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La centralizzazione delle procedure di acquisto della pubblica amministrazione. I soggetti aggregatori, le Centrali di committenza e le possibili alternative

Le novità della Legge di Stabilità per l’anno 2016 e le prospettive “de iure condendo”
La centralizzazione delle procedure di acquisto della pubblica amministrazione. I soggetti aggregatori, le Centrali di committenza e le possibili alternative
La centralizzazione delle procedure di acquisto della pubblica amministrazione. I soggetti aggregatori, le Centrali di committenza e le possibili alternative

Abstract

La crisi economica-finanziaria avutasi in Europa nel corso degli ultimi anni, ha ulteriormente accentuato la necessità di razionalizzazione della spesa pubblica, costringendo i Governi europei, maggiormente coinvolti, ad applicare tagli ai programmi di spesa e di investimento, nonché a varare riforme volte a ridurre le risorse impegnate per garantire il funzionamento delle pubbliche amministrazioni.

È in questo contesto che devono essere lette le misure e gli strumenti contenuti nei decreti sulla spending review che contengono previsioni dedicate agli acquisti pubblici.

Il primo novembre 2015 è infatti entrata in vigore la disposizione normativa, articolo 33 comma 3-bis Decreto Legislativo 163/2006, che inibisce ai Comuni non capoluogo la contrattazione autonoma in tema di lavori, servizi e forniture ed impone agli stessi di eseguire le relative procedure di gara in forma aggregata (unione dei Comuni, accordi consortili con altri Comuni, ricorso ai soggetti aggregatori o alle Province), salvo i casi di acquisto con procedure telematiche, comprensivi anche degli acquisti Consip, ancora effettuabili in forma autonoma.

Nel presente lavoro dunque, l’attenzione è rivolta alle centrali di committenza, al fine di evidenziare le criticità e le opportunità derivanti dalla modifica normativa, indagandone il possibile impatto sulla spesa pubblica, anche alla luce delle novità previste dalla Legge di Stabilità 2016, e dalle prospettive “de iure condendo” in tema di servizi pubblici locali e appalti pubblici.

 

Introduzione

Il primo novembre 2015 è entrata in vigore la disposizione normativa, articolo 33 comma 3-bis[1] Decreto Legislativo 163/2006, che inibisce ai Comuni non capoluogo la contrattazione autonoma in tema di lavori, servizi e forniture ed impone agli stessi di eseguire le relative procedure di gara in forma aggregata (unione dei Comuni, accordi consortili con altri Comuni, ricorso ai soggetti aggregatori o alle Province), salvo i casi di acquisto con procedure telematiche, comprensivi anche degli acquisti Consip[2], ancora effettuabili in forma autonoma. La disposizione normativa ad una più attenta riflessione,  non si limita ad imporre un obbligo organizzativo tout court, in quanto si comprende che la tematica dei contratti è materia complessa che abbraccia molteplici aspetti, che non si possono esaurire nel mero aspetto organizzativo del “chi fa”. La funzione acquisti, infatti, riveste un ruolo fondamentale, poiché la spesa per beni, servizi e lavori interessa un considerevole quantitativo di risorse pubbliche, ed è spesso inclusa tra gli ambiti sottoposti a procedure di controllo sui costi degli apparati amministrativi.

La crisi economica-finanziaria avutasi in Europa nel corso degli ultimi anni, ha ulteriormente accentuato la necessità di razionalizzazione della spesa pubblica[3], costringendo i Governi europei, maggiormente coinvolti, ad applicare tagli ai programmi di spesa e di investimento, nonché a varare riforme volte a ridurre le risorse impegnate per garantire il funzionamento delle pubbliche amministrazioni.

Il Governo italiano, già nel corso della XV legislatura, si era impegnato di fronte alle istituzioni europee nell’adottare politiche e processi volti alla creazione di condizioni strutturali utili alla crescita e alla risoluzione delle difficoltà economiche finanziarie, a ciò devono aggiungersi più di recente, gli obblighi derivanti dall’approvazione del Fiscal Compact, che impone il rispetto di nuove regole vincolanti per il pareggio di Bilancio, alla garanzia di un certo limite di deficit strutturale, ed una significativa riduzione del debito pubblico[4]. È in questo contesto che devono essere lette le misure e gli strumenti contenuti nei decreti sulla spending review[5] che contengono previsioni dedicate agli acquisti pubblici. In tale contesto si evidenzia che l’importanza della centralizzazione delle procedure di acquisto, risiede nel fatto che essa è in grado di favorire efficacemente la riduzione ed il controllo delle risorse pubbliche impiegate. A sostegno di tali affermazioni vi sono numerosi argomenti, tra i più significativi si segnalano: la realizzazione di economia di scala[6] , la riduzione del numero di entità organizzative coinvolte nell’esercizio delle funzioni amministrative, facendo così diminuire il costo del controllo sulla regolarità formale delle procedure, nonché accrescere l’efficacia dei controlli interni e un’organizzazione più razionale del personale. La centralizzazione inoltre, può essere considerata strumento di stimolo per l’innovazione delle imprese che partecipano alle procedure, accentuando la concorrenza e con l’avvento della specifica disciplina in materia di anticorruzione, Legge n. 190/2012, sembra imporsi anche un’altra finalità, quella di ridurre il rischio di fenomeni corruttivi, in quanto i centri di responsabilità sono più chiaramente individuati. Nel diritto interno, la centralizzazione dei processi di acquisto è stata perseguita anche attraverso la disciplina e la promozione delle centrali di committenza[7], sebbene ciò che è espresso in termini di facoltà nel primo comma dell’articolo 33 Decreto Legislativo 163/2006 a vantaggio di ogni stazione appaltante ed ente aggiudicatore, è nel comma 3-bis, per i Comuni non capoluogo di Provincia espresso in termini di obbligo, dove sono elencati in modo tassativo i soggetti destinati ad esercitare tali funzioni di acquisto centralizzato. Tale obbligatorietà ha la finalità di garantire il contenimento della spesa pubblica, la razionalizzazione e semplificazione delle procedure, ed è stata confermata anche dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 220/2013, con cui si è chiarita la non applicabilità di tale norma alle Regioni a statuto speciale, salvandone al contempo l’impianto complessivo.

1. La Centrale Unica di Committenza: dal diritto comunitario al diritto interno

Nel diritto comunitario, il fenomeno delle centrali uniche di committenza, inteso come “facoltà” delle amministrazioni aggiudicatrici di fare ricorso ad un soggetto che “acquisti” ovvero “aggiudichi” appalti pubblici per conto delle medesime amministrazioni, trova genesi nell’impostazione della direttiva 2004/18/CE (settori ordinari). La direttiva non ha introdotto tale strumento ex novo, ma ne ha disciplinato l’uso, legittimando un modello organizzativo già utilizzato in diversi Stati membri[8] , ed in particolare nell’articolo 1 par 10 della direttiva, il legislatore europeo si è premurato di definire il concetto di centrale di committenza[9].

Le due funzioni, quella di acquistare e di aggiudicare appalti, non sono antitetiche e possono tranquillamente coesistere[10]: gli Stati membri hanno, a riguardo, piena discrezionalità sia nel decidere, a monte, se utilizzare o meno una centrale di committenza, sia in merito alla definizione concreta del relativo modello giuridico e dei compiti alla stessa assegnati[11]. In generale, la funzione di acquisto può essere strutturata con l’istituzione di una o più centrali, può essere esercitata con gli altri mezzi previsti dalla Direttiva richiamata o, ancora, la centralizzazione delle procedure di acquisto  può avvenire con l’uso di più strumenti tra quelli consentiti[12]. Ciò che rileva, è che, nel caso in cui si ricorra al modello organizzativo in esame, il suo operato può essere legittimo rispetto ai contenuti delle disposizioni comunitarie, soltanto se queste, a loro volta, sono state rispettate dalla centrale di committenza nello svolgimento delle proprie attività.

Lo schema inaugurato con la direttiva n.18/2004, trova ora compiuta ed esaustiva declinazione nell’impostazione della nuova direttiva n. 24/2014. Dalla lettura dei consideranda della nuova Direttiva appalti 2014/24/CE, si evince chiaramente la maggiore attenzione che il legislatore comunitario ha dedicato non solo alle centrali di committenza tout court, ma altresì alle altre forme di cooperazione, anche di natura transfrontaliera[13] . In tema di centrale di committenza la direttiva n. 24/2014 apporta inoltre importanti novità, in quanto introduce l’attività di committenza ausiliaria che può essere fornita anche da soggetti di diritto privato[14].

Se in ambito comunitario le centrali di committenza sono considerate come modello facoltativo, nell’ordinamento nazionale con l’introduzione dell’articolo 33 comma 3-bis Decreto Legislativo 163/2006 esse diventano un modello organizzativo necessitato.

Nel diritto interno, la legittimazione del legislatore statale a disciplinare tale materia, risiede in una pluralità di titoli di competenza, aventi un fondamento formale nell’articolo 117 della Costituzione, secondo il fine legislativo che si intende valorizzare. La ricerca di tale fondamento, ha non solo un carattere di ordine teorico, ma presenta un carattere fortemente pratico, poiché l’obbligatorietà delle centrali di committenza per i Comuni non capoluogo di Provincia, comporta per questi ultimi la perdita del potere di esercizio di un’importante funzione: quella della scelta del contraente[15]. La legittimazione statale può essere ancorata alla competenza esclusiva, di cui all’articolo 117 comma 2 lettera e) della Costituzione, sia se si enfatizza l’obiettivo di riduzione della spesa pubblica, (armonizzazione dei bilanci pubblici), sia se viceversa, si valorizza la finalità di potenziare la concorrenza del settore, in quanto si ritiene che le centrali di committenza incidano sulle logiche di mercato, favorendo migliori condizioni grazie all’aggregazione della domanda.

La definizione di centrale di committenza contenuta nell’articolo 3 comma 34 Decreto Legislativo 163/2006, è pressoché identica a quella contenuta nella direttiva 2004/18/CE. Dalla lettura del testo si evince che la centrale di committenza è un’amministrazione aggiudicatrice che, a) acquista forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori, b) aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori. Nella prima accezione, la facoltà di acquistare forniture e servizi, implica necessariamente anche la potestà di stipulare il contratto per conto dei beneficiari della prestazione[16], dando vita ad un rapporto trilatero tra centrale di committenza, operatore economico appaltatore, amministrazione aggiudicatrice beneficiaria[17]. Nella seconda accezione la centrale di committenza esaurisce la sua funzione con il provvedimento di aggiudicazione, in tal caso anche di lavori, non solo di beni e servizi, traslando in capo alle amministrazioni aggiudicatrici la stipula del contratto pro quota parte.

2. La centralizzazione obbligatoria nei Comuni non capoluogo di Provincia

Quanto finora affermato, va comparato con la nuova formulazione contenuta nell’articolo 33 comma 3-bis[18] del codice dei contratti, che rispetto alla precedente formulazione non solo ha ampliato la platea dei destinatari, estendendola dai soli Comuni con popolazione non superiore ai 5.000 abitanti a tutti i Comuni non capoluogo, ha anche ampliato la gamma dei soggetti con funzioni di aggregazione. Dalla disposizione in oggetto deriva la nozione di centrale di committenza obbligatoria, che a sua volta richiama in parte la Stazione Unica Appaltante[19] (SUA). Come ha ben chiarito la Corte dei Conti Basilicata, parere n. 98/2013, “non si possono sovrapporre le attività della CUC con quelle della SUA, sebbene entrambe le figure organizzative hanno natura di Centrale di committenza” (articolo 3. comma 34 del codice).

La Stazione Unica Appaltante, dal punto di vista della natura giuridica viene ricondotta alla centrale di committenza (articolo 2 DPCM 30/06/2011), specializzata nella gestione degli appalti, che sulla base delle richieste delle amministrazioni cura integralmente la fase della gara, assumendosi  anche la responsabilità della scelta dei sistemi da utilizzare fino alla stipula dei contratti e all’assistenza dell’eventuale contenzioso delle gare.

Il tratto caratteristico delle centrali uniche di committenza che emerge dall’articolo 33 comma 3-bis, è quello di porsi come forme associative, volte ad imporre alle amministrazioni locali di aggregarsi tra loro, per gestire le procedure di gara mediante uffici comuni o delegati, derivanti dalla commistione delle loro risorse ed organici, tali da renderli più organizzati e competenti ai fini di gestioni più efficienti[20].

La Corte dei Conti sez. regionale controllo Campania delib. 1890/2014/Par 10/07/2014 ha affermato che la ratio sottesa alla disposizione è quella di “ limitare l’elevata frammentazione del sistema degli appalti pubblici e di concentrare le procedure ad evidenza pubblica al fine di ridurre i costi di gestione e di far ottenere risparmi di spesa, quantificabili a consuntivo, per le economie di scala”.

Il legislatore, con l’introduzione dell’articolo 33 comma 3-bis, sembra aver messo a disposizione dei Comuni non capoluogo, per l’attività di procurement, una pluralità di opzioni in modo da consentire ad ogni singolo Comune, in ragione della peculiare situazione, la scelta che meglio soddisfi le esigenze di procurement del Comune stesso.

Il primo modello indicato dal legislatore è l’unione dei Comuni, la norma non pone in essere alcun obbligo espresso di procedere alla costituzione dell’unione, né tuttavia il primato dell’unione sulle altre forme di aggregazione[21]. Chiarisce che “ove esista” un’unione essa assume iuris et de iure la funzione di centrali di committenza per i Comuni ad essa aderenti. 

Altro modulo è quello “dell’accordo consortile” tra i Comuni. Numerose interpretazioni della giurisprudenza contabile, hanno evidenziato come il termine “accordo consortile”, costituisca un’espressione atecnica, con la quale il legislatore ha inteso genericamente riferirsi alle convenzioni definibili in base all’articolo 30 Decreto Legislativo 267/2000, come strumento alternativo alle unioni dei Comuni (Corte di Conti, sez. reg. controllo Umbria, delib. 112/2013/Par 5 giugno 2013, sez. reg. controllo Lazio 138/2013/Par 26 giugno 2013).

 Sul punto si è affermato che l’obbligo per i Comuni non costituiti in unione di procedere alla selezione del contraente per mezzo di accordo consortile, non deve essere inteso come obbligo di costituire un consorzio a cui demandare il compito di istituire una propria centrale di committenza, ma come atti convenzionali volti ad adempiere l’obbligo di istituire direttamente una CUC comune, in modo da evitare la costituzione di organi ulteriori e con essi le relative spese. La convezione potrebbe essere considerata un modello organizzativo, che ancor più dell’unione va a conciliare i vantaggi del coordinamento con il rispetto delle peculiarità di ciascun ente.

