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Il compenso incentivante vale anche per i lavoratori a tempo determinato

Nota a Sentenza della Corte di Cassazione n. 23487/2015
Il compenso incentivante vale anche per i lavoratori a tempo determinato
Il compenso incentivante vale anche per i lavoratori a tempo determinato

Abstract 

Il rapporto di lavoro caratterizzato dalla temporaneità dell’impiego non può costituire, di per sé, una ragione oggettiva su cui fondare una disparità di trattamento che risulti essere discriminatoria nei riguardi del prestatore dell’attività, il quale si ritrova a beneficiare di corrispettivi inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi. Nella specie, il compenso incentivante è parte stessa della retribuzione ed è indirizzato alla promozione dei miglioramenti dell’efficienza ed efficacia dell’amministrazione. Gli incentivi sarebbero da attribuire in misura pari all’ effettiva realizzazione degli obiettivi e dei programmi di incremento della produttività, tanto ai lavoratori a tempo determinato, quanto in favore a quelli assunti in forza di un contratto a tempo indeterminato.

 

In antitesi con la decisione del giudice di prime cure, la Corte d’Appello di Torino, nell’ottobre 2013 accoglieva la domanda di liquidazione del compenso incentivante anche a favore degli operai a tempo determinato, in tal modo condannando il datore di lavoro al relativo pagamento. La sentenza dell’organo giudicante di secondo grado poneva a fondamento di questa conclusione il principio di non discriminazione ex articolo 6 del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, il quale provvede all attuazione della Direttiva CE 1999/70 (in materia di lavoro a tempo determinato).

L’ente datore di lavoro ricorreva per la cassazione della suddetta statuizione in data 10 dicembre 2013, deducendone la totale assenza di qualsivoglia discriminazione. Tuttavia, per la Suprema Corte, il ricorso risultava infondato.

La sentenza 17 novembre 2015, n. 23487, racchiude le ragioni di quanto appena anticipato, in considerazione del fatto che la mancata previsione e corresponsione del compenso incentivante anche ai lavoratori dipendenti a tempo determinato (tra l’ altro, nella fattispecie concreta, si trattava di contratti prorogati più volte) risulta essere in netto contrasto con il principio di non discriminazione.

La Direttiva CE 1999/70 così prevede: “Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.” Dello stesso avviso è senza dubbio l’articolo 6 del Decreto Legislativo 368 del 2001, alla lettera del quale, al lavoratore a tempo determinato spetta il “trattamento in atto nell’ impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili” (ovvero quelli aventi la stessa mansione e livello), ovviamente in proporzione al periodo lavorativo prestato e compatibilmente alla natura del contratto a termine.

Pertanto è chiaro che tutti quei lavoratori che siano stati assunti con un contratto a tempo determinato abbiano la possibilità di reclamare il proprio diritto ad un trattamento equipollente a quello previsto per i loro colleghi assunti sulla base di un contratto a tempo indeterminato, poiché qualsivoglia alterazione indiscriminata del loro trattamento retributivo dev’essere considerata palesemente contra legem. Ed infatti, il combinato disposto dall’articolo 45, comma 3, lettera a, b, Decreto Legislativo 368/2001 e dal principio di eguale remunerazione dei lavoratori che svolgano uguali mansioni (ricavabile dal corroborato orientamento giurisprudenziale) risolve in modo semplice la questione affrontata, con la previsione che sono i contratti collettivi a definire tutti quei trattamenti economici accessori collegati alla produttività individuale.

Un indirizzo analogo a quello della Corte di Cassazione in merito al caso è rinvenibile anche all’interno di testi che precedono tale pronuncia, come ad esempio il C.C.N.L. del personale non dirigente degli enti pubblici non economici del 2007, che prevede esplicitamente politiche di incentivazione della produttività a sostegno di “tutto il personale”, senza distinzione dunque tra rapporti di lavoro a tempo indeterminato, oppure determinato.

Da quanto detto è facilmente desumibile la più totale compatibilità del compenso incentivante con il rapporto di lavoro a tempo determinato, nonché la natura discriminatoria della negazione della stessa prestazione aggiuntiva ed accessoria ai lavoratori che prestano la propria attività in ragione di questa forma contrattuale. I lavoratori che non ricevano quanto previsto possono agire per l’ adempimento dell’obbligo del datore relativo alla corresponsione del compenso incentivante spettante e non retribuito.

