziale[42].

Vista la natura negoziale e privatistica che caratterizza la nuova procedura, sembra doversi escludere la qualifica pubblicistica dei membri del procedimento di composizione della crisi[43].

Ciò parrebbe confermato dall’analisi circa il trattamento sanzionatorio previsto dal legislatore in questo caso, che è assai inferiore rispetto alla fattispecie di falsità commesse da un pubblico ufficiale: ciò parrebbe (qui il condizionale è d’obbligo) esser dovuto proprio al carattere privatistico dell’ufficio di cui ci si occupa.

Altra dottrina propende invece per una qualifica pubblicistica di tale organismo argomentando sul fatto che i requisiti soggettivi richiesti ai fini della nomina sono gli stessi necessari per ottenere l’assunzione della qualifica di curatore o di notaio, o sul fatto che la costituzione degli organismi è demandata ad enti pubblici o, ancora, argomentando sul fatto che il contenuto dell’attività dei soggetti facenti parte di questi organi ha i caratteri di tipo pubblicistico comportando l’esercizio di poteri di verifica, attestazione, vigilanza, pubblicizzazione e notificazione simili a quelli previsti in capo al curatore fallimentare[44].

Si controbatte però che l’attività posta in essere dal componente dell’organismo si fonda sull’azione fatta dal privato che a lui si rivolge. Addirittura, se tra i beni destinati a soddisfare i creditori ve ne siano alcuni di pignorati è prevista la nomina da parte del giudice di un apposito liquidatore che abbia i requisiti per la nomina di curatore fallimentare.

Ciò basterebbe, a parer di chi scrive, per l’accoglimento della natura privatistica di questa figura che, seppur formalmente potrebbe apparire di tipo pubblicistico, a livello sostanziale sarebbe più opportuno propendere per una considerazione privatistica della stessa.

6.2. Il rifiuto di atti d’ufficio del professionista

Infine, come già detto, l’impianto normativo prevede una responsabilità a carico del componente dell’organismo di composizione della crisi che arrechi un danno ai creditori omettendo o rifiutando in maniera ingiustificata un atto del proprio ufficio.

Subito traspare il collegamento con la fattispecie di cui all’articolo 328 del codice penale (rifiuto di atti d’ufficio) con l’aggiunta dell’elemento del danno ai creditori di natura essenzialmente patrimoniale inteso come effettiva deminutio patrimonii e non come semplice perdita di un diritto secondo l’accezione giuridica di danno.

Per ciò che concerne l’attività doverosa si dovrà far riferimento a quanto previsto nella Legge n. 3 del 2012 in merito all’attività di spettanza all’organismo di composizione della crisi con il rischio, data l’eccessiva genericità presente in alcune disposizioni, di sollevare problemi circa il principio di determinatezza.

È necessaria un’espressa manifestazione di diniego di fronte ad una richiesta, oppure un comportamento di tipo omissivo per l’integrazione della fattispecie penale de qua.

7. Conclusioni

L’articolo 16 della Legge n. 3 del 2012 tende a tutelare una serie differente di interessi, primo fra tutti quello dei creditori all’esatta esecuzione di un accordo, quello di composizione della crisi, che si fondi su una rappresentazione veritiera della situazione patrimoniale e reddituale del debitore e su una ragionevole previsione di fattibilità del piano di recupero.

Più nello specifico, l’oggetto giuridico del primo comma dell’articolo 16 parrebbe essere rappresentato dal patrimonio nell’accezione che quest’ultimo assume in materia di bancarotta: ciò si desume dai molteplici collegamenti che si sono evidenziati nel corso del presente elaborato con gli articoli 216 e seguenti della Legge fallimentare, e dal fatto che tutte le lettere del primo comma sono espressive di una lesione degli interessi patrimoniali dei creditori, sia se di mero pericolo, sia in ipotesi di danno già realizzato[45].

La medesima lettura deve essere data anche alla lettera b) in quanto la correttezza e l’affidabilità delle allegazioni documentali sono beni giuridici di carattere meramente strumentale all’interesse primario di soddisfazione dei creditori.

Sul versante della tecnica normativa si può affermare che, similmente alle fattispecie di bancarotta, l’articolo 16 delinea una disposizione a più norme. Cosicché, in base a quanto affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione del 27 gennaio 2011[46], ogni lettera raffigura una fattispecie incriminatrice a sé stante con la conseguenza che la commissione di più fatti rientranti in lettere differenti della norma darà luogo ad una pluralità di reati[47] .

Dal raffronto con le norme in materia di bancarotta, tuttavia, si nota subito la mancanza di una norma parallela a quella dell’articolo 219 comma 2, n. 1, della Legge fallimentare che regoli la risposta sanzionatoria nel caso di pluralità di fatti contemplati dalla norma. Ne deriva che l’escalation punitiva può essere mitigata solo dall’istituto della continuazione[48].

In conclusione, si deve in ogni caso propendere per una considerazione positiva circa la novella Legge del 2012: conferma di ciò si trova nella circostanza che la successiva novella penale fallimentare del 2012 n. 134 ha preso spunto proprio dalla Legge n. 3 del 2012 per quanto riguarda la disciplina della tutela penale apprestata all’attendibilità e alla veridicità dei piani di risanamento, degli accordi di ristrutturazione e dei concordati preventivi offerti dall’imprenditore per evitare il proprio fallimento, basandosi sulla disciplina del falso del professionista nella composizione della crisi da sovraindebitamento[49].

