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Un caso di negata tutela risarcitoria ad uno sponsor di una squadra di calcio per lesione al diritto all'immagine

Nota alla Sentenza della Corte di Cassazione dell’8 aprile 2014, n. 8153

Massima

Nel contratto di sponsorizzazione, va respinta la richiesta di risarcimento danni per lesione dell'immagine e perdita di fatturato, presentata dallo, se non prova il nesso causale tra la condotta dello sponsee e il calo dei profitti nonché l’effettiva entità delle perdite subite: non è sufficiente, allo scopo, richiamare generici doveri di salvaguardia degli interessi e dell’immagine dello sponsor, senza alcuna specificazione e prova dei comportamenti pregiudizievoli e della loro accessorietà rispetto all’accordo di sponsorizzazione.

Il caso e la decisione della Corte

La decisione della Corte di Cassazione dell’8 marzo 2014 n. 8153 interviene nel delicato compito di definire i limiti del comportamento dello sponsee e la fondatezza delle pretese risarcitorie dello sponsor, che a seguito della condotta del primo sostiene di aver subito una lesione all’immagine dell’impresa e per conseguenza una perdita di fatturato.

La fattispecie di cui si occupa la Suprema Corte ha ad oggetto una richiesta di risarcimento danni formulata da una primaria agenzia italiana specializzata nella ricerca, selezione, formazione e gestione delle risorse umane ˗ sponsor di una squadra di calcio impegnata nel massimo campionato nazionale ˗ che lamenta di aver subito una lesione del diritto all’immagine e un calo di profitti d’impresa a causa del comportamento sconveniente tenuto dalla tifoseria della squadra sponsorizzata e delle dichiarazioni denigratorie fatte dal suo Presidente.

Nel caso di specie, lo sponsor fa riferimento a una serie di incresciose vicende, note agli appassionati di calcio, che comportarono la retrocessione in serie B della squadra di Como nella stagione 2002/03.

Invero, in quella sfortunata stagione, da una parte, la tifoseria della squadra lombarda, forse spinta (ma non giustificata) dai deludenti risultati conseguiti in campionato dal team sportivo, fu protagonista di una serie ripetuta di episodi e incidenti sugli spalti, cui seguirono drastiche decisioni dei giudici sportivi (che culminarono con la chiusura dello stadio); da altra parte, il Presidente della società sponsorizzata, perso il self˗control, rese alla stampa delle sconvenienti dichiarazioni, che comportarono la retrocessione della squadra in serie B e, a seguire, il fallimento della società e l'imputazione per bancarotta fraudolenta dello stesso Presidente; da altra parte, infine, lo sponsor ˗ anziché recedere dal contratto di sponsorizzazione, come prevedeva l’articolo 19 del contratto in caso di retrocessione della squadra ˗ propose in giudizio azione di merito per ottenere il risarcimento del danno subito all'immagine dal comportamento scorretto del Presidente.

La Corte, nel decidere la controversia, rigetta la richiesta dello sponsor e conferma la decisione di appello per tre ordini di motivi:

1) lo sponsor non ha provato i fatti “da cui deriverebbero i lamentati danni all'immagine” néha dimostrato “l'effettiva sussistenza ed entitàdelle sue perdite e profitti”: la Corte sostiene, infatti, che “il mero diffondersi di notizie clamorose, anche in negativo, attinenti alla societàsponsorizzata, non èdetto che abbia sempre e necessariamente effetti negativi per lo sponsor” e rifiuta il ricorso alla presunzione perché“le affermazioni del presidente e le sorti del campionato possono costituire fatto notorio per i tifosi di calcio, ma non necessariamente in altri ambiti”[1];

2) compito dello sponsee è veicolare il nome e i segni dello sponsor, aumentandone la notorietà, e il clamore determinato da alcuni comportamenti dello sponsorizzato, anche se sconvenienti,  contribuiscono alla circolazione del marchio e al perseguimento del fine del contratto di sponsorizzazione, in quanto sul piano pubblicitario “non rileva tanto che si parli bene, ma che si parli [nota della redazione  anche male, quindi], da chi vuol essere riconosciuto e ricordato”.

3) pur riconoscendo la natura fiduciaria del rapporto tra sponsor e sponsee e la necessitàdi rispettare gli obblighi di correttezza e buona fede, ritiene che il generico richiamo a questi doveri non èsufficiente a giustificare la richiesta risarcitoria.

In altre parole la Corte fa intendere che tra gli obblighi dello sponsee non rientra anche quello di parlar bene dello sponsor, e che, comunque, la correttezza della sua condotta e il rispetto del principio di buona fede nell’adempimento del contratto va valutata e provata caso per caso, con riferimento a parametri soggettivi, più che oggettivi .

La giurisprudenza sull’argomento è scarsa perché le parti, in caso di controversia, preferiscono affidarsi all’equo giudizio degli arbitri più che alla magistratura.

