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In caso di diffamazione a mezzo stampa non è possibile il sequestro preventivo della testata giornalistica online

Le Sezioni Unite si pronunciano sull’applicabilità delle garanzie costituzionali in tema di sequestro preventivo alle testate telematiche registrate.

Nota a Cass., Sez. Un., 29 gennaio 2015 (dep. 17 luglio 2015), n. 31022, Pres. Santacroce, Rel. Milo, Ric. Fazzo e altro

 

1.Il caso concreto

Il G.i.p. del Tribunale di Monza, nell’ambito di un procedimento penale a carico di due giornalisti, indagati in relazione ai reati di cui agli artt. 57, 595 c.p. e 13 L. n. 47/1948, aveva disposto il sequestro preventivo mediante “oscuramento” della pagina telematica di un quotidiano a tiratura nazionale, contenente un articolo diffamatorio. Siffatto provvedimento veniva confermato anche dal Tribunale del Riesame di Monza, avverso la cui ordinanza gli indagati avevano proposto ricorso per Cassazione. La sezione investita di tale procedimento, ritenendo che i temi dibattuti potessero dare luogo ad un contrasto giurisprudenziale rispetto agli orientamenti già espressi in sede di legittimità, aveva rimesso d’ufficio, ai sensi dell’art. 618 c.p.p., i ricorsi alle Sezioni Unite.

 

2.Le questioni di diritto rimesse alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 

Per quanto qui di maggiore interesse, occorre preliminarmente specificare che le Sezioni Unite sono state investite delle seguenti questioni di diritto: a) “se sia ammissibile il sequestro preventivo, anche parziale, di un sito web”; b) “se sia ammissibile, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, il sequestro preventivo della pagina web di una testata giornalistica telematica debitamente registrata”.

2.1.In relazione alla prima questione di carattere generale, le Sezioni Unite, dopo aver magistralmente ricostruito la disciplina del sequestro preventivo e il quadro normativo di riferimento (al fine di approfondire adeguatamente la sostenibilità giuridica dell’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità), hanno enunciato il seguente principio di diritto: “Ove ricorrano i presupposti del fumus commissi delicti e del periculum in mora, è ammissibile, nel rispetto del principio di proporzionalità, il sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. di un sito web o di una singola pagina telematica, anche imponendo al fornitore dei relativi servizi di attivarsi per rendere inaccessibile il sito o la specifica risorsa telematica incriminata”.

Volendo ora ripercorrere l’iter argomentativo, è bene rappresentare che il Supremo Collegio ha innanzitutto precisato che il sequestro preventivo, ponendo un vincolo di indisponibilità su una cosa pertinente al reato, si configura come un istituto “impeditivo”, che, senza perdere la sua connotazione di cautela reale, include implicitamente anche un profilo inibitorio, volto a consentire il soddisfacimento della finalità di difesa sociale e tutela della collettività cui tale misura è orientata. Del resto, lo stesso, come si legge nella Relazione al Progetto preliminare del codice di rito del 1988, non mira soltanto a sottrarre la disponibilità della cosa pertinente al reato a chi la detiene, ma “tende piuttosto ad inibire certe attività (…) che il destinatario della misura può realizzare mediante la cosa”.

Detto in altri termini, la funzione preventiva del sequestro preventivo “non si proietta necessariamente sull’autore del fatto criminoso, ma su beni che, postulando un vincolo di pertinenzialità col reato, vengono riguardati dall’ordinamento quali strumenti la cui libera disponibilità può costituire situazione di pericolo”: la sussistenza di un rapporto di pertinenzialità tra cosa e reato costituisce quindi un elemento imprescindibile per l’operatività di tale cautela.

Il che sta più semplicemente a significare che la predetta finalità di prevenzione risulta “mediata dalla cosa, considerata nel rapporto con la persona che ne ha la disponibilità”; siffatta circostanza rende il sequestro legittimo laddove lo stretto legame tra la persona e la res sia la causa del pericolo della perpetuatio criminis o della commissione di altri reati.

La Suprema Corte ha poi riflettuto sulla particolarità dell’oggetto della coercizione reale nel caso de quo, atteso che, come noto, internet non è un luogo, né uno spazio, ma una metodologia di comunicazione ipertestuale, che permette l’accesso a qualsiasi contenuto digitale posto su sistemi informatici connessi alla rete.

La dimensione fisica delle informazioni reperibili attraverso la rete telematica consiste pertanto nella struttura di ciascun file e si radica spazialmente nel computer, al cui interno il documento è materialmente memorizzato; i documenti reperibili in rete non sono altro che files registrati all’interno dei servers degli Internet Service Providers ovvero sui computers degli utenti. Conseguentemente, il dato informatico risulta sempre incorporato in un supporto fisico, anche se la sua fruizione attraverso la rete rende difficile la percezione della sua “fisicità”.

Del resto, la Convenzione del Consiglio d’Europa in tema di crimine informatico, firmata a Budapest nel 2001 – la quale costituisce “il caposaldo normativo dal quale oggi non si può e non si deve prescindere[1] - ha esplicitamente equiparato il dato informatico al concetto di cosa, che, se pertinente al reato, può essere oggetto di sequestro.

Ciò nondimeno, il Legislatore nazionale, nel dare esecuzione alla predetta Convenzione con la legge n. 48/2008, ha apportato alcune modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, prevedendo soltanto il sequestro probatorio – e non anche quello preventivo - dei dati informatici.

