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Il soccorso istruttorio e l’insostenibile incertezza del diritto

Sulla portata applicativa del c.d. dovere di soccorso istruttorio ex articolo 38, comma 2 bis, del Decreto Legislativo n. 163 del 2006, in ipotesi di omessa indicazione di sentenze di condanna; nota a TAR Lazio, Roma, sezione II, sentenza n. 798 del 22 gennaio 2016
Il soccorso istruttorio e l’insostenibile incertezza del diritto
Il soccorso istruttorio e l’insostenibile incertezza del diritto

Una recentissima pronuncia dell’autorità giurisdizionale amministrativa (TAR Lazio, Roma, Sentenza n. 798 del 22 gennaio 2016, resa dalla sezione II) offre lo spunto per ricostruire gli orientamenti giurisprudenziali in ordine alla concreta latitudine applicativa del c.d. dovere di soccorso istruttorio, posto a carico delle stazioni appaltanti dall’articolo 38, comma 2 bis, del Decreto Legislativo n. 163 del 2006 (c.d. Codice degli Appalti).

La riferita disposizione normativa è stata introdotta nell’ordinamento giuridico positivo con il Decreto Legge n. 90 del 24.06.2014, convertito, con modificazioni, in legge n. 114 dell’11.08.2014, e statuisce quanto in appresso “la mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria. In tal caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. Nei casi di  irregolarità non essenziali ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né applica alcuna sanzione. In caso di inutile decorso del termine di cui al secondo periodo il concorrente è escluso dalla gara. Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte”.

Ovviamente la previsione legislativa deve essere letta in combinato disposto con quanto previsto dall’articolo 46, comma 1 ter, del Codice degli appalti, anch’esso introdotto dal Decreto Legge n. 90, ai sensi del quale «le disposizioni di cui all’articolo 38, comma 2 bis, si applicano a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle  dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai  concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara».

Operata tale tediosa, ma indispensabile, premessa, volta a definire sinteticamente il contesto normativo di riferimento, occorre evidenziare come attraverso il Decreto Legge n. 90 del 2014 (e relativa legge di conversione) si sia realizzata, con riferimento alle procedure di gara indette successivamente all’entrata in vigore del decreto de quo, un’autentica rivoluzione copernicana.

Attraverso il sostanziale ribaltamento dell’‘impostazione previgente, che configurava il soccorso istruttorio da parte della stazione appaltante come eccezione rispetto ad una regola diversamente orientata, infatti, lo ius superveniens procedimentalizza l’istituto in esame che diviene doveroso per ogni ipotesi di omissione o di irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni rese in gara, riconnettendo la sanzione dell’esclusione dalla procedura unicamente all’‘omessa produzione, integrazione, regolarizzazione degli elementi e delle dichiarazioni carenti, entro il termine assegnato dalla stazione appaltante, e non più a carenze originarie (in tal senso si veda la sentenza n. 16 del 30 luglio 2014 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato).

Prescindendo in questa sede dagli approfondimenti esegetici, che pure sarebbe possibile operare, relativi ai concetti di irregolarità essenziale/non essenziale e di dichiarazioni indispensabili/non indispensabili, ed evidenziando in via meramente incidentale come la ratio delle disposizioni normative in commento risulti agevolmente individuabile nell’‘intento del decisore politico di garantire l’inveramento nella misura massima possibile del principio c.d. del favor partecipationis alle gare pubbliche (consentendo, per tal via, in modo contestuale, anche un beneficio potenziale in termini economici per le stazioni appaltanti sub specie di incremento esponenziale della possibilità per le stesse di vedersi formulata un’offerta maggiormente conveniente), oltre che a logiche semplificatorie lato sensu intese ed a finalità deflattive del contenzioso amministrativo, evitando l’esclusione dalla procedura preordinata alla stipula di un contratto pubblico per mere carenze documentali, passiamo ora a considerare il proprium della pronuncia giurisdizionale in commento.

Una società in accomandita semplice ha impugnato di fronte al giudice amministrativo il provvedimento di esclusione, adottato dalla stazione appaltante (ossia la Città Metropolitana di Roma Capitale), dalla procedura di gara per l’‘affidamento di lavori di manutenzione straordinaria (di cui la ricorrente risultava aggiudicataria provvisoria) della rete viaria precedentemente di competenza della Provincia, nonché gli atti presupposti, connessi e consequenziali (ivi compresa la determinazione dirigenziale di aggiudicazione definitiva, a seguito di scorrimento di graduatoria, dell’‘appalto de quo).

La motivazione della sopra rammentata misura espulsiva consisteva nella circostanza che, in sede di verifica dei requisiti ex articolo 38 del Codice degli Appaltanti, la P.A. procedente aveva accertato, a carico del socio accomandatario, l’‘esistenza di una condanna per il reato di occupazione abusiva di suolo demaniale, ex articolo 1161 del Codice della Navigazione, con applicazione di un’ammenda di euro 300,00, emessa con sentenza del Tribunale di Velletri in composizione monocratica, non dichiarata nell’istanza di partecipazione alla gara.

Per l’effetto la Città Metropolitana di Roma Capitale disponeva, a valle di interlocuzioni procedimentali, come già accennato, l’‘esclusione dalla gara della società per incompletezza delle dichiarazioni rese, con riferimento all’‘articolo 38, comma 1, lett. c), del Decreto Legislativo n. 163 del 2006.

La società ha proposto, dunque, ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento menzionato deducendo, ex plurimis, la violazione degli articoli 38 e 46 del Codice degli Appalti e dell’articolo 45, paragrafo 2, della Direttiva 2004/18/CE relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, ed affermando, in buona sostanza, come nel caso di specie venisse in rilievo non già una falsa dichiarazione bensì un’omessa dichiarazione, con conseguente obbligo, da parte della stazione appaltante, conformemente agli orientamenti interpretativi forniti dall’ANAC con determinazione n. 1 dell’8 gennaio 2015, di attivare il procedimento volto alla regolarizzazione e integrazione delle dichiarazioni necessarie.