In estrema sintesi, dall’analisi delle scarse pronunce in merito, si può dedurre che, nel tentativo di riequilibrare le poste in gioco, i collegi sia arbitrali (Lodo arbitrale, 17 luglio 1990, in Dir. informazione e informatica, 1991, 893; Lodo arbitrale, 25 maggio 1990,  in Dir informazione e informatica, 1991, 63) , che giurisdizionali (Pret. Roma, 12 luglio 1989, in Dir. informazione e informatica, 1990, 171; Trib. Rieti, 19 marzo 1994, in Giur.it., 1994, I, 2, 983)˗ in senso contrario alla decisione in esame ˗  riconoscono in capo allo sponsee un obbligo di correttezza e buona fede oggettiva nell’adempimento del contratto che consenta di punire quei comportamenti dannosi per lo sponsor  e riconducibili al primo, anche in assenza di un’espressa previsione contrattuale.

 

Riferimenti bibliografici sul contratto di sponsorizzazione

Non esiste nel nostro ordinamento una disciplina del contratto in esame; inoltre la sponsorizzazione assume connotati diversi a seconda del settore ove viene attuata; ciò ha spinto gli interpreti a considerarlo un  contratto atipico (n tal senso v. G. Giacobbe, Atipicità del contratto di sponsorizzazione, in Riv. dir. civ., 1991, II, 399).

E, nel tentativo di ricondurre la fattispecie contrattuale nell’alveo di applicazione di altre fattispecie tipizzate, la dottrina ha riconosciuto nel contratto di sponsorizzazione, in alcuni casi la natura associativa (v. U. Del Lago, Aspetti giuridici della sponsorizzazione nello sport, in Atti del convegno di Verona, del 27˗28 marzo 1981 dal titolo “Comunicazione aziendale attraverso la sponsorizzazione”), in altri ha assimilato il contratto in esame a quello di locazione ( v. C. Verde, Il contratto di sponsorizzazione, cit., 122) o d’appalto d’opera  (v. V. A. Pascerini, L’abbinamento delle associazioni sportive a scopo pubblicitario, Bologna, 1979, 68) o di servizi (v. A. De Silvestri, Le operazioni di sponsorizzazione e e il merchandising delle società calcistiche, in Riv. dir. sportivo, 1983, I, 115), o, infine, al contratto d’opera (v. E. Giacobbe, Atipicità del contratto di sponsorizzazione, cit., 399; M.V. De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, I ˗ Le sponsorizzazioni, cit., 97; in giurisprudenza, Trib Perugia, 16 luglio 1996, in Foro it., 1997, I, 1643).

Per altri autori, infine, “non esiste una figura contrattuale, semplice o complessa, tipica o atipica, cui possa attribuirsi la qualifica di contratto di sponsorizzazione, ma piuttosto varie figure contrattuali, alcune semplici e altre complesse, alcune tipiche e altre atipiche, tutte caratterizzate da un’unica funzione socioeconomica: la funzione di sponsorizzazione” (v. M. Fusi, P. Testa, I contratti di sponsorizzazione, in Dir. informazione e informatica, 1985, 445).

Per riferimenti bibliografici in generale in materia di sponsorizzazione, v. B. Inzitari, Profili del diritto delle obbligazioni: interessi legali e convenzionali, euro, divieto di anatocismo, mutuo e tasso usurario, compensazione, cessione di credito in garanzia, mandato all’incasso, swap, sponsorizzazione, ricevute bancarie, Padova, 2000; E. Poddighe, Tutela dei diritti televisivi su manifestazioni sportive e normativa antitrust, in Dir. informazione e informatica, 2000,  644; H. Peter, Ius sponsoring in ottica comparatistica, in Riv. dir. sportivo, 1998, 2, 40; A. Moliterni, Il contratto di sponsorizzazione approda in Cassazione: un fortunato episodio o solo un’occasione perduta,  nota a Cass., 11 ottobre 1997, n. 9880, in Riv. dir. sportivo, 1997, 4, 743; R. Rossotto, C. Elestici, I contratti di pubblicità: il contratto di agenzia, il contratto di sponsorizzazione, Milano, 1994; A. Frignani, La sponsorizzazione, Torino, 1993; D. Bezzi, Accordi di collaborazione e contratti di sponsorizzazione: problemi e casi pratici, 1998; M. Bianca, Il contratto di sponsorizzazione,  Rimini, 1990; C. Verde, Il contratto di sponsorizzazione, Napoli,1989;  M.V. De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, Padova, 1988.

Per una panoramica dei diversi ambiti di applicazione del contratto in esame, che sta avendo sempre maggiore diffusione nel campo sportivo (e non solo), v. I. Magni, Merchandising e sponsorizzazione, Milano, 2002, 11; M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, Rimini, 1990, 111.

 

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Testo sentenza

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 26 maggio 2003 [lo sponsee] ha convenuto davanti al Tribunale di Milano [lo sponsor] chiedendone la condanna al pagamento di Euro ..., a saldo del corrispettivo promessole tramite un contratto di sponsorizzazione.

Lo [sponsor] ha resistito alla domanda, chiedendo in via riconvenzionale la risoluzione del contratto per inadempimento dell'attrice, alla quale imputava di avere omesso di esporre il logo ... sui biglietti di ingresso e in una serie di altri luoghi pattuiti; di avere esposto il logo di altra impresa accanto al suo sulle maglie dei giocatori ed in servizi fotografici, e di avere dato pessima prova di se' nel corso del campionato 2002˗2003, vanificando lo scopo da essa perseguito di ritrarre dalla sponsorizzazione anche vantaggi di immagine e di promozione dei suoi servizi. Donde anche domanda di risarcimento dei danni.

