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Trust: a proposito di nullità, simulazione e revocatoria

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Tre recentissime pronunce delle corti di merito in materia di trust (T. Forlì, 16/2/2015 (Ordinanza); T. Genova, 18/2/2015 e T. Sassari, 20/2/2015,) hanno riportato l’attenzione su un tema che merita di essere monitorato con attenzione, anche nell’ottica di delineare il corretto ambito di utilizzo di questo istituto oggetto fra l’altro, in questo contesto temporale, di una campagna denigratoria particolarmente virulenta che lo definisce, senza mezzi termini come un  “rimedio illegale” [“Trust e diamanti, l’ultima spiaggia di chi si nasconde”, comparso sul Corriere della Sera del 24 febbraio 2015, a firma Francesca Basso]. Non c’è dubbio che queste posizioni cedono alla facile demagogia di chi vuole dimostrare di aver svelato, mettendoli alla gogna, strumenti cui “i ricchi disonesti” farebbero ricorso per nascondere le loro sostanze. Come poi se i problemi del passaggio generazionale, di un figlio “debole”, o delle famiglie di fatto, per limitarsi a qualche caso, riguardassero solo i “paperoni”  sparsi nel mondo, e non fossero invece  patrimonio comune di  una platea molto ampia di persone, non necessariamente titolari di fortune  smodate.

Per ritornare dunque al tema che ci riguarda, le sentenze si sono espresse in ordine alle domande di nullità, simulazione o revocatoria poste in essere da alcuni creditori dei disponenti nei confronti di alcuni trust, istituiti successivamente all’insorgere delle posizioni debitorie del disponente medesimo.

Nel caso di Forli era lo stesso trustee ad agire ex articolo 702 del codice di procedura civile per chiedere di dichiarare l’insussistenza del diritto di una banca a iscrivere ipoteca su beni immobili segregati in un trust, mentre la banca contestava la domanda chiedendo in via riconvenzionale dichiararsi la nullità dell’atto istitutivo del trust, dell’atto di destinazione ex articolo 2645 ter del codice civile e, in via subordinata, la revocatoria dell’atto di conferimento dei beni in trust. Dello stesso tenore la domanda riconvenzionale di altro convenuto.

La sentenza offre spunti particolarmente interessanti. Il caso in questione attiene a un trust autodichiarato con funzioni liquidatorie nel quale il disponente, soggetto non fallibile, e già fideiussore nell’interesse di una società, a favore di alcune banche, aveva apportato beni personali al trust che aveva come beneficiari i creditori della medesima società avendo questa richiesto l’ammissione alla procedura di concordato. Il trustee,  a sua volta, risultava essere un soggetto terzo non legato da particolari vincoli con il disponente.

Nel caso di Genova, la Banca attrice ha chiesto la revocatoria dell’atto di costituzione di un trust nel quale la convenuta, sua debitrice, conferiva il proprio unico bene immobile consistente nella quota di un mezzo dell’immobile di cui la stessa era comproprietaria col marito. La disponente assumeva, essa stessa, anche la qualifica di trustee e il trust risultava essere stato istituito per “far fronte al mantenimento del miglior tenore di vita possibile della figlia A.M. nata nel 1974”.

La convenuta ha resistito affermando che la costituzione del trust non era avvenuta in frode ai creditori, ma per motivi di carattere familiare/personale legati ai propri difficili rapporti col marito.

Infine nel caso preso in esame dal tribunale di Sassari, la fattispecie risultava un po’ più articolata  essendo in presenza di due atti di trust risalenti il primo al 2006 e un altro al 2010. Il primo di essi  risultava essere stato istituito “per provvedere alla sicurezza economica dei propri discendenti, prevenire eventuali dissensi fra di essi ed evitare che i propri discendenti possano disporre dei beni in trust prima di una certa data “ (cinquanta anni n.d.r.).

Del secondo trust la sentenza non fornisce indicazioni precise, ma è lecito ritenere che le finalità di questo trust non dovevano discostarsi troppo da quelle del precedente.

Quello che accomuna queste sentenze è dato dalla piena coerenza delle motivazioni adottate che denota come ormai si vada registrando un sentire comune circa alcuni punti fondamentali dei trust, cosa che non può che rappresentare un positivo elemento di certezza per coloro che utilizzano questo istituto. Sinteticamente possiamo rilevare come si confermi

la tendenza a non riconoscere cittadinanza a quei tentativi volti ad attaccare i trust su piani dogmaticamente inaccettabili, evocando a sproposito categorie inapplicabili, mentre l’attenta analisi svolta dalle riportate pronunce dimostra come il ricorso abusivo allo strumento trust non possa sperare di ricevere protezione da parte dell’ordinamento.