Parte ricorrente, inoltre, evidenziava al giudice adito come la condanna inflitta al socio accomandatario, peraltro di natura contravvenzionale, non potesse, in alcun modo rientrare tra le fattispecie previste dall’‘articolo 38, comma 1, lettera c), del Decreto Legislativo n. 163 del 2006, che fa riferimento ai reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale e ai reati di partecipazione a un’‘organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio.

La P.A. resistente si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso sulla scorta del rilievo che la lex specialis della procedura di affidamento prevedeva l’obbligo per il partecipante di dichiarare tutte le condanne, ad eccezione unicamente di quelle per reati depenalizzati, di quelle revocate, di quelle per le quali fosse intervenuta la riabilitazione o l’estinzione, con la conseguenza che la dichiarazione, in concreto resa, integrava gli estremi di un falso non sanabile e, ad abundantiam, produttivo di ulteriori strascichi di natura penale ai sensi e per gli effetti delle previsioni dettate dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000.

Previa concessione delle richieste misure cautelari si giungeva all’‘udienza pubblica di discussione del merito all’‘esito della quale il TAR adito ha accolto, sulla scorta delle argomentazioni in appresso esplicitate, l’‘impugnativa proposta dalla società ricorrente.

In primo luogo il TAR evidenzia come la domanda di partecipazione alla gara fossa stata presentata dalla ricorrente mediante compilazione di un modulo predisposto dalla stazione appaltante che, con riferimento all’oggetto del contendere, recava, alla lettera e), la seguente dizione “che nei confronti dei soggetti richiamati dall’articolo 38, comma 1, lettera c) del Decreto Legislativo 163/2006 e ss.mm.ii. non è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale ovvero condanna con sentenza passata in giudicato per uno o più reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode,riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all’articolo 45, paragrafo 1, Direttiva CE 2004/18, comprese le condanne per le quali si è beneficiato della non menzione”.

A tale dichiarazione, da rendere mediante apposizione o meno di segni di sbarratura, faceva corredo, come sopra riferito, la successiva specificazione che “Il concorrente indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali ha beneficiato della non menzione; non è tenuto ad indicare nella dichiarazione le condanne quando il reato è stato depenalizzato ovvero per le quali è intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima”.

A fronte della descritta formulazione del modello di istanza di partecipazione la società ricorrente ha reso dichiarazione negativa in ordine alla sussistenza di precedenti penali.

Il Collegio giudicante ha ritenuto, nella concretezza della situazione considerata, che non sia possibile ricondurre la condanna subita dal socio accomandatario della ricorrente nel novero dei reati specificamente individuati dalla lettera e) dell’istanza di partecipazione, in quanto riferita ad un reato di non particolare gravità.

I giudici amministrativi evidenziano, inoltre, come rilievo decisivo, ai fini della qualificazione in termini di illegittimità degli atti impugnati, possa essere attribuito alla specificazione, apposta tra parentesi in chiusura della lettera e), per effetto della quale il concorrente era tenuto a dichiarare tutte le condanne penali eventualmente riportate (eccezion fatta per quelle expressis verbis individuate), atteso che il modello di istanza di partecipazione, così come predisposto dalla stazione appaltante, consentiva unicamente l’alternativa tra la dichiarazione positiva e la dichiarazione negativa in ordine alla sussistenza di condanne penali per i reati gravi ivi indicati, non permettendo, per contro, la concreta indicazione delle ulteriori condanne penali, per mancanza di “uno spazio dedicato”.

Da ciò discende, nella visione del Collegio, la sostanziale impossibilità di adempimento dell’obbligo dichiarativo e la conseguente configurazione, a carico della società ricorrente, non già di una falsa bensì di un’omessa dichiarazione.

La menzionata parabola argomentativa suscita, invero, talune perplessità che ci si riserva di approfondire nel prosieguo del presente contributo.

Ulteriore motivazione portata dal TAR a sostegno dell’illegittimità degli atti impugnati è rappresentata dal rilievo che l’Amministrazione resistente solo negli atti difensivi ha inquadrato la condotta serbata dal ricorrente nell’alveo della false dichiarazioni, evidenziandosi, per contro, come nei provvedimenti gravati si operasse esclusivo riferimento alla omessa dichiarazione resa dalla società ed alla sua incompletezza, a fronte della quale, tuttavia, la stazione appaltante ha ritenuto di non poter procedere al soccorso istruttorio in ragione della responsabilità penale che assiste le dichiarazioni rese ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000 quale conseguenza della falsità dell’atto.

In altri termini, dunque, sempre a seguire la logica del TAR capitolino, ci si trova di fronte ad una determinazione dirigenziale connotata, per evidenti difetti d’‘istruttoria, da un improprio inquadramento della problematica al quale, altrettanto impropriamente, si è cercato di porre rimedio ex post in sede giurisdizionale, in violazione del principio del divieto di integrazione postuma della motivazione del provvedimento amministrativo, ritenuto dalla giurisprudenza presidio essenziale dell’effettività del diritto di difesa dei destinatari dell’attività autoritativa della P.A. (sul punto si rinvia a Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza n. 4993 del 19 agosto 2009, nonché a TAR Sicilia, Catania, sezione II, sentenza n. 3055 del 19 dicembre 2011, la cui massima, icasticamente, recita: “Una motivazione incompleta può essere integrata e ricostruita attraverso gli atti del procedimento amministrativo, ma l’integrazione della motivazione deve pur sempre avvenire da parte della p.a. competente, mediante gli atti del procedimento medesimo o mediante un successivo provvedimento di convalida, nel mentre gli argomenti difensivi dedotti nel processo avverso il provvedimento, proprio in quanto non inseriti in un procedimento amministrativo, non sono idonei ad integrare in via postuma la motivazione in quanto detta motivazione si risolve in una inammissibile integrazione postuma della motivazione provvedimentale”.

