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Tra editori puri, avvocati e retorica il mio appello al Presidente

Tra editori puri, avvocati e retorica il mio appello al Presidente
Tra editori puri, avvocati e retorica il mio appello al Presidente

Bologna, 18 aprile 2016

 

Sono molto contento di avere scritto l’editoriale di Filodiritto prima dell’uscita de “Il dubbio”, che, per inciso, già dal primo numero ha perso la definizione di Quotidiano dei garantisti. Non so se l’abbia nel frattempo ritrovata o la ritroverà, io non l’ho più comprato. Avevo solo il dubbio di essere stato eccessivamente critico. Invece il mio rammarico è di esserlo stato troppo poco. Rimedio ora, con garbo naturalmente. Anzi con educazione. Non so quanto sottovoce, come scrive nell’editoriale Piero Sansonetti citando Eco che chiedeva quindici anni or sono “di parlare sottovoce”.

Nell’arco della settimana ho approfondito i caratteri dell’operazione che colpevolmente non ho seguito sin dall’inizio. L’editore del quotidiano è Edizioni Diritto e Ragione S.r.l., neonata società con socio unico la Fondazione dell’Avvocatura Italiana, come da atto costitutivo scaricabile on line alla pagina http://www.dirittoeragione.it/chi-siamo/.

Tra gli scopi primari della Fondazione dell’Avvocatura Italiana lo statuto prevede la promozione e l’aggiornamento della cultura giuridica e forense, la valorizzazione dell’avvocatura, la divulgazione dei diritti di difesa della persona.

Per perseguire detti scopi, la Fondazione (come da Statuto scaricabile alla pagina http://www.consiglionazionaleforense.it/site/home/articolo9167.html#Presentazione) ha facoltà di “pubblicare, diffondere e commercializzare articoli, riviste, giornali e dispense, con qualsiasi cadenza, anche in abbinamento ad altri prodotti, su supporti cartacei, audiovisivi e cartacei”.

Gli scopi della Fondazione mi sembrano molto chiari e soprattutto ben determinati e circoscritti. Faccio fatica a ritrovarli negli obiettivi de Il dubbio, come presentati dal Presidente Mascherin e dal Direttore Piero Sansonetti. Faccio fatica per una ragione molto semplice, non perché non esistono, perché sono semplicemente lievitati, tanto da oscurare quelli originari della Fondazione. Secondo l’espressione cara ai costituzionalisti potremmo dire di essere di fronte ad un eccesso di delega.

Per estendere l’esame dal piano della legittimità a quello del merito, per chi non l’avesse letto riporto il passaggio a mio avviso più significativo del primo editoriale di Piero Sansonetti: “Non ci sono editori puri: ci sono costruttori di case, di macchine, di scarpe, finanzieri, commercianti, petrolieri. Ognuno entra in editoria per difendere i propri interessi. Editori puri, zero. Gli avvocati non hanno interessi economici da difendere. Sono l’editore più puro che esista nel panorama nazionale”.

Ho letto e riletto decine di volte questo passaggio – non esagero – e tuttora resto annichilito. Evidentemente Sansonetti – da giornalista di razza – ha flaubertianamente scelto ciascuna parola con cura maniacale, anche perché il primo editoriale di un nuovo quotidiano ne dà la linea, ne marca giustamente il senso e la differenza rispetto a tutti gli altri. Del resto deve convincere il lettore, deve farlo sentire dentro un’avventura del tutto nuova e nella quale proprio lui ha un ruolo fondamentale: fa parte della ciurma, condivide le idee del comandante e segue la rotta tracciata dal nostromo. La metafora è voluta, perché tutto considerato sono convinto che solo se si entra nell’epica (e, su un secondo piano, nel marketing) si possono spiegare le affermazioni di Sansonetti.

Abbandonata l’emotività – sinceramente io l’ho abbandonata ancor prima di comprare il giornale, ma dico tutti quelli che con legittima curiosità e aspettative hanno seguito e seguono l’iniziativa – è opportuno domandarsi: che senso ha quello che scrive Sansonetti? Provo a tracciare un percorso di lettura. A me sembra l’unico ma sono disponibile a ricredermi.