In relazione a tale profilo, le Sezioni Unite, pur prendendo atto che le citate innovazioni normative riguardassero il solo sequestro probatorio, hanno rilevato che i due istituti del sequestro probatorio e preventivo, pur perseguendo scopi diversi, rispettivamente assolvendo il primo la funzione endoprocessuale di mezzo di ricerca della prova e assumendo il secondo natura cautelare, sono contraddistinti da una caratteristica comune, quella cioè di scongiurare una indiscriminata utilizzabilità della res che ne forma oggetto, sottraendola alla disponibilità materiale e/o giuridica del proprietario, possessore o detentore.

In merito poi alle concrete modalità esecutive di tale cautela reale, il Supremo Collegio ha messo in evidenza che le disposizioni del d. lgs. n. 70/2003 integrano, con riferimento alla specifica materia disciplinata, il contenuto dell’art. 321 c.p.p. e consentono di superare qualunque riserva circa la possibilità di sottoporre a sequestro preventivo dati informatici che circolano in rete in forma dematerializzata.

In particolare, una lettura congiunta e coordinata di siffatte disposizioni consente proprio di affermare che quanto in esse previsto delinea una vera e propria inibitoria.

Conclusivamente, nell’ambito del mondo digitale, il sequestro preventivo, ove ne ricorrano i presupposti, investe direttamente la disponibilità delle risorse telematiche o informatiche d’interesse, equiparate normativamente a cose e deve necessariamente implicare l’inibitoria dell’attività criminosa in atto, la sola in grado di assicurare effettività alla cautela.

2.2. Dopo aver risolto positivamente la prima questione di carattere generale, la Suprema Corte ha esaminato quella relativa all’ammissibilità del sequestro preventivo di una testata giornalistica on-line regolarmente registrata o di una determinata pagina web di detta testata, arrivando ad enunciare il seguente principio di diritto: “La testata giornalistica telematica, in quanto assimilabile funzionalmente a quella tradizionale, rientra nel concetto ampio di stampa e soggiace alla normativa, di rango costituzione e di livello ordinario, che disciplina l’attività d’informazione professionale diretta al pubblico”. Da ciò ne consegue che: “Il giornale on line, al pari di quello cartaceo, non può essere oggetto di sequestro preventivo, eccettuati i casi tassativamente previsti dalla legge, tra i quali non è compreso il reato di diffamazione a mezzo stampa”.

Volendo anche per siffatta questione, ripercorrere l’iter argomentativo, merita rappresentare che le Sezioni Unite hanno in primis effettuato un ampio excursus storico, doveroso per poter apprezzare sia l’evoluzione normativa a presidio della libertà di informazione e il nesso inscindibile tra questa e l’esercizio della democrazia, sia ciò che statuiscono la Costituzione e la l. n. 47/1948 (varata dall’Assemblea costituente), quali punti di approdo della predetta evoluzione.  

In particolare, per quanto qui di maggiore interesse, nell’art. 21 della Costituzione, in cui compare per la prima volta il termine stampa, si specifica che la medesima non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure e si sottopone il sequestro della stessa alla duplice garanzia della riserva di legge e di giurisdizione (si può sequestrare il quotidiano soltanto nei casi tassativamente previsti e tra questi non figura la natura diffamatoria di uno scritto).

In secondo luogo, la Suprema Corte ha preso posizione sulla possibilità di estendere le garanzie costituzionali in tema di sequestro preventivo della stampa alle manifestazioni del pensiero destinate ad essere trasmesse in via telematica, ivi comprese quelle oggetto di articoli giornalistici pubblicati sul web.

In relazione a ciò, la stessa ha rappresentato che, non estendendo siffatte garanzie, si verrebbe a determinare “un’evidente situazione di tensione con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.”, posto che “si legittimerebbe (…) un irragionevole trattamento differenziato dell’informazione giornalistica veicolata su carta rispetto a quella diffusa in rete, con la conseguenza paradossale che la seconda, anche se mera riproduzione della prima, sarebbe assoggettabile, diversamente da quest’ultima, a sequestro preventivo”. Si rischierebbe, in altri termini, di riservare, al di là di qualsiasi ragionevolezza, trattamenti differenziati a due fattispecie praticamente identiche sotto il profilo della loro funzionalità.

Pur di fronte alla colpevole inerzia del Legislatore, rimasto insensibile a ogni sollecitazione di fare chiarezza sullo specifico punto controverso, è necessario, secondo il Supremo Collegio, discostarsi dall’esegesi letterale del dettato normativo dell’art. 1 della l. n. 47/1948, il quale, nella sua accezione tecnica, precisa che sono da considerarsi stampe o stampati “tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione”.

Le Sezioni Unite hanno pertanto legittimato, nel rispetto del principio di legalità, un’interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata del predetto dettato, in modo tale da attribuire al termine stampa un significato “figurato”, evolutivo, che da un lato permetta di accreditare al dato normativo un senso e una portata corrispondenti alla coscienza giuridica e alle necessità sociali attuali e che dall’altro sia comunque coerente con la mens legis e, quindi, con l’ordinamento positivo considerato nel suo complesso.

Sempre ad avviso delle stesse, siffatta interpretazione non può indistintamente riguardare tutti i nuovi mezzi, informatici e telematici, di manifestazione del pensiero, atteso che le garanzie costituzionali in tema di sequestro della stampa possono soltanto essere estese all’area della c.d. informazione di tipo professionale, veicolata per il tramite di una testata giornalistica on line, e non “[a]l vasto ed eterogeneo ambito della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo” (forum, blog, facebook, newsletter, newsgroup, mailing list).  

Del resto, la Corte ha ritenuto di intuitiva evidenza il fatto che un quotidiano o un periodico telematico, strutturato come un vero e proprio giornale tradizionale, con una sua organizzazione redazionale e un direttore responsabile, non possa certo paragonarsi a uno qualunque dei siti web innanzi citati.