Una volta acclarato che ci si trova in presenza di un’omessa dichiarazione e non di una falsa dichiarazione il TAR può agevolmente concludere che la stazione appaltante non avrebbe potuto escludere in modo automatico, sebbene a valle di interlocuzioni procedimentali, parte ricorrente dalla procedura di che trattasi, risultando indispensabile, per contro, l’assegnazione di un termine per l’integrazione della dichiarazione omessa, il cui inutile decorso solo avrebbe potuto legittimare l’atto espulsivo, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 38, comma 2 bis, del Codice degli Appalti.

Con finalità manifestamente e dichiaratamente pedagogiche i giudici amministrativi ritengono “necessarie alcune ulteriori puntualizzazioni al fine di indirizzare la successiva attività conformativa dell’Amministrazione”, richiamando gli orientamenti espressi dall’ANAC con la già menzionata deliberazione n.1 dell’8 gennaio 2015, e pervengono alla conclusione, previa espressa adesione ad una visione sostanzialistica legata all’effettivo possesso in capo al partecipante ad una gara pubblica dei requisiti normativamente previsti (elemento ritenuto prevalente sul dato formale della completezza delle dichiarazioni da questi rese), che trovano applicazione i meccanismi procedimentali previsti dall’articolo 38, comma 2 bis, anche “con riferimento alla omessa indicazione delle sentenze di condanna, non essendovi alcuna ragione per escludere le ipotesi di omessa dichiarazione - e non di falsa dichiarazione - della sussistenza di sentenze di condanna dall’‘ambito di operatività del soccorso istruttorio…………, sussistendo anche in tali ipotesi la medesima ratio di evitare l’esclusione dalla gara per fatti e circostanze di carattere formale che attengono alle dichiarazioni rese”.

Dalle riferite pregresse argomentative discende, per conseguenza necessitata, come il cortese lettore avrà certamente intuito, l’accoglimento del ricorso e l’annullamento degli atti impugnati.

Terminata la sintetica ricostruzione del contenuto essenziale della pronuncia in commento corre l’obbligo di evidenziare al lettore come, ad avviso di chi scrive, essa si presti a valutazioni fortemente critiche, con particolare riferimento al principio di diritto da ultimo affermato.

Costituisce, infatti, ius receptum nella giurisprudenza del Consiglio di Stato che il partecipante ad una gara pubblica ha l’obbligo di dichiarare tutte le sentenze penali di condanna (ovvero i provvedimenti equiparati), eccezion fatta per le ipotesi di estinzione del reato, depenalizzazione, revoca della condanna e riabilitazione (prive, peraltro, di efficacia retroattiva), sì da consentire alla stazione appaltante, unico soggetto a ciò deputato, una compiuta valutazione in ordine alla configurazione, in relazione alla specificità della condanna, di eventuali ragioni ostative a contrattare con la Pubblica Amministrazione (in tal senso, ex plurimis, si vedano le sentenze del Consiglio di Stato, entrambe rese dalla sezione V, n. 5403 del 30 novembre 2015 e n. 927 del 25 febbraio 2015).

In altri termini, dunque, da un lato, l’aspirante ad un appalto pubblico non può operare ex se alcun filtro in ordine all’importanza o incidenza della condanna subita sulla moralità professionale, avendo l’obbligo, come già accennato di menzionare tutte le sentenze penali di condanna (e i provvedimenti equiparati) e, per altro verso, tale obbligo sussiste indipendentemente dalle previsioni eventualmente difformi contenute nella lex specialis.

In tale evenienza, infatti, viene a realizzarsi una fattispecie di eterointegrazione del bando di gara per effetto dell’applicazione diretta di statuizioni normative qualificate di ordine pubblico.

Ad analoghe conclusioni si perviene, peraltro, anche con riferimento alla diversa ipotesi di mancata dichiarazione, da parte dell’‘offerente, della sussistenza a suo carico di precedenti risoluzioni contrattuali per inadempimento; al riguardo si veda, da ultimo, Consiglio di Stato, sezione V, Sentenza n. 122 del 18 gennaio 2016, la cui massima recita: “va esclusa da gara pubblica l’impresa che non ha dichiarato di essere stata destinataria, in passato, di un provvedimento di risoluzione contrattuale adottato nei suoi confronti da altra Pubblica amministrazione, atteso che l’articolo 38 comma 1 lettera f), d.lg. 12 aprile 2006 n. 163 impone di dichiarare la sussistenza di pregresse risoluzioni contrattuali a prescindere dal fatto che la stazione appaltante sia la stessa presso la quale si svolge il procedimento di scelta del contraente od altra, giacché tale dichiarazione attiene ai principi di lealtà e affidabilità contrattuale e professionale che presiedono ai rapporti dei partecipanti con la stazione appaltante”.

Con specifico riferimento alla vicenda oggetto della pronuncia giurisdizionale in commento non può non evidenziarsi come, ad onta della proclamata adesione ad un orientamento sostanzialistico i giudici amministrativi finiscano con l’attribuire rilievo poziore ad elementi di ordine squisitamente formale (a titolo esemplificativo la struttura del modello di istanza di partecipazione alla gara predisposto dalla stazione appaltante, senza adeguatamente considerare, peraltro, che si era in presenza, per l’appunto, di un modello che come tale, certamente, non impediva all’aspirante affidatario di rendere noto alla P.A. procedente, anche con dichiarazione resa su foglio a parte, l’esistenza di una pregressa sentenza di condanna, sì da consentire alla stessa il pieno esercizio della propria capacità di discrezionale apprezzamento in ordine all’‘eventuale efficacia ostativa del pregiudizio penale).

Ma vi è di più: l’omessa indicazione di una pregressa sentenza di condanna viene ricondotta dal TAR adito, come più volte riferito, nell’ambito della fattispecie di omessa dichiarazione, in quanto tale suscettibile di integrazione nel termine all’uopo assegnato dalla stazione appaltante, anche mediante il richiamo ai criteri interpretativi delineati dall’ANAC con la più volte menzionata determinazione n. 1 del 2015.