Nel corso del giudizio e' subentrato [allo sponsee], dichiarato fallita, il curatore del fallimento. Con sentenza n. 4903/2006 il Tribunale ha condannato la convenuta a pagare la somma richiesta, oltre interessi e spese di lite, rigettando ogni altra domanda.

Proposto appello principale dallo [sponsor] e incidentale dal curatore del fallimento, con sentenza 9˗24 febbraio 2010 n. 518 la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado, ponendo a carico dell'appellante principale anche le spese di appello.

Lo [sponsor] propone tre motivi di ricorso per cassazione. Resiste [lo sponsee] con controricorso e con memoria.

Motivi della decisione

  1. ricorrente denuncia violazione degli art. 115 e 116 cod. proc. civ. ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, sul rilievo che la Corte di appello ha ritenuto non dimostrati gli inadempimenti [dello sponsee] senza prendere in esame i capitoli di prova testimoniale e per interrogatorio formale da essa dedotti, la cui mancata ammissione nel giudizio di primo grado aveva costituito oggetto di specifica doglianza.

Assume che la motivazione addotta dalla sentenza impugnata, fondata sul fatto che essa [sponsor] non ha prodotto in appello il suo fascicolo di primo grado, contenente i documenti prodotti, e' insufficiente e non significativa, poiche' l'ampio capitolato di prova testimoniale da essa dedotto ben avrebbe potuto fornire adeguato fondamento alle sue censure, ed integra violazione delle norme citate in epigrafe, che impongo al giudice di assumere la sua decisione sulla base di tutte le allegazioni probatorie delle parti.

In primo luogo la Corte di appello ha richiamato in motivazione l'impossibilita' di conoscere "in mancanza di qualsivoglia allegazione documentale, ne' quali siano le dichiarazioni del Presidente P. , onde valutare la dedotta valenza denigratoria del marchio ..., ne' il contenuto della videocassetta, che attesterebbe la scarsa qualita' delle scritte sui rotor, ne' le pubblicazioni dei quotidiani riportanti foto di calciatori con magliette raffiguranti il marchio di altro sponsor, ne' quali siano i marchi di altre ditte (neppure indicate) esposti dallo sponsee in violazione del diritto di esclusiva".

Ha quindi specificato la natura e la rilevanza dei documenti mancanti, ai fini della valutazione della fondatezza della domanda e al fine di poter emettere un giudizio sulle censure rivolte alla sentenza di primo grado: sentenza che, peraltro, ha ritenuto comunque irrilevanti i predetti documenti al fine di dimostrare gli inadempimenti dello [sponsor]. In secondo luogo, la sentenza di appello (cfr. pag. 10) ha preso in esame le prove orali dedotte dall'appellante, ma le ha ritenute inammissibili, sul rilievo che i capitoli di prova a suo tempo dedotti "hanno contenuto generico˗valutativo o sono superflui, riguardando la conferma di documenti" [peraltro non prodotti in appello, n.d.r.].

In relazione a questo capo della sentenza impugnata la ricorrente non propone in questa sede alcuna censura, neppur nei limiti in cui dette censure sarebbero ammissibili in questa sede, considerato che le valutazioni del giudice di merito sulla genericita' e l’irrilevanza delle prove attengono a valutazioni in fatto, non suscettibili di riesame in sede di legittimita', se non sotto il profilo dei vizi di motivazione o del richiamo di principi giuridici errati (Cass. civ. 10 settembre 2004 n. 18222; Cass. civ. 26 ottobre 2005 n. 20682).

Ne' la Corte di appello poteva prescindere, nel valutare la correttezza o meno della decisione di primo grado sull'ammissibilita' e la rilevanza delle prove orali, dalla considerazione delle complessive risultanze istruttorie acquisite al processo, ivi inclusi i documenti prodotti.

  1. violazione dell'art. 9 del contratto concluso fra le parti il 17.7.2002 ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, sul rilievo che la Corte di appello ha escluso l'inadempimento dello [sponsee], sebbene la citata clausola obblighi la societa' sponsorizzata a fornire all'impresa sponsor una dotazione di tre abbonamenti in tribuna d'onore e di due abbonamenti in tribuna centrale ed essa abbia in realta' ricevuto solo posti in tribuna in posizione decentrata.
  2. violazione di clausole contrattuali non rientra fra i motivi per i quali l'art. 360 cod. proc. civ. ammette la proponibilita' di ricorso per cassazione, sicche' il motivo, cosi' come formulato, e' inammissibile, analogo giudizio di inammissibilita' si impone anche a voler considerare cio' che la ricorrente in realta' voleva dire: cioe' che sarebbero state violate, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., le norme di legge che impongono alle parti di rispettare gli impegni contrattualmente presi (art. 1321, 1372, 1218, ecc. cod. civ.).

Ed invero, la Corte di merito ha respinto le censure dell'appellante sulla base di una data interpretazione della citata clausola, secondo cui sarebbe stato attribuito alla sponsor il diritto ai posti in tribuna di onore e in tribuna centrale, ma non necessariamente ai posti centrali delle suddette tribune.