È stato pertanto valorizzato l’elemento realmente caratterizzante l’attività giornalistica, ossia il suo scopo informativo, traendone la conseguenza che un giornale “può ritenersi tale se [possiede determinati] (…) requisiti, struttural[i] e finalistic[i], (…) anche se la tecnica di diffusione al pubblico sia diversa dalla riproduzione tipografica o ottenuta con mezzi meccanici o fisico-chimici”. In particolare, la struttura è costituita dalla testata e dalla periodicità regolare delle pubblicazioni; la finalità si concretizza nella raccolta, nel commento e nell’analisi critica di notizie legate all’attualità e dirette al pubblico, perché ne abbia conoscenza e ne assuma consapevolezza nella libera formazione della propria opinione.

Ad avviso del Supremo Collegio, non è condivisibile la tesi secondo cui il giornale telematico non rispecchierebbe le due condizioni ritenute essenziali ai fini della sussistenza del prodotto stampa come definito dalla l. n. 47/1948, atteso che: a) la riproduzione ben può essere intesa come potenziale accessibilità di tutti al contenuto dello stampato e, al riguardo, la produzione di un testo su internet risulta funzionale alla possibilità di riprodurne e leggerne il contenuto sul proprio computer; b) l’immissione dell’informazione giornalistica in rete lascia presumere la diffusione della stessa, che diventa fruibile da parte di un numero indeterminato di utenti e ciò integra la nozione di pubblicazione.

Ma vi è di più. La previsione dell’obbligo di registrazione della testata on line (obbligo previsto, sempre ad avviso della Corte, anche per l’editoria on line dalla legge n. 62/2001, che ha introdotto la nozione di prodotto editoriale, cui ricondurre i contenuti diffusi sia dai media tradizionali, sia via web), non è un mero adempimento amministrativo fine a sé stesso, ma è funzionale a individuare le responsabilità collegate alle pubblicazioni e a rendere operative le corrispondenti garanzie costituzionali.

In sintesi: il giornale telematico, sia se riproduzione di quello cartaceo, sia se unica e autonoma fonte di informazione professionale, soggiace alla normativa sulla stampa, perché ontologicamente e funzionalmente è assimilabile alla pubblicazione cartacea. Lo stesso è, infatti, un prodotto editoriale, con una propria testata identificativa, diffuso con regolarità in rete; ha la finalità di raccogliere, commentare e criticare notizie di attualità dirette al pubblico; ha un direttore responsabile, iscritto all’Albo dei giornalisti; è registrato presso il Tribunale del luogo in cui ha sede la redazione; ha un hosting provider, che funge da stampatore, e un editore registrato presso il ROC.

Conseguentemente, la stampa telematica, al pari di quella tradizionale, in quanto emancipata da qualsiasi forma di censura, non può essere sottoposta a sequestro preventivo, se non nei casi eccezionali espressamente previsti dalla legge, e soggiace alle norme che disciplinano la responsabilità per gli illeciti commessi.

 

3.Considerazioni conclusive

Tanto premesso e rappresentato, merita ora effettuare qualche riflessione e considerazione critica sull’iter argomentativo seguito dal Supremo Collegio.

Come è stato autorevolmente osservato, il dispositivo della sentenza in commento “è in linea di massima condivisibile, laddove giunge a estendere la garanzia dell’art. 21, co. 3, Cost. dalla stampa alla rete (…). Tuttavia la motivazione contiene alcune affermazioni, che costituiscono i presupposti del dispositivo stesso e che non paiono del tutto convincenti[2].

Ciò innanzitutto per una ragione “di metodo”, atteso che la soluzione prospettata dal Collegio rinviene il suo fondamento logico-giuridico nell’esigenza di corroborare una definizione unitaria di stampa e, conseguentemente, di avvalorare la tesi dell’ontologica assimilazione tra testate giornalistiche tradizionali e telematiche.

Alla base dell’intera pronuncia vi è la seguente considerazione: “esiste una diversità di disciplina tra informazione diffusa tramite carta stampata e on-line e ciò urta contro un senso di uguaglianza sostanziale che indurrebbe, viceversa, ad applicare ai due fenomeni, obiettivamente molto simili, le stesse regole[3].

La Corte pare pertanto mossa dalla necessità di risolvere siffatta disparità di trattamento e, nell’intento di evitare un vulnus al principio di uguaglianza, la stessa sembra sacrificare la corretta interpretazione delle leggi, posto che “nel leggere la motivazione, sembra di vedere la [stessa] scivolare in un terreno che le dovrebbe rimanere estraneo, appannaggio del Legislatore”[4].

Vero che il principio di uguaglianza può e deve indirizzare i giudici a scegliere, tra le opzioni possibili, quella corretta o quella più in armonia con i canoni costituzionali; vero anche, tuttavia, che i giudici, nel compiere tale attività ermeneutica, non devono in alcun modo sostituirsi al Legislatore.

Su un piano più generale, la sentenza in commento sembra proprio “costituire un’ulteriore conferma del progressivo scivolamento (…) della funzione di nomofilachia, istituzionalmente attribuita alla Suprema Corte, verso forme di nomopoiesi. Ricorre, infatti, con sempre maggiore frequenza, nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, la scelta di avallare opzioni interpretative che, risolvendosi in una forzatura della naturale portata semantica delle proposizioni legislative, finiscono – in concreto – per assumere una valenza creativa – e, in questo senso, normativa – probabilmente raccordabile con il ruolo affidato alla suprema magistratura – e, complessivamente, all’autorità giudiziaria – nell’attuale ordinamento giuridico-costituzionale. (…) La giurisprudenza si è trovata ad uscire dal terreno del controllo, che è quello che le è più proprio, per addentrarsi in quello della mediazione e della regolazione del conflitto sociale, rimesse, in linea teorica, al raccordo Parlamento-Governo[5]

Nel caso de quo, le Sezioni Unite, per poter sostenere la parificazione della disciplina della stampa telematica e tradizionale, sembrano essere ricorse a delle regole discrezionali, non rinvenibili nel tessuto normativo.