Al riguardo non può non evidenziarsi come la richiamata determinazione affermi sul punto principi diversamente orientati che, al fine di evitare qualsiasi possibile, sebbene involontario travisamento, si ritiene opportuno riproporre in modo testuale: “Un caso particolare è costituito dall’omessa indicazione delle sentenze di condanna di cui al comma 1, lettera c) dell’articolo 38 del Codice, che devono essere dichiarate espressamente, secondo quanto prescrive il comma 2 del medesimo articolo. Orbene, riguardo a questo specifico caso, giova evidenziare che la nuova disciplina del soccorso  istruttorio mira ad evitare l’esclusione dalla gara per fatti e circostanze di carattere formale che attengono alle dichiarazioni rese. L’omessa indicazione delle sentenze di condanna riportate dai soggetti di cui alla citata lettera c), tuttavia, se avviene secondo modalità che integrino gli estremi di una dichiarazione negativa del concorrente (perché dichiara espressamente di non averne riportate, eventualmente anche contrassegnando sul modulo predisposto dalla stazione appaltante la casella relativa all’assenza delle sentenze), laddove, invece, le stesse sussistano, la fattispecie integra gli estremi del falso in gara con tutte le implicazioni in termini di non sanabilità della dichiarazione resa (perché la stessa non sarebbe semplicemente mancante ovvero carente ma non corrispondente al vero) e conseguente esclusione del concorrente dalla gara nonché segnalazione del caso all’Autorità. Diversamente, se la dichiarazione relativa alla presenza delle sentenze di condanna è completamente omessa, ovvero se si dichiara di averne riportate senza indicarle, può essere richiesto rispettivamente di produrla o di indicare le singole sentenze riportate. La novella in esame, infatti, non incide sulla disciplina delle false dichiarazioni in gara, che resta confermata. Pertanto ai sensi dell’articolo 38, comma 1 ter del Codice, ove la stazione appaltante accerti che il concorrente abbia presentato una falsa dichiarazione o una falsa documentazione, si dà luogo al procedimento definito nel citato comma 1 terdell’articolo 38 ed alla comunicazione del caso all’‘Autorità per l’applicazione delle sanzioni interdittive e pecuniarie fissate nella disciplina di riferimento (articolo 38, comma 1 tere articolo 6, comma 11, del Codice)” (in senso conforme, sebbene riferita a fattispecie parzialmente differente, si veda, da ultimo, Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza n. 5803 del 21 dicembre 2015). 

Ad avviso dello scrivente, dunque, la soluzione più corretta della tratteggiata vicenda giurisdizionale sarebbe stata, pur in presenza di atti amministrativi che, per quanto dato comprendere, non brillano certo per particolare qualità, quella di confermare la legittimità della disposta esclusione, con conseguente applicazione delle misure sanzionatorie previste dall’‘ordinamento per l’‘ipotesi di falsa dichiarazione resa in una procedura di gara.

A conferma della sostenibilità dell’‘arresto precedentemente raggiunto, oltre gli argomenti precedentemente addotti, si ritiene opportuno citare Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza n. 1018 del 4 marzo 2014, la cui massima recita: “Nel giudizio amministrativo, il divieto di integrazione della motivazione non ha carattere assoluto, in quanto non sempre i chiarimenti resi nel corso del giudizio valgono quale inammissibile integrazione postuma della motivazione: è il caso degli atti di natura vincolata di cui all’articolo 21 octies, L. n. 241 del 1990, nei quali l’Amministrazione può dare anche successivamente l’effettiva dimostrazione in giudizio dell’impossibilità di un diverso contenuto dispositivo dell’atto, oppure quello concernente la possibilità di una successiva indicazione di una fonte normativa non prima menzionata nel provvedimento, quando questa, per la sua notorietà, ben avrebbe potuto e dovuto essere conosciuta da un operatore professionale”.

A ben guardare, infatti, risulta irrevocabile in dubbio, da un lato, che una società che aspiri all’affidamento di un appalto pubblico di rilevante importo economico non possa ignorare l’esistenza di un obbligo normativo (ad abundantiam ribadito dalla lex specialis) di dichiarare tutte le sentenze penali di condanna riportate da soggetti ad essa riconducibili e, dall’‘altro, che ai sensi dell’articolo 75 del già menzionato Decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, “qualora dal controllo di cui all’articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”.

La statuizione normativa da ultimo riportata, per la sua formulazione letterale, non consente alcuno spazio di discrezionale apprezzamento in capo alla P.A. con la conseguenza che, nel caso devoluto alla cognizione del TAR capitolino, la stazione appaltante era tenuta ad adottare il provvedimento di esclusione dalla gara della società ricorrente in quanto atto a contenuto vincolato (al riguardo, nella già menzionata sentenza n. 1018/2014 del massimo organo di giustizia amministrativa si legge: “Alla luce dell’attuale assetto normativo, devono essere attenuate le conseguenze del principio del divieto di integrazione postuma, de quotando il relativo vizio tutte le volte in cui l’omissione di motivazione successivamente esternata: non abbia leso il diritto di difesa dell’interessato; nei casi in cui, in fase infraprocedimentale, risultano percepibili le ragioni sottese all’emissione del provvedimento gravato; nei casi di atti vincolati”.   

In conclusione la vicenda giurisdizionale che si è cercato di ricostruire nei suoi snodi essenziali offre ulteriore ed ennesima conferma, semmai se ne avvertisse la necessità, dell’assoluta impalpabilità, al limite della sostanziale inconsistenza, all’interno del nostro ordinamento giuridico (con particolare riferimento al diritto amministrativo sia sostanziale che processuale), del principio della certezza del diritto, che appare, ormai, ridotto ad una mera aspirazione ideale priva di qualsivoglia effettività.

La veridicità dell’affermazione che precede risulta confermata, per tabulas, dalle incomprensibili oscillazioni che si registrano nella giurisprudenza del Consiglio di Stato in relazione a questioni di fondamentale rilievo (a titolo meramente esemplificativo si veda, con riferimento alla legittimità della notifica a mezzo PEC nel processo amministrativo in assenza di autorizzazione presidenziale, la recentissima sentenza n. 189 del 20 gennaio 2016, resa dalla sezione III del massimo organo di giustizia amministrativa, che, ponendosi in contrasto con un orientamento che sembrava ormai consolidato, ha affermato l’invalidità di tale modalità di notifica).

