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I crimini giovanili

Una breve ricostruzione intorno alle cause
I crimini giovanili
I crimini giovanili

 

Abstract:

Sempre più spesso i giovani adolescenti risultano essere al centro di crimini e fatti - sia in qualità di autori che di vittime - destanti preoccupante allarme nell’opinione pubblica.

L’articolo vuol tentare di offrire, senza alcuna pretesa di completezza, una breve panoramica sulla matrice socio-psicologica di alcuni comportamenti illeciti dei giovani e giovanissimi.

 

Gli ultimi dati statistici testimoniano di un crescente aumento della criminalità giovanile. L’età penalmente rilevante muta, come noto, a seconda degli ordinamenti giuridici ed attualmente l’Italia rappresenta uno dei paesi dove la stessa è fissata all’età di 14 anni.

Alla base dei comportamenti illeciti dei minori vi è un gran numero di elementi da prendere in considerazione.

È bene procedere per gradi e soffermarsi, preliminarmente, sul significato tecnico dei termini “disagio”, “devianza” e “delinquenza”.

Il primo deriva da una situazione legata a cause momentanee di origine diversa dove possono confluire differenti fattori legati sia al naturale percorso di crescita psico-fisica adolescenziale che ad eventi esogeni.

La “devianza”, invece, indica uno scostamento dalle regole sociali comunemente accettate dalla società. La “delinquenza”, infine, è il contravvenire a regole giuridiche che possono anche coincidere con i valori etico-sociali di una comunità.

L’individuazione di una linea di confine tra devianza e delinquenza è spesso assai inafferrabile. Infatti, i protagonisti degli atteggiamenti di “rottura” con le regole sociali si ritrovano ad essere poi come “indotti” verso un lento, ma graduale, percorso che conduce gli stessi a trasgredire, con quasi indefettibile progressione e con l’assunzione di comportamenti spesso violenti, le regole propriamente giuridiche (dove viene, in un certo senso, “dimostrato” il valore dell’individuo).

I comportamenti devianti che, poi, come già osservato, possono divenire delinquenziali sono svariati: essi vanno dalla malattia mentale alla disfunzione familiare (rilevante è il modello Olson del 1983 che fonda il comportamento delinquenziale del minore); dal microcosmo di riferimento - “gruppo dei pari” - fino ai modelli della criminalità organizzata (sotto questo aspetto, notevole rilievo assumono i programmi e le serie televisive che, a volte, incautamente “romanzano” fenomeni di tal genere) e, infine, il potere di quest’ultima che, attraverso la propria capacità di “affiliazione”, riesce ad attirare a sé i giovani appartenenti alle c.d. “zone a rischio”, allettandoli con promesse di potere e di facili guadagni.

La condotta delinquenziale giovanile non corrisponde, necessariamente, alla estrinsecazione di un non meglio identificato malessere psichico; essa matura nel soggetto “a rischio” giorno dopo giorno. A tal proposito, per poter giungere ad una compiuta comprensione del fenomeno, molte sono state le ricostruzioni dottrinali fondantesi sulle teorie elaborate dai criminologi autori di elaborati studi sul delinquente-tipo, fino alla presa in considerazione delle più sofisticate ricerche della prima metà del XX secolo.

Il concetto di “devianza” si sviluppa negli Stati Uniti d’America ad opera della corrente che va sotto il nome di struttural-funzionalismo (devianza come difformità dai costumi socialmente accettati). Essa si sovrappone al concetto di delinquenza (Durkheim).

Tra le varie analisi criminologhe intorno al fenomeno della delinquenza giovanile, la teoria elaborata da Durkheim e dal suo allievo Merton (quest’ultimo provvederà a delinearla in maniera più precisa) rappresenta una delle conquiste ricostruttive maggiormente accreditate all’interno della comunità scientifica. Essa ben si presta a fungere da “chiave interpretativa” della devianza - delinquenza giovanile.

In tale quadro ricostruttivo, il fenomeno della delinquenza giovanile sarebbe determinato dalla “anomia”. Tale termine viene elaborato proprio da Durkheim.

Esso indica la contrarietà ai valori culturali socialmente dominanti, ai mezzi per istituzionalizzarli e, quindi, leciti per conseguirli. Durkheim ipotizza nell’anomia le ragioni che spingono i giovani, in particolare statunitensi, a delinquere: fra queste, l’insoddisfazione e la frustrazione all’ interno di un determinato ambiente, dove il raggiungimento del “potere” - all’interno del gruppo - è inteso come realizzazione dell’Io che, nelle persone adolescenti, è in fase costruttiva.

