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Il Diritto Contrattuale

Panorama Europeo ed Internazionale
Il Diritto Contrattuale
Il Diritto Contrattuale

1. La creazione di uno spazio giuridico europeo

1.1 “Europeizzazione”, armonizzazione

La questione sull’europeanizzazione [1] del diritto privato, e del diritto contrattuale in particolare, è stata molto discussa negli anni recenti. Diverse sono state le iniziative europee in merito, e tante le risposte di quanti si sono cimentati su questo argomenti. La letteratura infatti è cosi ampia che è difficile riuscire ad essere particolarmente originali.

Sebbene vi sia molta diversità fra le regole che si applicano ai contratti, è importante ricordare che vi sono dei concetti di partenza in comune che dimostrano che il processo di europeizzazione esiste da quando esiste un diritto contrattuale. Molti sono i sistemi che mostrano una somiglianza con il diritto romano contrattuale. Tutti i sistemi giuridici riconoscono il concetto liberale dell’autonomia privata. Il diritto comunitario insieme alla disciplina del diritto comparato hanno aumentato la convergenza fra i sistemi nazionali.

Una prima tipologia di interventi del legislatore comunitario, destinata ad incidere sulle discipline privatistiche dei singoli Stati, è collegata all’esigenza di creare uno spazio giuridico europeo, soprattutto in seguito all’importanza che il tema della cooperazione giudiziaria in materia civile ha assunto col Trattato di Amsterdam[2].

Altra iniziativa verso un’armonizzazione generale è stata proposta dal Parlamento europeo nel 1989 [3], che ha provocato l’inizio di una ricerca accademica sulla possibilità di un codice civile europeo. Da allora, diversi gruppi di giuristi hanno prodotto dei codici che potrebbero essere la base di un diritto contrattuale europeo: fra loro i più importanti sono la Commissione di diritto contrattuale europeo[4] e l’accademia dei giuristi europei privati[5].

Nel 2001, la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione al Consiglio e Parlamento europeo, con lo scopo di “allargare il dibattito sul diritto contrattuale europeo, coinvolgendo il Parlamento europeo, il Consiglio e le diverse parti interessate: imprese, operatori del diritto, accademici e associazioni dei consumatori”.

La comunicazione ha proposto quattro opzioni per il futuro sviluppo del diritto contrattuale

europeo:

1. assenza di un’azione comunitaria;

2. promozione di un complesso di principi comuni in materia di diritto contrattuale per arrivare a una maggiore convergenza degli ordinamenti nazionali;

3. miglioramento qualitativo della legislazione già esistente;

4. adozione di una nuova ed esaustiva legislazione a livello comunitario.

Le risposte alla comunicazione della Commissione sono state tante, quasi sempre favorevoli alle opzioni 2 e 3, e quasi sempre sfavorevoli all’opzione 4. Dopo il processo consultivo, la Commissione ha prodotto il piano d’azione che, pur essendo favorevole alle opzioni 2 e 3, non manca di volontà nel continuare la ricerca ad un possibile codice europeo. Sembra quindi che l’idea della codificazione non sia stata abbandonata, e sarà un obiettivo per il futuro.

Attualmente, le regole fondamentali in materia di competenza giurisdizionale e circolazione delle decisioni adottate in ogni singolo Stato sono contenute nel regolamento 44/2001, che ha trasformato in strumento comunitario la Convenzione di Bruxelles del 1968 (regolamento Bruxelles II). Ciò, con riferimento all’intera materia civile e commerciale (salvo alcune eccezioni) e dunque anche per ciò che concerne la materia contrattuale. Viceversa, per quanto attiene all’utilizzazione di criteri di collegamento uniformi, ancora con riferimento alla materia contrattuale, essa rappresenta già una realtà, in seguito alla ratifica della Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni nascenti da contratto, oggi modificata in strumento comunitario (regolamento “Roma I”, 593/2008).