 

BIBLIOGRAFIA

Alessandri A., Profili penalistici delle innovazioni in tema di soluzioni concordate delle crisi di impresa, in Riv. it. dir. e proc. penale, 2006, p. 111 s.;

De Grazia G., Gli effetti della nuova procedura di compensazione della crisi da sovraindebitamento sul sistema penale fallimentare, in www.penale.it;

Mucciarelli F., Stato di crisi, piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo e fattispecie penali, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2009, p. 825 s.;

Merenda I., Profili penali della disciplina sul sovraindebitamento, in Cass. pen., 2013, p. 3355 s.;

Poli F., Nuove fattispecie penali nella disciplina della crisi da sovraindebitamento: alcuni spunti di riflessione, in Riv. dottori comm., 2012, p. 589 s.;

Spadavecchia D., I reati nelle procedure concorsuali dei “non fallibili”, in www.ilfallimentarista.it;

Spinosa V., Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali: è nata la bancarotta del piccolo imprenditore e del consumatore?, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2013, p. 787 s.;

L. Pistorelli,Rel. n. III/3/2012 dell’Ufficio Massimario della Corte di Cassazione, in http://www.penalecontemporaneo.it/upload/Legge%20crisi%20sovraindebitamento.pdf;

 

[1] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali: è nata la bancarotta del piccolo imprenditore e del consumatore?, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, n. 4, Padova 2013, p. 788;

[2] Sul punto vedi F. Poli, Nuove fattispecie penali nella disciplina della crisi da sovraindebitamento: alcuni spunti di riflessione, in Riv. dottori comm., n. 3, Milano 2012, pag. 589;

[3] Vedi art. 6, comma 2, l. 3/2012 così come modificato dalla l. n. 221 del 2012;

[4] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 790;

[5] Inizialmente le procedure pensate dal legislatore dovevano essere distinte per questi soggetti; scelta poi non accolta per non prevedere una inutile duplicazione dell’istituto, come segnalato dall’Ufficio Massimario della Cassazione, L. Pistorelli, Rel. n. III/3/2012;

[6] Per un’analisi più approfondita si può rinviare alla lettura di F. Di Marzio (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, Milano 2012;

[7] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 792;

[8] Art. 16, comma 1, l. 3/2012;

[9] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 795;

[10] Ivi., p. 796;

[11] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 796;

[12] Ivi,p. 797;

[13] I. Merenda, Profili penali della disciplina sul sovraindebitamento, cit., p. 3; F. Poli, Nuove fattispecie penali nella disciplina della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 593;

[14] I. Merenda, Profili penali della disciplina sul sovraindebitamento, cit., p. 3358;

[15] Art. 16, primo comma, lett. b), legge n. 3 del 2012;

[16] Artt. 14-ter e ss., legge n. 221 del 2012;

[17] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 797;

[18] Ivi, p. 798;

[19] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 798;

[20] Art. 16, primo comma, lett. a), legge n. 3 del 2012;

[21] Concorde sul punto D. Spadavecchia, I reati nelle procedure concorsuali dei non fallibili, in www.ilfallimentarista.it;

[22] I. Merenda, Profili penali della disciplina sul sovraindebitamento, cit., p. 3360;

[23] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 799;

[24] Art. 16, comma primo, lett. d), legge n. 3 del 2012;

[25] Vedi art. 10, comma 2, legge n. 3 del 2012;

[26] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 799;

[27] Ivi, p. 800;

[28] I. Merenda, Profili penali della disciplina sul sovraindebitamento, cit., pp. 3360 - 3361;

[29] Concorde sul punto I. Merenda, Profili penali della disciplina sul sovraindebitamento, cit., p. 3361;

[30] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 801;

[31] L’art. 9, comma seconda, della l. 3/2012 come successivamente modificato prevede che “unitamente alla proposta devono essere depositati l’elenco di tutti i creditori, con l’indicazione delle somme dovute, di tutti i beni del debitore e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni, corredati delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni e dell’attestazione sulla fattibilità del piano, nonché l’elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento suo e della sua famiglia, previa indicazione della composizione del nucleo familiare corredata del certificato dello stato di famiglia”.

[32] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 801;;

[33] Ibidem;

[34] F. Poli, Nuove fattispecie penali nella disciplina della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 593;

[35] Vedi art. 10, comma 3, legge n. 3 del 2012;

[36] Tutto ciò si desume dal combinato disposto dell’art. 8 e dell’art. 14, comma 2, della legge n. 3 del 2012;

[37] Vedi art. 9, comma 2, legge n. 3 del 2012;

[38] Vedi artt. 9, comma 3 bis, 14 ter, comma terzo, legge n. 3 del 2012;

[39] Vedi art. 12, comma 1, legge n. 3 del 2012;

[40] Concorde sul punto F. Mucciarelli, Stato di crisi, piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo e fattispecie penali, in Riv. trim. dir. pen. econ., n. 4, Padova 2009, p. 840;

[41] I. Merenda, Profili penali della disciplina sul sovraindebitamento, cit., p. 3362;

[42] I. Merenda, Profili penali della disciplina sul sovraindebitamento, cit., p. 3363;

[43] Come già affermato dalla dottrina nell’ottica della qualifica dell’esperto attestatore nell’ambito del concordato preventivo, fra tutti A. Alessandri, Profili penalistici delle innovazioni in tema di soluzioni concordate delle crisi di impresa, in Riv. it. dir. e proc. penale, Milano 2006, p. 457;

[44] F. Poli, Nuove fattispecie penali nella disciplina della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 596;

[45] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 803;

[46] Cass. Sez. Un., Sent. 27 gennaio 2012, n. 21039;

[47] V. Spinosa, Nuova procedura da sovraindebitamento e sanzioni penali, cit., p. 795;

[48] Ivi, pp. 802 - 803;

[49] Ivi, p. 819;