In sostanza Il dubbio ha senso perché in Italia manca un editore puro e siccome l’unico editore puro – anzi il più puro che esista – possono solo essere “gli avvocati” allora in qualche modo devono fare l’editore puro. Le affermazioni di Sansonetti sono viziate da clamorosi errori, difetti genetici e di prospettiva.

Innanzitutto tra la retorica emerge l’orgoglio tracotante della categoria (attenzione all’hybris!), che non soltanto si pone come categoria guida delle professioni, ma pretende anche di fare l’editore, naturalmente puro. Non l’editore di un “qualsiasi” giornale/periodico rivolto alla propria categoria, bensì l’editore di un quotidiano generalista. Cosa si intenda per editore puro, Sansonetti lo spiega: in sostanza senza interessi secondari, tanto è vero che gli avvocati non hanno interessi economici, sono evidentemente guidati da puro amore per il diritto e i diritti. Sono i buoni, se fossimo nel duecento cataro, potremmo dire i perfetti. Dico questo perché la logica è manichea: editore puro (avvocati) vs tutto il resto degli editori, evidentemente guidati da propri interessi economici. Come tali esecrabili.

Forse sono fuori moda ma penso che gli interessi, anche i più futili così come quelli economici, ci distinguono dagli animali. Non voglio cadere nel tranello di definire utopica la pretesa de Il dubbio, dico che è l’espressione di una visione manichea del mondo che non condivido.

Riprendendo l’editoriale di Sansonetti, se “gli avvocati non hanno interessi economici da difendere”, allora qual è lo scopo principale de Il dubbio? me lo sono già chiesto nel primo editoriale e non ho trovato risposta. E non è una risposta secondaria se si considera da chi è pagata l’iniziativa.

Ancora: a parte il fatto che ci si dimentica di Cairo, ma per svolgere la funzione sociale invocata da Sansonetti occorre per forza essere disinteressati? e disinteressati da cosa? dal denaro, dal bilancio? Io pensavo che fossero i lettori a decidere sino a qual punto dare credito ad un quotidiano, indipendentemente dagli interessi che ne orientano la linea. O sono tutti stupidi e devono essere telecomandati verso soluzioni per così dire “disinteressate certificate”?

Per finire, una nota empirica che conduce ad una conclusione facilmente prevedibile. Il nuovo quotidiano ha venduto in una edicola nei pressi del Tribunale di Bologna 4/5 copie nei primi cinque giorni di uscita. Di cui una mia. L’iniziativa è destinata al fallimento, passando dalla cessazione della pubblicazione cartacea. Quanto costerà agli avvocati?

Non mi riferisco solo a questioni economiche. Torno ad un concetto che – da profano (non sono un esperto di comunicazione) – mi è molto caro. Che percezione diamo all’esterno della nostra categoria (ammesso che esista una categoria)? Mettiamoci nei panni di un ingegnere, di un medico, di una casalinga (se ne esistono ancora) e di un imprenditore. Cosa potranno mai pensare di una categoria che arriva a questi livelli di pretese autoreferenziali? Ribadisco quanto ho già scritto: Il dubbio non solo non farà crescere la percezione positiva verso gli avvocati, ma rischia di minarne definitivamente la credibilità e di acuire le latenti spaccature all’interno della categoria. Quest’ultimo aspetto può essere visto positivamente, per ravvivare il dibattito, ma a che prezzo (questo sì economico)?

Colpito da un pizzico di megalomania (evidentemente è contagiosa), rivolgo un appello al Presidente e al Direttore: archiviate al più presto Il dubbio. Se volete ospito i vostri scritti su Filodiritto e così potrebbero fare altre testate giuridiche on line storiche (una per tutte, Altalex). Avrete visibilità non inferiore a quella de Il dubbio (sospetto notevolmente superiore), potrete liberamente e gratuitamente sostenere gli interessi di categoria (se vi sono) e gli altri che vi stanno a cuore (senza esagerare, Filodiritto ha una sua linea e non intendo transigere), vi risparmierete un fallimento (sicuramente doloroso) e, soprattutto, eviterete ulteriori pesanti uscite (perché non di sole convinzioni, per quanto possano essere nobili, vivono i quotidiani, anche on line e io, ve l’assicuro, ne so qualcosa).