Merton, allievo di Durkheim, perfezionò la teoria dell’anomia. Egli, infatti, ebbe modo di precisare che la responsabilità dei comportamenti devianti nei giovani è da attribuire esclusivamente alla “corrotta macchina politica” (è importante che la macchina politica sia intesa nel senso più ampio del termine). Merton sostenne che “... a causa della macchina politica si verifica il trionfo dell’intelligenza amorale e, conseguentemente, il fallimento morale prescritto”.

Un altro importante contributo alla definizione dei comportamenti devianti dei giovani - e che si pone in maniera assai critica nei confronti della visione Durkheim-Merton - è quella elaborata da Cohen. Questi criticò la teoria di Merton sul rilievo che essa non riusciva a spiegare - soprattutto con riferimento al fenomeno delle bande giovanili - in modo esaustivo le varie cause.

Cohen arricchisce la teoria di Durkheim e Merton introducendo la teoria della “divisione della società e delle differenze tra le classi sociali”. Infatti, un punto debole della teoria dei Durkheim-Merton era proprio quello di non riuscire a spiegare le ragioni della devianza - e poi della delinquenza - dei giovani che non si trovavano in situazioni di disagio familiare o che non rientravano fra quei soggetti che, al fine di elevarsi socialmente e non possedendo i mezzi per realizzare tali aspettative, delinquono.

Cohen non ricollega la devianza e, conseguentemente, la delinquenza ad un fine utilitaristico.

La rappresentazione di Cohen è molto più semplice: egli ritenne che la sottocultura delinquenziale delle bande giovanili fosse in primo luogo tipicamente gratuita, fondata sul disvalore della malvagità fine a se stessa e, quindi, distruttiva.

Un importante contributo alla teoria dell’anomia (assenza di norma, incapacità della norma a dare certezza e affidabilità) delle bande delinquenti è legata a Cloward e Ohlin.

I due criminologi vollero offrire un contributo fondamentale alla teoria elaborata da Durkheim, seppure giunsero a modificarne radicalmente l’elaborazione. Essi cercarono di darle una nuova forma: elaborano la teoria delle “diseguaglianze delle possibilità”, secondo la quale: “l’ambiente nel quale gli attori operano soffre d’influenza decisiva sui tipi d’adattamento che si svilupparono come risposta alle pressioni verso la devianza”.

Tali pressioni per i due criminologi dipendono dalla prevalenza delle associazioni (vedasi gli studi di Sutherland dai quali essi trassero spunto), come modelli culturali delinquenziali rispetto a quelli legali.

Essi elaborarono una sorta di teoria mista: quasi una risultante tra la teoria dell’anomia (Durkheim-Merton) e quella della teoria delle associazioni criminali di Sutherland.

Le elaborazioni esaminate costituiscono certamente un panorama ridotto rispetto alle molteplici analisi che si sono sviluppate, fin dalla metà dell’ottocento, in materia di delinquenza giovanile.

Il dato certo è che i giovani non decidono di delinquere in preda ad un momentaneo raptus o eccesso o, ancora, di “rottura della monotonia”; il percorso che conduce il giovane a “scegliere” di delinquere passa necessariamente attraverso i tre stadi già evidenziati: disagio, devianza e delinquenza.

L’elencazione che può compiersi (senza pretesa di completezza) dei fatti criminosi giovanili (escludiamo le manifestazioni di fenomeni di malattia mentale e parafilie) viene ricondotta alle seguenti fattispecie: delitti “elettrizzanti” (vengono commessi per vincere la noia), delitti dell’odio (commessi spesso in un’escalation di violenza o altresì maturati a causa di inutili litigi), delitti per vendetta.

Tutte le fattispecie di delinquenza elencate hanno come denominatore comune la manifestazione esterna di un disagio, di un senso d’incompletezza che le personalità non sviluppate sono “indotte” a manifestare attraverso varie modalità che altro non rappresentano se non manifestazioni di violenza spesso estrisecantesi in forme di autolesionismo (il minore può essere vittima e carnefice allo stesso tempo).

La “panacea” per la pronta risoluzione dei sempre più preoccupanti fenomeni di “devianza” giovanile non è a portata di mano. Occorre però che la società tutta sostenga, innanzitutto, il desiderio, oltre che la necessità, di costruire modelli positivi da fornire ai giovani e che vi sia un’educazione ai sentimenti. Come ricorda Plutarco: “i giovani non sono vasi da riempire ma fuochi da accendere”.

 

La devianza. Teorie e politiche di controllo di Daniele Scarscelli; Vidoni Guidoni editto Carocci ed. anno 2008.

La psicologia criminale giovanile di Zara Giorgia, collana università, edito Carocci  anno 2006.

La costruzione sociale della devianza minorile Prizzi A. Rosa La Zisa edito 2014.

Evoluzione della devianza e dei reati dei minori in Italia 1997 - 2007 documenti di studio Marisa Pacchin edito Aracne 2011.