Si hanno poi i soggetti aggregatori, secondo quanto disposto dall’articolo 9 commi 1 e 2 del Decreto Legge n. 66/2014, convertito in Legge n. 89/2014, previsti in un numero massimo di 35, sono centrali di committenza “qualificate”, iscritte in un elenco tenuto dall’Autorità nell’ambito dell’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, istituito con delibera n. 58 del 22/07/2015, di cui fanno parte Consip S.p.A., una centrale di committenza per ogni Regione, qualora costituita, ed altri soggetti che svolgono attività di centrale di committenza e che abbiano ottenuto l’iscrizione nell’elenco dei soggetti aggregatori. I requisiti per l’iscrizione sono stati definiti con DPCM 11/11/2014 e pubblicati sulla GURI in data 20/01/2015[22].

Ulteriorefacoltà consentita dalla disposizione è quella per ogni singolo Comune di potersi riferire alle Province, ai sensi della Legge n.56/2014, che possono esercitare le funzioni di stazione appaltante. Il ricorso alla Provincia postula la stipula di una preliminare convenzione, avente ad oggetto la disciplina minuta dei rapporti, ivi compresa la gestione dei costi per lo svolgimento della funzione di centrale di committenza. Appare evidente che l’accordo tra due Comuni è un fatto giuridico distinto  dall’accordo tra Comune e Provincia in quanto, se la CUC tra più Comuni è un ufficio che svolge funzioni per tutti gli enti aderenti, nel caso di accordo tra Comune e Provincia, quest’ultima porrà in essere un’attività a beneficio esclusivo dei Comuni stipulanti.

Le uniche deroghe all’obbligo di procedere agli acquisti in forma aggregata, sono riconosciute a favore degli enti pubblici impegnati nella ricostruzione delle località colpite dagli eventi sismici (Abruzzo e Province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo), e dei Comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti per gli acquisti di lavori, servizi e forniture inferiori ai 40.000 euro (articolo 23-ter commi 2 e 3 d.l. n. 90/2014).

Su quest’ultimo aspetto, l’ANCI aveva chiesto, in più occasioni con proposte emendative a provvedimenti legislativi, di esentare dall’obbligo di ricorrere alla CUC fino a un valore di 40.000 euro, per tutti i Comuni, anche quelli con popolazione inferiore a 10.000 abitanti. La richiesta dell’ANCI è stata avanzata per garantire l’erogazione di servizi che rientrano nelle funzioni che quotidianamente i “piccoli” Comuni devono assicurare in favore delle proprie collettività amministrate, per scongiurare il rischio di ulteriori penalizzazioni e aumenti di costi dovuto al quadro normativo molto complesso e che, in particolare nei piccoli Comuni rischia di ingessare il sistema di acquisizione. L’ANCI inoltre ha evidenziato che il quadro organizzativo ridisegnato dal legislatore pone problemi inediti che i Comuni devono affrontare e risolvere in un contesto di continuità con lo svolgimento delle funzioni proprie, costituzionalmente poste in capo ai Comuni.

La richiesta avanzata dall’ANCI, ha trovato formalmente espressione nel disegno di legge di stabilità 2016, fino a 40.000 euro tutti i Comuni potranno procedere autonomamente[23], e in mancanza di un’ulteriore proroga per l’entrata in vigore dell’articolo 33 comma 3-bis[24],  per soli due mesi vi sarà l’esistenza di un doppio binario, che sarà eliminato dal 2016.

L’Autorità, nel frattempo, dal primo di novembre ha sospeso il rilascio dei codici identificativi delle gare (CIG), necessari all’avvio delle procedure di assegnazione dei contratti a tutti i Comuni non capoluogo di Provincia per importi superiori ai 40.000 euro, e ai  soli Comuni  con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti per importi inferiori ai 40.000 euro, che procedono agli acquisti di lavori servizi e forniture in violazione degli obblighi di centralizzazione/aggregazione[25].

In alternativa ai quattro modelli organizzativi, gli stessi Comuni obbligati possono effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento, ciò come letteralmente riportato   dalla  disposizione normativa,  solo in riferimento agli acquisti di beni e servizi, e non di lavori. In altri termini, a seguito  dell’omessa previsione dei “lavori” nell’inciso normativo che principia con in alternativa,  sembra che gli acquisti dei medesimi   possono  essere effettuati  solo attraverso le centrali di committenza[26].

3. Problemi operativi, spunti di riflessione e criticità

Il modello organizzativo prescelto dai Comuni che partecipano alla convenzione, è spesso quello di costituire uffici delegati, che operano sulla base di una delega di funzioni, da parte degli enti partecipanti all’accordo, a favore di uno di essi, che agisce in luogo e per conto degli enti deleganti, sebbene il comma 4 dell’articolo 30 Decreto Legislativo 267/2000 preveda anche la possibilità di costituire uffici comuni, che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti, ai quali affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all’accordo.

E’ importante evidenziare che a differenza di quanto previsto per le convenzioniin materia di gestioni associate obbligatorie per le funzioni fondamentali, per la stipula dell’accordo consortile, non è richiesto il raggiungimento di alcuna classe demografica o territoriale[27], cosi come confermato anche dalla giurisprudenza contabile, Corte dei Conti sez. reg. Liguria n. 44/2013: “si può rilevare che il legislatore abbia previsto il duplice modello procedimentale del ricorso ad una centrale di committenza delegata dai comuni associati ovvero, più direttamente, ad un acquisto diretto fatto dai comuni tra loro consorziati, a prescindere dal fatto che i medesimi raggiungano o meno una determinata classe demografica o territoriale, perché la norma non pone limiti di sorta, riuscendo così a conseguire l’obiettivo prefissato delle economie di scala nell’acquisto di beni e servizi”.

Si rileva l’importanza della corretta costituzione della CUC, in quanto strumentale alla corretta gestione degli appalti pubblici. Concretamente potrebbe accadere che, ciascun operatore economico che partecipa ad una procedura di affidamento sia titolare di un interesse strumentale al ricorso[28], che gli attribuisce la facoltà giuridica di contestare qualsivoglia vizio che incida sulla legittimità della procedura, dal quale si possa ottenere la ripetizione della medesima. Non appare superfluo sottolineare che la procedura in sé potrebbe essere perfetta, ciò non toglie che se posta in essere da un soggetto non titolato è comunque illegittima e destinata ad essere travolta da un ricorso giurisdizionale[29].

Si rileva altresì l’importanza della CUC, come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione, ed infatti i Comuni associati possono d’intesa definire specifiche misure per la prevenzione della corruzione, in relazione a problematiche e criticità rilevate, da sottoporre al Responsabile Anticorruzione del Comune designato come ente capofila per l’inserimento nel Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione.

L’aspetto più problematico per rendere operativa la CUC è l’individuazione della dotazione organica, giacché essa è il frutto di una scelta politica, che richiede necessariamente un previo accordo con il Sindaco del Comune associato.

I singoli Comuni associati individuano tra i propri dipendenti i soggetti con qualifica professionale adeguata per svolgere il ruolo di Responsabile del procedimento nelle acquisizioni di servizi e beni o di Responsabile unico del procedimento per acquisizione di lavori.

Questa indicazione comporta non pochi problemi di ordine operativo. Che accade quando l’affidamento della CUC sia congiunto per più amministrazioni aggiudicatrici? Ossia se un appalto di trasporto scolastico è appaltato mediante un’unica procedura ma a beneficio di due o più Comuni, chi svolge la funzione di Responsabile del procedimento?

Su quest’aspetto è intervenuta anche l’ANAC, che con determinazione n.11/2015, ha ribadito che in via astratta, il principio della nomina di un responsabile unico del procedimento, tenuto conto quanto prevede più in generale la Legge 241/90, circa l’obbligo di individuarlo, trova applicazione nei confronti dei Comuni interessati dal comma 3-bis dell’articolo 33 del Codice. In ragione della previsione del comma 3-bis, ciascuna fase del procedimento di acquisto può risultare affidata a diverse amministrazioni: singolo Comune e modulo associativo prescelto. In tal caso ogni struttura amministrativa coinvolta nel procedimento di acquisto, in quanto competente ex lege per la fase  sub-procedimentale alla stessa affidata, dovrà individuare la propria unità organizzativa preposta alla gestione della relativa fase e procedere alla nomina del Responsabile della medesima, salvo l’ipotesi in cui tutte le diverse fasi procedimentali siano gestite dal modulo associativo prescelto, nel qual caso quest’ultimo nominerà un unico responsabile dell’intero procedimento[30].

Posto che le attività della CUC, secondo quanto disposto dall’articolo 4 della convenzione, si arrestano alla fase dell’aggiudicazione provvisoria, ci si è interrogati se la competenza della CUC potesse estendersi fino all’aggiudicazione definitiva. Ed infatti, non è mancato chi ha sostenuto tale interpretazione espansiva, trovando supporto nel termine “acquisizione” della norma, il quale sembrerebbe  alludere al completamento della procedura di gara, che si conclude con le comunicazioni d’ufficio, prima di procedere alla stipula del contratto. Altro elemento che gioca a favore di questa interpretazione espansiva è dato dalla necessità di evitare contrasti tra quanto deciso dalla CUC in  sede di aggiudicazione provvisoria e quanto sostenuto dall’ente deputato all’aggiudicazione definitiva [31]. 

Altra importante questione è stata quella di fissare la competenza ad assumere l’impegno di spesa, poiché la procedura di gara ed ancor più l’aggiudicazione definitiva, devono indicare il relativo programma di spesa, ai sensi dell’articolo 191 TUEL. Il costo dell’acquisizione del bene, del servizio o del lavoro è a carico dell’ente interessato all’acquisto, ed è naturale conseguenza che la CUC non può compiere imputazioni di spesa su bilanci altrui. Importanza riveste anche la disciplina dei rapporti finanziari tra gli enti, ed il riparto delle spese connesse allo svolgimento delle procedure[32]. L’ANAC, in merito ai costi di gestione, in più occasioni non ha mancato di rilevare che l’attività della struttura organizzativa deve essere conformata ai principi di razionalizzazione delle procedure e al conseguimento di risparmi di spesa.

La questione forse più delicata è quella dell’insorgenza e gestione del contenzioso. Ci si è quindi interrogati su chi deve sostenere le spese di costituzione in giudizio e quelle per eventuali risarcimenti danni, riferite alle procedure di gara. Ricadono sul Comune sede della CUC o sul Comune  interessato dalla procedura di gara effettuata in suo favore? La risposta più ovvia sembrerebbe essere quella di prevedere le spese in capo al Comune interessato, ciò in base alla ragionevole considerazione che la gara è stata indetta in suo favore. Tale soluzione appare agevole per le procedure di gara che attengono ai lavori pubblici, in quanto la CUC riceve dal RUP dell’ente interessato alla gara, tutta la documentazione tecnica inerente la gara medesima (capitolato, disciplinare). Si potrebbe affermare quindi, che il soggetto passivo del ricorso è l’ente committente e non la CUC, potendo profilarsi la responsabilità del responsabile CUC solo dove si evidenzia un vizio procedurale imputabile alla centrale di committenza. Diversamente, per le gare di forniture e servizi che potrebbero essere svolte per conto di tutti i Comuni che hanno costituito la CUC si pongono problemi maggiori. In merito, unanime giurisprudenza,  imputa alla CUC interamente la responsabilità delle procedure di affidamento e dunque in un eventuale giudizio, parte processuale sarebbe solo la CUC: “ I Comuni che aderiscono all’accordo che istituisce la centrale sono meri beneficiari della procedura indetta ed espletata dalla stessa e sono vincolati alle vicende anche giudiziarie della gara, sicché mentre gli effetti e i risultati di questa sono imputati ai comuni, l’imputazione formale degli atti, rilevanti ai fini della notifica del ricorso impugnatorio, non può che ricadere sulla CUC, contraddittore necessario dello stesso, in quanto competente in via esclusiva all’indizione, regolazione e gestione della gara e responsabile della stessa”, cosi TAR Abruzzo Sez. I 16/10/2014 n. 721 e tra gli altri Tar Lombardia Sez. IV 27/02/2015 n. 588. Il Presidente dell’ANAC con recente comunicato n. 2/2015, in merito ha affermato che i Comuni che realizzano una forma di aggregazione di natura convenzionale, devono prevedere ad una puntuale predeterminazione dei soggetti sui quali ricadranno sia gli obblighi informativi, che la legittimazione attiva e passiva in giudizio, riservando a tali finalità apposite clausole della convenzione.

Infine si è posta l’attenzione sull’ambito oggettivo di applicazione dell’articolo 33 comma  3-bis, giacché l’articolo 33 comma 2 Decreto Legislativo163/2006 stabilisce che “le centrali di committenza sono tenute all’osservanza del presente codice”, e data tale espressione, ci si è chiesti se le concessioni di servizi di cui all’articolo 30 del codice dei contratti, e le concessioni di lavori pubblici di cui all’articolo 143 e seguenti rientrano nell’alveo delle centrali di committenza obbligatorie.  La risposta negativa per quanto concerne le concessioni di servizi potrebbe trovare fondamento nel comma 1 articolo 30 Decreto Legislativo 163/2006, ove si introduce il principio di specialità delle concessioni medesime.

L’ANAC in merito con determinazione n. 11/2015 ha cercato di fare chiarezza, affermando che l’ambito di applicazione del comma 3-bis dell’articolo 33 è riferito ai contratti di appalto pubblico di lavori, forniture e servizi, ivi compresi i servizi tecnici. Sono sottratti all’obbligo di acquisizione in forma aggregata gli appalti esclusi in tutto o in parte dall’applicazione del codice (artt.19-26), tra cui i servizi dell’allegato IIB (servizi sociali, culturali etc.). Sono inoltre  sottratte a tale obbligo le concessioni di servizio.  Già l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 7 maggio 2013, n.13 aveva precisato che “… la distinzione tra appalto e concessione attiene alla struttura del rapporto, che nell’appalto di servizi intercorre tra due soggetti (la prestazione è a favore dell’amministrazione), mentre nella concessione di servizi pubblici intercorre tra tre soggetti, nel senso che la prestazione è diretta al pubblico o agli utenti”. Non sussiste, pertanto, un acquisto destinato al Comune.

Per le concessioni di lavori, pur esistendo un rinvio formale anche all’articolo 33, operato dall’articolo 142 comma 3 del codice, tenuto conto del fatto che il comma 3-bis costituisce una sopravvenienza normativa rispetto al richiamato rinvio, nonché delle difficoltà applicative connesse alle specificità del modulo concessorio - anche se attivato sotto forma di project financing - i Comuni non capoluogo devono valutare la possibilità di porre in essere strutture specializzate nella gestione delle suddette procedure, in possesso del know haw tecnico più adeguato. Dunque la normativa si va orientando nella direzione di riservare alla centrale di committenza solo una parte e nemmeno quella maggioritaria delle procedure di gara. Ciò testimonia indirettamente come la strada indicata sia tutt’altro che l’unica e comunque davvero in grado di far conseguire maggiori risparmi ed efficienze [33].