Abstract 

Il rapporto di lavoro caratterizzato dalla temporaneità dell’impiego non può costituire, di per sé, una ragione oggettiva su cui fondare una disparità di trattamento che risulti essere discriminatoria nei riguardi del prestatore dell’attività, il quale si ritrova a beneficiare di corrispettivi inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi. Nella specie, il compenso incentivante è parte stessa della retribuzione ed è indirizzato alla promozione dei miglioramenti dell’efficienza ed efficacia dell’amministrazione. Gli incentivi sarebbero da attribuire in misura pari all’ effettiva realizzazione degli obiettivi e dei programmi di incremento della produttività, tanto ai lavoratori a tempo determinato, quanto in favore a quelli assunti in forza di un contratto a tempo indeterminato.

 

In antitesi con la decisione del giudice di prime cure, la Corte d’Appello di Torino, nell’ottobre 2013 accoglieva la domanda di liquidazione del compenso incentivante anche a favore degli operai a tempo determinato, in tal modo condannando il datore di lavoro al relativo pagamento. La sentenza dell’organo giudicante di secondo grado poneva a fondamento di questa conclusione il principio di non discriminazione ex articolo 6 del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, il quale provvede all attuazione della Direttiva CE 1999/70 (in materia di lavoro a tempo determinato).

L’ente datore di lavoro ricorreva per la cassazione della suddetta statuizione in data 10 dicembre 2013, deducendone la totale assenza di qualsivoglia discriminazione. Tuttavia, per la Suprema Corte, il ricorso risultava infondato.

La sentenza 17 novembre 2015, n. 23487, racchiude le ragioni di quanto appena anticipato, in considerazione del fatto che la mancata previsione e corresponsione del compenso incentivante anche ai lavoratori dipendenti a tempo determinato (tra l’ altro, nella fattispecie concreta, si trattava di contratti prorogati più volte) risulta essere in netto contrasto con il principio di non discriminazione.

La Direttiva CE 1999/70 così prevede: “Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.” Dello stesso avviso è senza dubbio l’articolo 6 del Decreto Legislativo 368 del 2001, alla lettera del quale, al lavoratore a tempo determinato spetta il “trattamento in atto nell’ impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili” (ovvero quelli aventi la stessa mansione e livello), ovviamente in proporzione al periodo lavorativo prestato e compatibilmente alla natura del contratto a termine.

Pertanto è chiaro che tutti quei lavoratori che siano stati assunti con un contratto a tempo determinato abbiano la possibilità di reclamare il proprio diritto ad un trattamento equipollente a quello previsto per i loro colleghi assunti sulla base di un contratto a tempo indeterminato, poiché qualsivoglia alterazione indiscriminata del loro trattamento retributivo dev’essere considerata palesemente contra legem. Ed infatti, il combinato disposto dall’articolo 45, comma 3, lettera a, b, Decreto Legislativo 368/2001 e dal principio di eguale remunerazione dei lavoratori che svolgano uguali mansioni (ricavabile dal corroborato orientamento giurisprudenziale) risolve in modo semplice la questione affrontata, con la previsione che sono i contratti collettivi a definire tutti quei trattamenti economici accessori collegati alla produttività individuale.

Un indirizzo analogo a quello della Corte di Cassazione in merito al caso è rinvenibile anche all’interno di testi che precedono tale pronuncia, come ad esempio il C.C.N.L. del personale non dirigente degli enti pubblici non economici del 2007, che prevede esplicitamente politiche di incentivazione della produttività a sostegno di “tutto il personale”, senza distinzione dunque tra rapporti di lavoro a tempo indeterminato, oppure determinato.

Da quanto detto è facilmente desumibile la più totale compatibilità del compenso incentivante con il rapporto di lavoro a tempo determinato, nonché la natura discriminatoria della negazione della stessa prestazione aggiuntiva ed accessoria ai lavoratori che prestano la propria attività in ragione di questa forma contrattuale. I lavoratori che non ricevano quanto previsto possono agire per l’ adempimento dell’obbligo del datore relativo alla corresponsione del compenso incentivante spettante e non retribuito.