Le censure della ricorrente si sarebbero dovute quindi indirizzare nei confronti della suddetta interpretazione della clausola, denunciandone l'erroneita'. Ma e' noto che, in tema di interpretazione del contratto, l'accertamento della volonta' degli stipulanti e dell'ambito di applicazione dei loro accordi si traduce in un'indagine di fatto, affidata in via esclusiva al giudice di merito e censurabile in sede di legittimita' solo nel caso in cui la motivazione sia cosi' inadeguata, da non consentire la ricostruzione dell'iter logico in base al quale il giudice e' giunto alla sua conclusione; oppure quando sia ravvisabile la violazione delle specifiche norme di legge che il giudice e' tenuto a rispettare nell'esercizio dell'attivita' interpretativa (art. 1362 ss. cod. civ.). Cio' richiede la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia discostato dai suddetti principi, in mancanza di che la ricostruzione del contenuto della volonta' delle parti si tradurrebbe nel sollecitare alla Corte di cassazione una diversa interpretazione: richiesta inammissibile in sede di legittimita' (cfr., fra le altre, Cass. civ. Sez. III, 27 gennaio 2003 n. 1192; Cass. civ., Sez. II, 5 ottobre 2001 n. 12518).

  1. ricorrente denuncia violazione degli art. 1175 e 1375 cod. civ., ed ancora omessa od insufficiente motivazione, nel capo in cui la Corte di appello ha disatteso la sua domanda di risarcimento dei danni all'immagine conseguenti alla cattiva prova data dallo [sponsee] nella stagione 2001˗2002, nel corso della quale il campo e' stato squalificato per intemperanze dei tifosi ed il Presidente ha rilasciato ai giornali interviste discutibili, all'esito delle quali la squadra e' stata retrocessa in serie B.

Richiama l'art. 19 del contratto di sponsorizzazione, che le attribuiva il diritto di recedere anticipatamente dalla sponsorizzazione in caso di ritiro o sospensione della societa' cedente dal campionato di serie A, e i doveri di correttezza e buona fede che impongono allo sponsorizzato di astenersi da comportamenti sconvenienti e da dichiarazioni denigratorie della societa' sponsorizzata, tali da mettere in pericolo i vantaggi commerciali e di immagine che lo sponsor si ripromette di ritrarre dal rapporto.

Assume che la gestione poco felice del Presidente P. ha comportato per lo [sponsee] un buco di sei milioni di Euro, con il conseguente fallimento e l’imputazione di bancarotta fraudolenta, e che essa sponsor ha effettivamente subito un consistente calo dei profitti di impresa, a decorrere dal gennaio 2003, subito dopo la squalifica del campo dello [sponsee].

  1. motivazione della sentenza impugnata, sia perche' non sufficientemente specifico.

La Corte di appello ha respinto la domanda di risarcimento dei danni non sulla base di considerazioni di principio, ma perche' ha ritenuto non dimostrati i fatti da cui deriverebbero i lamentati danni all'immagine dell'impresa sponsor. Le affermazioni del ricorrente circa i comportamenti del Presidente della squadra e le sorti del campionato possono costituire fatto notorio fra i tifosi di calcio, ma non necessariamente in altri ambiti.

Ne' la ricorrente ha dedotto e dimostrato, nelle competenti sedi di merito, l'effettiva sussistenza ed entita' delle sue perdite di profitti e soprattutto il nesso causale fra dette perdite e le vicende dello [sponsee]: il mero diffondersi di notizie clamorose, anche in negativo, attinenti alla societa' sponsorizzata, non e' detto che abbia sempre e necessariamente effetti negativi per lo sponsor, sul piano pubblicitario. Il clamore e la notorieta' fanno comunque circolare il nome e i segni distintivi associati al soggetto di cui si parla, in un mondo ˗ qual e' quello della pubblicita' ˗ ove non rileva tanto che si parli bene, ma che si parli, di chi vuoi essere conosciuto e ricordato.

La clausola 19 del contratto prevedeva il diritto di recesso in relazione ad una sola e specifica circostanza ˗ la retrocessione della squadra dalla serie A ˗ recesso che peraltro essa sponsor non ha esercitato.

È vero che dal contratto di sponsorizzazione nasce un rapporto caratterizzato da un rilevante carattere fiduciario, nell'ambito del quale assumono particolare importanza i doveri di correttezza e buona fede di cui agli art. 1175 e 1375 cod. civ., e che tali doveri possono indurre a individuare obblighi ulteriori o integrativi rispetto a quelli tipici del rapporto (Cass. civ. 29 maggio 2006 n. 12801).

Ma non e' sufficiente allo scopo richiamare generici doveri di salvaguardia degli interessi e dell'immagine dello sponsor, senza alcuna specificazione e prova dei comportamenti pregiudizievoli, della loro accessorieta' rispetto all'accordo di sponsorizzazione e dei loro concreti effetti lesivi per lo sponsor, al fine di poterli considerare oggetto di obblighi di comportamento patrimonialmente valutabile ai sensi dell'art. 1174 cod. civ., tali da giustificare una richiesta di risarcimento dei danni.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro ..., di cui Euro ...  per esborsi ed Euro ...  per compensi; oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Pres. Amatucci

Rel. Lanzillo

 

[1]La Corte sostiene, infatti, che "il mero diffondersi di notizie clamorose, anche in negativo, attinenti alla societàsponsorizzata, non èdetto che abbia sempre e necessariamente effetti negativi per lo sponsor" e rifiuta il ricorso alla presunzione perché"le affermazioni del presidente e le sorti del campionato possono costituire fatto notorio per i tifosi di calcio, ma non necessariamente in altri ambiti".