 

Abstract:

Sempre più spesso i giovani adolescenti risultano essere al centro di crimini e fatti - sia in qualità di autori che di vittime - destanti preoccupante allarme nell’opinione pubblica.

L’articolo vuol tentare di offrire, senza alcuna pretesa di completezza, una breve panoramica sulla matrice socio-psicologica di alcuni comportamenti illeciti dei giovani e giovanissimi.

 

Gli ultimi dati statistici testimoniano di un crescente aumento della criminalità giovanile. L’età penalmente rilevante muta, come noto, a seconda degli ordinamenti giuridici ed attualmente l’Italia rappresenta uno dei paesi dove la stessa è fissata all’età di 14 anni.

Alla base dei comportamenti illeciti dei minori vi è un gran numero di elementi da prendere in considerazione.

È bene procedere per gradi e soffermarsi, preliminarmente, sul significato tecnico dei termini “disagio”, “devianza” e “delinquenza”.

Il primo deriva da una situazione legata a cause momentanee di origine diversa dove possono confluire differenti fattori legati sia al naturale percorso di crescita psico-fisica adolescenziale che ad eventi esogeni.

La “devianza”, invece, indica uno scostamento dalle regole sociali comunemente accettate dalla società. La “delinquenza”, infine, è il contravvenire a regole giuridiche che possono anche coincidere con i valori etico-sociali di una comunità.

L’individuazione di una linea di confine tra devianza e delinquenza è spesso assai inafferrabile. Infatti, i protagonisti degli atteggiamenti di “rottura” con le regole sociali si ritrovano ad essere poi come “indotti” verso un lento, ma graduale, percorso che conduce gli stessi a trasgredire, con quasi indefettibile progressione e con l’assunzione di comportamenti spesso violenti, le regole propriamente giuridiche (dove viene, in un certo senso, “dimostrato” il valore dell’individuo).

I comportamenti devianti che, poi, come già osservato, possono divenire delinquenziali sono svariati: essi vanno dalla malattia mentale alla disfunzione familiare (rilevante è il modello Olson del 1983 che fonda il comportamento delinquenziale del minore); dal microcosmo di riferimento - “gruppo dei pari” - fino ai modelli della criminalità organizzata (sotto questo aspetto, notevole rilievo assumono i programmi e le serie televisive che, a volte, incautamente “romanzano” fenomeni di tal genere) e, infine, il potere di quest’ultima che, attraverso la propria capacità di “affiliazione”, riesce ad attirare a sé i giovani appartenenti alle c.d. “zone a rischio”, allettandoli con promesse di potere e di facili guadagni.

La condotta delinquenziale giovanile non corrisponde, necessariamente, alla estrinsecazione di un non meglio identificato malessere psichico; essa matura nel soggetto “a rischio” giorno dopo giorno. A tal proposito, per poter giungere ad una compiuta comprensione del fenomeno, molte sono state le ricostruzioni dottrinali fondantesi sulle teorie elaborate dai criminologi autori di elaborati studi sul delinquente-tipo, fino alla presa in considerazione delle più sofisticate ricerche della prima metà del XX secolo.

Il concetto di “devianza” si sviluppa negli Stati Uniti d’America ad opera della corrente che va sotto il nome di struttural-funzionalismo (devianza come difformità dai costumi socialmente accettati). Essa si sovrappone al concetto di delinquenza (Durkheim).

Tra le varie analisi criminologhe intorno al fenomeno della delinquenza giovanile, la teoria elaborata da Durkheim e dal suo allievo Merton (quest’ultimo provvederà a delinearla in maniera più precisa) rappresenta una delle conquiste ricostruttive maggiormente accreditate all’interno della comunità scientifica. Essa ben si presta a fungere da “chiave interpretativa” della devianza - delinquenza giovanile.

In tale quadro ricostruttivo, il fenomeno della delinquenza giovanile sarebbe determinato dalla “anomia”. Tale termine viene elaborato proprio da Durkheim.

Esso indica la contrarietà ai valori culturali socialmente dominanti, ai mezzi per istituzionalizzarli e, quindi, leciti per conseguirli. Durkheim ipotizza nell’anomia le ragioni che spingono i giovani, in particolare statunitensi, a delinquere: fra queste, l’insoddisfazione e la frustrazione all’ interno di un determinato ambiente, dove il raggiungimento del “potere” - all’interno del gruppo - è inteso come realizzazione dell’Io che, nelle persone adolescenti, è in fase costruttiva.