1.2 Giustificazioni dell’europeizzazione

Le giustificazioni che vengono proposte per l’armonizzazione del diritto contrattuale europeo sono quasi esclusivamente economiche, fenomeno non sorprendente dato che le competenze più importanti della comunità restano nella realizzazione di un mercato interno coerente. L’argomento proposto da coloro che sono favorevoli all’armonizzazione è basato sui costi delle transazioni: una varietà di regole fra stati può essere inconveniente alle imprese che svolgono un’attività internazionale in quanto spesso sarà necessario il ricorso ad esperti locali per capire le regole sconosciute. Questo aumenta i costi di una transazione con un’impresa straniera, e diminuisce l’incentivazione e l’inclinazione di entrare in contratti internazionali. Questa situazione ovviamente non è facilmente compatibile con l’idea di un mercato unico. L’europeizzazione quindi può diminuire questi costi di transazione e facilitare lo scambio di prodotti nel mercato internazionale.

Vi sono anche motivi non economici. È chiaro che la presenza di una legge uniforme rappresenta un’unità culturale fra i popoli. Un diritto contrattuale europeo avrebbe quindi il ruolo sia di contribuire alla creazione di una cultura comune europea, sia di evidenziarne l’esistenza. Chiaramente questo tema non è stato trattato molto nella letteratura, visto che il legame fra l’armonizzazione del diritto contrattuale e la competenza culturale della comunità (Articolo 151 TEC) non è abbastanza forte da superare il principio di sussidiarietà.

1.3 Divergenza nelle regole

L’estensione della varietà nelle regole che governano i contratti negli stati membri non è facilmente quantificabile. Mentre è evidente che le regole usate per regolare i contratti variano molto a primo impatto, è altrettanto evidente che diverse regole possono portare ad un risultato simile in una particolare situazione. Poiché un’analisi completa dei diritti contrattuali degli stati membri non è possibile nello spazio qui permesso, ci limiteremo ad alcuni commenti generali.

Il diritto romano ha esercitato una grande influenza sui sistemi civil law. Anche se la parte generale del diritto contrattuale romano non era altamente sviluppata, i giuristi canonici insieme alle scuole di diritto naturale e di volontarismo hanno trasformato le idee romane in un sistema complesso di regole, di cui la più importante realizzazione era il codice civile francese. Dall’altra parte della Manica la crescita del diritto contrattuale è stata più lenta. È accettato generalmente che il diritto romano non ha esercitato la medesima influenza sul sistema inglese. Per questo motivo molte delle regole inglesi non si trovano nei sistemi continentali e viceversa.

Tuttavia, nonostante queste divergenze formali, vi è molta convergenza nascosta , sia nelle regole (un buon esempio sono le regole che governano la formazione di un contratto) sia nel risultato e nelle conseguenze di regole diverse. Quest’ultima osservazione è alla base delle tecniche moderne del diritto comparato, che analizzano il risultato delle regole giuridiche in una data situazione anzicché paragonarle[6]. Utilizzando questa tecnica, si può osservare che molte divergenze apparenti nelle regole non costituiscono una barriera all’europeizzazione. È giusto anche sottolineare come i gruppi di giuristi di diverse nazionalità sono arrivati con una certa facilità a regole comuni[7]. Questa riflessione ci suggerisce che vi è meno divergenza fra i sistemi nazionali di quello che sembra. Nonostante questa convergenza nascosta, sarebbe un’esagerazione sostenere che non vi sono importanti punti di divergenza fra stati.

2. Meccanismi di “Europeizzazione”

In questa sezione ci occuperemo dei diversi meccanismi che esistono per promuovere il processo di europeizzazione alla luce delle divergenze e convergenze identificate nella parte precedente. Due tipi di giuristi possono essere identificati nella letteratura favorevole all’europeizzazione: quelli che propongono la codificazione di un diritto europeo contrattuale e quelli che sostengono che la codificazione non sia necessaria oppure che sia inefficace per completare una coerente armonizzazione. Questi ultimi spesso consigliano dei meccanismi di soft law per promuovere il processo di europeizzazione. Le difficoltà che l’europeizzazione incontrerà dipendono fortemente da quale fra questi meccanismi verrà favorito. Le due posizioni sono spesso considerate in sovrapponibili.