In quest’ultimo, non vi è infatti alcuna traccia della distinzione tra l’area dell’informazione di tipo professionale e il “vasto ed eterogeneo ambito della diffusione di notizie ed informazione da parte di singoli soggetti in modo spontaneo”.

Parimenti, le disposizioni della legge n. 62/2001 non valgono a giustificare l’equiparazione tout court della stampa telematica a quella tradizionale, atteso che le stesse si sono limitate ad introdurre la registrazione dei giornali on-line soltanto per ragioni amministrative e, in ultima analisi, perché possano essere richieste le provvidenze previste per l’editoria (come ha chiarito il successivo d. lgs. n. 70/2003).

La Cassazione sembra inoltre “forzare” il dato normativo laddove precisa che al concetto di riproduzione sia riconducibile anche l’immissione del testo in rete tra un pubblico indistinto, posto che “quand’anche si ritenesse che pure l’immissione in rete dell’articolo giornalistico possa rappresentare una forma di pubblicazione, in quanto rivolta a rendere quel contenuto fruibile per un numero potenzialmente illimitato di destinatari, risulterebbe pur sempre mancante il necessario presupposto della riproduzione tipografica o comunque ottenuta con mezzi meccanici o fisico-chimici[6]. Del resto, gli utenti possono leggere e riprodurre l’informazione divulgata sul web, ma siffatta condotta non è altro che una facoltà meramente eventuale e successiva, rimessa alla discrezionalità degli stessi[7].

Vale ora la pena di osservare come la naturale conseguenza di quanto sopra esposto, ossia dell’assimilabilità della stampa telematica a quella cartacea, rischia di essere che tutte le disposizioni previste per la stampa diventerebbero applicabili alla rete (o per meglio dire, all’informazione periodica professionale diffusa on-line), ivi comprese sia quelle di favore, come la tutela avverso i sequestri, sia quelle in malam partem.

È evidente che, se il diritto vivente riflettesse ciò, già ora sussisterebbe un obbligo di registrazione per i periodici telematici e, conseguentemente, commetterebbe il reato di stampa clandestina la testata on-line non registrata presso la cancelleria del Tribunale territorialmente competente.

Allo stesso modo, le testate telematiche dovrebbero dotarsi di un direttore responsabile in capo al quale applicare l’art. 57 c.p. per la colpevole omissione del controllo rispetto ai contenuti redazionali pubblicati e i reati di diffamazione o pubblicazioni oscene integrati tramite internet riceverebbero il più severo trattamento sanzionatorio previsto dagli artt. 13, 14 e 15 della l. n. 47/1948.

Ma vi è di più. In un momento in cui si sta discutendo in relazione all’abolizione della pena detentiva per i reati a mezzo stampa, non pare opportuno estendere sanzioni così severe a un ambito che potrebbe invece restarne estraneo.

Non si può infine non rilevare come le conseguenze che l’imposizione assunta dalle Sezioni Unite avrebbe se la giurisprudenza si uniformasse ad essa costituiscano una “spia del fatto che, non tanto l’approdo, quanto la via percorsa dalla Cassazione per giungervi sia poco convincente[8]

Vero che non è assolutamente sbagliato tentare interpretazioni evolutive; vero anche, tuttavia, che una corretta esegesi deve essere rigorosamente basata su solidi e rigorosi criteri ermeneutici, che non si risolvano in una forzatura della naturale portata semantica delle disposizioni legislative, che non assumano in concreto una valenza creativa (e, in questo senso, normativa) e che permettano al Supremo Collegio di esercitare la sola funzione nomofilattica.

 

Note

[1] P. GRILLO, Sequestro preventivo del quotidiano on-line: il no delle Sezioni Unite, in Diritto & Giustizia, fasc. 29, 2015, 28;

[2] C. MELZI D’ERIL, Contrordine compagni: le Sezioni Unite estendono le garanzie costituzionali previste per il sequestro degli stampati alle testate on-line registrate, consultabile su Diritto Penale Contemporaneo.it, 9 marzo 2016, 9;

[3] C. MELZI D’ERIL, Contrordine compagni: le Sezioni Unite estendono le garanzie costituzionali previste per il sequestro degli stampati alle testate on-line registrate, cit., 8;  

[4] C. MELZI D’ERIL, Contrordine compagni: le Sezioni Unite estendono le garanzie costituzionali previste per il sequestro degli stampati alle testate on-line registrate, cit., 8; 

[5] L. DIOTALLEVI, La Corte di Cassazione sancisce l’equiparazione tra giornali cartacei e telematici ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di sequestro preventivo: un nuovo caso di scivolamento dalla nomofilachia alla nomopoiesi?, in Giurisprudenza Costituzionale, fasc. 3, 2015, 1062;

[6] L. PAOLONI, Le Sezioni Unite si pronunciano per l’applicabilità alle testate telematiche delle garanzie costituzionali sul sequestro della stampa, in Cassazione Penale, fasc. 10, 2015, 3454;

[7] Sul punto, si veda anche A. PULVIRENTI, Sequestro e Internet: dalle Sezioni Unite una soluzione equilibrata ma creativa, in Processo penale e giustizia, n. 6, 2015, 78 ss.;

[8] C. MELZI D’ERIL, Contrordine compagni: le Sezioni Unite estendono le garanzie costituzionali previste per il sequestro degli stampati alle testate on-line registrate, cit., 12;

Redatto il 17 maggio 2016

Le Sezioni Unite si pronunciano sull’applicabilità delle garanzie costituzionali in tema di sequestro preventivo alle testate telematiche registrate.