Una recentissima pronuncia dell’autorità giurisdizionale amministrativa (TAR Lazio, Roma, Sentenza n. 798 del 22 gennaio 2016, resa dalla sezione II) offre lo spunto per ricostruire gli orientamenti giurisprudenziali in ordine alla concreta latitudine applicativa del c.d. dovere di soccorso istruttorio, posto a carico delle stazioni appaltanti dall’articolo 38, comma 2 bis, del Decreto Legislativo n. 163 del 2006 (c.d. Codice degli Appalti).

La riferita disposizione normativa è stata introdotta nell’ordinamento giuridico positivo con il Decreto Legge n. 90 del 24.06.2014, convertito, con modificazioni, in legge n. 114 dell’11.08.2014, e statuisce quanto in appresso “la mancanza, l’incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all’uno per mille e non superiore all’uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria. In tal caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. Nei casi di  irregolarità non essenziali ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né applica alcuna sanzione. In caso di inutile decorso del termine di cui al secondo periodo il concorrente è escluso dalla gara. Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte”.

Ovviamente la previsione legislativa deve essere letta in combinato disposto con quanto previsto dall’articolo 46, comma 1 ter, del Codice degli appalti, anch’esso introdotto dal Decreto Legge n. 90, ai sensi del quale «le disposizioni di cui all’articolo 38, comma 2 bis, si applicano a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle  dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai  concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara».

Operata tale tediosa, ma indispensabile, premessa, volta a definire sinteticamente il contesto normativo di riferimento, occorre evidenziare come attraverso il Decreto Legge n. 90 del 2014 (e relativa legge di conversione) si sia realizzata, con riferimento alle procedure di gara indette successivamente all’entrata in vigore del decreto de quo, un’autentica rivoluzione copernicana.

Attraverso il sostanziale ribaltamento dell’‘impostazione previgente, che configurava il soccorso istruttorio da parte della stazione appaltante come eccezione rispetto ad una regola diversamente orientata, infatti, lo ius superveniens procedimentalizza l’istituto in esame che diviene doveroso per ogni ipotesi di omissione o di irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni rese in gara, riconnettendo la sanzione dell’esclusione dalla procedura unicamente all’‘omessa produzione, integrazione, regolarizzazione degli elementi e delle dichiarazioni carenti, entro il termine assegnato dalla stazione appaltante, e non più a carenze originarie (in tal senso si veda la sentenza n. 16 del 30 luglio 2014 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato).

Prescindendo in questa sede dagli approfondimenti esegetici, che pure sarebbe possibile operare, relativi ai concetti di irregolarità essenziale/non essenziale e di dichiarazioni indispensabili/non indispensabili, ed evidenziando in via meramente incidentale come la ratio delle disposizioni normative in commento risulti agevolmente individuabile nell’‘intento del decisore politico di garantire l’inveramento nella misura massima possibile del principio c.d. del favor partecipationis alle gare pubbliche (consentendo, per tal via, in modo contestuale, anche un beneficio potenziale in termini economici per le stazioni appaltanti sub specie di incremento esponenziale della possibilità per le stesse di vedersi formulata un’offerta maggiormente conveniente), oltre che a logiche semplificatorie lato sensu intese ed a finalità deflattive del contenzioso amministrativo, evitando l’esclusione dalla procedura preordinata alla stipula di un contratto pubblico per mere carenze documentali, passiamo ora a considerare il proprium della pronuncia giurisdizionale in commento.

Una società in accomandita semplice ha impugnato di fronte al giudice amministrativo il provvedimento di esclusione, adottato dalla stazione appaltante (ossia la Città Metropolitana di Roma Capitale), dalla procedura di gara per l’‘affidamento di lavori di manutenzione straordinaria (di cui la ricorrente risultava aggiudicataria provvisoria) della rete viaria precedentemente di competenza della Provincia, nonché gli atti presupposti, connessi e consequenziali (ivi compresa la determinazione dirigenziale di aggiudicazione definitiva, a seguito di scorrimento di graduatoria, dell’‘appalto de quo).

La motivazione della sopra rammentata misura espulsiva consisteva nella circostanza che, in sede di verifica dei requisiti ex articolo 38 del Codice degli Appaltanti, la P.A. procedente aveva accertato, a carico del socio accomandatario, l’‘esistenza di una condanna per il reato di occupazione abusiva di suolo demaniale, ex articolo 1161 del Codice della Navigazione, con applicazione di un’ammenda di euro 300,00, emessa con sentenza del Tribunale di Velletri in composizione monocratica, non dichiarata nell’istanza di partecipazione alla gara.

Per l’effetto la Città Metropolitana di Roma Capitale disponeva, a valle di interlocuzioni procedimentali, come già accennato, l’‘esclusione dalla gara della società per incompletezza delle dichiarazioni rese, con riferimento all’‘articolo 38, comma 1, lett. c), del Decreto Legislativo n. 163 del 2006.

La società ha proposto, dunque, ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento menzionato deducendo, ex plurimis, la violazione degli articoli 38 e 46 del Codice degli Appalti e dell’articolo 45, paragrafo 2, della Direttiva 2004/18/CE relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, ed affermando, in buona sostanza, come nel caso di specie venisse in rilievo non già una falsa dichiarazione bensì un’omessa dichiarazione, con conseguente obbligo, da parte della stazione appaltante, conformemente agli orientamenti interpretativi forniti dall’ANAC con determinazione n. 1 dell’8 gennaio 2015, di attivare il procedimento volto alla regolarizzazione e integrazione delle dichiarazioni necessarie.

Parte ricorrente, inoltre, evidenziava al giudice adito come la condanna inflitta al socio accomandatario, peraltro di natura contravvenzionale, non potesse, in alcun modo rientrare tra le fattispecie previste dall’‘articolo 38, comma 1, lettera c), del Decreto Legislativo n. 163 del 2006, che fa riferimento ai reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale e ai reati di partecipazione a un’‘organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio.

