x

x

In tema di prostituzione minorile: sulla promessa o dazione di denaro o altra utilità al minore da parte del “cliente”

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza 19 dicembre 2013 (depositata il 14 aprile 2014) n. 16207, Pres. Santacroce, Rel. Fiale

Massima

La condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità, attraverso cui si convinca una persona minore di età ad intrattenere rapporti sessuali esclusivamente con il soggetto agente, integra gli estremi della fattispecie di cui al comma secondo e non al comma primo dell’articolo 600-bis del Codice Penale.

Commento

Si segnala la pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte, che risolvendo un contrasto interpretativo insorto nella giurisprudenza di legittimità, ha preso posizione su una questione sottoposta dalla Terza Sezione Penale, riguardo la valutazione dei profili di criticità interpretativa riconducibili alla nozione di “induzione alla prostituzione minorile” delineata dal primo comma dell’articolo 600-bis del Codice Penale con particolare riguardo all’ipotesi in cui il comportamento delittuoso risulti integrato dalla sola condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità, posta in essere nei confronti di persona di minore età convinta così a compiere una o più volte atti sessuali esclusivamente con il soggetto agente.

A parere delle Sezioni Unite, “La condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità, attraverso cui si convinca una persona minore di età ad intrattenere rapporti sessuali esclusivamente con il soggetto agente, integra gli estremi della fattispecie di cui al comma secondo e non al comma primo dell’articolo 600-bis del codice penale”. 

In buona sostanza, è stato ritenuto che il cosiddetto “fatto del cliente”, ossia il compimento di atti sessuali dietro corrispettivo di pagamento, integra il reato di prostituzione minorile, di cui al comma 2 dell’articolo 600-bis del Codice Penale, che prevede sanzioni decisamente “più lievi” rispetto al reato di “induzione”, previsto invece dal comma 1 dello stesso articolo.

Nella fattispecie, l’imputato, maggiorenne, veniva ritenuto colpevole dalla Corte d’Appello di Brescia, del delitto di cui al comma 1 dell’articolo 600-bis del Codice Penale, in relazione all’articolo 81, comma 2 del Codice Penale, per aver indotto tre ragazzini minorenni stranieri, a compiere atti sessuali con lui in cambio di ospitalità, modeste somme di denaro e regalie.

Avverso tale decisione aveva proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, eccependo l’erronea applicazione della legge penale, in quanto, in base ai fatti così come ricostruiti dalla Corte d’Appello, emergeva chiaramente che i ragazzini si erano presentati spontaneamente presso l’abitazione dell’imputato e non avevano subito minacce o condizionamenti, essendosi riservati la facoltà di negare gli atti troppo invasivi.

Pertanto, secondo il difensore, in mancanza della prova specifica che potesse dimostrare l’attività di induzione, la condotta compiuta dall’imputato, avrebbe dovuto integrare il delitto di cui al comma 1 dell’articolo 600-bis del Codice Penale[1], e non invece quello più grave di induzione alla prostituzione, così come delineata al comma 2 del suddetto articolo[2].

La Terza Sezione, alla quale era stato assegnato il ricorso, aveva ritenuto necessario investire le Sezioni Unite riguardo la corretta interpretazione della nozione di “induzione alla prostituzione minorile” così come delineata al comma 1 dell’articolo 600-bis del Codice Penale “con particolare riguardo all’ipotesi in cui il comportamento delittuoso risulti integrato dalla sola condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità posta in essere nei confronti di persona minore di età convinta così a compiere una o più volte atti sessuali esclusivamente con il soggetto agente”. Nell’ordinanza di rimessione, il Collegio aveva effettuato una ricognizione delle posizioni giurisprudenziali in materia di induzione alla prostituzione, distinguendo i casi in cui la parte lesa fosse maggiorenne o minorenne. Sicché, con riferimento al reato di induzione alla prostituzione, così come delineato dalla Legge n. 75/1958 (cosiddetta Legge Merlin) ove la parte lesa sia maggiorenne, la giurisprudenza aveva escluso che la mera prestazione di atti sessuali in cambio di vantaggi patrimoniali costituisse condotta induttiva.

Mentre invece, nell’ipotesi in cui vittima del reato di prostituzione minorile fosse minorenne, la giurisprudenza, in attuazione di un orientamento ben più rigoroso, aveva affermato il principio secondo cui la condotta induttiva potesse consistere anche nel mero pagamento della prestazione da parte del “cliente”, che persuada il minore a consentire agli atti sessuali, non essendo peraltro necessario che la persona sia “non iniziata e non dedita alla vendita del proprio corpo”.

Tale interpretazione di maggiore severità, che consente di configurare tale tipo di condotta, all’interno del reato di “induzione alla prostituzione” ex articolo 600-bis, comma 1 del Codice Penale, era il risultato dell’attuazione della normativa internazionale e sovranazionale in materia di sfruttamento della sessualità dei minore, che impone “una tutela penale più pregnante per i minori, rispetto agli adulti, perché i primi sono soggetti manipolabili, inadeguati ad autodeterminarsi, facilmente influenzabili ed inducibili ad atti sessuali che possono avere ricadute negative, anche non emendabili, sul loro futuro sviluppo psico-fisico”[3].