Nota a Cass., Sez. Un., 29 gennaio 2015 (dep. 17 luglio 2015), n. 31022, Pres. Santacroce, Rel. Milo, Ric. Fazzo e altro

 

1.Il caso concreto

Il G.i.p. del Tribunale di Monza, nell’ambito di un procedimento penale a carico di due giornalisti, indagati in relazione ai reati di cui agli artt. 57, 595 c.p. e 13 L. n. 47/1948, aveva disposto il sequestro preventivo mediante “oscuramento” della pagina telematica di un quotidiano a tiratura nazionale, contenente un articolo diffamatorio. Siffatto provvedimento veniva confermato anche dal Tribunale del Riesame di Monza, avverso la cui ordinanza gli indagati avevano proposto ricorso per Cassazione. La sezione investita di tale procedimento, ritenendo che i temi dibattuti potessero dare luogo ad un contrasto giurisprudenziale rispetto agli orientamenti già espressi in sede di legittimità, aveva rimesso d’ufficio, ai sensi dell’art. 618 c.p.p., i ricorsi alle Sezioni Unite.

 

2.Le questioni di diritto rimesse alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 

Per quanto qui di maggiore interesse, occorre preliminarmente specificare che le Sezioni Unite sono state investite delle seguenti questioni di diritto: a) “se sia ammissibile il sequestro preventivo, anche parziale, di un sito web”; b) “se sia ammissibile, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, il sequestro preventivo della pagina web di una testata giornalistica telematica debitamente registrata”.

2.1.In relazione alla prima questione di carattere generale, le Sezioni Unite, dopo aver magistralmente ricostruito la disciplina del sequestro preventivo e il quadro normativo di riferimento (al fine di approfondire adeguatamente la sostenibilità giuridica dell’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità), hanno enunciato il seguente principio di diritto: “Ove ricorrano i presupposti del fumus commissi delicti e del periculum in mora, è ammissibile, nel rispetto del principio di proporzionalità, il sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. di un sito web o di una singola pagina telematica, anche imponendo al fornitore dei relativi servizi di attivarsi per rendere inaccessibile il sito o la specifica risorsa telematica incriminata”.

Volendo ora ripercorrere l’iter argomentativo, è bene rappresentare che il Supremo Collegio ha innanzitutto precisato che il sequestro preventivo, ponendo un vincolo di indisponibilità su una cosa pertinente al reato, si configura come un istituto “impeditivo”, che, senza perdere la sua connotazione di cautela reale, include implicitamente anche un profilo inibitorio, volto a consentire il soddisfacimento della finalità di difesa sociale e tutela della collettività cui tale misura è orientata. Del resto, lo stesso, come si legge nella Relazione al Progetto preliminare del codice di rito del 1988, non mira soltanto a sottrarre la disponibilità della cosa pertinente al reato a chi la detiene, ma “tende piuttosto ad inibire certe attività (…) che il destinatario della misura può realizzare mediante la cosa”.

Detto in altri termini, la funzione preventiva del sequestro preventivo “non si proietta necessariamente sull’autore del fatto criminoso, ma su beni che, postulando un vincolo di pertinenzialità col reato, vengono riguardati dall’ordinamento quali strumenti la cui libera disponibilità può costituire situazione di pericolo”: la sussistenza di un rapporto di pertinenzialità tra cosa e reato costituisce quindi un elemento imprescindibile per l’operatività di tale cautela.

Il che sta più semplicemente a significare che la predetta finalità di prevenzione risulta “mediata dalla cosa, considerata nel rapporto con la persona che ne ha la disponibilità”; siffatta circostanza rende il sequestro legittimo laddove lo stretto legame tra la persona e la res sia la causa del pericolo della perpetuatio criminis o della commissione di altri reati.

La Suprema Corte ha poi riflettuto sulla particolarità dell’oggetto della coercizione reale nel caso de quo, atteso che, come noto, internet non è un luogo, né uno spazio, ma una metodologia di comunicazione ipertestuale, che permette l’accesso a qualsiasi contenuto digitale posto su sistemi informatici connessi alla rete.

La dimensione fisica delle informazioni reperibili attraverso la rete telematica consiste pertanto nella struttura di ciascun file e si radica spazialmente nel computer, al cui interno il documento è materialmente memorizzato; i documenti reperibili in rete non sono altro che files registrati all’interno dei servers degli Internet Service Providers ovvero sui computers degli utenti. Conseguentemente, il dato informatico risulta sempre incorporato in un supporto fisico, anche se la sua fruizione attraverso la rete rende difficile la percezione della sua “fisicità”.

Del resto, la Convenzione del Consiglio d’Europa in tema di crimine informatico, firmata a Budapest nel 2001 – la quale costituisce “il caposaldo normativo dal quale oggi non si può e non si deve prescindere[1] - ha esplicitamente equiparato il dato informatico al concetto di cosa, che, se pertinente al reato, può essere oggetto di sequestro.

Ciò nondimeno, il Legislatore nazionale, nel dare esecuzione alla predetta Convenzione con la legge n. 48/2008, ha apportato alcune modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, prevedendo soltanto il sequestro probatorio – e non anche quello preventivo - dei dati informatici.

In relazione a tale profilo, le Sezioni Unite, pur prendendo atto che le citate innovazioni normative riguardassero il solo sequestro probatorio, hanno rilevato che i due istituti del sequestro probatorio e preventivo, pur perseguendo scopi diversi, rispettivamente assolvendo il primo la funzione endoprocessuale di mezzo di ricerca della prova e assumendo il secondo natura cautelare, sono contraddistinti da una caratteristica comune, quella cioè di scongiurare una indiscriminata utilizzabilità della res che ne forma oggetto, sottraendola alla disponibilità materiale e/o giuridica del proprietario, possessore o detentore.