Fine di questa puntata. Sarà l’ultima? non credo, ma non vorrei neppure tediare troppo i lettori di Filodiritto.

Bologna, 18 aprile 2016

 

Sono molto contento di avere scritto l’editoriale di Filodiritto prima dell’uscita de “Il dubbio”, che, per inciso, già dal primo numero ha perso la definizione di Quotidiano dei garantisti. Non so se l’abbia nel frattempo ritrovata o la ritroverà, io non l’ho più comprato. Avevo solo il dubbio di essere stato eccessivamente critico. Invece il mio rammarico è di esserlo stato troppo poco. Rimedio ora, con garbo naturalmente. Anzi con educazione. Non so quanto sottovoce, come scrive nell’editoriale Piero Sansonetti citando Eco che chiedeva quindici anni or sono “di parlare sottovoce”.

Nell’arco della settimana ho approfondito i caratteri dell’operazione che colpevolmente non ho seguito sin dall’inizio. L’editore del quotidiano è Edizioni Diritto e Ragione S.r.l., neonata società con socio unico la Fondazione dell’Avvocatura Italiana, come da atto costitutivo scaricabile on line alla pagina http://www.dirittoeragione.it/chi-siamo/.

Tra gli scopi primari della Fondazione dell’Avvocatura Italiana lo statuto prevede la promozione e l’aggiornamento della cultura giuridica e forense, la valorizzazione dell’avvocatura, la divulgazione dei diritti di difesa della persona.

Per perseguire detti scopi, la Fondazione (come da Statuto scaricabile alla pagina http://www.consiglionazionaleforense.it/site/home/articolo9167.html#Presentazione) ha facoltà di “pubblicare, diffondere e commercializzare articoli, riviste, giornali e dispense, con qualsiasi cadenza, anche in abbinamento ad altri prodotti, su supporti cartacei, audiovisivi e cartacei”.

Gli scopi della Fondazione mi sembrano molto chiari e soprattutto ben determinati e circoscritti. Faccio fatica a ritrovarli negli obiettivi de Il dubbio, come presentati dal Presidente Mascherin e dal Direttore Piero Sansonetti. Faccio fatica per una ragione molto semplice, non perché non esistono, perché sono semplicemente lievitati, tanto da oscurare quelli originari della Fondazione. Secondo l’espressione cara ai costituzionalisti potremmo dire di essere di fronte ad un eccesso di delega.

Per estendere l’esame dal piano della legittimità a quello del merito, per chi non l’avesse letto riporto il passaggio a mio avviso più significativo del primo editoriale di Piero Sansonetti: “Non ci sono editori puri: ci sono costruttori di case, di macchine, di scarpe, finanzieri, commercianti, petrolieri. Ognuno entra in editoria per difendere i propri interessi. Editori puri, zero. Gli avvocati non hanno interessi economici da difendere. Sono l’editore più puro che esista nel panorama nazionale”.

Ho letto e riletto decine di volte questo passaggio – non esagero – e tuttora resto annichilito. Evidentemente Sansonetti – da giornalista di razza – ha flaubertianamente scelto ciascuna parola con cura maniacale, anche perché il primo editoriale di un nuovo quotidiano ne dà la linea, ne marca giustamente il senso e la differenza rispetto a tutti gli altri. Del resto deve convincere il lettore, deve farlo sentire dentro un’avventura del tutto nuova e nella quale proprio lui ha un ruolo fondamentale: fa parte della ciurma, condivide le idee del comandante e segue la rotta tracciata dal nostromo. La metafora è voluta, perché tutto considerato sono convinto che solo se si entra nell’epica (e, su un secondo piano, nel marketing) si possono spiegare le affermazioni di Sansonetti.

Abbandonata l’emotività – sinceramente io l’ho abbandonata ancor prima di comprare il giornale, ma dico tutti quelli che con legittima curiosità e aspettative hanno seguito e seguono l’iniziativa – è opportuno domandarsi: che senso ha quello che scrive Sansonetti? Provo a tracciare un percorso di lettura. A me sembra l’unico ma sono disponibile a ricredermi.

In sostanza Il dubbio ha senso perché in Italia manca un editore puro e siccome l’unico editore puro – anzi il più puro che esista – possono solo essere “gli avvocati” allora in qualche modo devono fare l’editore puro. Le affermazioni di Sansonetti sono viziate da clamorosi errori, difetti genetici e di prospettiva.