La determinazione dell’ANAC n.11/2015 ha anche chiarito il rapporto tra il nuovo regime introdotto dall’articolo 3- bis e i previgenti obblighi di acquisto di beni e servizi di valore inferiore alla soglia di rilievo comunitario, cosi come disposto dall’articolo 1 comma 450 Legge n. 296/2006, tramite Mepa, o ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi dell’articolo 328 Decreto del Presidente della Repubblica 207/2010 o a diversi sistemi telematici delle centrali regionali di riferimento. Ed invero, prima della novella del comma 3-bis, la Corte dei Conti ha ritenuto riferibile siffatto obbligo a tutte le procedure di acquisto sotto la soglia comunitaria senza deroghe di sorta (Corte dei Conti sez. controllo Piemonte n. 211/2013 PAR; sez. contr. Lombardia n.112/2013/PAR). Uniche eccezioni a tale obbligo erano la non reperibilità o idoneità dei beni e servizi rispetto alla necessità dell’ente locale, e ciò con previa istruttoria e adeguata motivazione nella determina a contrarre (Corte dei Conti sez. Marche n. 169/2012/PAR), ovvero l’ipotesi in cui, fuori dai mercati elettronici e telematici erano previste condizioni di acquisto migliorative (Corte dei conti sez. Toscana n.151/2013/PAR.) Ci si è interrogati se l’obbligo posto dal comma 450 L. n. 296/2006 debba ritenersi superato dal nuovo regime di cui al comma 3-bis. Un recente parere della Corte dei Conti, sez. reg. contr. Basilicata n.67/2014, ha specificato “ che il comma 3-bis tipizza il ricorso agli strumenti elettronici gestiti da altre centrali di committenza di riferimento e/o al Mepa, non come obbligo autonomo, ma come modalità di acquisto accentrato alternativo al ricorso alle CUC”. Questo dunque dimostra che nella novella normativa non è rinvenibile alcuna intenzione di superare il regime previgente.

4. Considerazioni conclusive

Un giudizio complessivo sul nuovo sistema sarà possibile solo dopo la diffusa applicazione degli obblighi da esso sanciti. Tuttavia l’analisi sin qui svolta, conferma la necessità di una riorganizzazione complessiva del sistema amministrativo locale, poiché la tendenza a perseguire il contenimento e la riduzione della spesa pubblica, incidendo sui diversi livelli di governo del sistema ha comportato per gli enti locali una nuova spinta verso “l’accentramento”. Tale accezione non va intesa come riallocazione di compiti e funzioni dalla periferia verso il centro, bensì come imposizione di forme di gestione associate che più connotano la configurazione delle identità locali, quali sono quelle fondamentali, ed in specie nei Comuni di dimensioni minori[34]. L’obiettivo di eliminare la duplicazione delle spese, ha portato ad una preferenza a forme di associazionismo basato su modelli giuridici a “costo zero”, ossia in grado di non generare nuovi costi economici a carico delle amministrazioni interessate, da qui l’attenzione per le unioni e le convenzioni. Il sistema dell’associazionismo “obbligatorio” va  letto non come strumento che contrasta il principio di autonomia, poiché annullerebbe la libera determinazione dei Comuni, bensì come strumento che valorizza l’autonomia in quanto consentirebbe la concreta attuazione del principio di sussidiarietà e quindi l’esercizio di funzioni e compiti loro assegnati. A questo punto è lecito domandarsi: ma la centralizzazione degli acquisti, quale forma di gestione associata, sarà in grado di generare concretamente i risparmi da tempo attesi? Sebbene manchino al momento studi tecnici capaci di supportare la tesi data per dogma, si può tuttavia affermare che la centralizzazione “forzata” non garantisce automaticamente un beneficio complessivo per la collettività in termini di risparmio di spesa e di efficienza negli acquisti. Affinché ciò sia possibile, è necessario che oltre alla centralizzazione delle procedure di acquisto si possano determinare le condizioni per una reale aggregazione della domanda, ivi compresa quella emergente da una programmazione su scala territoriale vasta. Una centralizzazione “spinta” infatti, non consegue automaticamente dei risparmi di spesa, anzi al contrario potrebbe aumentare i costi, ad esempio, per gli acquisti cosidetti economali, l’impiego richiesto per la costituzione di una centrale di acquisto comporta oneri maggiori ai risparmi indotti per gli acquisti centralizzati sotto soglia[35].

Altro elemento di critica che si può far notare è che a causa della maggiore centralizzazione, la dimensione delle gare d’appalto crescerà ulteriormente (basta ricordare come ha fatto il Presidente dell’ANAC, che la dimensione media dei lotti in Italia è salita dal 2011 al 2014 del 33%, da 600mila a 800mila euro), rendendo ancora più difficile la vita a micro e medie imprese, che dalla domanda pubblica dovrebbero ottenere quelle commesse che rappresentano ossigeno ed occasione di crescita dimensionale. E questo in un quadro in cui la Commissione UE chiede di garantire spazi per le piccole e medie imprese. L’ANCI, in merito ha sostenuto in diverse occasioni che l’obiettivo deve essere di duplice natura. Da un lato bisogna aggregare per acquistare solo laddove l’aggregazione comporti una valorizzazione territoriale, intesa come modalità inedita per soddisfare esigenze che si sviluppano su una scala territoriale più ampia del livello comunale. La riforma delle modalità di acquisizione ha un senso laddove si introducono meccanismi “premianti”, che oltre a perseguire risultati in termini quantitativi, consentono di qualificare la domanda e quindi i bisogni in ambito sovra comunale. Dall’altro, in termini di rispetto dei limiti di spesa, sarebbe più opportuno indicare gli obiettivi di riduzione e lasciare ai Comuni la scelta degli strumenti e delle azioni per conseguirli, ivi comprese le modalità organizzative di collaborazione territoriale. Pertanto si ritiene, come evidenziato dalla stessa ANCI, che si dovrà probabilmente ripartire dal territorio per individuare le modalità aggregative che meglio sanno cogliere le peculiarità e i fabbisogni e quindi trovare la soluzione organizzativa più adatta per soddisfarli.

5. La Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di Stabilità per l’anno 2016)

Non sono poche le novità previste dalla Legge di Stabilità in materia.

L’articolo 1 comma 494 della Legge di Stabilità per l’anno 2016 novella la disciplina degli acquisti centralizzati. In particolare vengono ampliate le possibilità di acquisto in deroga di alcune tipologie di beni e servizi per le quali è previsto l’obbligatorio ricorso alle convenzioni Consip e dei soggetti aggregatori regionali. Le amministrazioni possono sviluppare procedure autonome prevedendo a base d’asta corrispettivi inferiori a quelli delle convenzioni-quadro del 10% per alcune categorie e del 3 % per altre.

L’articolo 1 commi 496-499 prevede invece il rafforzamento del sistema Consip-soggetti aggregatori. In particolare viene ad essere potenziato il sistema relativo agli obblighi e alle facoltà di acquisto di beni e servizi mediante le convenzioni Consip e dei soggetti aggregatori regionali, per i quali l’ambito territoriale di riferimento è individuato per la definizione delle convenzioni-quadro. Anche le società partecipate (eccetto le quotate) potranno ricorrere alle convenzioni Consip e dei soggetti aggregatori e saranno obbligate a fare riferimento ai parametri qualità prezzo in esse definiti per acquisti autonomi.

Relativamente all’affidamento diretto lavori, fermi restando gli obblighi di acquisto con convenzioni e mercato elettronico, la possibilità di acquisizione di lavori, servizi e forniture con affidamento diretto entro i 40.000 euro viene estesa anche ai Comuni sotto i 10.000 abitanti. (articolo 1 comma 501).

L’obbligo di ricorso al mercato elettronico o alle piattaforme telematiche è previsto per tutti gli acquisti di valore compreso tra i mille euro e la soglia comunitaria (209.000 euro), sia per le amministrazioni statali, sia per gli enti locali e quelli del servizio sanitario regionale (articolo1 commi 502-503).

Gli strumenti di acquisto di Consip possono peraltro riguardare anche attività di manutenzione (articolo 1 comma 504).

È inoltre previsto uno specifico obbligo di programmazione per gli acquisti  di beni e servizi. Le P.a. devono infatti devono approvare un programma biennale per gli acquisti di beni e servizi di importo unitario stimato superiore a un milione e devono aggiornarlo annualmente. Il programma su base biennale per gli acquisti di beni e servizi di importo unitario stimato superiore a 1.000.000 di euro deve essere pubblicato sul sito istituzionale e sull’osservatorio dell’Anac. Le amministrazioni possono realizzare acquisti di beni e servizi al difuori del programma solo per eventi imprevedibili o calamitosi, nonché per sopravvenute modifiche legislative. I dati della programmazione sono trasmessi al tavolo dei soggetti aggregatori per consentire la gestione su base più ampia degli acquisti di alcune macro-tipologie di beni e servizi. Le amministrazioni comunicano e pubblicano nel testo integrale anche tutti i contratti stipulati in esecuzione del programma biennale (articolo 1 comma 510).

Infine, le amministrazioni obbligate ad utilizzare convenzioni Consip o dei soggetti aggregatori, potranno procedere ad acquisti autonomi di beni e servizi presenti nelle convenzioni solo quando questi non siano idonei a soddisfare lo specifico fabbisogno per mancanza di caratteristiche essenziali. L’acquisto dovrà essere autorizzato dall’organo di governo e comunicato alla Corte dei Conti (articolo 1 comma 505).

6. La diversa “centralizzazione” dei servizi pubblici locali: un’analisi comparata. Le prospettive “de iure condendo”

Tra i decreti attuativi della Legge 7 agosto 2015, n. 124 (cd. Riforma Madia della P.A.) adottati dal Governo in sede di esame preliminare nella seduta del Consiglio dei Ministri del 21 gennaio 2016 vi è il decreto legislativo recante l’adozione del testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale.

Sembra potersi osservare che la difficoltà nell’aprire decisamente tali settori alla concorrenza nasce dal fatto che si tratti di ambiti in cui innanzitutto l’indiscriminata concorrenza potrebbe risolversi in danno dei cittadini utenti: si pensi al caso in cui l’aggiudicazione al miglior offerente si riveli negativa, non essendo peraltro semplice risolvere giuridicamente un rapporto contrattuale ed instaurarne un altro senza che vi siano soluzioni di continuità o ricadute quali - quantitative nello svolgimento del servizio.

Inoltre va considerato che lo svolgimento delle gare per l'affidamento della gestione di un servizio di interesse generale è una questione di grande complessità; anche perché la maggior parte dei Comuni, soprattutto i più piccoli, non si possono permet­tere di avere all'interno tutte le competenze tecnico-amministrative necessarie.

Non va peraltro taciuto il fatto che in tali settori sussistono le condizioni che favoriscono situazioni di monopolio naturale che solo il ricorso ad un unico soggetto gestore potrebbe permettere di sfruttare.  D’altronde le recenti acquisizioni normative in materia di “Ambiti Territoriali Ottimali” sembrano proprio deporre in tal senso. Si pensi a quanto avvenuto per il servizio idrico integrato sulla spinta del Codice dell’Ambiente, oppure agli ATEM per la distribuzione del gas.

L’articolo 19 della legge 7 agosto 2015, n. 124, ha pertanto cercato di dare una risposta a questi problemi delegando il Governo ad intervenire sulla disciplina dei servizi pubblici locali.

Lo schema di decreto legislativo adottato dal Governo nella seduta del 21 gennaio, in sede di esame preliminare, prevede l’adozione di un testo unico di riordino della materia in attuazione della delega.

Si afferma la “centralità del cittadino” nell’organizzazione e produzione dei servizi pubblici locali di interesse economico generale. L’erogazione dei servizi pubblici locali è ispirata a principi di efficienza ed efficacia nella soddisfazione dei bisogni dei cittadini.

Si promuove la concorrenza, la parità di trattamento tra pubblico e privato e adeguati livelli di tutela della qualità degli utenti. Nello specifico, al fine di garantire qualità e efficienza dei servizi per i cittadini sono previste, tra l’altro, modalità competitive per l’affidamento e applicazione dei costi standard nelle tariffe.

L’obiettivo è quello di migliorare la qualità dei servizi pubblici, sinora condizionata da procedure di affidamento poco trasparenti e da controlli inefficaci in fase di gestione.

Il provvedimento si lega a doppio filo con l’altro testo unico sulle società a partecipazione pubblica adottato dal Governo nella medesima seduta del 21 gennaio, sempre in sede di esame preliminare.

Il decreto infatti, disciplina la fusione delle società per azioni locali che si occupano di servizi pubblici, dall’acqua ai rifiuti. Si prevede l’aggregazione, incentivata, su base territoriale, con la creazione di “distretti”, così determinando livelli dimensionali di ambiti, almeno provinciali, per l’erogazione dei servizi. Ad individuare gli ambiti ottimali saranno le Regioni e se non provvederanno sarà il Governo a intervenire esercitando i poteri sostitutivi.

Il provvedimento valorizza le autonomie locali, alle quali viene riconosciuta la funzione fondamentale nell’individuare quelle attività di interesse pubblico considerate necessarie ai bisogni della comunità, nel rigoroso rispetto dei principi comunitari in materia.

Il decreto disciplina l’organizzazione e la gestione dei servizi pubblici, partendo dal principio che il pubblico interviene quando l’attività privata non può garantire parità di servizi a tutti i cittadini; si prevede la soppressione dei regimi di esclusiva non conformi ai principi generali in materia di concorrenza.

E’ altresì previsto un sistema di tutela non giurisdizionale per gli utenti dei servizi, nonché la possibilità di forme di consultazione e partecipazione diretta degli stessi.

L’indagine complessiva non potrà peraltro prescindere dalle novità apportate dal nuovo Codice degli appalti, attualmente al Consiglio di Stato per la prestazione del previsto parere di legge. L’architettura del sistema richiederà infatti una lettura parallela e sistematica di tutti i suesposti interventi normativi, valutandone le possibili interferenze e sciogliendo i nodi applicativi derivanti dall’esperienza “sul campo” ed operativa dell’impatto regolatorio.

 

[1] Art. 33 comma 3-bis: “ I Comuni non capoluogo di Provincia procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle unioni dei comuni di cui all’art. 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i Comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle Province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle Province, ai sensi della legge 7 aprile n. 56/2014. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara ai Comuni non capoluogo di provincia che procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma. Per i Comuni istituiti a seguito di fusione l’obbligo di cui al primo periodo decorre dal terzo anno successivo a quello di istituzione”.

[2]  Consip è una società per azioni del MEF, che è l’azionista unico, ed opera secondo i suoi indirizzi strategici. E’ nota per essere la centrale acquisti per la pubblica amministrazione italiana.

[3] Dal punto di vista macroeconomico, poiché lo Stato può utilizzare la spesa pubblica come uno strumento per influenzare l’andamento dell’economia del Paese, la definizione della spesa sostenuta dalle P.A. assume caratteristiche distintive differenti. Gli economisti sono soliti separare la spesa delle pubbliche amministrazioni, sia per consumi che per investimento, dalle voci di spesa per consumi finali (spesa per beni e servizi finalizzata al consumo), e formazione netta di capitale (rappresentante l’investimento totale). Questa distinzione conduce, così, alla definizione di tre differenti categorie macroeconomiche : consumo, investimento e spesa pubblica. Nella teoria macroeconomica, pertanto la spesa pubblica assume il ruolo di componente fondamentale del PIL del paese.