In merito poi alle concrete modalità esecutive di tale cautela reale, il Supremo Collegio ha messo in evidenza che le disposizioni del d. lgs. n. 70/2003 integrano, con riferimento alla specifica materia disciplinata, il contenuto dell’art. 321 c.p.p. e consentono di superare qualunque riserva circa la possibilità di sottoporre a sequestro preventivo dati informatici che circolano in rete in forma dematerializzata.

In particolare, una lettura congiunta e coordinata di siffatte disposizioni consente proprio di affermare che quanto in esse previsto delinea una vera e propria inibitoria.

Conclusivamente, nell’ambito del mondo digitale, il sequestro preventivo, ove ne ricorrano i presupposti, investe direttamente la disponibilità delle risorse telematiche o informatiche d’interesse, equiparate normativamente a cose e deve necessariamente implicare l’inibitoria dell’attività criminosa in atto, la sola in grado di assicurare effettività alla cautela.

2.2. Dopo aver risolto positivamente la prima questione di carattere generale, la Suprema Corte ha esaminato quella relativa all’ammissibilità del sequestro preventivo di una testata giornalistica on-line regolarmente registrata o di una determinata pagina web di detta testata, arrivando ad enunciare il seguente principio di diritto: “La testata giornalistica telematica, in quanto assimilabile funzionalmente a quella tradizionale, rientra nel concetto ampio di stampa e soggiace alla normativa, di rango costituzione e di livello ordinario, che disciplina l’attività d’informazione professionale diretta al pubblico”. Da ciò ne consegue che: “Il giornale on line, al pari di quello cartaceo, non può essere oggetto di sequestro preventivo, eccettuati i casi tassativamente previsti dalla legge, tra i quali non è compreso il reato di diffamazione a mezzo stampa”.

Volendo anche per siffatta questione, ripercorrere l’iter argomentativo, merita rappresentare che le Sezioni Unite hanno in primis effettuato un ampio excursus storico, doveroso per poter apprezzare sia l’evoluzione normativa a presidio della libertà di informazione e il nesso inscindibile tra questa e l’esercizio della democrazia, sia ciò che statuiscono la Costituzione e la l. n. 47/1948 (varata dall’Assemblea costituente), quali punti di approdo della predetta evoluzione.  

In particolare, per quanto qui di maggiore interesse, nell’art. 21 della Costituzione, in cui compare per la prima volta il termine stampa, si specifica che la medesima non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure e si sottopone il sequestro della stessa alla duplice garanzia della riserva di legge e di giurisdizione (si può sequestrare il quotidiano soltanto nei casi tassativamente previsti e tra questi non figura la natura diffamatoria di uno scritto).

In secondo luogo, la Suprema Corte ha preso posizione sulla possibilità di estendere le garanzie costituzionali in tema di sequestro preventivo della stampa alle manifestazioni del pensiero destinate ad essere trasmesse in via telematica, ivi comprese quelle oggetto di articoli giornalistici pubblicati sul web.

In relazione a ciò, la stessa ha rappresentato che, non estendendo siffatte garanzie, si verrebbe a determinare “un’evidente situazione di tensione con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.”, posto che “si legittimerebbe (…) un irragionevole trattamento differenziato dell’informazione giornalistica veicolata su carta rispetto a quella diffusa in rete, con la conseguenza paradossale che la seconda, anche se mera riproduzione della prima, sarebbe assoggettabile, diversamente da quest’ultima, a sequestro preventivo”. Si rischierebbe, in altri termini, di riservare, al di là di qualsiasi ragionevolezza, trattamenti differenziati a due fattispecie praticamente identiche sotto il profilo della loro funzionalità.

Pur di fronte alla colpevole inerzia del Legislatore, rimasto insensibile a ogni sollecitazione di fare chiarezza sullo specifico punto controverso, è necessario, secondo il Supremo Collegio, discostarsi dall’esegesi letterale del dettato normativo dell’art. 1 della l. n. 47/1948, il quale, nella sua accezione tecnica, precisa che sono da considerarsi stampe o stampati “tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione”.

Le Sezioni Unite hanno pertanto legittimato, nel rispetto del principio di legalità, un’interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata del predetto dettato, in modo tale da attribuire al termine stampa un significato “figurato”, evolutivo, che da un lato permetta di accreditare al dato normativo un senso e una portata corrispondenti alla coscienza giuridica e alle necessità sociali attuali e che dall’altro sia comunque coerente con la mens legis e, quindi, con l’ordinamento positivo considerato nel suo complesso.

Sempre ad avviso delle stesse, siffatta interpretazione non può indistintamente riguardare tutti i nuovi mezzi, informatici e telematici, di manifestazione del pensiero, atteso che le garanzie costituzionali in tema di sequestro della stampa possono soltanto essere estese all’area della c.d. informazione di tipo professionale, veicolata per il tramite di una testata giornalistica on line, e non “[a]l vasto ed eterogeneo ambito della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo” (forum, blog, facebook, newsletter, newsgroup, mailing list).  

Del resto, la Corte ha ritenuto di intuitiva evidenza il fatto che un quotidiano o un periodico telematico, strutturato come un vero e proprio giornale tradizionale, con una sua organizzazione redazionale e un direttore responsabile, non possa certo paragonarsi a uno qualunque dei siti web innanzi citati.