Massima

Nel contratto di sponsorizzazione, va respinta la richiesta di risarcimento danni per lesione dell'immagine e perdita di fatturato, presentata dallo, se non prova il nesso causale tra la condotta dello sponsee e il calo dei profitti nonché l’effettiva entità delle perdite subite: non è sufficiente, allo scopo, richiamare generici doveri di salvaguardia degli interessi e dell’immagine dello sponsor, senza alcuna specificazione e prova dei comportamenti pregiudizievoli e della loro accessorietà rispetto all’accordo di sponsorizzazione.

Il caso e la decisione della Corte

La decisione della Corte di Cassazione dell’8 marzo 2014 n. 8153 interviene nel delicato compito di definire i limiti del comportamento dello sponsee e la fondatezza delle pretese risarcitorie dello sponsor, che a seguito della condotta del primo sostiene di aver subito una lesione all’immagine dell’impresa e per conseguenza una perdita di fatturato.

La fattispecie di cui si occupa la Suprema Corte ha ad oggetto una richiesta di risarcimento danni formulata da una primaria agenzia italiana specializzata nella ricerca, selezione, formazione e gestione delle risorse umane ˗ sponsor di una squadra di calcio impegnata nel massimo campionato nazionale ˗ che lamenta di aver subito una lesione del diritto all’immagine e un calo di profitti d’impresa a causa del comportamento sconveniente tenuto dalla tifoseria della squadra sponsorizzata e delle dichiarazioni denigratorie fatte dal suo Presidente.

Nel caso di specie, lo sponsor fa riferimento a una serie di incresciose vicende, note agli appassionati di calcio, che comportarono la retrocessione in serie B della squadra di Como nella stagione 2002/03.

Invero, in quella sfortunata stagione, da una parte, la tifoseria della squadra lombarda, forse spinta (ma non giustificata) dai deludenti risultati conseguiti in campionato dal team sportivo, fu protagonista di una serie ripetuta di episodi e incidenti sugli spalti, cui seguirono drastiche decisioni dei giudici sportivi (che culminarono con la chiusura dello stadio); da altra parte, il Presidente della società sponsorizzata, perso il self˗control, rese alla stampa delle sconvenienti dichiarazioni, che comportarono la retrocessione della squadra in serie B e, a seguire, il fallimento della società e l'imputazione per bancarotta fraudolenta dello stesso Presidente; da altra parte, infine, lo sponsor ˗ anziché recedere dal contratto di sponsorizzazione, come prevedeva l’articolo 19 del contratto in caso di retrocessione della squadra ˗ propose in giudizio azione di merito per ottenere il risarcimento del danno subito all'immagine dal comportamento scorretto del Presidente.

La Corte, nel decidere la controversia, rigetta la richiesta dello sponsor e conferma la decisione di appello per tre ordini di motivi:

1) lo sponsor non ha provato i fatti “da cui deriverebbero i lamentati danni all'immagine” néha dimostrato “l'effettiva sussistenza ed entitàdelle sue perdite e profitti”: la Corte sostiene, infatti, che “il mero diffondersi di notizie clamorose, anche in negativo, attinenti alla societàsponsorizzata, non èdetto che abbia sempre e necessariamente effetti negativi per lo sponsor” e rifiuta il ricorso alla presunzione perché“le affermazioni del presidente e le sorti del campionato possono costituire fatto notorio per i tifosi di calcio, ma non necessariamente in altri ambiti”[1];

2) compito dello sponsee è veicolare il nome e i segni dello sponsor, aumentandone la notorietà, e il clamore determinato da alcuni comportamenti dello sponsorizzato, anche se sconvenienti,  contribuiscono alla circolazione del marchio e al perseguimento del fine del contratto di sponsorizzazione, in quanto sul piano pubblicitario “non rileva tanto che si parli bene, ma che si parli [nota della redazione  anche male, quindi], da chi vuol essere riconosciuto e ricordato”.

3) pur riconoscendo la natura fiduciaria del rapporto tra sponsor e sponsee e la necessitàdi rispettare gli obblighi di correttezza e buona fede, ritiene che il generico richiamo a questi doveri non èsufficiente a giustificare la richiesta risarcitoria.

In altre parole la Corte fa intendere che tra gli obblighi dello sponsee non rientra anche quello di parlar bene dello sponsor, e che, comunque, la correttezza della sua condotta e il rispetto del principio di buona fede nell’adempimento del contratto va valutata e provata caso per caso, con riferimento a parametri soggettivi, più che oggettivi .

La giurisprudenza sull’argomento è scarsa perché le parti, in caso di controversia, preferiscono affidarsi all’equo giudizio degli arbitri più che alla magistratura.

In estrema sintesi, dall’analisi delle scarse pronunce in merito, si può dedurre che, nel tentativo di riequilibrare le poste in gioco, i collegi sia arbitrali (Lodo arbitrale, 17 luglio 1990, in Dir. informazione e informatica, 1991, 893; Lodo arbitrale, 25 maggio 1990,  in Dir informazione e informatica, 1991, 63) , che giurisdizionali (Pret. Roma, 12 luglio 1989, in Dir. informazione e informatica, 1990, 171; Trib. Rieti, 19 marzo 1994, in Giur.it., 1994, I, 2, 983)˗ in senso contrario alla decisione in esame ˗  riconoscono in capo allo sponsee un obbligo di correttezza e buona fede oggettiva nell’adempimento del contratto che consenta di punire quei comportamenti dannosi per lo sponsor  e riconducibili al primo, anche in assenza di un’espressa previsione contrattuale.

