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Cassazione Civile: guai al ricorso troppo lungo e prolisso

Nota alla Sentenza 30 settembre 2014, n. 20589

La Suprema Corte di Cassazione ancora una volta dichiara “inammissibile” un ricorso perché ritenuto “troppo lungo  e prolisso, affermando che erano sufficienti solo le ultime dodici pagine di motivazioni” rispetto alle 100 presentate.

Con questa motivazione i Giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno dichiarato “inammissibile” il ricorso  presentato dalla difesa, statuendo che “erano sufficienti soltanto le ultime dodici pagine delle motivazioni”  per ritenere ammissibile lo stesso atto.

Con il ricorso proposto, ex articolo 360, n. 5, del Codice di Procedura Civile, si evidenziava, da parte del difensore, un “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, a fronte del precedente motivo della “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

Il difensore ‒ per supportare il proprio ricorso ‒ aveva, quindi, riprodotto tutti gli atti processuali del giudizio di merito.

A fronte di ciò, i Giudici della Corte di Cassazione hanno ritenuto che il difensore fosse incorso nella “violazione del dovere di sinteticità espositiva”, mutuando tale concetto dai “principi del giusto processo”, ex articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La “ratio” seguita dai Giudici della Corte è da ricercare nel fatto ‒ affermato anche in questa occasione ‒ che la redazione di un ricorso per Cassazione, formulato in tal modo, “costringe il Collegio a leggersi tutto”, ponendo gli stessi Giudici della Corte nella condizione di dover procedere “alla valutazione di atti che dovrebbe essere fatta esclusivamente in sede di merito, anzi addirittura sollecitandone una diversa interpretazione rispetto a quella accolta dal giudice di merito”. E si conclude, da parte degli stessi Giudici, affermando ancora che: allorquando dalla parte sia formulata “la denuncia il vizio di motivazione”, la stessa Corte “non può riesaminare nel merito gli atti del processo, ma deve limitarsi unicamente a controllare la veridicità e la coerenza delle argomentazioni poste a sostegno della decisione” impugnata.

La decisione della Suprema Corte non è isolata, nel senso che, già in precedenza, era stato dichiarato ”inammissibile” altro ricorso presentato alla stessa Corte, ove il legale aveva provveduto ad effettuare il cosiddetto “copia incolla” degli atti dei precedenti giudizi (cfr. Corte di Cassazione, Sesta Sezione Civile, Sentenza 22 ottobre 2012, n. 18137).

I dati qualificanti, da tenere perciò in evidenza, sotto tale particolare profilo e, soprattutto, per non vedersi dichiarare “inammissibile” il proprio ricorso sono, quindi, i seguenti:

a. l’articolo 366, n. 3, del Codice di Procedura Civile, dispone che il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità l’esposizione sommaria dei fatti della causa;

b. in tema di ricorso per cassazione, ai fini di veder soddisfatto il requisito di cui al summenzionato articolo 366, n. 3, del Codice di Procedura Civile, secondo la ormai consolidata giurisprudenza, non occorre, ed anzi rende inammissibile il ricorso, la pedissequa riproduzione per intero degli atti processuali, poiché, difatti, la stessa è:  

(i) da un lato, “del tutto superflua”, non essendo affatto richiesta e nemmeno necessaria la completa riproduzione di tutti gli atti (e l’iter) della vicenda processuale, essendo invece sufficiente che nel contesto del ricorso siano presenti quegli elementi attraverso i quali sia possibile desumere “la conoscenza dei fatti”, dal punto di vista processuale e sostanziale, nel senso di riuscire a comprendere i punti significativi delle critiche rivolte alla sentenza impugnata. Pertanto, non è assolutamente necessario procedere con una narrativa dettagliata ed analitica di tutto quel che è avvenuto e tantomeno riprodurre tutti gli atti dei precedenti giudizi;

(ii) dall’altro lato, la completa riproduzione di atti non soddisfa il criterio/principio della necessaria e sintetica esposizione dei fatti, in quanto ciò significherebbe oberare la Corte, “dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata)”, anche del fatto di dover procedere alla scelta di quanto siano effettivamente  importanti i motivi di ricorso.

In conclusione, i Giudici della Corte di Cassazione, nella fattispecie in esame, hanno “cassato”, se così si può dire, ancora una volta, la strutturazione e la tecnica di redazione degli atti da parte dell’Avvocato, allorquando la stessa consiste nella mera riproduzione degli atti dei precedenti giudizi e/o i documenti che la difesa ritiene che siano stati male interpretati, ignorati e/o non tenuti nel debito conto dai Giudici di primo e/o secondo grado.

Attenzione, perciò, a scrivere troppo, salvo correre il pericolo di vedersi dichiarato “inammissibile” l’atto d’impugnazione. Il monito, ovviamente, è rivolto a chi scrive (troppo).