Merton, allievo di Durkheim, perfezionò la teoria dell’anomia. Egli, infatti, ebbe modo di precisare che la responsabilità dei comportamenti devianti nei giovani è da attribuire esclusivamente alla “corrotta macchina politica” (è importante che la macchina politica sia intesa nel senso più ampio del termine). Merton sostenne che “... a causa della macchina politica si verifica il trionfo dell’intelligenza amorale e, conseguentemente, il fallimento morale prescritto”.

Un altro importante contributo alla definizione dei comportamenti devianti dei giovani - e che si pone in maniera assai critica nei confronti della visione Durkheim-Merton - è quella elaborata da Cohen. Questi criticò la teoria di Merton sul rilievo che essa non riusciva a spiegare - soprattutto con riferimento al fenomeno delle bande giovanili - in modo esaustivo le varie cause.

Cohen arricchisce la teoria di Durkheim e Merton introducendo la teoria della “divisione della società e delle differenze tra le classi sociali”. Infatti, un punto debole della teoria dei Durkheim-Merton era proprio quello di non riuscire a spiegare le ragioni della devianza - e poi della delinquenza - dei giovani che non si trovavano in situazioni di disagio familiare o che non rientravano fra quei soggetti che, al fine di elevarsi socialmente e non possedendo i mezzi per realizzare tali aspettative, delinquono.

Cohen non ricollega la devianza e, conseguentemente, la delinquenza ad un fine utilitaristico.

La rappresentazione di Cohen è molto più semplice: egli ritenne che la sottocultura delinquenziale delle bande giovanili fosse in primo luogo tipicamente gratuita, fondata sul disvalore della malvagità fine a se stessa e, quindi, distruttiva.

Un importante contributo alla teoria dell’anomia (assenza di norma, incapacità della norma a dare certezza e affidabilità) delle bande delinquenti è legata a Cloward e Ohlin.

I due criminologi vollero offrire un contributo fondamentale alla teoria elaborata da Durkheim, seppure giunsero a modificarne radicalmente l’elaborazione. Essi cercarono di darle una nuova forma: elaborano la teoria delle “diseguaglianze delle possibilità”, secondo la quale: “l’ambiente nel quale gli attori operano soffre d’influenza decisiva sui tipi d’adattamento che si svilupparono come risposta alle pressioni verso la devianza”.

Tali pressioni per i due criminologi dipendono dalla prevalenza delle associazioni (vedasi gli studi di Sutherland dai quali essi trassero spunto), come modelli culturali delinquenziali rispetto a quelli legali.

Essi elaborarono una sorta di teoria mista: quasi una risultante tra la teoria dell’anomia (Durkheim-Merton) e quella della teoria delle associazioni criminali di Sutherland.

Le elaborazioni esaminate costituiscono certamente un panorama ridotto rispetto alle molteplici analisi che si sono sviluppate, fin dalla metà dell’ottocento, in materia di delinquenza giovanile.

Il dato certo è che i giovani non decidono di delinquere in preda ad un momentaneo raptus o eccesso o, ancora, di “rottura della monotonia”; il percorso che conduce il giovane a “scegliere” di delinquere passa necessariamente attraverso i tre stadi già evidenziati: disagio, devianza e delinquenza.

L’elencazione che può compiersi (senza pretesa di completezza) dei fatti criminosi giovanili (escludiamo le manifestazioni di fenomeni di malattia mentale e parafilie) viene ricondotta alle seguenti fattispecie: delitti “elettrizzanti” (vengono commessi per vincere la noia), delitti dell’odio (commessi spesso in un’escalation di violenza o altresì maturati a causa di inutili litigi), delitti per vendetta.

Tutte le fattispecie di delinquenza elencate hanno come denominatore comune la manifestazione esterna di un disagio, di un senso d’incompletezza che le personalità non sviluppate sono “indotte” a manifestare attraverso varie modalità che altro non rappresentano se non manifestazioni di violenza spesso estrisecantesi in forme di autolesionismo (il minore può essere vittima e carnefice allo stesso tempo).

La “panacea” per la pronta risoluzione dei sempre più preoccupanti fenomeni di “devianza” giovanile non è a portata di mano. Occorre però che la società tutta sostenga, innanzitutto, il desiderio, oltre che la necessità, di costruire modelli positivi da fornire ai giovani e che vi sia un’educazione ai sentimenti. Come ricorda Plutarco: “i giovani non sono vasi da riempire ma fuochi da accendere”.

 

La devianza. Teorie e politiche di controllo di Daniele Scarscelli; Vidoni Guidoni editto Carocci ed. anno 2008.

La psicologia criminale giovanile di Zara Giorgia, collana università, edito Carocci  anno 2006.

La costruzione sociale della devianza minorile Prizzi A. Rosa La Zisa edito 2014.

Evoluzione della devianza e dei reati dei minori in Italia 1997 - 2007 documenti di studio Marisa Pacchin edito Aracne 2011.