 

Riferimenti bibliografici sul contratto di sponsorizzazione

Non esiste nel nostro ordinamento una disciplina del contratto in esame; inoltre la sponsorizzazione assume connotati diversi a seconda del settore ove viene attuata; ciò ha spinto gli interpreti a considerarlo un  contratto atipico (n tal senso v. G. Giacobbe, Atipicità del contratto di sponsorizzazione, in Riv. dir. civ., 1991, II, 399).

E, nel tentativo di ricondurre la fattispecie contrattuale nell’alveo di applicazione di altre fattispecie tipizzate, la dottrina ha riconosciuto nel contratto di sponsorizzazione, in alcuni casi la natura associativa (v. U. Del Lago, Aspetti giuridici della sponsorizzazione nello sport, in Atti del convegno di Verona, del 27˗28 marzo 1981 dal titolo “Comunicazione aziendale attraverso la sponsorizzazione”), in altri ha assimilato il contratto in esame a quello di locazione ( v. C. Verde, Il contratto di sponsorizzazione, cit., 122) o d’appalto d’opera  (v. V. A. Pascerini, L’abbinamento delle associazioni sportive a scopo pubblicitario, Bologna, 1979, 68) o di servizi (v. A. De Silvestri, Le operazioni di sponsorizzazione e e il merchandising delle società calcistiche, in Riv. dir. sportivo, 1983, I, 115), o, infine, al contratto d’opera (v. E. Giacobbe, Atipicità del contratto di sponsorizzazione, cit., 399; M.V. De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, I ˗ Le sponsorizzazioni, cit., 97; in giurisprudenza, Trib Perugia, 16 luglio 1996, in Foro it., 1997, I, 1643).

Per altri autori, infine, “non esiste una figura contrattuale, semplice o complessa, tipica o atipica, cui possa attribuirsi la qualifica di contratto di sponsorizzazione, ma piuttosto varie figure contrattuali, alcune semplici e altre complesse, alcune tipiche e altre atipiche, tutte caratterizzate da un’unica funzione socioeconomica: la funzione di sponsorizzazione” (v. M. Fusi, P. Testa, I contratti di sponsorizzazione, in Dir. informazione e informatica, 1985, 445).

Per riferimenti bibliografici in generale in materia di sponsorizzazione, v. B. Inzitari, Profili del diritto delle obbligazioni: interessi legali e convenzionali, euro, divieto di anatocismo, mutuo e tasso usurario, compensazione, cessione di credito in garanzia, mandato all’incasso, swap, sponsorizzazione, ricevute bancarie, Padova, 2000; E. Poddighe, Tutela dei diritti televisivi su manifestazioni sportive e normativa antitrust, in Dir. informazione e informatica, 2000,  644; H. Peter, Ius sponsoring in ottica comparatistica, in Riv. dir. sportivo, 1998, 2, 40; A. Moliterni, Il contratto di sponsorizzazione approda in Cassazione: un fortunato episodio o solo un’occasione perduta,  nota a Cass., 11 ottobre 1997, n. 9880, in Riv. dir. sportivo, 1997, 4, 743; R. Rossotto, C. Elestici, I contratti di pubblicità: il contratto di agenzia, il contratto di sponsorizzazione, Milano, 1994; A. Frignani, La sponsorizzazione, Torino, 1993; D. Bezzi, Accordi di collaborazione e contratti di sponsorizzazione: problemi e casi pratici, 1998; M. Bianca, Il contratto di sponsorizzazione,  Rimini, 1990; C. Verde, Il contratto di sponsorizzazione, Napoli,1989;  M.V. De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, Padova, 1988.

Per una panoramica dei diversi ambiti di applicazione del contratto in esame, che sta avendo sempre maggiore diffusione nel campo sportivo (e non solo), v. I. Magni, Merchandising e sponsorizzazione, Milano, 2002, 11; M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, Rimini, 1990, 111.

 

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Testo sentenza

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 26 maggio 2003 [lo sponsee] ha convenuto davanti al Tribunale di Milano [lo sponsor] chiedendone la condanna al pagamento di Euro ..., a saldo del corrispettivo promessole tramite un contratto di sponsorizzazione.

Lo [sponsor] ha resistito alla domanda, chiedendo in via riconvenzionale la risoluzione del contratto per inadempimento dell'attrice, alla quale imputava di avere omesso di esporre il logo ... sui biglietti di ingresso e in una serie di altri luoghi pattuiti; di avere esposto il logo di altra impresa accanto al suo sulle maglie dei giocatori ed in servizi fotografici, e di avere dato pessima prova di se' nel corso del campionato 2002˗2003, vanificando lo scopo da essa perseguito di ritrarre dalla sponsorizzazione anche vantaggi di immagine e di promozione dei suoi servizi. Donde anche domanda di risarcimento dei danni.