[4]A riguardo vedi : G. Napolitano, “Il Meccanismo europeo di stabilità e la nuova frontiera costituzionale dell’Unione”, e R. Perez, “Il Trattato di Bruxelles e il Fiscal Compact” in Giornale di diritto amministrativo 2012, n. 5 pag 461 e ss. e 469 ss.

[5] Ci si riferisce al d.l. 52/2012 convertito  in L. n. 94/2012 e al d.l. 95/2012 L n. 135/2012, su cui si vedano AA.VV. , “Le nuove misure di controllo della spesa pubblica”, e AA.VV. ,“Il decreto spending review”, rispettivamente in Giornale di diritto amministrativo 2012 n. 10 pag. 917 e ss. e n.12 pag.1163 e ss.

[6] Le economie di scala permettono alle imprese fornitrici di abbassare i costi unitari, poiché  la concentrazione della domanda, consente di imporre sull’offerta un maggiore potere contrattuale quindi ottenere vantaggi negli acquisti. Tale discorso ha una sua plausibilità solo se la gara gestita dalla centrale di committenza abbia contenuto ampio e non si limita ad un contenuto ridotto, riferite alle esigenze di un solo soggetto pubblico.

[7] Si tratta di una delle modalità con cui può essere attuata la centralizzazione delle procedure di appalto che, può fondarsi anche su accordi quadro, sull’organizzazione di gruppi di acquisto, sulla stipula di convenzioni  dedicate,  in F. Di Lascio “La centralizzazione degli appalti, la spending review e l’autonomia organizzativa locale”, in Giornale di diritto amministrativo n. 2/2014 pag. 206 e ss.

[8] Cosi il considerando n. 15 della direttiva n.18/2004. Nell’ordinamento italiano, ad esempio il modello Consip era stato il primo modello previsto dalla L. 488/1999.

[9] Il provvedimento definisce la centrale di committenza come : “ un’amministrazione aggiudicatrice che : acquista forniture e/o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici”.

[10] F. Di Lascio “La centralizzazione degli appalti, la spending review e l’autonomia organizzativa locale”, in Giornale di diritto amministrativo n. 2/2014 pag. 208.

[11] Art. 11 della direttiva 2004/18/CE.          

[12] Il considerando 16 della direttiva 2004/18/CE, richiama anche gli accordi quadro, i sistemi dinamici di acquisizione, le aste elettroniche ed il dialogo competitivo.

[13] Consideranda 71 e 73 direttiva n.24/2014.                                      

[14]In ossequio al decimo considerando della Direttiva 24/2014, l’organismo di diritto privato è in sostanza un operatore economico privato che opera nel mercato. Infatti, il decimo considerando, dedicato all’organismo di diritto pubblico, si può leggere che  a tal fine, è opportuno precisare che un organismo che opera in condizioni normali di mercato, mira a realizzare un profitto e sostiene le perdite che risultano dall’esercizio delle sua attività non dovrebbe essere considerato un “organismo di diritto pubblico”, in quanto è lecito supporre che sia stato istituito allo scopo o con l’incarico di soddisfare esigenze di intererre  generale che sono di natura industriale o commerciale.

[15] In merito vedi: Massimiliano Alesio , “Le centrali di committenza obbligatorie: lo scenario teorico e le delicate implicazioni pratiche”  in Rivista Comuni d’Italia  n.1/2015 pag 65 e ss.

[16] S. Venturi , “Gli acquisti di beni e servizi tramite le centrali uniche di commitenza”, 2014 EDK editore pag. 22 e ss.: l’intreccio che si genera tra i soggetti coinvolti dovrebbe trovare una corretta qualificazione giuridica, in funzione della disciplina dei rapporti che nasceranno, la quale tuttavia non appare agevole, potendo la stessa essere influenzata da elementi variabili sulla base dei quali si possono generare rapporti giuridici che si avvicinano al contratto a favore di terzi, alla rappresentanza legale ovvero al contratto di mandato implicito. In particolare nello schema del contratto a favore di terzi, art. 1411 c.c., la semplice richiesta di un DURC in fase di gestione del contratto dovrebbe rimanere in capo alla CUC, poiché tale richiesta rappresenta una vera e propria obbligazione di facere alla quale il terzo non può essere assoggettato. Il terzo non può acquisire oneri, ma solo diritti, in ragione del fatto che la deroga al principio secondo cui res inter alios acta terzio neque nocet, neque prodest, si giustifica proprio per il fatto che lo sconfinamento nella sfera giuridica altrui ha come finalità esclusiva quella oggettiva di attribuire un favor privo di aspetti negativi. Ricostruendo la struttura in chiave di rappresentanza legale, si potrebbe giungere alla conclusione che la CUC  esaurisce il suo scopo nella stipula per contro anche di altre amministrazioni aggiudicatrici, divenendo queste ultime parti negoziali per l’adempimento delle prestazioni pro quota con a carico l’adozione di tutte le eventuali attività propedeutiche alla liquidazione del corrispettivo, tra cui ad esempio quelle relative alla richiesta del DURC. Ricostruendo la struttura in chiave di contratto di mandato con rappresentanza si può giungere alla conclusione che la CUC non esaurisce il suo scopo nella stipula per conto anche  di altre amministrazioni aggiudicatrici, ma pone in essere anche tutte le attività successive relative alla fase di gestione del contratto, tra cui quelle relative alla richiesta del DURC, all’applicazione delle penali e all’attestazione di regolare esecuzione, ecc.

[17] Se “acquista evidentemente stipula il contratto dal quale sorgono rispettivamente l’obbligo di pagare il corrispettivo e l’obbligo dell’appaltatore di realizzare la prestazione dedotta in contratto.

[18] Comma aggiunto dall’art.23 comma 4 L n. 214/2011, poi  modificato dall’art. 1 comma  4 L n. 135/2012, poi modificato dall’art. 1 comma 343 L n. 147/2013, poi sostituito dall’art. 9 comma 4 L n. 89/2014, poi modificato dall’art. 23-bis della L. 114/2014.    

[19]  Nell’art. 13 L. 136/2010, “Piano straordinario contro le mafie”, si afferma che la SUA risponde alla finalità di “assicurare la trasparenza, la regolarità e l’economicità della gestione dei contratti pubblici o di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose”. 

[20] A ben vedere, l’attuale formulazione della norma nazionale, art. 33 comma 3-bis che prevede l’obbligo di costituzione delle CUC, come strumento per acquisire commesse pubbliche per i comuni non capoluogo, non è compatibile con il tenore letterale dell’art. 37 della  Direttiva n. 24/2014, in quanto il medesimo articolo sottolinea che non è possibile imporne l’obbligo. A riprova di quanto indicato, vi è l’art. 38 della Direttiva che disciplina l’istituto dell’appalto congiunto occasionale.  Questa norma sarebbe di fatto anestetizzata, oltre che inutile, laddove un’amministrazione aggiudicatrice fosse costretta ab origine ad utilizzare l’unico strumento della centrale di committenza.

Il contenuto della disposizione normativa, che si esprime in termini di facoltà, pur essendo inserito in una Direttiva ad oggi non recepita, non può essere disconosciuto da una norma nazionale, poiché gli Stati membri sono obbligati ad applicare ed interpretare il Trattato dell’Unione alla luce del diritto comunitario con la conseguenza che grava sui medesimi l’obbligo del rispetto del principio di leale collaborazione sancito dall’art. 4 comma 3 del TUE. A riguardo vedi : S. Venturi , “Gli acquisti di beni e servizi tramite le centrali uniche di commitenza”, 2014 EDK editore pag. 18.

[21] A conferma di tale lettura risulta determinante la previsione dell’art. 2 comma 28 L 24/12/2007 n. 244 (finanziaria 2008),  che ad ogni amministrazione comunale consente l’adesione ad un’unica forma associativa per ciascuna di quelle previste dagli art. 31, 32 e  33 dal d.lgs. 267/2000. Questo consente non solo di evitare un dispendioso utilizzo dei “moduli aggregativi di scopo”, ma anche di favorire la specializzazione del buyer pubblico, con conseguente efficientamento del sistema.

[22]In merito ai soggetti aggregatori si segnala il ruolo di ASMEL, come centrale di committenza, sia al centro di un braccio di ferro con l’ANAC, che ha rifiutato la richiesta del consorzio di far parte dei 35 soggetti aggregatori. Il provvedimento del Presidente ANAC (delibera n.32/2015), ha infatti bocciato l’operato della società dichiarando “prive di presupposto di legittimazione”, tutte le gare promosse per conto degli enti locali. Tale decisione ha messo a rischio le oltre mille gare gestite da ASMEL  (sono 882 i Comuni aderenti a tale centrale che offre  servizi di centrale appalti attraverso la piattaforma asmecomm), per questo la delibera è stata impugnata da parte di ASMEL.

Il Tar Lazio, con ordinanza 2544/2015, ha confermato il provvedimento dell’ANAC, ma a settembre il Consiglio di Stato ha invertito la rotta, sospendendo con ordinanza cautelare 4016 l’efficacia della delibera ANAC, rispetto alla quale l’ANAC ha richiesto di chiarirne l’ambito di validità. I giudici di Palazzo Spada con ordinanza del 04/11/2015  hanno precisato che “la sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato dall’Autorità, ha avuto ad oggetto esclusivamente la sua incidenza nelle procedure di gara in corso e non anche sulla futura attività amministrativa di ASMEL”,  nelle more della decisione nel merito della controversia. Un dispositivo che salva le vecchie gare del consorzio, ma allo stesso tempo, blocca la possibilità di gestire le nuove procedure per conto dei Comuni fino alla nuova pronuncia del Tar Lazio fissata al 2/12/2015.

[23] L’articolo 1 comma 494 della Legge di Stabilità per l’anno 2016 novella la disciplina degli acquisti centralizzati. In particolare vengono ampliate le possibilità di acquisto in deroga di alcune tipologie di beni e servizi per le quali è previsto l’obbligatorio ricorso alle convenzioni Consip e dei soggetti aggregatori regionali. Le amministrazioni possono sviluppare procedure autonome prevedendo a base d’asta corrispettivi inferiori a quelli delle convenzioni-quadro del 10% per alcune categorie e del 3 % per altre.

[24] L’art. 23-ter del decreto legge 24/06/2014 n. 90 convertito in legge 11/08/2014 n. 114, aveva previsto che la disposizione entrasse in vigore il primo gennaio per  gli acquisti e i servizi e dal primo luglio per i lavori. Successivamente l’art. 8 comma 3-ter L. 27/02/2015 n. 11, modificando l’art. 23-ter, ha fissato al primo settembre l’entrata in vigore della disposizione de qua sia per i lavori che per i servizi e le forniture.  Da ultimo, l’art. 1 comma 169 della legge 13/07/2015 n. 107  ha previsto l’ulteriore proroga al primo di novembre.

[25]In base al comunicato del Presidente dell’ANAC del 10/11/2015,  il mancato rilascio dei CIG, comporta, infine quale sanzione accessoria, espressamente prevista dalla legge n. 136/2010, in tema di lotta alla criminalità organizzata, la nullità assoluta dei contratti stipulati per violazione delle disposizioni sulla tracciabilità dei flussi finanziari.

[26] L’articolo 1 commi 496-499 della Legge di Stabilità per l’anno 2016 prevedono il rafforzamento sistema Consip-soggetti aggregatori. In particolare viene ad essere potenziato il sistema relativo agli obblighi e alle facoltà di acquisto di beni e servizi mediante le convenzioni Consip e dei soggetti aggregatori regionali, per i quali l’ambito territoriale di riferimento è individuato per la definizione delle convenzioni-quadro. Anche le società partecipate (eccetto le quotate) potranno ricorrere alle convenzioni Consip e dei soggetti aggregatori e saranno obbligate a fare riferimento ai parametri qualità prezzo in esse definiti per acquisti autonomi.

[27]  In merito Massimiliano Alesio ,  “Le centrali di committenza obbligatorie: lo scenario teorico e le delicate implicazioni pratiche”, Rivista Comuni d’Italia n.1/2015  pag 68.

[28] Con la sentenza n. 4/2011 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, si delinea in modo chiaro la tutela dell’interesse strumentale, intesa quale posizione giuridica attiva, protetta dall’ordinamento, la cui soddisfazione è realizzabile unicamente attraverso il doveroso rinnovo dell’attività amministrativa della pubblica amministrazione.

[29] S. Venturi , “Gli acquisti di beni e servizi tramite le centrali uniche di commitenza”, 2014 EDK editore pag. 51.

[30] L’ANAC determinazione n.11/2015 sostiene che l’individuazione del RUP debba essere differentemente modulata in rapporto al ruolo esercitato dalla struttura che svolge le attività di committenza, a tal fine possono essere individua le seguenti diverse modalità: 1)soggetto che gestisce una singola gara su richiesta di uno specifico comune (ciò è più frequente e probabile nell’ambito dei lavori, che sono centralizzabili ma più difficilmente aggregabili); 2)soggetto che gestisce le procedure riguardanti più o  tutti i Comuni aderenti all’accordo (acquisto aggregato); 3) soggetto che gestisce la gara di due o più Comuni aggregando più interventi volti a soddisfare le esigenze di ognuno in un unico intervento, che risulterà programmato, progettato affidato e realizzato per loro (si pensi al rifacimento di una strada che collega più centri abitati, ogni tratto della quale appartiene ai diversi comuni).

[31] Massimiliano Alesio , “Le centrali di committenza obbligatorie: lo scenario teorico e le delicate implicazioni pratiche”, in  Rivista Comuni d’Italia n.1/2015 di pag 70.

[32]  In relazione all’efficace ripartizione delle spese connesse allo svolgimento delle procedure,si pone la distinzione tra i costi diretti, costi generali e costi comuni. I costi diretti sono  le spese vive derivanti dalla celebrazione di una specifica procedura di affidamento, sono rimborsati al comune capofila da parte di ciascun comune nel cui interesse è svolta la procedura di affidamento, ed in caso di procedure congiunte sono ripartiti tra i vari comuni in base agli importi posti a base d’asta. I costi generali sono le spese per il funzionamento della CUC, la cui utilità è limitata a tale struttura organizzativa, ed infine i costi comuni, spese la cui utilità può essere diretta sia alla CUC sia di altri servizi dell’ente capofila, calcolati forfetariamente in complessivi mille euro, da suddividere in quote paritarie tra i comuni associati. Inoltre, le entrate e le spese gestite dalla struttura organizzativa operante come CUC sono iscritte nel PEG o in analogo strumento del Comune capofila,in apposita sezione affidata alla gestione del responsabile CUC, in modo da garantire una distinta contabilizzazione.

[33] G. Piga , “Costano cari gli acquisti centralizzati”,  in www.lavoce.info 11/2015.