È stato pertanto valorizzato l’elemento realmente caratterizzante l’attività giornalistica, ossia il suo scopo informativo, traendone la conseguenza che un giornale “può ritenersi tale se [possiede determinati] (…) requisiti, struttural[i] e finalistic[i], (…) anche se la tecnica di diffusione al pubblico sia diversa dalla riproduzione tipografica o ottenuta con mezzi meccanici o fisico-chimici”. In particolare, la struttura è costituita dalla testata e dalla periodicità regolare delle pubblicazioni; la finalità si concretizza nella raccolta, nel commento e nell’analisi critica di notizie legate all’attualità e dirette al pubblico, perché ne abbia conoscenza e ne assuma consapevolezza nella libera formazione della propria opinione.

Ad avviso del Supremo Collegio, non è condivisibile la tesi secondo cui il giornale telematico non rispecchierebbe le due condizioni ritenute essenziali ai fini della sussistenza del prodotto stampa come definito dalla l. n. 47/1948, atteso che: a) la riproduzione ben può essere intesa come potenziale accessibilità di tutti al contenuto dello stampato e, al riguardo, la produzione di un testo su internet risulta funzionale alla possibilità di riprodurne e leggerne il contenuto sul proprio computer; b) l’immissione dell’informazione giornalistica in rete lascia presumere la diffusione della stessa, che diventa fruibile da parte di un numero indeterminato di utenti e ciò integra la nozione di pubblicazione.

Ma vi è di più. La previsione dell’obbligo di registrazione della testata on line (obbligo previsto, sempre ad avviso della Corte, anche per l’editoria on line dalla legge n. 62/2001, che ha introdotto la nozione di prodotto editoriale, cui ricondurre i contenuti diffusi sia dai media tradizionali, sia via web), non è un mero adempimento amministrativo fine a sé stesso, ma è funzionale a individuare le responsabilità collegate alle pubblicazioni e a rendere operative le corrispondenti garanzie costituzionali.

In sintesi: il giornale telematico, sia se riproduzione di quello cartaceo, sia se unica e autonoma fonte di informazione professionale, soggiace alla normativa sulla stampa, perché ontologicamente e funzionalmente è assimilabile alla pubblicazione cartacea. Lo stesso è, infatti, un prodotto editoriale, con una propria testata identificativa, diffuso con regolarità in rete; ha la finalità di raccogliere, commentare e criticare notizie di attualità dirette al pubblico; ha un direttore responsabile, iscritto all’Albo dei giornalisti; è registrato presso il Tribunale del luogo in cui ha sede la redazione; ha un hosting provider, che funge da stampatore, e un editore registrato presso il ROC.

Conseguentemente, la stampa telematica, al pari di quella tradizionale, in quanto emancipata da qualsiasi forma di censura, non può essere sottoposta a sequestro preventivo, se non nei casi eccezionali espressamente previsti dalla legge, e soggiace alle norme che disciplinano la responsabilità per gli illeciti commessi.

 

3.Considerazioni conclusive

Tanto premesso e rappresentato, merita ora effettuare qualche riflessione e considerazione critica sull’iter argomentativo seguito dal Supremo Collegio.

Come è stato autorevolmente osservato, il dispositivo della sentenza in commento “è in linea di massima condivisibile, laddove giunge a estendere la garanzia dell’art. 21, co. 3, Cost. dalla stampa alla rete (…). Tuttavia la motivazione contiene alcune affermazioni, che costituiscono i presupposti del dispositivo stesso e che non paiono del tutto convincenti[2].

Ciò innanzitutto per una ragione “di metodo”, atteso che la soluzione prospettata dal Collegio rinviene il suo fondamento logico-giuridico nell’esigenza di corroborare una definizione unitaria di stampa e, conseguentemente, di avvalorare la tesi dell’ontologica assimilazione tra testate giornalistiche tradizionali e telematiche.

Alla base dell’intera pronuncia vi è la seguente considerazione: “esiste una diversità di disciplina tra informazione diffusa tramite carta stampata e on-line e ciò urta contro un senso di uguaglianza sostanziale che indurrebbe, viceversa, ad applicare ai due fenomeni, obiettivamente molto simili, le stesse regole[3].

La Corte pare pertanto mossa dalla necessità di risolvere siffatta disparità di trattamento e, nell’intento di evitare un vulnus al principio di uguaglianza, la stessa sembra sacrificare la corretta interpretazione delle leggi, posto che “nel leggere la motivazione, sembra di vedere la [stessa] scivolare in un terreno che le dovrebbe rimanere estraneo, appannaggio del Legislatore”[4].

Vero che il principio di uguaglianza può e deve indirizzare i giudici a scegliere, tra le opzioni possibili, quella corretta o quella più in armonia con i canoni costituzionali; vero anche, tuttavia, che i giudici, nel compiere tale attività ermeneutica, non devono in alcun modo sostituirsi al Legislatore.

Su un piano più generale, la sentenza in commento sembra proprio “costituire un’ulteriore conferma del progressivo scivolamento (…) della funzione di nomofilachia, istituzionalmente attribuita alla Suprema Corte, verso forme di nomopoiesi. Ricorre, infatti, con sempre maggiore frequenza, nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, la scelta di avallare opzioni interpretative che, risolvendosi in una forzatura della naturale portata semantica delle proposizioni legislative, finiscono – in concreto – per assumere una valenza creativa – e, in questo senso, normativa – probabilmente raccordabile con il ruolo affidato alla suprema magistratura – e, complessivamente, all’autorità giudiziaria – nell’attuale ordinamento giuridico-costituzionale. (…) La giurisprudenza si è trovata ad uscire dal terreno del controllo, che è quello che le è più proprio, per addentrarsi in quello della mediazione e della regolazione del conflitto sociale, rimesse, in linea teorica, al raccordo Parlamento-Governo[5]

Nel caso de quo, le Sezioni Unite, per poter sostenere la parificazione della disciplina della stampa telematica e tradizionale, sembrano essere ricorse a delle regole discrezionali, non rinvenibili nel tessuto normativo.