Nel corso del giudizio e' subentrato [allo sponsee], dichiarato fallita, il curatore del fallimento. Con sentenza n. 4903/2006 il Tribunale ha condannato la convenuta a pagare la somma richiesta, oltre interessi e spese di lite, rigettando ogni altra domanda.

Proposto appello principale dallo [sponsor] e incidentale dal curatore del fallimento, con sentenza 9˗24 febbraio 2010 n. 518 la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado, ponendo a carico dell'appellante principale anche le spese di appello.

Lo [sponsor] propone tre motivi di ricorso per cassazione. Resiste [lo sponsee] con controricorso e con memoria.

Motivi della decisione

  1. ricorrente denuncia violazione degli art. 115 e 116 cod. proc. civ. ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, sul rilievo che la Corte di appello ha ritenuto non dimostrati gli inadempimenti [dello sponsee] senza prendere in esame i capitoli di prova testimoniale e per interrogatorio formale da essa dedotti, la cui mancata ammissione nel giudizio di primo grado aveva costituito oggetto di specifica doglianza.

Assume che la motivazione addotta dalla sentenza impugnata, fondata sul fatto che essa [sponsor] non ha prodotto in appello il suo fascicolo di primo grado, contenente i documenti prodotti, e' insufficiente e non significativa, poiche' l'ampio capitolato di prova testimoniale da essa dedotto ben avrebbe potuto fornire adeguato fondamento alle sue censure, ed integra violazione delle norme citate in epigrafe, che impongo al giudice di assumere la sua decisione sulla base di tutte le allegazioni probatorie delle parti.

In primo luogo la Corte di appello ha richiamato in motivazione l'impossibilita' di conoscere "in mancanza di qualsivoglia allegazione documentale, ne' quali siano le dichiarazioni del Presidente P. , onde valutare la dedotta valenza denigratoria del marchio ..., ne' il contenuto della videocassetta, che attesterebbe la scarsa qualita' delle scritte sui rotor, ne' le pubblicazioni dei quotidiani riportanti foto di calciatori con magliette raffiguranti il marchio di altro sponsor, ne' quali siano i marchi di altre ditte (neppure indicate) esposti dallo sponsee in violazione del diritto di esclusiva".

Ha quindi specificato la natura e la rilevanza dei documenti mancanti, ai fini della valutazione della fondatezza della domanda e al fine di poter emettere un giudizio sulle censure rivolte alla sentenza di primo grado: sentenza che, peraltro, ha ritenuto comunque irrilevanti i predetti documenti al fine di dimostrare gli inadempimenti dello [sponsor]. In secondo luogo, la sentenza di appello (cfr. pag. 10) ha preso in esame le prove orali dedotte dall'appellante, ma le ha ritenute inammissibili, sul rilievo che i capitoli di prova a suo tempo dedotti "hanno contenuto generico˗valutativo o sono superflui, riguardando la conferma di documenti" [peraltro non prodotti in appello, n.d.r.].

In relazione a questo capo della sentenza impugnata la ricorrente non propone in questa sede alcuna censura, neppur nei limiti in cui dette censure sarebbero ammissibili in questa sede, considerato che le valutazioni del giudice di merito sulla genericita' e l’irrilevanza delle prove attengono a valutazioni in fatto, non suscettibili di riesame in sede di legittimita', se non sotto il profilo dei vizi di motivazione o del richiamo di principi giuridici errati (Cass. civ. 10 settembre 2004 n. 18222; Cass. civ. 26 ottobre 2005 n. 20682).

Ne' la Corte di appello poteva prescindere, nel valutare la correttezza o meno della decisione di primo grado sull'ammissibilita' e la rilevanza delle prove orali, dalla considerazione delle complessive risultanze istruttorie acquisite al processo, ivi inclusi i documenti prodotti.

  1. violazione dell'art. 9 del contratto concluso fra le parti il 17.7.2002 ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, sul rilievo che la Corte di appello ha escluso l'inadempimento dello [sponsee], sebbene la citata clausola obblighi la societa' sponsorizzata a fornire all'impresa sponsor una dotazione di tre abbonamenti in tribuna d'onore e di due abbonamenti in tribuna centrale ed essa abbia in realta' ricevuto solo posti in tribuna in posizione decentrata.
  2. violazione di clausole contrattuali non rientra fra i motivi per i quali l'art. 360 cod. proc. civ. ammette la proponibilita' di ricorso per cassazione, sicche' il motivo, cosi' come formulato, e' inammissibile, analogo giudizio di inammissibilita' si impone anche a voler considerare cio' che la ricorrente in realta' voleva dire: cioe' che sarebbero state violate, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., le norme di legge che impongono alle parti di rispettare gli impegni contrattualmente presi (art. 1321, 1372, 1218, ecc. cod. civ.).

Ed invero, la Corte di merito ha respinto le censure dell'appellante sulla base di una data interpretazione della citata clausola, secondo cui sarebbe stato attribuito alla sponsor il diritto ai posti in tribuna di onore e in tribuna centrale, ma non necessariamente ai posti centrali delle suddette tribune.