[34] F. Di Lascio “La centralizzazione degli appalti, la spending review e l’autonomia organizzativa locale”, in Giornale di diritto amministrativo n. 2/2014 pag. 218

[35] G. Olivieri Pannesi e C. Lucidi, “Centrale uniche di committenza, le proposte dei Comuni” in Quotidiano Enti Locali e PA, Luglio 2015.

Abstract

La crisi economica-finanziaria avutasi in Europa nel corso degli ultimi anni, ha ulteriormente accentuato la necessità di razionalizzazione della spesa pubblica, costringendo i Governi europei, maggiormente coinvolti, ad applicare tagli ai programmi di spesa e di investimento, nonché a varare riforme volte a ridurre le risorse impegnate per garantire il funzionamento delle pubbliche amministrazioni.

È in questo contesto che devono essere lette le misure e gli strumenti contenuti nei decreti sulla spending review che contengono previsioni dedicate agli acquisti pubblici.

Il primo novembre 2015 è infatti entrata in vigore la disposizione normativa, articolo 33 comma 3-bis Decreto Legislativo 163/2006, che inibisce ai Comuni non capoluogo la contrattazione autonoma in tema di lavori, servizi e forniture ed impone agli stessi di eseguire le relative procedure di gara in forma aggregata (unione dei Comuni, accordi consortili con altri Comuni, ricorso ai soggetti aggregatori o alle Province), salvo i casi di acquisto con procedure telematiche, comprensivi anche degli acquisti Consip, ancora effettuabili in forma autonoma.

Nel presente lavoro dunque, l’attenzione è rivolta alle centrali di committenza, al fine di evidenziare le criticità e le opportunità derivanti dalla modifica normativa, indagandone il possibile impatto sulla spesa pubblica, anche alla luce delle novità previste dalla Legge di Stabilità 2016, e dalle prospettive “de iure condendo” in tema di servizi pubblici locali e appalti pubblici.

 

Introduzione

Il primo novembre 2015 è entrata in vigore la disposizione normativa, articolo 33 comma 3-bis[1] Decreto Legislativo 163/2006, che inibisce ai Comuni non capoluogo la contrattazione autonoma in tema di lavori, servizi e forniture ed impone agli stessi di eseguire le relative procedure di gara in forma aggregata (unione dei Comuni, accordi consortili con altri Comuni, ricorso ai soggetti aggregatori o alle Province), salvo i casi di acquisto con procedure telematiche, comprensivi anche degli acquisti Consip[2], ancora effettuabili in forma autonoma. La disposizione normativa ad una più attenta riflessione,  non si limita ad imporre un obbligo organizzativo tout court, in quanto si comprende che la tematica dei contratti è materia complessa che abbraccia molteplici aspetti, che non si possono esaurire nel mero aspetto organizzativo del “chi fa”. La funzione acquisti, infatti, riveste un ruolo fondamentale, poiché la spesa per beni, servizi e lavori interessa un considerevole quantitativo di risorse pubbliche, ed è spesso inclusa tra gli ambiti sottoposti a procedure di controllo sui costi degli apparati amministrativi.

La crisi economica-finanziaria avutasi in Europa nel corso degli ultimi anni, ha ulteriormente accentuato la necessità di razionalizzazione della spesa pubblica[3], costringendo i Governi europei, maggiormente coinvolti, ad applicare tagli ai programmi di spesa e di investimento, nonché a varare riforme volte a ridurre le risorse impegnate per garantire il funzionamento delle pubbliche amministrazioni.

Il Governo italiano, già nel corso della XV legislatura, si era impegnato di fronte alle istituzioni europee nell’adottare politiche e processi volti alla creazione di condizioni strutturali utili alla crescita e alla risoluzione delle difficoltà economiche finanziarie, a ciò devono aggiungersi più di recente, gli obblighi derivanti dall’approvazione del Fiscal Compact, che impone il rispetto di nuove regole vincolanti per il pareggio di Bilancio, alla garanzia di un certo limite di deficit strutturale, ed una significativa riduzione del debito pubblico[4]. È in questo contesto che devono essere lette le misure e gli strumenti contenuti nei decreti sulla spending review[5] che contengono previsioni dedicate agli acquisti pubblici. In tale contesto si evidenzia che l’importanza della centralizzazione delle procedure di acquisto, risiede nel fatto che essa è in grado di favorire efficacemente la riduzione ed il controllo delle risorse pubbliche impiegate. A sostegno di tali affermazioni vi sono numerosi argomenti, tra i più significativi si segnalano: la realizzazione di economia di scala[6] , la riduzione del numero di entità organizzative coinvolte nell’esercizio delle funzioni amministrative, facendo così diminuire il costo del controllo sulla regolarità formale delle procedure, nonché accrescere l’efficacia dei controlli interni e un’organizzazione più razionale del personale. La centralizzazione inoltre, può essere considerata strumento di stimolo per l’innovazione delle imprese che partecipano alle procedure, accentuando la concorrenza e con l’avvento della specifica disciplina in materia di anticorruzione, Legge n. 190/2012, sembra imporsi anche un’altra finalità, quella di ridurre il rischio di fenomeni corruttivi, in quanto i centri di responsabilità sono più chiaramente individuati. Nel diritto interno, la centralizzazione dei processi di acquisto è stata perseguita anche attraverso la disciplina e la promozione delle centrali di committenza[7], sebbene ciò che è espresso in termini di facoltà nel primo comma dell’articolo 33 Decreto Legislativo 163/2006 a vantaggio di ogni stazione appaltante ed ente aggiudicatore, è nel comma 3-bis, per i Comuni non capoluogo di Provincia espresso in termini di obbligo, dove sono elencati in modo tassativo i soggetti destinati ad esercitare tali funzioni di acquisto centralizzato. Tale obbligatorietà ha la finalità di garantire il contenimento della spesa pubblica, la razionalizzazione e semplificazione delle procedure, ed è stata confermata anche dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 220/2013, con cui si è chiarita la non applicabilità di tale norma alle Regioni a statuto speciale, salvandone al contempo l’impianto complessivo.

1. La Centrale Unica di Committenza: dal diritto comunitario al diritto interno

Nel diritto comunitario, il fenomeno delle centrali uniche di committenza, inteso come “facoltà” delle amministrazioni aggiudicatrici di fare ricorso ad un soggetto che “acquisti” ovvero “aggiudichi” appalti pubblici per conto delle medesime amministrazioni, trova genesi nell’impostazione della direttiva 2004/18/CE (settori ordinari). La direttiva non ha introdotto tale strumento ex novo, ma ne ha disciplinato l’uso, legittimando un modello organizzativo già utilizzato in diversi Stati membri[8] , ed in particolare nell’articolo 1 par 10 della direttiva, il legislatore europeo si è premurato di definire il concetto di centrale di committenza[9].

Le due funzioni, quella di acquistare e di aggiudicare appalti, non sono antitetiche e possono tranquillamente coesistere[10]: gli Stati membri hanno, a riguardo, piena discrezionalità sia nel decidere, a monte, se utilizzare o meno una centrale di committenza, sia in merito alla definizione concreta del relativo modello giuridico e dei compiti alla stessa assegnati[11]. In generale, la funzione di acquisto può essere strutturata con l’istituzione di una o più centrali, può essere esercitata con gli altri mezzi previsti dalla Direttiva richiamata o, ancora, la centralizzazione delle procedure di acquisto  può avvenire con l’uso di più strumenti tra quelli consentiti[12]. Ciò che rileva, è che, nel caso in cui si ricorra al modello organizzativo in esame, il suo operato può essere legittimo rispetto ai contenuti delle disposizioni comunitarie, soltanto se queste, a loro volta, sono state rispettate dalla centrale di committenza nello svolgimento delle proprie attività.

Lo schema inaugurato con la direttiva n.18/2004, trova ora compiuta ed esaustiva declinazione nell’impostazione della nuova direttiva n. 24/2014. Dalla lettura dei consideranda della nuova Direttiva appalti 2014/24/CE, si evince chiaramente la maggiore attenzione che il legislatore comunitario ha dedicato non solo alle centrali di committenza tout court, ma altresì alle altre forme di cooperazione, anche di natura transfrontaliera[13] . In tema di centrale di committenza la direttiva n. 24/2014 apporta inoltre importanti novità, in quanto introduce l’attività di committenza ausiliaria che può essere fornita anche da soggetti di diritto privato[14].

Se in ambito comunitario le centrali di committenza sono considerate come modello facoltativo, nell’ordinamento nazionale con l’introduzione dell’articolo 33 comma 3-bis Decreto Legislativo 163/2006 esse diventano un modello organizzativo necessitato.

Nel diritto interno, la legittimazione del legislatore statale a disciplinare tale materia, risiede in una pluralità di titoli di competenza, aventi un fondamento formale nell’articolo 117 della Costituzione, secondo il fine legislativo che si intende valorizzare. La ricerca di tale fondamento, ha non solo un carattere di ordine teorico, ma presenta un carattere fortemente pratico, poiché l’obbligatorietà delle centrali di committenza per i Comuni non capoluogo di Provincia, comporta per questi ultimi la perdita del potere di esercizio di un’importante funzione: quella della scelta del contraente[15]. La legittimazione statale può essere ancorata alla competenza esclusiva, di cui all’articolo 117 comma 2 lettera e) della Costituzione, sia se si enfatizza l’obiettivo di riduzione della spesa pubblica, (armonizzazione dei bilanci pubblici), sia se viceversa, si valorizza la finalità di potenziare la concorrenza del settore, in quanto si ritiene che le centrali di committenza incidano sulle logiche di mercato, favorendo migliori condizioni grazie all’aggregazione della domanda.

La definizione di centrale di committenza contenuta nell’articolo 3 comma 34 Decreto Legislativo 163/2006, è pressoché identica a quella contenuta nella direttiva 2004/18/CE. Dalla lettura del testo si evince che la centrale di committenza è un’amministrazione aggiudicatrice che, a) acquista forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori, b) aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori. Nella prima accezione, la facoltà di acquistare forniture e servizi, implica necessariamente anche la potestà di stipulare il contratto per conto dei beneficiari della prestazione[16], dando vita ad un rapporto trilatero tra centrale di committenza, operatore economico appaltatore, amministrazione aggiudicatrice beneficiaria[17]. Nella seconda accezione la centrale di committenza esaurisce la sua funzione con il provvedimento di aggiudicazione, in tal caso anche di lavori, non solo di beni e servizi, traslando in capo alle amministrazioni aggiudicatrici la stipula del contratto pro quota parte.

2. La centralizzazione obbligatoria nei Comuni non capoluogo di Provincia

Quanto finora affermato, va comparato con la nuova formulazione contenuta nell’articolo 33 comma 3-bis[18] del codice dei contratti, che rispetto alla precedente formulazione non solo ha ampliato la platea dei destinatari, estendendola dai soli Comuni con popolazione non superiore ai 5.000 abitanti a tutti i Comuni non capoluogo, ha anche ampliato la gamma dei soggetti con funzioni di aggregazione. Dalla disposizione in oggetto deriva la nozione di centrale di committenza obbligatoria, che a sua volta richiama in parte la Stazione Unica Appaltante[19] (SUA). Come ha ben chiarito la Corte dei Conti Basilicata, parere n. 98/2013, “non si possono sovrapporre le attività della CUC con quelle della SUA, sebbene entrambe le figure organizzative hanno natura di Centrale di committenza” (articolo 3. comma 34 del codice).

La Stazione Unica Appaltante, dal punto di vista della natura giuridica viene ricondotta alla centrale di committenza (articolo 2 DPCM 30/06/2011), specializzata nella gestione degli appalti, che sulla base delle richieste delle amministrazioni cura integralmente la fase della gara, assumendosi  anche la responsabilità della scelta dei sistemi da utilizzare fino alla stipula dei contratti e all’assistenza dell’eventuale contenzioso delle gare.

Il tratto caratteristico delle centrali uniche di committenza che emerge dall’articolo 33 comma 3-bis, è quello di porsi come forme associative, volte ad imporre alle amministrazioni locali di aggregarsi tra loro, per gestire le procedure di gara mediante uffici comuni o delegati, derivanti dalla commistione delle loro risorse ed organici, tali da renderli più organizzati e competenti ai fini di gestioni più efficienti[20].

La Corte dei Conti sez. regionale controllo Campania delib. 1890/2014/Par 10/07/2014 ha affermato che la ratio sottesa alla disposizione è quella di “ limitare l’elevata frammentazione del sistema degli appalti pubblici e di concentrare le procedure ad evidenza pubblica al fine di ridurre i costi di gestione e di far ottenere risparmi di spesa, quantificabili a consuntivo, per le economie di scala”.

Il legislatore, con l’introduzione dell’articolo 33 comma 3-bis, sembra aver messo a disposizione dei Comuni non capoluogo, per l’attività di procurement, una pluralità di opzioni in modo da consentire ad ogni singolo Comune, in ragione della peculiare situazione, la scelta che meglio soddisfi le esigenze di procurement del Comune stesso.

Il primo modello indicato dal legislatore è l’unione dei Comuni, la norma non pone in essere alcun obbligo espresso di procedere alla costituzione dell’unione, né tuttavia il primato dell’unione sulle altre forme di aggregazione[21]. Chiarisce che “ove esista” un’unione essa assume iuris et de iure la funzione di centrali di committenza per i Comuni ad essa aderenti. 

Altro modulo è quello “dell’accordo consortile” tra i Comuni. Numerose interpretazioni della giurisprudenza contabile, hanno evidenziato come il termine “accordo consortile”, costituisca un’espressione atecnica, con la quale il legislatore ha inteso genericamente riferirsi alle convenzioni definibili in base all’articolo 30 Decreto Legislativo 267/2000, come strumento alternativo alle unioni dei Comuni (Corte di Conti, sez. reg. controllo Umbria, delib. 112/2013/Par 5 giugno 2013, sez. reg. controllo Lazio 138/2013/Par 26 giugno 2013).

 Sul punto si è affermato che l’obbligo per i Comuni non costituiti in unione di procedere alla selezione del contraente per mezzo di accordo consortile, non deve essere inteso come obbligo di costituire un consorzio a cui demandare il compito di istituire una propria centrale di committenza, ma come atti convenzionali volti ad adempiere l’obbligo di istituire direttamente una CUC comune, in modo da evitare la costituzione di organi ulteriori e con essi le relative spese. La convezione potrebbe essere considerata un modello organizzativo, che ancor più dell’unione va a conciliare i vantaggi del coordinamento con il rispetto delle peculiarità di ciascun ente.

Si hanno poi i soggetti aggregatori, secondo quanto disposto dall’articolo 9 commi 1 e 2 del Decreto Legge n. 66/2014, convertito in Legge n. 89/2014, previsti in un numero massimo di 35, sono centrali di committenza “qualificate”, iscritte in un elenco tenuto dall’Autorità nell’ambito dell’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, istituito con delibera n. 58 del 22/07/2015, di cui fanno parte Consip S.p.A., una centrale di committenza per ogni Regione, qualora costituita, ed altri soggetti che svolgono attività di centrale di committenza e che abbiano ottenuto l’iscrizione nell’elenco dei soggetti aggregatori. I requisiti per l’iscrizione sono stati definiti con DPCM 11/11/2014 e pubblicati sulla GURI in data 20/01/2015[22].