La Suprema Corte di Cassazione ancora una volta dichiara “inammissibile” un ricorso perché ritenuto “troppo lungo  e prolisso, affermando che erano sufficienti solo le ultime dodici pagine di motivazioni” rispetto alle 100 presentate.

Con questa motivazione i Giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno dichiarato “inammissibile” il ricorso  presentato dalla difesa, statuendo che “erano sufficienti soltanto le ultime dodici pagine delle motivazioni”  per ritenere ammissibile lo stesso atto.

Con il ricorso proposto, ex articolo 360, n. 5, del Codice di Procedura Civile, si evidenziava, da parte del difensore, un “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, a fronte del precedente motivo della “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

Il difensore ‒ per supportare il proprio ricorso ‒ aveva, quindi, riprodotto tutti gli atti processuali del giudizio di merito.

A fronte di ciò, i Giudici della Corte di Cassazione hanno ritenuto che il difensore fosse incorso nella “violazione del dovere di sinteticità espositiva”, mutuando tale concetto dai “principi del giusto processo”, ex articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La “ratio” seguita dai Giudici della Corte è da ricercare nel fatto ‒ affermato anche in questa occasione ‒ che la redazione di un ricorso per Cassazione, formulato in tal modo, “costringe il Collegio a leggersi tutto”, ponendo gli stessi Giudici della Corte nella condizione di dover procedere “alla valutazione di atti che dovrebbe essere fatta esclusivamente in sede di merito, anzi addirittura sollecitandone una diversa interpretazione rispetto a quella accolta dal giudice di merito”. E si conclude, da parte degli stessi Giudici, affermando ancora che: allorquando dalla parte sia formulata “la denuncia il vizio di motivazione”, la stessa Corte “non può riesaminare nel merito gli atti del processo, ma deve limitarsi unicamente a controllare la veridicità e la coerenza delle argomentazioni poste a sostegno della decisione” impugnata.

La decisione della Suprema Corte non è isolata, nel senso che, già in precedenza, era stato dichiarato ”inammissibile” altro ricorso presentato alla stessa Corte, ove il legale aveva provveduto ad effettuare il cosiddetto “copia incolla” degli atti dei precedenti giudizi (cfr. Corte di Cassazione, Sesta Sezione Civile, Sentenza 22 ottobre 2012, n. 18137).

I dati qualificanti, da tenere perciò in evidenza, sotto tale particolare profilo e, soprattutto, per non vedersi dichiarare “inammissibile” il proprio ricorso sono, quindi, i seguenti:

a. l’articolo 366, n. 3, del Codice di Procedura Civile, dispone che il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità l’esposizione sommaria dei fatti della causa;

b. in tema di ricorso per cassazione, ai fini di veder soddisfatto il requisito di cui al summenzionato articolo 366, n. 3, del Codice di Procedura Civile, secondo la ormai consolidata giurisprudenza, non occorre, ed anzi rende inammissibile il ricorso, la pedissequa riproduzione per intero degli atti processuali, poiché, difatti, la stessa è:  

(i) da un lato, “del tutto superflua”, non essendo affatto richiesta e nemmeno necessaria la completa riproduzione di tutti gli atti (e l’iter) della vicenda processuale, essendo invece sufficiente che nel contesto del ricorso siano presenti quegli elementi attraverso i quali sia possibile desumere “la conoscenza dei fatti”, dal punto di vista processuale e sostanziale, nel senso di riuscire a comprendere i punti significativi delle critiche rivolte alla sentenza impugnata. Pertanto, non è assolutamente necessario procedere con una narrativa dettagliata ed analitica di tutto quel che è avvenuto e tantomeno riprodurre tutti gli atti dei precedenti giudizi;

(ii) dall’altro lato, la completa riproduzione di atti non soddisfa il criterio/principio della necessaria e sintetica esposizione dei fatti, in quanto ciò significherebbe oberare la Corte, “dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata)”, anche del fatto di dover procedere alla scelta di quanto siano effettivamente  importanti i motivi di ricorso.

In conclusione, i Giudici della Corte di Cassazione, nella fattispecie in esame, hanno “cassato”, se così si può dire, ancora una volta, la strutturazione e la tecnica di redazione degli atti da parte dell’Avvocato, allorquando la stessa consiste nella mera riproduzione degli atti dei precedenti giudizi e/o i documenti che la difesa ritiene che siano stati male interpretati, ignorati e/o non tenuti nel debito conto dai Giudici di primo e/o secondo grado.

Attenzione, perciò, a scrivere troppo, salvo correre il pericolo di vedersi dichiarato “inammissibile” l’atto d’impugnazione. Il monito, ovviamente, è rivolto a chi scrive (troppo).