Innanzitutto tra la retorica emerge l’orgoglio tracotante della categoria (attenzione all’hybris!), che non soltanto si pone come categoria guida delle professioni, ma pretende anche di fare l’editore, naturalmente puro. Non l’editore di un “qualsiasi” giornale/periodico rivolto alla propria categoria, bensì l’editore di un quotidiano generalista. Cosa si intenda per editore puro, Sansonetti lo spiega: in sostanza senza interessi secondari, tanto è vero che gli avvocati non hanno interessi economici, sono evidentemente guidati da puro amore per il diritto e i diritti. Sono i buoni, se fossimo nel duecento cataro, potremmo dire i perfetti. Dico questo perché la logica è manichea: editore puro (avvocati) vs tutto il resto degli editori, evidentemente guidati da propri interessi economici. Come tali esecrabili.

Forse sono fuori moda ma penso che gli interessi, anche i più futili così come quelli economici, ci distinguono dagli animali. Non voglio cadere nel tranello di definire utopica la pretesa de Il dubbio, dico che è l’espressione di una visione manichea del mondo che non condivido.

Riprendendo l’editoriale di Sansonetti, se “gli avvocati non hanno interessi economici da difendere”, allora qual è lo scopo principale de Il dubbio? me lo sono già chiesto nel primo editoriale e non ho trovato risposta. E non è una risposta secondaria se si considera da chi è pagata l’iniziativa.

Ancora: a parte il fatto che ci si dimentica di Cairo, ma per svolgere la funzione sociale invocata da Sansonetti occorre per forza essere disinteressati? e disinteressati da cosa? dal denaro, dal bilancio? Io pensavo che fossero i lettori a decidere sino a qual punto dare credito ad un quotidiano, indipendentemente dagli interessi che ne orientano la linea. O sono tutti stupidi e devono essere telecomandati verso soluzioni per così dire “disinteressate certificate”?

Per finire, una nota empirica che conduce ad una conclusione facilmente prevedibile. Il nuovo quotidiano ha venduto in una edicola nei pressi del Tribunale di Bologna 4/5 copie nei primi cinque giorni di uscita. Di cui una mia. L’iniziativa è destinata al fallimento, passando dalla cessazione della pubblicazione cartacea. Quanto costerà agli avvocati?

Non mi riferisco solo a questioni economiche. Torno ad un concetto che – da profano (non sono un esperto di comunicazione) – mi è molto caro. Che percezione diamo all’esterno della nostra categoria (ammesso che esista una categoria)? Mettiamoci nei panni di un ingegnere, di un medico, di una casalinga (se ne esistono ancora) e di un imprenditore. Cosa potranno mai pensare di una categoria che arriva a questi livelli di pretese autoreferenziali? Ribadisco quanto ho già scritto: Il dubbio non solo non farà crescere la percezione positiva verso gli avvocati, ma rischia di minarne definitivamente la credibilità e di acuire le latenti spaccature all’interno della categoria. Quest’ultimo aspetto può essere visto positivamente, per ravvivare il dibattito, ma a che prezzo (questo sì economico)?

Colpito da un pizzico di megalomania (evidentemente è contagiosa), rivolgo un appello al Presidente e al Direttore: archiviate al più presto Il dubbio. Se volete ospito i vostri scritti su Filodiritto e così potrebbero fare altre testate giuridiche on line storiche (una per tutte, Altalex). Avrete visibilità non inferiore a quella de Il dubbio (sospetto notevolmente superiore), potrete liberamente e gratuitamente sostenere gli interessi di categoria (se vi sono) e gli altri che vi stanno a cuore (senza esagerare, Filodiritto ha una sua linea e non intendo transigere), vi risparmierete un fallimento (sicuramente doloroso) e, soprattutto, eviterete ulteriori pesanti uscite (perché non di sole convinzioni, per quanto possano essere nobili, vivono i quotidiani, anche on line e io, ve l’assicuro, ne so qualcosa).

Fine di questa puntata. Sarà l’ultima? non credo, ma non vorrei neppure tediare troppo i lettori di Filodiritto.