Ulteriorefacoltà consentita dalla disposizione è quella per ogni singolo Comune di potersi riferire alle Province, ai sensi della Legge n.56/2014, che possono esercitare le funzioni di stazione appaltante. Il ricorso alla Provincia postula la stipula di una preliminare convenzione, avente ad oggetto la disciplina minuta dei rapporti, ivi compresa la gestione dei costi per lo svolgimento della funzione di centrale di committenza. Appare evidente che l’accordo tra due Comuni è un fatto giuridico distinto  dall’accordo tra Comune e Provincia in quanto, se la CUC tra più Comuni è un ufficio che svolge funzioni per tutti gli enti aderenti, nel caso di accordo tra Comune e Provincia, quest’ultima porrà in essere un’attività a beneficio esclusivo dei Comuni stipulanti.

Le uniche deroghe all’obbligo di procedere agli acquisti in forma aggregata, sono riconosciute a favore degli enti pubblici impegnati nella ricostruzione delle località colpite dagli eventi sismici (Abruzzo e Province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo), e dei Comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti per gli acquisti di lavori, servizi e forniture inferiori ai 40.000 euro (articolo 23-ter commi 2 e 3 d.l. n. 90/2014).

Su quest’ultimo aspetto, l’ANCI aveva chiesto, in più occasioni con proposte emendative a provvedimenti legislativi, di esentare dall’obbligo di ricorrere alla CUC fino a un valore di 40.000 euro, per tutti i Comuni, anche quelli con popolazione inferiore a 10.000 abitanti. La richiesta dell’ANCI è stata avanzata per garantire l’erogazione di servizi che rientrano nelle funzioni che quotidianamente i “piccoli” Comuni devono assicurare in favore delle proprie collettività amministrate, per scongiurare il rischio di ulteriori penalizzazioni e aumenti di costi dovuto al quadro normativo molto complesso e che, in particolare nei piccoli Comuni rischia di ingessare il sistema di acquisizione. L’ANCI inoltre ha evidenziato che il quadro organizzativo ridisegnato dal legislatore pone problemi inediti che i Comuni devono affrontare e risolvere in un contesto di continuità con lo svolgimento delle funzioni proprie, costituzionalmente poste in capo ai Comuni.

La richiesta avanzata dall’ANCI, ha trovato formalmente espressione nel disegno di legge di stabilità 2016, fino a 40.000 euro tutti i Comuni potranno procedere autonomamente[23], e in mancanza di un’ulteriore proroga per l’entrata in vigore dell’articolo 33 comma 3-bis[24],  per soli due mesi vi sarà l’esistenza di un doppio binario, che sarà eliminato dal 2016.

L’Autorità, nel frattempo, dal primo di novembre ha sospeso il rilascio dei codici identificativi delle gare (CIG), necessari all’avvio delle procedure di assegnazione dei contratti a tutti i Comuni non capoluogo di Provincia per importi superiori ai 40.000 euro, e ai  soli Comuni  con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti per importi inferiori ai 40.000 euro, che procedono agli acquisti di lavori servizi e forniture in violazione degli obblighi di centralizzazione/aggregazione[25].

In alternativa ai quattro modelli organizzativi, gli stessi Comuni obbligati possono effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento, ciò come letteralmente riportato   dalla  disposizione normativa,  solo in riferimento agli acquisti di beni e servizi, e non di lavori. In altri termini, a seguito  dell’omessa previsione dei “lavori” nell’inciso normativo che principia con in alternativa,  sembra che gli acquisti dei medesimi   possono  essere effettuati  solo attraverso le centrali di committenza[26].

3. Problemi operativi, spunti di riflessione e criticità

Il modello organizzativo prescelto dai Comuni che partecipano alla convenzione, è spesso quello di costituire uffici delegati, che operano sulla base di una delega di funzioni, da parte degli enti partecipanti all’accordo, a favore di uno di essi, che agisce in luogo e per conto degli enti deleganti, sebbene il comma 4 dell’articolo 30 Decreto Legislativo 267/2000 preveda anche la possibilità di costituire uffici comuni, che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti, ai quali affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all’accordo.

E’ importante evidenziare che a differenza di quanto previsto per le convenzioniin materia di gestioni associate obbligatorie per le funzioni fondamentali, per la stipula dell’accordo consortile, non è richiesto il raggiungimento di alcuna classe demografica o territoriale[27], cosi come confermato anche dalla giurisprudenza contabile, Corte dei Conti sez. reg. Liguria n. 44/2013: “si può rilevare che il legislatore abbia previsto il duplice modello procedimentale del ricorso ad una centrale di committenza delegata dai comuni associati ovvero, più direttamente, ad un acquisto diretto fatto dai comuni tra loro consorziati, a prescindere dal fatto che i medesimi raggiungano o meno una determinata classe demografica o territoriale, perché la norma non pone limiti di sorta, riuscendo così a conseguire l’obiettivo prefissato delle economie di scala nell’acquisto di beni e servizi”.

Si rileva l’importanza della corretta costituzione della CUC, in quanto strumentale alla corretta gestione degli appalti pubblici. Concretamente potrebbe accadere che, ciascun operatore economico che partecipa ad una procedura di affidamento sia titolare di un interesse strumentale al ricorso[28], che gli attribuisce la facoltà giuridica di contestare qualsivoglia vizio che incida sulla legittimità della procedura, dal quale si possa ottenere la ripetizione della medesima. Non appare superfluo sottolineare che la procedura in sé potrebbe essere perfetta, ciò non toglie che se posta in essere da un soggetto non titolato è comunque illegittima e destinata ad essere travolta da un ricorso giurisdizionale[29].

Si rileva altresì l’importanza della CUC, come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione, ed infatti i Comuni associati possono d’intesa definire specifiche misure per la prevenzione della corruzione, in relazione a problematiche e criticità rilevate, da sottoporre al Responsabile Anticorruzione del Comune designato come ente capofila per l’inserimento nel Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione.

L’aspetto più problematico per rendere operativa la CUC è l’individuazione della dotazione organica, giacché essa è il frutto di una scelta politica, che richiede necessariamente un previo accordo con il Sindaco del Comune associato.

I singoli Comuni associati individuano tra i propri dipendenti i soggetti con qualifica professionale adeguata per svolgere il ruolo di Responsabile del procedimento nelle acquisizioni di servizi e beni o di Responsabile unico del procedimento per acquisizione di lavori.

Questa indicazione comporta non pochi problemi di ordine operativo. Che accade quando l’affidamento della CUC sia congiunto per più amministrazioni aggiudicatrici? Ossia se un appalto di trasporto scolastico è appaltato mediante un’unica procedura ma a beneficio di due o più Comuni, chi svolge la funzione di Responsabile del procedimento?

Su quest’aspetto è intervenuta anche l’ANAC, che con determinazione n.11/2015, ha ribadito che in via astratta, il principio della nomina di un responsabile unico del procedimento, tenuto conto quanto prevede più in generale la Legge 241/90, circa l’obbligo di individuarlo, trova applicazione nei confronti dei Comuni interessati dal comma 3-bis dell’articolo 33 del Codice. In ragione della previsione del comma 3-bis, ciascuna fase del procedimento di acquisto può risultare affidata a diverse amministrazioni: singolo Comune e modulo associativo prescelto. In tal caso ogni struttura amministrativa coinvolta nel procedimento di acquisto, in quanto competente ex lege per la fase  sub-procedimentale alla stessa affidata, dovrà individuare la propria unità organizzativa preposta alla gestione della relativa fase e procedere alla nomina del Responsabile della medesima, salvo l’ipotesi in cui tutte le diverse fasi procedimentali siano gestite dal modulo associativo prescelto, nel qual caso quest’ultimo nominerà un unico responsabile dell’intero procedimento[30].

Posto che le attività della CUC, secondo quanto disposto dall’articolo 4 della convenzione, si arrestano alla fase dell’aggiudicazione provvisoria, ci si è interrogati se la competenza della CUC potesse estendersi fino all’aggiudicazione definitiva. Ed infatti, non è mancato chi ha sostenuto tale interpretazione espansiva, trovando supporto nel termine “acquisizione” della norma, il quale sembrerebbe  alludere al completamento della procedura di gara, che si conclude con le comunicazioni d’ufficio, prima di procedere alla stipula del contratto. Altro elemento che gioca a favore di questa interpretazione espansiva è dato dalla necessità di evitare contrasti tra quanto deciso dalla CUC in  sede di aggiudicazione provvisoria e quanto sostenuto dall’ente deputato all’aggiudicazione definitiva [31]. 

Altra importante questione è stata quella di fissare la competenza ad assumere l’impegno di spesa, poiché la procedura di gara ed ancor più l’aggiudicazione definitiva, devono indicare il relativo programma di spesa, ai sensi dell’articolo 191 TUEL. Il costo dell’acquisizione del bene, del servizio o del lavoro è a carico dell’ente interessato all’acquisto, ed è naturale conseguenza che la CUC non può compiere imputazioni di spesa su bilanci altrui. Importanza riveste anche la disciplina dei rapporti finanziari tra gli enti, ed il riparto delle spese connesse allo svolgimento delle procedure[32]. L’ANAC, in merito ai costi di gestione, in più occasioni non ha mancato di rilevare che l’attività della struttura organizzativa deve essere conformata ai principi di razionalizzazione delle procedure e al conseguimento di risparmi di spesa.

La questione forse più delicata è quella dell’insorgenza e gestione del contenzioso. Ci si è quindi interrogati su chi deve sostenere le spese di costituzione in giudizio e quelle per eventuali risarcimenti danni, riferite alle procedure di gara. Ricadono sul Comune sede della CUC o sul Comune  interessato dalla procedura di gara effettuata in suo favore? La risposta più ovvia sembrerebbe essere quella di prevedere le spese in capo al Comune interessato, ciò in base alla ragionevole considerazione che la gara è stata indetta in suo favore. Tale soluzione appare agevole per le procedure di gara che attengono ai lavori pubblici, in quanto la CUC riceve dal RUP dell’ente interessato alla gara, tutta la documentazione tecnica inerente la gara medesima (capitolato, disciplinare). Si potrebbe affermare quindi, che il soggetto passivo del ricorso è l’ente committente e non la CUC, potendo profilarsi la responsabilità del responsabile CUC solo dove si evidenzia un vizio procedurale imputabile alla centrale di committenza. Diversamente, per le gare di forniture e servizi che potrebbero essere svolte per conto di tutti i Comuni che hanno costituito la CUC si pongono problemi maggiori. In merito, unanime giurisprudenza,  imputa alla CUC interamente la responsabilità delle procedure di affidamento e dunque in un eventuale giudizio, parte processuale sarebbe solo la CUC: “ I Comuni che aderiscono all’accordo che istituisce la centrale sono meri beneficiari della procedura indetta ed espletata dalla stessa e sono vincolati alle vicende anche giudiziarie della gara, sicché mentre gli effetti e i risultati di questa sono imputati ai comuni, l’imputazione formale degli atti, rilevanti ai fini della notifica del ricorso impugnatorio, non può che ricadere sulla CUC, contraddittore necessario dello stesso, in quanto competente in via esclusiva all’indizione, regolazione e gestione della gara e responsabile della stessa”, cosi TAR Abruzzo Sez. I 16/10/2014 n. 721 e tra gli altri Tar Lombardia Sez. IV 27/02/2015 n. 588. Il Presidente dell’ANAC con recente comunicato n. 2/2015, in merito ha affermato che i Comuni che realizzano una forma di aggregazione di natura convenzionale, devono prevedere ad una puntuale predeterminazione dei soggetti sui quali ricadranno sia gli obblighi informativi, che la legittimazione attiva e passiva in giudizio, riservando a tali finalità apposite clausole della convenzione.

Infine si è posta l’attenzione sull’ambito oggettivo di applicazione dell’articolo 33 comma  3-bis, giacché l’articolo 33 comma 2 Decreto Legislativo163/2006 stabilisce che “le centrali di committenza sono tenute all’osservanza del presente codice”, e data tale espressione, ci si è chiesti se le concessioni di servizi di cui all’articolo 30 del codice dei contratti, e le concessioni di lavori pubblici di cui all’articolo 143 e seguenti rientrano nell’alveo delle centrali di committenza obbligatorie.  La risposta negativa per quanto concerne le concessioni di servizi potrebbe trovare fondamento nel comma 1 articolo 30 Decreto Legislativo 163/2006, ove si introduce il principio di specialità delle concessioni medesime.

L’ANAC in merito con determinazione n. 11/2015 ha cercato di fare chiarezza, affermando che l’ambito di applicazione del comma 3-bis dell’articolo 33 è riferito ai contratti di appalto pubblico di lavori, forniture e servizi, ivi compresi i servizi tecnici. Sono sottratti all’obbligo di acquisizione in forma aggregata gli appalti esclusi in tutto o in parte dall’applicazione del codice (artt.19-26), tra cui i servizi dell’allegato IIB (servizi sociali, culturali etc.). Sono inoltre  sottratte a tale obbligo le concessioni di servizio.  Già l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 7 maggio 2013, n.13 aveva precisato che “… la distinzione tra appalto e concessione attiene alla struttura del rapporto, che nell’appalto di servizi intercorre tra due soggetti (la prestazione è a favore dell’amministrazione), mentre nella concessione di servizi pubblici intercorre tra tre soggetti, nel senso che la prestazione è diretta al pubblico o agli utenti”. Non sussiste, pertanto, un acquisto destinato al Comune.

Per le concessioni di lavori, pur esistendo un rinvio formale anche all’articolo 33, operato dall’articolo 142 comma 3 del codice, tenuto conto del fatto che il comma 3-bis costituisce una sopravvenienza normativa rispetto al richiamato rinvio, nonché delle difficoltà applicative connesse alle specificità del modulo concessorio - anche se attivato sotto forma di project financing - i Comuni non capoluogo devono valutare la possibilità di porre in essere strutture specializzate nella gestione delle suddette procedure, in possesso del know haw tecnico più adeguato. Dunque la normativa si va orientando nella direzione di riservare alla centrale di committenza solo una parte e nemmeno quella maggioritaria delle procedure di gara. Ciò testimonia indirettamente come la strada indicata sia tutt’altro che l’unica e comunque davvero in grado di far conseguire maggiori risparmi ed efficienze [33].