Le Sezioni Unite, con la decisione in commento, hanno chiarito che, secondo la tesi tradizionalmente accolta nell’ordinamento italiano, “l’induzione alla prostituzione” si configura in ipotesi di attività rientranti nell’ambito dell’offerta di prostituzione, e non della domanda di prostituzione, attività che caratterizza invece la figura del cliente.

La Corte afferma che l’incriminazione del “cliente” in ambito minorile, è stata sancita con il secondo comma dell’articolo 600-bis del Codice Penale; ne consegue che l’unica fattispecie utilizzabile è quella prevista dal comma 2 del suddetto articolo.

Pertanto “la condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità, attraverso cui si convinca una persona minore di età ad intrattenere rapporti sessuali esclusivamente con il soggetto agente, integra gli estremi della fattispecie di cui al comma secondo e non al comma primo dell’articolo 600-bis del Codice Penale”.

Diversamente, la fattispecie di “induzione alla prostituzione” si configura soltanto nelle ipotesi in cui la vittima minorenne è indotta a prostituirsi nei confronti di “terzi”, che possono consistere anche in una sola persona, a condizione però che questa non si identifichi nell’induttore.

Al contrario, ritenendo che il mero pagamento di una prestazione sessuale possa configurare ipotesi di “induzione alla prostituzione” si finirebbe per abrogare implicitamente la fattispecie di cui al comma 2 dell’articolo 600-bis del Codice Penaletenuto conto che, lo stesso, “presuppone la necessaria correlazione causale fra la dazione o la promessa di danaro o di altra utilità e la prestazione sessuale del minore”.

D’altronde, l’induzione alla prostituzione, così come prevista al primo comma del suddetto articolo, “è stata distinta dal legislatore dalla mera fruizione di una prestazione sessuale a pagamento in quanto equiparata a condotte di indubbia maggiore offensività (reclutamento, sfruttamento, favoreggiamento, organizzazione e gestione della prostituzione minorile) che ben giustificano il diversissimo quadro edittale di pena”.

 

[1] L’articolo 600-bis del codice penale al comma 1 prevede che “chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 15.493 a euro 154.937”.

[2] Il comma 2 stabilisce che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 5164”.

[3] Corte di Cassazione Penale, Terza Sezione, 11 gennaio 2011, n. 4235.

Massima

La condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità, attraverso cui si convinca una persona minore di età ad intrattenere rapporti sessuali esclusivamente con il soggetto agente, integra gli estremi della fattispecie di cui al comma secondo e non al comma primo dell’articolo 600-bis del Codice Penale.

Commento

Si segnala la pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte, che risolvendo un contrasto interpretativo insorto nella giurisprudenza di legittimità, ha preso posizione su una questione sottoposta dalla Terza Sezione Penale, riguardo la valutazione dei profili di criticità interpretativa riconducibili alla nozione di “induzione alla prostituzione minorile” delineata dal primo comma dell’articolo 600-bis del Codice Penale con particolare riguardo all’ipotesi in cui il comportamento delittuoso risulti integrato dalla sola condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità, posta in essere nei confronti di persona di minore età convinta così a compiere una o più volte atti sessuali esclusivamente con il soggetto agente.

A parere delle Sezioni Unite, “La condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità, attraverso cui si convinca una persona minore di età ad intrattenere rapporti sessuali esclusivamente con il soggetto agente, integra gli estremi della fattispecie di cui al comma secondo e non al comma primo dell’articolo 600-bis del codice penale”. 

In buona sostanza, è stato ritenuto che il cosiddetto “fatto del cliente”, ossia il compimento di atti sessuali dietro corrispettivo di pagamento, integra il reato di prostituzione minorile, di cui al comma 2 dell’articolo 600-bis del Codice Penale, che prevede sanzioni decisamente “più lievi” rispetto al reato di “induzione”, previsto invece dal comma 1 dello stesso articolo.

Nella fattispecie, l’imputato, maggiorenne, veniva ritenuto colpevole dalla Corte d’Appello di Brescia, del delitto di cui al comma 1 dell’articolo 600-bis del Codice Penale, in relazione all’articolo 81, comma 2 del Codice Penale, per aver indotto tre ragazzini minorenni stranieri, a compiere atti sessuali con lui in cambio di ospitalità, modeste somme di denaro e regalie.

Avverso tale decisione aveva proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, eccependo l’erronea applicazione della legge penale, in quanto, in base ai fatti così come ricostruiti dalla Corte d’Appello, emergeva chiaramente che i ragazzini si erano presentati spontaneamente presso l’abitazione dell’imputato e non avevano subito minacce o condizionamenti, essendosi riservati la facoltà di negare gli atti troppo invasivi.