Le censure della ricorrente si sarebbero dovute quindi indirizzare nei confronti della suddetta interpretazione della clausola, denunciandone l'erroneita'. Ma e' noto che, in tema di interpretazione del contratto, l'accertamento della volonta' degli stipulanti e dell'ambito di applicazione dei loro accordi si traduce in un'indagine di fatto, affidata in via esclusiva al giudice di merito e censurabile in sede di legittimita' solo nel caso in cui la motivazione sia cosi' inadeguata, da non consentire la ricostruzione dell'iter logico in base al quale il giudice e' giunto alla sua conclusione; oppure quando sia ravvisabile la violazione delle specifiche norme di legge che il giudice e' tenuto a rispettare nell'esercizio dell'attivita' interpretativa (art. 1362 ss. cod. civ.). Cio' richiede la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia discostato dai suddetti principi, in mancanza di che la ricostruzione del contenuto della volonta' delle parti si tradurrebbe nel sollecitare alla Corte di cassazione una diversa interpretazione: richiesta inammissibile in sede di legittimita' (cfr., fra le altre, Cass. civ. Sez. III, 27 gennaio 2003 n. 1192; Cass. civ., Sez. II, 5 ottobre 2001 n. 12518).

  1. ricorrente denuncia violazione degli art. 1175 e 1375 cod. civ., ed ancora omessa od insufficiente motivazione, nel capo in cui la Corte di appello ha disatteso la sua domanda di risarcimento dei danni all'immagine conseguenti alla cattiva prova data dallo [sponsee] nella stagione 2001˗2002, nel corso della quale il campo e' stato squalificato per intemperanze dei tifosi ed il Presidente ha rilasciato ai giornali interviste discutibili, all'esito delle quali la squadra e' stata retrocessa in serie B.

Richiama l'art. 19 del contratto di sponsorizzazione, che le attribuiva il diritto di recedere anticipatamente dalla sponsorizzazione in caso di ritiro o sospensione della societa' cedente dal campionato di serie A, e i doveri di correttezza e buona fede che impongono allo sponsorizzato di astenersi da comportamenti sconvenienti e da dichiarazioni denigratorie della societa' sponsorizzata, tali da mettere in pericolo i vantaggi commerciali e di immagine che lo sponsor si ripromette di ritrarre dal rapporto.

Assume che la gestione poco felice del Presidente P. ha comportato per lo [sponsee] un buco di sei milioni di Euro, con il conseguente fallimento e l’imputazione di bancarotta fraudolenta, e che essa sponsor ha effettivamente subito un consistente calo dei profitti di impresa, a decorrere dal gennaio 2003, subito dopo la squalifica del campo dello [sponsee].

  1. motivazione della sentenza impugnata, sia perche' non sufficientemente specifico.

La Corte di appello ha respinto la domanda di risarcimento dei danni non sulla base di considerazioni di principio, ma perche' ha ritenuto non dimostrati i fatti da cui deriverebbero i lamentati danni all'immagine dell'impresa sponsor. Le affermazioni del ricorrente circa i comportamenti del Presidente della squadra e le sorti del campionato possono costituire fatto notorio fra i tifosi di calcio, ma non necessariamente in altri ambiti.

Ne' la ricorrente ha dedotto e dimostrato, nelle competenti sedi di merito, l'effettiva sussistenza ed entita' delle sue perdite di profitti e soprattutto il nesso causale fra dette perdite e le vicende dello [sponsee]: il mero diffondersi di notizie clamorose, anche in negativo, attinenti alla societa' sponsorizzata, non e' detto che abbia sempre e necessariamente effetti negativi per lo sponsor, sul piano pubblicitario. Il clamore e la notorieta' fanno comunque circolare il nome e i segni distintivi associati al soggetto di cui si parla, in un mondo ˗ qual e' quello della pubblicita' ˗ ove non rileva tanto che si parli bene, ma che si parli, di chi vuoi essere conosciuto e ricordato.

La clausola 19 del contratto prevedeva il diritto di recesso in relazione ad una sola e specifica circostanza ˗ la retrocessione della squadra dalla serie A ˗ recesso che peraltro essa sponsor non ha esercitato.

È vero che dal contratto di sponsorizzazione nasce un rapporto caratterizzato da un rilevante carattere fiduciario, nell'ambito del quale assumono particolare importanza i doveri di correttezza e buona fede di cui agli art. 1175 e 1375 cod. civ., e che tali doveri possono indurre a individuare obblighi ulteriori o integrativi rispetto a quelli tipici del rapporto (Cass. civ. 29 maggio 2006 n. 12801).

Ma non e' sufficiente allo scopo richiamare generici doveri di salvaguardia degli interessi e dell'immagine dello sponsor, senza alcuna specificazione e prova dei comportamenti pregiudizievoli, della loro accessorieta' rispetto all'accordo di sponsorizzazione e dei loro concreti effetti lesivi per lo sponsor, al fine di poterli considerare oggetto di obblighi di comportamento patrimonialmente valutabile ai sensi dell'art. 1174 cod. civ., tali da giustificare una richiesta di risarcimento dei danni.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro ..., di cui Euro ...  per esborsi ed Euro ...  per compensi; oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Pres. Amatucci

Rel. Lanzillo

 

[1]La Corte sostiene, infatti, che "il mero diffondersi di notizie clamorose, anche in negativo, attinenti alla societàsponsorizzata, non èdetto che abbia sempre e necessariamente effetti negativi per lo sponsor" e rifiuta il ricorso alla presunzione perché"le affermazioni del presidente e le sorti del campionato possono costituire fatto notorio per i tifosi di calcio, ma non necessariamente in altri ambiti".