In quest’ultimo, non vi è infatti alcuna traccia della distinzione tra l’area dell’informazione di tipo professionale e il “vasto ed eterogeneo ambito della diffusione di notizie ed informazione da parte di singoli soggetti in modo spontaneo”.

Parimenti, le disposizioni della legge n. 62/2001 non valgono a giustificare l’equiparazione tout court della stampa telematica a quella tradizionale, atteso che le stesse si sono limitate ad introdurre la registrazione dei giornali on-line soltanto per ragioni amministrative e, in ultima analisi, perché possano essere richieste le provvidenze previste per l’editoria (come ha chiarito il successivo d. lgs. n. 70/2003).

La Cassazione sembra inoltre “forzare” il dato normativo laddove precisa che al concetto di riproduzione sia riconducibile anche l’immissione del testo in rete tra un pubblico indistinto, posto che “quand’anche si ritenesse che pure l’immissione in rete dell’articolo giornalistico possa rappresentare una forma di pubblicazione, in quanto rivolta a rendere quel contenuto fruibile per un numero potenzialmente illimitato di destinatari, risulterebbe pur sempre mancante il necessario presupposto della riproduzione tipografica o comunque ottenuta con mezzi meccanici o fisico-chimici[6]. Del resto, gli utenti possono leggere e riprodurre l’informazione divulgata sul web, ma siffatta condotta non è altro che una facoltà meramente eventuale e successiva, rimessa alla discrezionalità degli stessi[7].

Vale ora la pena di osservare come la naturale conseguenza di quanto sopra esposto, ossia dell’assimilabilità della stampa telematica a quella cartacea, rischia di essere che tutte le disposizioni previste per la stampa diventerebbero applicabili alla rete (o per meglio dire, all’informazione periodica professionale diffusa on-line), ivi comprese sia quelle di favore, come la tutela avverso i sequestri, sia quelle in malam partem.

È evidente che, se il diritto vivente riflettesse ciò, già ora sussisterebbe un obbligo di registrazione per i periodici telematici e, conseguentemente, commetterebbe il reato di stampa clandestina la testata on-line non registrata presso la cancelleria del Tribunale territorialmente competente.

Allo stesso modo, le testate telematiche dovrebbero dotarsi di un direttore responsabile in capo al quale applicare l’art. 57 c.p. per la colpevole omissione del controllo rispetto ai contenuti redazionali pubblicati e i reati di diffamazione o pubblicazioni oscene integrati tramite internet riceverebbero il più severo trattamento sanzionatorio previsto dagli artt. 13, 14 e 15 della l. n. 47/1948.

Ma vi è di più. In un momento in cui si sta discutendo in relazione all’abolizione della pena detentiva per i reati a mezzo stampa, non pare opportuno estendere sanzioni così severe a un ambito che potrebbe invece restarne estraneo.

Non si può infine non rilevare come le conseguenze che l’imposizione assunta dalle Sezioni Unite avrebbe se la giurisprudenza si uniformasse ad essa costituiscano una “spia del fatto che, non tanto l’approdo, quanto la via percorsa dalla Cassazione per giungervi sia poco convincente[8]

Vero che non è assolutamente sbagliato tentare interpretazioni evolutive; vero anche, tuttavia, che una corretta esegesi deve essere rigorosamente basata su solidi e rigorosi criteri ermeneutici, che non si risolvano in una forzatura della naturale portata semantica delle disposizioni legislative, che non assumano in concreto una valenza creativa (e, in questo senso, normativa) e che permettano al Supremo Collegio di esercitare la sola funzione nomofilattica.

 

Note

[1] P. GRILLO, Sequestro preventivo del quotidiano on-line: il no delle Sezioni Unite, in Diritto & Giustizia, fasc. 29, 2015, 28;

[2] C. MELZI D’ERIL, Contrordine compagni: le Sezioni Unite estendono le garanzie costituzionali previste per il sequestro degli stampati alle testate on-line registrate, consultabile su Diritto Penale Contemporaneo.it, 9 marzo 2016, 9;

[3] C. MELZI D’ERIL, Contrordine compagni: le Sezioni Unite estendono le garanzie costituzionali previste per il sequestro degli stampati alle testate on-line registrate, cit., 8;  

[4] C. MELZI D’ERIL, Contrordine compagni: le Sezioni Unite estendono le garanzie costituzionali previste per il sequestro degli stampati alle testate on-line registrate, cit., 8; 

[5] L. DIOTALLEVI, La Corte di Cassazione sancisce l’equiparazione tra giornali cartacei e telematici ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di sequestro preventivo: un nuovo caso di scivolamento dalla nomofilachia alla nomopoiesi?, in Giurisprudenza Costituzionale, fasc. 3, 2015, 1062;

[6] L. PAOLONI, Le Sezioni Unite si pronunciano per l’applicabilità alle testate telematiche delle garanzie costituzionali sul sequestro della stampa, in Cassazione Penale, fasc. 10, 2015, 3454;

[7] Sul punto, si veda anche A. PULVIRENTI, Sequestro e Internet: dalle Sezioni Unite una soluzione equilibrata ma creativa, in Processo penale e giustizia, n. 6, 2015, 78 ss.;

[8] C. MELZI D’ERIL, Contrordine compagni: le Sezioni Unite estendono le garanzie costituzionali previste per il sequestro degli stampati alle testate on-line registrate, cit., 12;

Redatto il 17 maggio 2016