Sul tema della nullità, che in tutti e tre i casi viene evocato, la domanda viene respinta con ineccepibile argomentare. Nel caso di Forlì, dopo aver richiamato la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione che esclude comunque, per i trust liquidatori, la sanzione della nullità dell’atto istituivo del trust, si fa rilevare come il trust, pur inserendosi nella categoria dei trust liquidatori,  non corresse il rischio di incorrere nella sanzione della irriconoscibilità dal momento che non si poneva in alternativa rispetto alla procedura concorsuale, ma andava a rivestire una posizione accessoria rispetto alla procedura di concordato, e inoltre perché il disponente aveva agito come fideiussore, non personalmente fallibile, e pertanto non si era sottratto a una possibile procedura concorsuale.

Nel caso di Genova, la richiesta della banca creditrice consisteva in una domanda di revocatoria che per la verità non ha avuto difficoltà ad essere accordata. La Corte genovese infatti, pur ritenendo le finalità del trust di per sé non censurabili, avvicinandosi questo “a una sorta di fondo patrimoniale orientato nell’interesse della famiglia”, non ha potuto non rilevare come, a fronte delle sia pur rispettabili e meritevoli intenzioni del disponente, lo stesso aveva ricevuto prima di procedere alla istituzione del trust, la notifica di un atto di costituzione in mora e di un decreto ingiuntivo, situazioni che integravano, in modo scolastico, il ricorrere dell’eventus e della scientia damni. Nel caso, anzi nei due casi, essendo due i trust esaminati dalla corte sassarese, le domande attrici miravano a far dichiarare in via principale la nullità dei trust, in via subordinata la simulazione, e in via ulteriormente subordinata la revocatoria dei conferimenti effettuati. La situazione fattuale di questi due trust poteva prestare il fianco, a un esame superficiale, a una censura del comportamento posto in essere atteso che, a parte le finalità del trust che rientravano fra quelle tipiche di una protezione familiare, il trustee risultava essere il coniuge del disponente e beneficiari i loro figli, o i discendenti di questi, a loro subentrati nell’arco del periodo di durata del trust, mentre il fondo in trust comprendeva una serie di cespiti immobiliari di proprietà del disponente. In realtà il tribunale non si è fatto distogliere di questi elementi osservando opportunamente come “il fatto che il trust sia maturato interamente nel contesto familiare e che il disponente non abbia perso interamente il controllo dei beni inizialmente conferiti in trust, riservandosi il diritto di abitarvi, non rappresenta, da solo, indice sicuro di illiceità o del carattere fittizio dell’operazione realizzata”, e ancora, “il fatto che il negozio sia maturato nel contesto familiare non è poi circostanza indicativa  dell’apparenza della relativa operazione”. Infatti, ai fini della simulazione è necessario provare, non solo che, “attraverso l’alienazione di un bene”…“il debitore abbia inteso sottrarre il bene alla garanzia generica dei creditori, ma è necessario provare specificamente che questa alienazione sia stata soltanto apparente, nel senso che l’alienante abbia inteso dismettere la titolarità del diritto, né l’altra parte abbia inteso acquisirla” (Cass. n. 8188/1994 e n. 25490/2008). Quindi respinte le domande per quanto atteneva la declaratoria di nullità e il riconoscimento della simulazione, viene accolta la richiesta di revocatoria posta in via ulteriormente subordinata con riferimento però all’apporto di beni al secondo trust essendo ormai non più esperibile l’azione per i beni apportati nel trust più risalente.

Alcune considerazioni in linea generale su alcune questioni emerse dall’analisi delle riferite sentenze.