La determinazione dell’ANAC n.11/2015 ha anche chiarito il rapporto tra il nuovo regime introdotto dall’articolo 3- bis e i previgenti obblighi di acquisto di beni e servizi di valore inferiore alla soglia di rilievo comunitario, cosi come disposto dall’articolo 1 comma 450 Legge n. 296/2006, tramite Mepa, o ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi dell’articolo 328 Decreto del Presidente della Repubblica 207/2010 o a diversi sistemi telematici delle centrali regionali di riferimento. Ed invero, prima della novella del comma 3-bis, la Corte dei Conti ha ritenuto riferibile siffatto obbligo a tutte le procedure di acquisto sotto la soglia comunitaria senza deroghe di sorta (Corte dei Conti sez. controllo Piemonte n. 211/2013 PAR; sez. contr. Lombardia n.112/2013/PAR). Uniche eccezioni a tale obbligo erano la non reperibilità o idoneità dei beni e servizi rispetto alla necessità dell’ente locale, e ciò con previa istruttoria e adeguata motivazione nella determina a contrarre (Corte dei Conti sez. Marche n. 169/2012/PAR), ovvero l’ipotesi in cui, fuori dai mercati elettronici e telematici erano previste condizioni di acquisto migliorative (Corte dei conti sez. Toscana n.151/2013/PAR.) Ci si è interrogati se l’obbligo posto dal comma 450 L. n. 296/2006 debba ritenersi superato dal nuovo regime di cui al comma 3-bis. Un recente parere della Corte dei Conti, sez. reg. contr. Basilicata n.67/2014, ha specificato “ che il comma 3-bis tipizza il ricorso agli strumenti elettronici gestiti da altre centrali di committenza di riferimento e/o al Mepa, non come obbligo autonomo, ma come modalità di acquisto accentrato alternativo al ricorso alle CUC”. Questo dunque dimostra che nella novella normativa non è rinvenibile alcuna intenzione di superare il regime previgente.

4. Considerazioni conclusive

Un giudizio complessivo sul nuovo sistema sarà possibile solo dopo la diffusa applicazione degli obblighi da esso sanciti. Tuttavia l’analisi sin qui svolta, conferma la necessità di una riorganizzazione complessiva del sistema amministrativo locale, poiché la tendenza a perseguire il contenimento e la riduzione della spesa pubblica, incidendo sui diversi livelli di governo del sistema ha comportato per gli enti locali una nuova spinta verso “l’accentramento”. Tale accezione non va intesa come riallocazione di compiti e funzioni dalla periferia verso il centro, bensì come imposizione di forme di gestione associate che più connotano la configurazione delle identità locali, quali sono quelle fondamentali, ed in specie nei Comuni di dimensioni minori[34]. L’obiettivo di eliminare la duplicazione delle spese, ha portato ad una preferenza a forme di associazionismo basato su modelli giuridici a “costo zero”, ossia in grado di non generare nuovi costi economici a carico delle amministrazioni interessate, da qui l’attenzione per le unioni e le convenzioni. Il sistema dell’associazionismo “obbligatorio” va  letto non come strumento che contrasta il principio di autonomia, poiché annullerebbe la libera determinazione dei Comuni, bensì come strumento che valorizza l’autonomia in quanto consentirebbe la concreta attuazione del principio di sussidiarietà e quindi l’esercizio di funzioni e compiti loro assegnati. A questo punto è lecito domandarsi: ma la centralizzazione degli acquisti, quale forma di gestione associata, sarà in grado di generare concretamente i risparmi da tempo attesi? Sebbene manchino al momento studi tecnici capaci di supportare la tesi data per dogma, si può tuttavia affermare che la centralizzazione “forzata” non garantisce automaticamente un beneficio complessivo per la collettività in termini di risparmio di spesa e di efficienza negli acquisti. Affinché ciò sia possibile, è necessario che oltre alla centralizzazione delle procedure di acquisto si possano determinare le condizioni per una reale aggregazione della domanda, ivi compresa quella emergente da una programmazione su scala territoriale vasta. Una centralizzazione “spinta” infatti, non consegue automaticamente dei risparmi di spesa, anzi al contrario potrebbe aumentare i costi, ad esempio, per gli acquisti cosidetti economali, l’impiego richiesto per la costituzione di una centrale di acquisto comporta oneri maggiori ai risparmi indotti per gli acquisti centralizzati sotto soglia[35].

Altro elemento di critica che si può far notare è che a causa della maggiore centralizzazione, la dimensione delle gare d’appalto crescerà ulteriormente (basta ricordare come ha fatto il Presidente dell’ANAC, che la dimensione media dei lotti in Italia è salita dal 2011 al 2014 del 33%, da 600mila a 800mila euro), rendendo ancora più difficile la vita a micro e medie imprese, che dalla domanda pubblica dovrebbero ottenere quelle commesse che rappresentano ossigeno ed occasione di crescita dimensionale. E questo in un quadro in cui la Commissione UE chiede di garantire spazi per le piccole e medie imprese. L’ANCI, in merito ha sostenuto in diverse occasioni che l’obiettivo deve essere di duplice natura. Da un lato bisogna aggregare per acquistare solo laddove l’aggregazione comporti una valorizzazione territoriale, intesa come modalità inedita per soddisfare esigenze che si sviluppano su una scala territoriale più ampia del livello comunale. La riforma delle modalità di acquisizione ha un senso laddove si introducono meccanismi “premianti”, che oltre a perseguire risultati in termini quantitativi, consentono di qualificare la domanda e quindi i bisogni in ambito sovra comunale. Dall’altro, in termini di rispetto dei limiti di spesa, sarebbe più opportuno indicare gli obiettivi di riduzione e lasciare ai Comuni la scelta degli strumenti e delle azioni per conseguirli, ivi comprese le modalità organizzative di collaborazione territoriale. Pertanto si ritiene, come evidenziato dalla stessa ANCI, che si dovrà probabilmente ripartire dal territorio per individuare le modalità aggregative che meglio sanno cogliere le peculiarità e i fabbisogni e quindi trovare la soluzione organizzativa più adatta per soddisfarli.

5. La Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di Stabilità per l’anno 2016)

Non sono poche le novità previste dalla Legge di Stabilità in materia.

L’articolo 1 comma 494 della Legge di Stabilità per l’anno 2016 novella la disciplina degli acquisti centralizzati. In particolare vengono ampliate le possibilità di acquisto in deroga di alcune tipologie di beni e servizi per le quali è previsto l’obbligatorio ricorso alle convenzioni Consip e dei soggetti aggregatori regionali. Le amministrazioni possono sviluppare procedure autonome prevedendo a base d’asta corrispettivi inferiori a quelli delle convenzioni-quadro del 10% per alcune categorie e del 3 % per altre.

L’articolo 1 commi 496-499 prevede invece il rafforzamento del sistema Consip-soggetti aggregatori. In particolare viene ad essere potenziato il sistema relativo agli obblighi e alle facoltà di acquisto di beni e servizi mediante le convenzioni Consip e dei soggetti aggregatori regionali, per i quali l’ambito territoriale di riferimento è individuato per la definizione delle convenzioni-quadro. Anche le società partecipate (eccetto le quotate) potranno ricorrere alle convenzioni Consip e dei soggetti aggregatori e saranno obbligate a fare riferimento ai parametri qualità prezzo in esse definiti per acquisti autonomi.

Relativamente all’affidamento diretto lavori, fermi restando gli obblighi di acquisto con convenzioni e mercato elettronico, la possibilità di acquisizione di lavori, servizi e forniture con affidamento diretto entro i 40.000 euro viene estesa anche ai Comuni sotto i 10.000 abitanti. (articolo 1 comma 501).

L’obbligo di ricorso al mercato elettronico o alle piattaforme telematiche è previsto per tutti gli acquisti di valore compreso tra i mille euro e la soglia comunitaria (209.000 euro), sia per le amministrazioni statali, sia per gli enti locali e quelli del servizio sanitario regionale (articolo1 commi 502-503).

Gli strumenti di acquisto di Consip possono peraltro riguardare anche attività di manutenzione (articolo 1 comma 504).

È inoltre previsto uno specifico obbligo di programmazione per gli acquisti  di beni e servizi. Le P.a. devono infatti devono approvare un programma biennale per gli acquisti di beni e servizi di importo unitario stimato superiore a un milione e devono aggiornarlo annualmente. Il programma su base biennale per gli acquisti di beni e servizi di importo unitario stimato superiore a 1.000.000 di euro deve essere pubblicato sul sito istituzionale e sull’osservatorio dell’Anac. Le amministrazioni possono realizzare acquisti di beni e servizi al difuori del programma solo per eventi imprevedibili o calamitosi, nonché per sopravvenute modifiche legislative. I dati della programmazione sono trasmessi al tavolo dei soggetti aggregatori per consentire la gestione su base più ampia degli acquisti di alcune macro-tipologie di beni e servizi. Le amministrazioni comunicano e pubblicano nel testo integrale anche tutti i contratti stipulati in esecuzione del programma biennale (articolo 1 comma 510).

Infine, le amministrazioni obbligate ad utilizzare convenzioni Consip o dei soggetti aggregatori, potranno procedere ad acquisti autonomi di beni e servizi presenti nelle convenzioni solo quando questi non siano idonei a soddisfare lo specifico fabbisogno per mancanza di caratteristiche essenziali. L’acquisto dovrà essere autorizzato dall’organo di governo e comunicato alla Corte dei Conti (articolo 1 comma 505).

6. La diversa “centralizzazione” dei servizi pubblici locali: un’analisi comparata. Le prospettive “de iure condendo”

Tra i decreti attuativi della Legge 7 agosto 2015, n. 124 (cd. Riforma Madia della P.A.) adottati dal Governo in sede di esame preliminare nella seduta del Consiglio dei Ministri del 21 gennaio 2016 vi è il decreto legislativo recante l’adozione del testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale.

Sembra potersi osservare che la difficoltà nell’aprire decisamente tali settori alla concorrenza nasce dal fatto che si tratti di ambiti in cui innanzitutto l’indiscriminata concorrenza potrebbe risolversi in danno dei cittadini utenti: si pensi al caso in cui l’aggiudicazione al miglior offerente si riveli negativa, non essendo peraltro semplice risolvere giuridicamente un rapporto contrattuale ed instaurarne un altro senza che vi siano soluzioni di continuità o ricadute quali - quantitative nello svolgimento del servizio.

Inoltre va considerato che lo svolgimento delle gare per l'affidamento della gestione di un servizio di interesse generale è una questione di grande complessità; anche perché la maggior parte dei Comuni, soprattutto i più piccoli, non si possono permet­tere di avere all'interno tutte le competenze tecnico-amministrative necessarie.

Non va peraltro taciuto il fatto che in tali settori sussistono le condizioni che favoriscono situazioni di monopolio naturale che solo il ricorso ad un unico soggetto gestore potrebbe permettere di sfruttare.  D’altronde le recenti acquisizioni normative in materia di “Ambiti Territoriali Ottimali” sembrano proprio deporre in tal senso. Si pensi a quanto avvenuto per il servizio idrico integrato sulla spinta del Codice dell’Ambiente, oppure agli ATEM per la distribuzione del gas.

L’articolo 19 della legge 7 agosto 2015, n. 124, ha pertanto cercato di dare una risposta a questi problemi delegando il Governo ad intervenire sulla disciplina dei servizi pubblici locali.

Lo schema di decreto legislativo adottato dal Governo nella seduta del 21 gennaio, in sede di esame preliminare, prevede l’adozione di un testo unico di riordino della materia in attuazione della delega.

Si afferma la “centralità del cittadino” nell’organizzazione e produzione dei servizi pubblici locali di interesse economico generale. L’erogazione dei servizi pubblici locali è ispirata a principi di efficienza ed efficacia nella soddisfazione dei bisogni dei cittadini.

Si promuove la concorrenza, la parità di trattamento tra pubblico e privato e adeguati livelli di tutela della qualità degli utenti. Nello specifico, al fine di garantire qualità e efficienza dei servizi per i cittadini sono previste, tra l’altro, modalità competitive per l’affidamento e applicazione dei costi standard nelle tariffe.

L’obiettivo è quello di migliorare la qualità dei servizi pubblici, sinora condizionata da procedure di affidamento poco trasparenti e da controlli inefficaci in fase di gestione.

Il provvedimento si lega a doppio filo con l’altro testo unico sulle società a partecipazione pubblica adottato dal Governo nella medesima seduta del 21 gennaio, sempre in sede di esame preliminare.

Il decreto infatti, disciplina la fusione delle società per azioni locali che si occupano di servizi pubblici, dall’acqua ai rifiuti. Si prevede l’aggregazione, incentivata, su base territoriale, con la creazione di “distretti”, così determinando livelli dimensionali di ambiti, almeno provinciali, per l’erogazione dei servizi. Ad individuare gli ambiti ottimali saranno le Regioni e se non provvederanno sarà il Governo a intervenire esercitando i poteri sostitutivi.

Il provvedimento valorizza le autonomie locali, alle quali viene riconosciuta la funzione fondamentale nell’individuare quelle attività di interesse pubblico considerate necessarie ai bisogni della comunità, nel rigoroso rispetto dei principi comunitari in materia.

Il decreto disciplina l’organizzazione e la gestione dei servizi pubblici, partendo dal principio che il pubblico interviene quando l’attività privata non può garantire parità di servizi a tutti i cittadini; si prevede la soppressione dei regimi di esclusiva non conformi ai principi generali in materia di concorrenza.

E’ altresì previsto un sistema di tutela non giurisdizionale per gli utenti dei servizi, nonché la possibilità di forme di consultazione e partecipazione diretta degli stessi.

L’indagine complessiva non potrà peraltro prescindere dalle novità apportate dal nuovo Codice degli appalti, attualmente al Consiglio di Stato per la prestazione del previsto parere di legge. L’architettura del sistema richiederà infatti una lettura parallela e sistematica di tutti i suesposti interventi normativi, valutandone le possibili interferenze e sciogliendo i nodi applicativi derivanti dall’esperienza “sul campo” ed operativa dell’impatto regolatorio.

 

[1] Art. 33 comma 3-bis: “ I Comuni non capoluogo di Provincia procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle unioni dei comuni di cui all’art. 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i Comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle Province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle Province, ai sensi della legge 7 aprile n. 56/2014. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara ai Comuni non capoluogo di provincia che procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma. Per i Comuni istituiti a seguito di fusione l’obbligo di cui al primo periodo decorre dal terzo anno successivo a quello di istituzione”.

[2]  Consip è una società per azioni del MEF, che è l’azionista unico, ed opera secondo i suoi indirizzi strategici. E’ nota per essere la centrale acquisti per la pubblica amministrazione italiana.

[3] Dal punto di vista macroeconomico, poiché lo Stato può utilizzare la spesa pubblica come uno strumento per influenzare l’andamento dell’economia del Paese, la definizione della spesa sostenuta dalle P.A. assume caratteristiche distintive differenti. Gli economisti sono soliti separare la spesa delle pubbliche amministrazioni, sia per consumi che per investimento, dalle voci di spesa per consumi finali (spesa per beni e servizi finalizzata al consumo), e formazione netta di capitale (rappresentante l’investimento totale). Questa distinzione conduce, così, alla definizione di tre differenti categorie macroeconomiche : consumo, investimento e spesa pubblica. Nella teoria macroeconomica, pertanto la spesa pubblica assume il ruolo di componente fondamentale del PIL del paese.