La P.A. resistente si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso sulla scorta del rilievo che la lex specialis della procedura di affidamento prevedeva l’obbligo per il partecipante di dichiarare tutte le condanne, ad eccezione unicamente di quelle per reati depenalizzati, di quelle revocate, di quelle per le quali fosse intervenuta la riabilitazione o l’estinzione, con la conseguenza che la dichiarazione, in concreto resa, integrava gli estremi di un falso non sanabile e, ad abundantiam, produttivo di ulteriori strascichi di natura penale ai sensi e per gli effetti delle previsioni dettate dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000.

Previa concessione delle richieste misure cautelari si giungeva all’‘udienza pubblica di discussione del merito all’‘esito della quale il TAR adito ha accolto, sulla scorta delle argomentazioni in appresso esplicitate, l’‘impugnativa proposta dalla società ricorrente.

In primo luogo il TAR evidenzia come la domanda di partecipazione alla gara fossa stata presentata dalla ricorrente mediante compilazione di un modulo predisposto dalla stazione appaltante che, con riferimento all’oggetto del contendere, recava, alla lettera e), la seguente dizione “che nei confronti dei soggetti richiamati dall’articolo 38, comma 1, lettera c) del Decreto Legislativo 163/2006 e ss.mm.ii. non è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale ovvero condanna con sentenza passata in giudicato per uno o più reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode,riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all’articolo 45, paragrafo 1, Direttiva CE 2004/18, comprese le condanne per le quali si è beneficiato della non menzione”.

A tale dichiarazione, da rendere mediante apposizione o meno di segni di sbarratura, faceva corredo, come sopra riferito, la successiva specificazione che “Il concorrente indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali ha beneficiato della non menzione; non è tenuto ad indicare nella dichiarazione le condanne quando il reato è stato depenalizzato ovvero per le quali è intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima”.

A fronte della descritta formulazione del modello di istanza di partecipazione la società ricorrente ha reso dichiarazione negativa in ordine alla sussistenza di precedenti penali.

Il Collegio giudicante ha ritenuto, nella concretezza della situazione considerata, che non sia possibile ricondurre la condanna subita dal socio accomandatario della ricorrente nel novero dei reati specificamente individuati dalla lettera e) dell’istanza di partecipazione, in quanto riferita ad un reato di non particolare gravità.

I giudici amministrativi evidenziano, inoltre, come rilievo decisivo, ai fini della qualificazione in termini di illegittimità degli atti impugnati, possa essere attribuito alla specificazione, apposta tra parentesi in chiusura della lettera e), per effetto della quale il concorrente era tenuto a dichiarare tutte le condanne penali eventualmente riportate (eccezion fatta per quelle expressis verbis individuate), atteso che il modello di istanza di partecipazione, così come predisposto dalla stazione appaltante, consentiva unicamente l’alternativa tra la dichiarazione positiva e la dichiarazione negativa in ordine alla sussistenza di condanne penali per i reati gravi ivi indicati, non permettendo, per contro, la concreta indicazione delle ulteriori condanne penali, per mancanza di “uno spazio dedicato”.

Da ciò discende, nella visione del Collegio, la sostanziale impossibilità di adempimento dell’obbligo dichiarativo e la conseguente configurazione, a carico della società ricorrente, non già di una falsa bensì di un’omessa dichiarazione.

La menzionata parabola argomentativa suscita, invero, talune perplessità che ci si riserva di approfondire nel prosieguo del presente contributo.

Ulteriore motivazione portata dal TAR a sostegno dell’illegittimità degli atti impugnati è rappresentata dal rilievo che l’Amministrazione resistente solo negli atti difensivi ha inquadrato la condotta serbata dal ricorrente nell’alveo della false dichiarazioni, evidenziandosi, per contro, come nei provvedimenti gravati si operasse esclusivo riferimento alla omessa dichiarazione resa dalla società ed alla sua incompletezza, a fronte della quale, tuttavia, la stazione appaltante ha ritenuto di non poter procedere al soccorso istruttorio in ragione della responsabilità penale che assiste le dichiarazioni rese ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000 quale conseguenza della falsità dell’atto.

In altri termini, dunque, sempre a seguire la logica del TAR capitolino, ci si trova di fronte ad una determinazione dirigenziale connotata, per evidenti difetti d’‘istruttoria, da un improprio inquadramento della problematica al quale, altrettanto impropriamente, si è cercato di porre rimedio ex post in sede giurisdizionale, in violazione del principio del divieto di integrazione postuma della motivazione del provvedimento amministrativo, ritenuto dalla giurisprudenza presidio essenziale dell’effettività del diritto di difesa dei destinatari dell’attività autoritativa della P.A. (sul punto si rinvia a Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza n. 4993 del 19 agosto 2009, nonché a TAR Sicilia, Catania, sezione II, sentenza n. 3055 del 19 dicembre 2011, la cui massima, icasticamente, recita: “Una motivazione incompleta può essere integrata e ricostruita attraverso gli atti del procedimento amministrativo, ma l’integrazione della motivazione deve pur sempre avvenire da parte della p.a. competente, mediante gli atti del procedimento medesimo o mediante un successivo provvedimento di convalida, nel mentre gli argomenti difensivi dedotti nel processo avverso il provvedimento, proprio in quanto non inseriti in un procedimento amministrativo, non sono idonei ad integrare in via postuma la motivazione in quanto detta motivazione si risolve in una inammissibile integrazione postuma della motivazione provvedimentale”.

Una volta acclarato che ci si trova in presenza di un’omessa dichiarazione e non di una falsa dichiarazione il TAR può agevolmente concludere che la stazione appaltante non avrebbe potuto escludere in modo automatico, sebbene a valle di interlocuzioni procedimentali, parte ricorrente dalla procedura di che trattasi, risultando indispensabile, per contro, l’assegnazione di un termine per l’integrazione della dichiarazione omessa, il cui inutile decorso solo avrebbe potuto legittimare l’atto espulsivo, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 38, comma 2 bis, del Codice degli Appalti.