Pertanto, secondo il difensore, in mancanza della prova specifica che potesse dimostrare l’attività di induzione, la condotta compiuta dall’imputato, avrebbe dovuto integrare il delitto di cui al comma 1 dell’articolo 600-bis del Codice Penale[1], e non invece quello più grave di induzione alla prostituzione, così come delineata al comma 2 del suddetto articolo[2].

La Terza Sezione, alla quale era stato assegnato il ricorso, aveva ritenuto necessario investire le Sezioni Unite riguardo la corretta interpretazione della nozione di “induzione alla prostituzione minorile” così come delineata al comma 1 dell’articolo 600-bis del Codice Penale “con particolare riguardo all’ipotesi in cui il comportamento delittuoso risulti integrato dalla sola condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità posta in essere nei confronti di persona minore di età convinta così a compiere una o più volte atti sessuali esclusivamente con il soggetto agente”. Nell’ordinanza di rimessione, il Collegio aveva effettuato una ricognizione delle posizioni giurisprudenziali in materia di induzione alla prostituzione, distinguendo i casi in cui la parte lesa fosse maggiorenne o minorenne. Sicché, con riferimento al reato di induzione alla prostituzione, così come delineato dalla Legge n. 75/1958 (cosiddetta Legge Merlin) ove la parte lesa sia maggiorenne, la giurisprudenza aveva escluso che la mera prestazione di atti sessuali in cambio di vantaggi patrimoniali costituisse condotta induttiva.

Mentre invece, nell’ipotesi in cui vittima del reato di prostituzione minorile fosse minorenne, la giurisprudenza, in attuazione di un orientamento ben più rigoroso, aveva affermato il principio secondo cui la condotta induttiva potesse consistere anche nel mero pagamento della prestazione da parte del “cliente”, che persuada il minore a consentire agli atti sessuali, non essendo peraltro necessario che la persona sia “non iniziata e non dedita alla vendita del proprio corpo”.

Tale interpretazione di maggiore severità, che consente di configurare tale tipo di condotta, all’interno del reato di “induzione alla prostituzione” ex articolo 600-bis, comma 1 del Codice Penale, era il risultato dell’attuazione della normativa internazionale e sovranazionale in materia di sfruttamento della sessualità dei minore, che impone “una tutela penale più pregnante per i minori, rispetto agli adulti, perché i primi sono soggetti manipolabili, inadeguati ad autodeterminarsi, facilmente influenzabili ed inducibili ad atti sessuali che possono avere ricadute negative, anche non emendabili, sul loro futuro sviluppo psico-fisico”[3].

Le Sezioni Unite, con la decisione in commento, hanno chiarito che, secondo la tesi tradizionalmente accolta nell’ordinamento italiano, “l’induzione alla prostituzione” si configura in ipotesi di attività rientranti nell’ambito dell’offerta di prostituzione, e non della domanda di prostituzione, attività che caratterizza invece la figura del cliente.

La Corte afferma che l’incriminazione del “cliente” in ambito minorile, è stata sancita con il secondo comma dell’articolo 600-bis del Codice Penale; ne consegue che l’unica fattispecie utilizzabile è quella prevista dal comma 2 del suddetto articolo.

Pertanto “la condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità, attraverso cui si convinca una persona minore di età ad intrattenere rapporti sessuali esclusivamente con il soggetto agente, integra gli estremi della fattispecie di cui al comma secondo e non al comma primo dell’articolo 600-bis del Codice Penale”.

Diversamente, la fattispecie di “induzione alla prostituzione” si configura soltanto nelle ipotesi in cui la vittima minorenne è indotta a prostituirsi nei confronti di “terzi”, che possono consistere anche in una sola persona, a condizione però che questa non si identifichi nell’induttore.

Al contrario, ritenendo che il mero pagamento di una prestazione sessuale possa configurare ipotesi di “induzione alla prostituzione” si finirebbe per abrogare implicitamente la fattispecie di cui al comma 2 dell’articolo 600-bis del Codice Penaletenuto conto che, lo stesso, “presuppone la necessaria correlazione causale fra la dazione o la promessa di danaro o di altra utilità e la prestazione sessuale del minore”.

D’altronde, l’induzione alla prostituzione, così come prevista al primo comma del suddetto articolo, “è stata distinta dal legislatore dalla mera fruizione di una prestazione sessuale a pagamento in quanto equiparata a condotte di indubbia maggiore offensività (reclutamento, sfruttamento, favoreggiamento, organizzazione e gestione della prostituzione minorile) che ben giustificano il diversissimo quadro edittale di pena”.

 

[1] L’articolo 600-bis del codice penale al comma 1 prevede che “chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 15.493 a euro 154.937”.

[2] Il comma 2 stabilisce che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 5164”.

[3] Corte di Cassazione Penale, Terza Sezione, 11 gennaio 2011, n. 4235.