Nullità

Viene ribadito che di nullità dell’atto istitutivo non si può parlare potendo questa categoria, al massimo essere invocata, per difetto di causa, relativamente ai singoli apporti effettuati quando l’atto istitutivo non sia riconoscibile (Cfr. Cass n. 10105/2014). Che poi sovente atto istitutivo e atto di conferimento coincidano, non muta la risposta da dare non potendo comunque l’eventuale nullità di un apporto riverberarsi sulla legittimità dell’atto istitutivo che come tale è un atto neutro. Osserva inoltre puntualmente il Tribunale di Forlì che “il vittorioso esperimento dell’azione revocatoria non presuppone l’accertamento dell’invalidità dell’atto dispositivo e non comporta il riacquisto del bene al patrimonio del disponente”. A sua volta il Tribunale di Sassari rileva come “la previsione normativa (cioè la Convenzione ndr), preclude oggi ogni indagine sulla meritevolezza di tutela della causa astratta del trust, che va ravvisata nel programma di segregazione…”. E così un trust avente tutte le caratteristiche di cui all’articolo 2 della Convenzione, deve essere riconosciuto come esistente e produttivo di effetti ancorché autodichiarato…”, ma “ai fini del riconoscimento delle validità del trust è tuttavia necessario valutare la meritevolezza ex articolo 1322 del codice civile della causa concreta, giustificando il ricorso al trust soltanto il perseguimento di interessi meritevoli di tutela giuridica” (T. Milano 3 maggio 2013 e T. Reggio Emilia , 14 maggio 2007). In questo senso si è registrata una significativa evoluzione del concetto di causa anche a seguito del révirement del Supremo Collegio in tal senso[1]. E questo della valutazione della meritevolezza della causa concreta è ormai divenuto un esame ineliminabile in ogni sentenza che si occupi di trust e conseguentemente, nella redazione degli atti un’attenzione particolare viene posta oggi  nella sottolineatura, in genere nelle premesse, degli aspetti che sono tali da rendere quell’atto meritevole di tutela secondo l’ordinamento.

Simulazione

La domanda di simulazione era stata dedotta in relazione al caso di Sassari. Al riguardo parte attrice aveva chiesto che venisse dichiarata la simulazione dell’atto di trust ex articolo 1414 e seguenti del codice civile. Nel rigettare tale domanda la Corte sassarese fa rilevare come non rilevi, ai fini dell’integrazione della fattispecie, il dato relativo alla sottrazione del bene alla garanzia generica dei creditori, essendo invece necessario far rilevare l’apparenza della costruzione posta in essere, cosa che invece manifestamente non ricorreva nel caso in esame, essendo invece ben chiaro che il trasferimento era voluto quand’anche, in denegata ipotesi, lo fosse stato per sottrarre il bene alla garanzia dei creditori. Forse, data la struttura dell’atto avrebbe poteva più fruttuosamente essere chiesta  la nullità dell’atto in quanto sham secondo la legge regolatrice, assumendo che in realtà il disponente aveva mantenuto la disponibilità dei beni conferiti. In questo senso il fatto che trustee fosse il coniuge del disponente avrebbe offerto, almeno formalmente, più di un appiglio a questa tesi[2]. In realtà il tribunale svolge un’attenta analisi e raggiunge conclusioni pienamente condivisibili in ordine alla legittimità (e meritevolezza) della struttura posta in essere tale da escludere alcun dubbio in proposito.

Azione revocatoria ordinaria

I tre casi esaminati vedono tutti - fatta eccezione solo per un caso di azione promossa oltre il termine quinquennale - l’accoglimento di questo rimedio che quindi si rivela come lo strumento più incisivo al fine di smontare situazioni più o meno artificiose. Quindi è probabilmente questa una delle attenzioni maggiori che deve porre in essere il disponente di un trust, e cioè la presenza di situazioni debitorie a suo carico. Al riguardo infatti la norma è fin troppo chiara e non consente scappatoie. Le condizioni dell’azione sono infatti date: a) dalla titolarità di un credito (sia pur soggetto a condizione o a termine), che non si chiede esser certo, liquido ed esigibile; b) dal pregiudizio anche potenziale all’aspettativa di soddisfacimento del creditore; c) dalla consapevolezza del debitore e del terzo acquirente di recare pregiudizio al le ragioni del creditore. Pregiudizio (eventus damni) che ricorre tutte le volte che si verifichino maggiore difficoltà e incertezza nell’esazione del credito (Cass. n. 8048/2009) anche se al debitore è concesso provare che, nonostante l’atto di disposizione, non è stata pregiudicata la possibilità per il creditore di soddisfarsi senza difficoltà (Cass.n.25490/2008). Il rigore di tale previsioni porta a ritenere che anche la presenza, nell’atto istitutivo, di clausole appositamente redatte, non possa escludere, in teoria, l’esperimento dell’azione. Per giunta, siccome l’atto di apporto dei singoli beni è da considerare atto a titolo gratuito, non si rende neppure necessaria la prova della consapevolezza  del pregiudizio da parte del terzo.                                                                    

[1] Per tutte, Cass. n. 10490/ 2006: “La causa del contratto consiste nella funzione economica individuale del negozio posto in essere, è la ragione concreta che persegue il singolo e specifico contratto, a prescindere dalla volontà dei contraenti, e non coincide con il tipo contrattuale astratto scelto dalle parti”.

[2] Com’è noto, un trust è sham secondo la legge di Jersey , quando, oltre all’intenzione simulatoria tanto  il disponente che il trustee abbiano avuto la comune intenzione di ingannare i terzi.