Con finalità manifestamente e dichiaratamente pedagogiche i giudici amministrativi ritengono “necessarie alcune ulteriori puntualizzazioni al fine di indirizzare la successiva attività conformativa dell’Amministrazione”, richiamando gli orientamenti espressi dall’ANAC con la già menzionata deliberazione n.1 dell’8 gennaio 2015, e pervengono alla conclusione, previa espressa adesione ad una visione sostanzialistica legata all’effettivo possesso in capo al partecipante ad una gara pubblica dei requisiti normativamente previsti (elemento ritenuto prevalente sul dato formale della completezza delle dichiarazioni da questi rese), che trovano applicazione i meccanismi procedimentali previsti dall’articolo 38, comma 2 bis, anche “con riferimento alla omessa indicazione delle sentenze di condanna, non essendovi alcuna ragione per escludere le ipotesi di omessa dichiarazione - e non di falsa dichiarazione - della sussistenza di sentenze di condanna dall’‘ambito di operatività del soccorso istruttorio…………, sussistendo anche in tali ipotesi la medesima ratio di evitare l’esclusione dalla gara per fatti e circostanze di carattere formale che attengono alle dichiarazioni rese”.

Dalle riferite pregresse argomentative discende, per conseguenza necessitata, come il cortese lettore avrà certamente intuito, l’accoglimento del ricorso e l’annullamento degli atti impugnati.

Terminata la sintetica ricostruzione del contenuto essenziale della pronuncia in commento corre l’obbligo di evidenziare al lettore come, ad avviso di chi scrive, essa si presti a valutazioni fortemente critiche, con particolare riferimento al principio di diritto da ultimo affermato.

Costituisce, infatti, ius receptum nella giurisprudenza del Consiglio di Stato che il partecipante ad una gara pubblica ha l’obbligo di dichiarare tutte le sentenze penali di condanna (ovvero i provvedimenti equiparati), eccezion fatta per le ipotesi di estinzione del reato, depenalizzazione, revoca della condanna e riabilitazione (prive, peraltro, di efficacia retroattiva), sì da consentire alla stazione appaltante, unico soggetto a ciò deputato, una compiuta valutazione in ordine alla configurazione, in relazione alla specificità della condanna, di eventuali ragioni ostative a contrattare con la Pubblica Amministrazione (in tal senso, ex plurimis, si vedano le sentenze del Consiglio di Stato, entrambe rese dalla sezione V, n. 5403 del 30 novembre 2015 e n. 927 del 25 febbraio 2015).

In altri termini, dunque, da un lato, l’aspirante ad un appalto pubblico non può operare ex se alcun filtro in ordine all’importanza o incidenza della condanna subita sulla moralità professionale, avendo l’obbligo, come già accennato di menzionare tutte le sentenze penali di condanna (e i provvedimenti equiparati) e, per altro verso, tale obbligo sussiste indipendentemente dalle previsioni eventualmente difformi contenute nella lex specialis.

In tale evenienza, infatti, viene a realizzarsi una fattispecie di eterointegrazione del bando di gara per effetto dell’applicazione diretta di statuizioni normative qualificate di ordine pubblico.

Ad analoghe conclusioni si perviene, peraltro, anche con riferimento alla diversa ipotesi di mancata dichiarazione, da parte dell’‘offerente, della sussistenza a suo carico di precedenti risoluzioni contrattuali per inadempimento; al riguardo si veda, da ultimo, Consiglio di Stato, sezione V, Sentenza n. 122 del 18 gennaio 2016, la cui massima recita: “va esclusa da gara pubblica l’impresa che non ha dichiarato di essere stata destinataria, in passato, di un provvedimento di risoluzione contrattuale adottato nei suoi confronti da altra Pubblica amministrazione, atteso che l’articolo 38 comma 1 lettera f), d.lg. 12 aprile 2006 n. 163 impone di dichiarare la sussistenza di pregresse risoluzioni contrattuali a prescindere dal fatto che la stazione appaltante sia la stessa presso la quale si svolge il procedimento di scelta del contraente od altra, giacché tale dichiarazione attiene ai principi di lealtà e affidabilità contrattuale e professionale che presiedono ai rapporti dei partecipanti con la stazione appaltante”.

Con specifico riferimento alla vicenda oggetto della pronuncia giurisdizionale in commento non può non evidenziarsi come, ad onta della proclamata adesione ad un orientamento sostanzialistico i giudici amministrativi finiscano con l’attribuire rilievo poziore ad elementi di ordine squisitamente formale (a titolo esemplificativo la struttura del modello di istanza di partecipazione alla gara predisposto dalla stazione appaltante, senza adeguatamente considerare, peraltro, che si era in presenza, per l’appunto, di un modello che come tale, certamente, non impediva all’aspirante affidatario di rendere noto alla P.A. procedente, anche con dichiarazione resa su foglio a parte, l’esistenza di una pregressa sentenza di condanna, sì da consentire alla stessa il pieno esercizio della propria capacità di discrezionale apprezzamento in ordine all’‘eventuale efficacia ostativa del pregiudizio penale).

Ma vi è di più: l’omessa indicazione di una pregressa sentenza di condanna viene ricondotta dal TAR adito, come più volte riferito, nell’ambito della fattispecie di omessa dichiarazione, in quanto tale suscettibile di integrazione nel termine all’uopo assegnato dalla stazione appaltante, anche mediante il richiamo ai criteri interpretativi delineati dall’ANAC con la più volte menzionata determinazione n. 1 del 2015.