Tuttavia è stato notato che questa contrapposizione non è valida, e infatti le due posizioni possono complementarsi[8]. Anche se l’idea di immediata codificazione verrà rispinta nelle pagine successive, la posizione difesa sarà che un ruolo complementare per i meccanismi hard e soft law non è solamente possibile, ma addirittura necessario per una coerente armonizzazione. 

2.1 Hard law

Con questo termine intendiamo le regole inderogabili (mandatory laws) che vengono introdotte nei sistemi giuridici degli stati membri, sia dal potere legislativo dell’Unione europea, sia dagli stati membri indipendentemente attraverso un trattato. L’espressione quindi comprende l’armonizzazione con le direttive e anche l’armonizzazione con un codice civile europeo.

La legislazione europea avvenuta fino a ora ha avuto un ruolo importante per rompere alcune barriere economiche al mercato unico, create da regole divergenti. Tuttavia vi sono molti problemi con la legislazione esistente.

In primo luogo, il “metodo classico comunitario”[9], usato dal processo legislativo europeo, non si presta all’armonizzazione del diritto contrattuale europeo, dato che il campo ha rilevanza per almeno cinque direzioni generali (DG) nella Commissione europea. Questo ha provocato una notevole incoerenza nelle direttive prodotte.

In secondo luogo la scelta della direttiva come atto legislativo significa che molta divergenza nazionale non viene eliminata nel processo di attuazione. Inoltre, nei casi di una insufficiente attuazione, la direttiva stessa non ha validità fra due privati in una causa. Per questi motivi la legislazione esistente in questo campo può essere considerato insufficiente e inefficace per risolvere i bisogni economici di un mercato unico.

Diversi giuristi hanno sostenuto la desiderabilità della progettazione, esecuzione e applicazione di un codice contrattuale europeo[10]. Il principale vantaggio di un codice europeo è la sua capacità di diminuire i costi di transazione, a condizione che le regole inderogabili siano limitate a quelle assolutamente necessarie.

In primo luogo, la divergenza nelle regole giuridiche significa che un eventuale codice non sarà facilmente accettato in Europa, ma più importante è il legame fra le regole che governano i contratti e l’identità culturale di una società. Questo significa che un codice contrattuale europeo dovrebbe stabilire dei valori della giustizia distributiva per sostituire quelli già esistenti nei sistemi nazionali. Data la mancanza di accordo fra gli stati membri nel campo della protezione sociale, è da dubitare che un codice pattuito fra gli stati membri possa avere la coerenza necessaria per stabilire questi valori. Per questo motivo è necessario stabilire una cultura contrattuale europea prima di poter codificare le regole.

In secondo luogo, la divergenza negli stili giudiziali nazionali presenta un problema ancora più grave per la coerenza di un’eventuale codificazione. Sono esagerate le proposte che la divergenza negli stili giudiziali è tale da impedire completamente il processo di armonizzazione[11]. La presenza di diversità non preclude la possibilità di una futura convergenza. Tuttavia, la precedente analisi della divergenza porta alla conclusione che un diritto uniforme sui libri non corrisponderebbe ad un diritto uniforme nella pratica. Considerati gli stili diversi sia del processo normativo giudiziale, sia dell’interpretazione giudiziale e sia degli stili delle sentenze, è chiaro che molta divergenza rimarrebbe nonostante l’esistenza di un codice uniforme europeo.

Un’uniformità coerente richiede pertanto una riforma istituzionale e metodi di coordinamento del processo giudiziale europeo[12].