[4]A riguardo vedi : G. Napolitano, “Il Meccanismo europeo di stabilità e la nuova frontiera costituzionale dell’Unione”, e R. Perez, “Il Trattato di Bruxelles e il Fiscal Compact” in Giornale di diritto amministrativo 2012, n. 5 pag 461 e ss. e 469 ss.

[5] Ci si riferisce al d.l. 52/2012 convertito  in L. n. 94/2012 e al d.l. 95/2012 L n. 135/2012, su cui si vedano AA.VV. , “Le nuove misure di controllo della spesa pubblica”, e AA.VV. ,“Il decreto spending review”, rispettivamente in Giornale di diritto amministrativo 2012 n. 10 pag. 917 e ss. e n.12 pag.1163 e ss.

[6] Le economie di scala permettono alle imprese fornitrici di abbassare i costi unitari, poiché  la concentrazione della domanda, consente di imporre sull’offerta un maggiore potere contrattuale quindi ottenere vantaggi negli acquisti. Tale discorso ha una sua plausibilità solo se la gara gestita dalla centrale di committenza abbia contenuto ampio e non si limita ad un contenuto ridotto, riferite alle esigenze di un solo soggetto pubblico.

[7] Si tratta di una delle modalità con cui può essere attuata la centralizzazione delle procedure di appalto che, può fondarsi anche su accordi quadro, sull’organizzazione di gruppi di acquisto, sulla stipula di convenzioni  dedicate,  in F. Di Lascio “La centralizzazione degli appalti, la spending review e l’autonomia organizzativa locale”, in Giornale di diritto amministrativo n. 2/2014 pag. 206 e ss.

[8] Cosi il considerando n. 15 della direttiva n.18/2004. Nell’ordinamento italiano, ad esempio il modello Consip era stato il primo modello previsto dalla L. 488/1999.

[9] Il provvedimento definisce la centrale di committenza come : “ un’amministrazione aggiudicatrice che : acquista forniture e/o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici”.

[10] F. Di Lascio “La centralizzazione degli appalti, la spending review e l’autonomia organizzativa locale”, in Giornale di diritto amministrativo n. 2/2014 pag. 208.

[11] Art. 11 della direttiva 2004/18/CE.          

[12] Il considerando 16 della direttiva 2004/18/CE, richiama anche gli accordi quadro, i sistemi dinamici di acquisizione, le aste elettroniche ed il dialogo competitivo.

[13] Consideranda 71 e 73 direttiva n.24/2014.                                      

[14]In ossequio al decimo considerando della Direttiva 24/2014, l’organismo di diritto privato è in sostanza un operatore economico privato che opera nel mercato. Infatti, il decimo considerando, dedicato all’organismo di diritto pubblico, si può leggere che  a tal fine, è opportuno precisare che un organismo che opera in condizioni normali di mercato, mira a realizzare un profitto e sostiene le perdite che risultano dall’esercizio delle sua attività non dovrebbe essere considerato un “organismo di diritto pubblico”, in quanto è lecito supporre che sia stato istituito allo scopo o con l’incarico di soddisfare esigenze di intererre  generale che sono di natura industriale o commerciale.

[15] In merito vedi: Massimiliano Alesio , “Le centrali di committenza obbligatorie: lo scenario teorico e le delicate implicazioni pratiche”  in Rivista Comuni d’Italia  n.1/2015 pag 65 e ss.

[16] S. Venturi , “Gli acquisti di beni e servizi tramite le centrali uniche di commitenza”, 2014 EDK editore pag. 22 e ss.: l’intreccio che si genera tra i soggetti coinvolti dovrebbe trovare una corretta qualificazione giuridica, in funzione della disciplina dei rapporti che nasceranno, la quale tuttavia non appare agevole, potendo la stessa essere influenzata da elementi variabili sulla base dei quali si possono generare rapporti giuridici che si avvicinano al contratto a favore di terzi, alla rappresentanza legale ovvero al contratto di mandato implicito. In particolare nello schema del contratto a favore di terzi, art. 1411 c.c., la semplice richiesta di un DURC in fase di gestione del contratto dovrebbe rimanere in capo alla CUC, poiché tale richiesta rappresenta una vera e propria obbligazione di facere alla quale il terzo non può essere assoggettato. Il terzo non può acquisire oneri, ma solo diritti, in ragione del fatto che la deroga al principio secondo cui res inter alios acta terzio neque nocet, neque prodest, si giustifica proprio per il fatto che lo sconfinamento nella sfera giuridica altrui ha come finalità esclusiva quella oggettiva di attribuire un favor privo di aspetti negativi. Ricostruendo la struttura in chiave di rappresentanza legale, si potrebbe giungere alla conclusione che la CUC  esaurisce il suo scopo nella stipula per contro anche di altre amministrazioni aggiudicatrici, divenendo queste ultime parti negoziali per l’adempimento delle prestazioni pro quota con a carico l’adozione di tutte le eventuali attività propedeutiche alla liquidazione del corrispettivo, tra cui ad esempio quelle relative alla richiesta del DURC. Ricostruendo la struttura in chiave di contratto di mandato con rappresentanza si può giungere alla conclusione che la CUC non esaurisce il suo scopo nella stipula per conto anche  di altre amministrazioni aggiudicatrici, ma pone in essere anche tutte le attività successive relative alla fase di gestione del contratto, tra cui quelle relative alla richiesta del DURC, all’applicazione delle penali e all’attestazione di regolare esecuzione, ecc.

[17] Se “acquista evidentemente stipula il contratto dal quale sorgono rispettivamente l’obbligo di pagare il corrispettivo e l’obbligo dell’appaltatore di realizzare la prestazione dedotta in contratto.

[18] Comma aggiunto dall’art.23 comma 4 L n. 214/2011, poi  modificato dall’art. 1 comma  4 L n. 135/2012, poi modificato dall’art. 1 comma 343 L n. 147/2013, poi sostituito dall’art. 9 comma 4 L n. 89/2014, poi modificato dall’art. 23-bis della L. 114/2014.    

[19]  Nell’art. 13 L. 136/2010, “Piano straordinario contro le mafie”, si afferma che la SUA risponde alla finalità di “assicurare la trasparenza, la regolarità e l’economicità della gestione dei contratti pubblici o di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose”. 

[20] A ben vedere, l’attuale formulazione della norma nazionale, art. 33 comma 3-bis che prevede l’obbligo di costituzione delle CUC, come strumento per acquisire commesse pubbliche per i comuni non capoluogo, non è compatibile con il tenore letterale dell’art. 37 della  Direttiva n. 24/2014, in quanto il medesimo articolo sottolinea che non è possibile imporne l’obbligo. A riprova di quanto indicato, vi è l’art. 38 della Direttiva che disciplina l’istituto dell’appalto congiunto occasionale.  Questa norma sarebbe di fatto anestetizzata, oltre che inutile, laddove un’amministrazione aggiudicatrice fosse costretta ab origine ad utilizzare l’unico strumento della centrale di committenza.

Il contenuto della disposizione normativa, che si esprime in termini di facoltà, pur essendo inserito in una Direttiva ad oggi non recepita, non può essere disconosciuto da una norma nazionale, poiché gli Stati membri sono obbligati ad applicare ed interpretare il Trattato dell’Unione alla luce del diritto comunitario con la conseguenza che grava sui medesimi l’obbligo del rispetto del principio di leale collaborazione sancito dall’art. 4 comma 3 del TUE. A riguardo vedi : S. Venturi , “Gli acquisti di beni e servizi tramite le centrali uniche di commitenza”, 2014 EDK editore pag. 18.

[21] A conferma di tale lettura risulta determinante la previsione dell’art. 2 comma 28 L 24/12/2007 n. 244 (finanziaria 2008),  che ad ogni amministrazione comunale consente l’adesione ad un’unica forma associativa per ciascuna di quelle previste dagli art. 31, 32 e  33 dal d.lgs. 267/2000. Questo consente non solo di evitare un dispendioso utilizzo dei “moduli aggregativi di scopo”, ma anche di favorire la specializzazione del buyer pubblico, con conseguente efficientamento del sistema.

[22]In merito ai soggetti aggregatori si segnala il ruolo di ASMEL, come centrale di committenza, sia al centro di un braccio di ferro con l’ANAC, che ha rifiutato la richiesta del consorzio di far parte dei 35 soggetti aggregatori. Il provvedimento del Presidente ANAC (delibera n.32/2015), ha infatti bocciato l’operato della società dichiarando “prive di presupposto di legittimazione”, tutte le gare promosse per conto degli enti locali. Tale decisione ha messo a rischio le oltre mille gare gestite da ASMEL  (sono 882 i Comuni aderenti a tale centrale che offre  servizi di centrale appalti attraverso la piattaforma asmecomm), per questo la delibera è stata impugnata da parte di ASMEL.

Il Tar Lazio, con ordinanza 2544/2015, ha confermato il provvedimento dell’ANAC, ma a settembre il Consiglio di Stato ha invertito la rotta, sospendendo con ordinanza cautelare 4016 l’efficacia della delibera ANAC, rispetto alla quale l’ANAC ha richiesto di chiarirne l’ambito di validità. I giudici di Palazzo Spada con ordinanza del 04/11/2015  hanno precisato che “la sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato dall’Autorità, ha avuto ad oggetto esclusivamente la sua incidenza nelle procedure di gara in corso e non anche sulla futura attività amministrativa di ASMEL”,  nelle more della decisione nel merito della controversia. Un dispositivo che salva le vecchie gare del consorzio, ma allo stesso tempo, blocca la possibilità di gestire le nuove procedure per conto dei Comuni fino alla nuova pronuncia del Tar Lazio fissata al 2/12/2015.

[23] L’articolo 1 comma 494 della Legge di Stabilità per l’anno 2016 novella la disciplina degli acquisti centralizzati. In particolare vengono ampliate le possibilità di acquisto in deroga di alcune tipologie di beni e servizi per le quali è previsto l’obbligatorio ricorso alle convenzioni Consip e dei soggetti aggregatori regionali. Le amministrazioni possono sviluppare procedure autonome prevedendo a base d’asta corrispettivi inferiori a quelli delle convenzioni-quadro del 10% per alcune categorie e del 3 % per altre.

[24] L’art. 23-ter del decreto legge 24/06/2014 n. 90 convertito in legge 11/08/2014 n. 114, aveva previsto che la disposizione entrasse in vigore il primo gennaio per  gli acquisti e i servizi e dal primo luglio per i lavori. Successivamente l’art. 8 comma 3-ter L. 27/02/2015 n. 11, modificando l’art. 23-ter, ha fissato al primo settembre l’entrata in vigore della disposizione de qua sia per i lavori che per i servizi e le forniture.  Da ultimo, l’art. 1 comma 169 della legge 13/07/2015 n. 107  ha previsto l’ulteriore proroga al primo di novembre.

[25]In base al comunicato del Presidente dell’ANAC del 10/11/2015,  il mancato rilascio dei CIG, comporta, infine quale sanzione accessoria, espressamente prevista dalla legge n. 136/2010, in tema di lotta alla criminalità organizzata, la nullità assoluta dei contratti stipulati per violazione delle disposizioni sulla tracciabilità dei flussi finanziari.

[26] L’articolo 1 commi 496-499 della Legge di Stabilità per l’anno 2016 prevedono il rafforzamento sistema Consip-soggetti aggregatori. In particolare viene ad essere potenziato il sistema relativo agli obblighi e alle facoltà di acquisto di beni e servizi mediante le convenzioni Consip e dei soggetti aggregatori regionali, per i quali l’ambito territoriale di riferimento è individuato per la definizione delle convenzioni-quadro. Anche le società partecipate (eccetto le quotate) potranno ricorrere alle convenzioni Consip e dei soggetti aggregatori e saranno obbligate a fare riferimento ai parametri qualità prezzo in esse definiti per acquisti autonomi.

[27]  In merito Massimiliano Alesio ,  “Le centrali di committenza obbligatorie: lo scenario teorico e le delicate implicazioni pratiche”, Rivista Comuni d’Italia n.1/2015  pag 68.

[28] Con la sentenza n. 4/2011 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, si delinea in modo chiaro la tutela dell’interesse strumentale, intesa quale posizione giuridica attiva, protetta dall’ordinamento, la cui soddisfazione è realizzabile unicamente attraverso il doveroso rinnovo dell’attività amministrativa della pubblica amministrazione.

[29] S. Venturi , “Gli acquisti di beni e servizi tramite le centrali uniche di commitenza”, 2014 EDK editore pag. 51.

[30] L’ANAC determinazione n.11/2015 sostiene che l’individuazione del RUP debba essere differentemente modulata in rapporto al ruolo esercitato dalla struttura che svolge le attività di committenza, a tal fine possono essere individua le seguenti diverse modalità: 1)soggetto che gestisce una singola gara su richiesta di uno specifico comune (ciò è più frequente e probabile nell’ambito dei lavori, che sono centralizzabili ma più difficilmente aggregabili); 2)soggetto che gestisce le procedure riguardanti più o  tutti i Comuni aderenti all’accordo (acquisto aggregato); 3) soggetto che gestisce la gara di due o più Comuni aggregando più interventi volti a soddisfare le esigenze di ognuno in un unico intervento, che risulterà programmato, progettato affidato e realizzato per loro (si pensi al rifacimento di una strada che collega più centri abitati, ogni tratto della quale appartiene ai diversi comuni).

[31] Massimiliano Alesio , “Le centrali di committenza obbligatorie: lo scenario teorico e le delicate implicazioni pratiche”, in  Rivista Comuni d’Italia n.1/2015 di pag 70.

[32]  In relazione all’efficace ripartizione delle spese connesse allo svolgimento delle procedure,si pone la distinzione tra i costi diretti, costi generali e costi comuni. I costi diretti sono  le spese vive derivanti dalla celebrazione di una specifica procedura di affidamento, sono rimborsati al comune capofila da parte di ciascun comune nel cui interesse è svolta la procedura di affidamento, ed in caso di procedure congiunte sono ripartiti tra i vari comuni in base agli importi posti a base d’asta. I costi generali sono le spese per il funzionamento della CUC, la cui utilità è limitata a tale struttura organizzativa, ed infine i costi comuni, spese la cui utilità può essere diretta sia alla CUC sia di altri servizi dell’ente capofila, calcolati forfetariamente in complessivi mille euro, da suddividere in quote paritarie tra i comuni associati. Inoltre, le entrate e le spese gestite dalla struttura organizzativa operante come CUC sono iscritte nel PEG o in analogo strumento del Comune capofila,in apposita sezione affidata alla gestione del responsabile CUC, in modo da garantire una distinta contabilizzazione.

[33] G. Piga , “Costano cari gli acquisti centralizzati”,  in www.lavoce.info 11/2015.

[34] F. Di Lascio “La centralizzazione degli appalti, la spending review e l’autonomia organizzativa locale”, in Giornale di diritto amministrativo n. 2/2014 pag. 218

[35] G. Olivieri Pannesi e C. Lucidi, “Centrale uniche di committenza, le proposte dei Comuni” in Quotidiano Enti Locali e PA, Luglio 2015.