Al riguardo non può non evidenziarsi come la richiamata determinazione affermi sul punto principi diversamente orientati che, al fine di evitare qualsiasi possibile, sebbene involontario travisamento, si ritiene opportuno riproporre in modo testuale: “Un caso particolare è costituito dall’omessa indicazione delle sentenze di condanna di cui al comma 1, lettera c) dell’articolo 38 del Codice, che devono essere dichiarate espressamente, secondo quanto prescrive il comma 2 del medesimo articolo. Orbene, riguardo a questo specifico caso, giova evidenziare che la nuova disciplina del soccorso  istruttorio mira ad evitare l’esclusione dalla gara per fatti e circostanze di carattere formale che attengono alle dichiarazioni rese. L’omessa indicazione delle sentenze di condanna riportate dai soggetti di cui alla citata lettera c), tuttavia, se avviene secondo modalità che integrino gli estremi di una dichiarazione negativa del concorrente (perché dichiara espressamente di non averne riportate, eventualmente anche contrassegnando sul modulo predisposto dalla stazione appaltante la casella relativa all’assenza delle sentenze), laddove, invece, le stesse sussistano, la fattispecie integra gli estremi del falso in gara con tutte le implicazioni in termini di non sanabilità della dichiarazione resa (perché la stessa non sarebbe semplicemente mancante ovvero carente ma non corrispondente al vero) e conseguente esclusione del concorrente dalla gara nonché segnalazione del caso all’Autorità. Diversamente, se la dichiarazione relativa alla presenza delle sentenze di condanna è completamente omessa, ovvero se si dichiara di averne riportate senza indicarle, può essere richiesto rispettivamente di produrla o di indicare le singole sentenze riportate. La novella in esame, infatti, non incide sulla disciplina delle false dichiarazioni in gara, che resta confermata. Pertanto ai sensi dell’articolo 38, comma 1 ter del Codice, ove la stazione appaltante accerti che il concorrente abbia presentato una falsa dichiarazione o una falsa documentazione, si dà luogo al procedimento definito nel citato comma 1 terdell’articolo 38 ed alla comunicazione del caso all’‘Autorità per l’applicazione delle sanzioni interdittive e pecuniarie fissate nella disciplina di riferimento (articolo 38, comma 1 tere articolo 6, comma 11, del Codice)” (in senso conforme, sebbene riferita a fattispecie parzialmente differente, si veda, da ultimo, Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza n. 5803 del 21 dicembre 2015). 

Ad avviso dello scrivente, dunque, la soluzione più corretta della tratteggiata vicenda giurisdizionale sarebbe stata, pur in presenza di atti amministrativi che, per quanto dato comprendere, non brillano certo per particolare qualità, quella di confermare la legittimità della disposta esclusione, con conseguente applicazione delle misure sanzionatorie previste dall’‘ordinamento per l’‘ipotesi di falsa dichiarazione resa in una procedura di gara.

A conferma della sostenibilità dell’‘arresto precedentemente raggiunto, oltre gli argomenti precedentemente addotti, si ritiene opportuno citare Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza n. 1018 del 4 marzo 2014, la cui massima recita: “Nel giudizio amministrativo, il divieto di integrazione della motivazione non ha carattere assoluto, in quanto non sempre i chiarimenti resi nel corso del giudizio valgono quale inammissibile integrazione postuma della motivazione: è il caso degli atti di natura vincolata di cui all’articolo 21 octies, L. n. 241 del 1990, nei quali l’Amministrazione può dare anche successivamente l’effettiva dimostrazione in giudizio dell’impossibilità di un diverso contenuto dispositivo dell’atto, oppure quello concernente la possibilità di una successiva indicazione di una fonte normativa non prima menzionata nel provvedimento, quando questa, per la sua notorietà, ben avrebbe potuto e dovuto essere conosciuta da un operatore professionale”.

A ben guardare, infatti, risulta irrevocabile in dubbio, da un lato, che una società che aspiri all’affidamento di un appalto pubblico di rilevante importo economico non possa ignorare l’esistenza di un obbligo normativo (ad abundantiam ribadito dalla lex specialis) di dichiarare tutte le sentenze penali di condanna riportate da soggetti ad essa riconducibili e, dall’‘altro, che ai sensi dell’articolo 75 del già menzionato Decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, “qualora dal controllo di cui all’articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”.

La statuizione normativa da ultimo riportata, per la sua formulazione letterale, non consente alcuno spazio di discrezionale apprezzamento in capo alla P.A. con la conseguenza che, nel caso devoluto alla cognizione del TAR capitolino, la stazione appaltante era tenuta ad adottare il provvedimento di esclusione dalla gara della società ricorrente in quanto atto a contenuto vincolato (al riguardo, nella già menzionata sentenza n. 1018/2014 del massimo organo di giustizia amministrativa si legge: “Alla luce dell’attuale assetto normativo, devono essere attenuate le conseguenze del principio del divieto di integrazione postuma, de quotando il relativo vizio tutte le volte in cui l’omissione di motivazione successivamente esternata: non abbia leso il diritto di difesa dell’interessato; nei casi in cui, in fase infraprocedimentale, risultano percepibili le ragioni sottese all’emissione del provvedimento gravato; nei casi di atti vincolati”.   

In conclusione la vicenda giurisdizionale che si è cercato di ricostruire nei suoi snodi essenziali offre ulteriore ed ennesima conferma, semmai se ne avvertisse la necessità, dell’assoluta impalpabilità, al limite della sostanziale inconsistenza, all’interno del nostro ordinamento giuridico (con particolare riferimento al diritto amministrativo sia sostanziale che processuale), del principio della certezza del diritto, che appare, ormai, ridotto ad una mera aspirazione ideale priva di qualsivoglia effettività.

La veridicità dell’affermazione che precede risulta confermata, per tabulas, dalle incomprensibili oscillazioni che si registrano nella giurisprudenza del Consiglio di Stato in relazione a questioni di fondamentale rilievo (a titolo meramente esemplificativo si veda, con riferimento alla legittimità della notifica a mezzo PEC nel processo amministrativo in assenza di autorizzazione presidenziale, la recentissima sentenza n. 189 del 20 gennaio 2016, resa dalla sezione III del massimo organo di giustizia amministrativa, che, ponendosi in contrasto con un orientamento che sembrava ormai consolidato, ha affermato l’invalidità di tale modalità di notifica).