In terzo luogo, la divergenza nelle procedure giuridiche crea un altro problema: una codificazione del diritto contrattuale europeo non sarebbe efficace o socialmente accettabile senza un sistema armonizzato di applicazione, esecuzione e sanzione della legge. Sarebbe possibile per i privati di scegliere il sistema procedurale più adatto alla transazione, ma questa non è una soluzione soddisfacente, dato che i privati meno dotati di informazione e di potere contrattuale non potrebbero usufruire di questa possibilità. Per questo motivo si sostiene che un processo di codificazione del diritto contrattuale deve essere accompagnato dall’armonizzazione delle procedure giuridiche civili. L’esperienza degli Stati Uniti sopporta questo argomento. È importante notare che il mercato unico statunitense non è gravemente danneggiato dalla mancanza di una codificazione del diritto contrattuale. Anche se i vantaggi di un diritto uniforme dei contratti sono chiari, questo non implica che la codificazione sia l’unico modo di approfittare di questi vantaggi, soprattutto considerati i diversi problemi che la codificazione incontrerebbe. È necessario aumentare la convergenza nelle tre aree che abbiamo identificato (le regole, stili e procedure giuridici) prima che la codificazione possa essere un progetto realistico.

2.2 Soft law

Considerate le critiche subite dal meccanismo di codificazione, molti giuristi hanno proposto altri meccanismi ‘soft’ con cui promuovere l’europeizzazione. Molti hanno sottolineato l’importanza di creare una cultura contrattuale europea per facilitare il processo di armonizzazione. Questa non sarà un’impresa facile, e saranno necessarie altre iniziative. In primo luogo, è necessaria l’identificazione di un diritto comune contrattuale europeo. Questo significa la realizzazione di libri che superano le frontiere fra stati.

È anche importante iniziare un’educazione più ‘europea’ di questo diritto comune: le università europee hanno un ruolo importante per educare le future generazioni di avvocati. L’importanza di questo diventa chiara quando si guarda all’altra parte dell’Atlantico: anche se il diritto contrattuale statunitense non è armonizzato completamente gli studenti di giurisprudenza crescono con il diritto federale, non quello statale.

Tuttavia questi meccanismi da soli non bastano ad ottenere un diritto contrattuale europeo unito, necessario per superare i bisogni economici di un mercato unico. Per questo motivi, molti dei giuristi non favorevoli alla codificazione spesso propongono un modello facoltativo al fine di incoraggiare una maggiore convergenza. Questo modello potrebbe essere simile al “Restatement of Law”, una compilazione privata celebre negli Stati Uniti in forma di articoli che espone sistematicamente le decisioni emesse nei vari Stati che, secondo i compilatori, meritano di essere applicate dai giudici. Un modello simile avrebbe il vantaggio di permettere sia al potere legislativo sia ai giudici di impegnarsi nella ricerca comparativa nel adattare le regole nazionali secondo una struttura europea[13]. Anche se un ‘Restatement’ non ha la validità giuridica di legge, l’esempio degli Stati Uniti indica che potrebbe svolgere un ruolo importante. Una maggior convergenza nelle procedure giuridiche potrebbe essere ottenuta con un meccanismo simile. Tuttavia molti giuristi insistono che un meccanismo del genere non sarebbe sufficiente per ottenere l’unità necessaria di realizzare un mercato unico[14].

3. Il diritto dei contratti e l’armonizzazione in senso sostanziale

In materia contrattuale, gli interventi del legislatore comunitario non avrebbero potuto essere limitati alla prospettiva della cooperazione giudiziaria in materia civile e della creazione di uno spazio giuridico europeo. Si tratta, infatti, di una materia che presenta un’incidenza diretta sull’assetto regolativi del mercato imposto dall’Unione, e che dunque richiede, ai fini di un corretto funzionamento dello stesso, un ravvicinamento delle disposizione normative esistenti nei diversi paesi. L’espansione della logica economica del mercato e della libera concorrenza, sottesi all’impianto comunitario, ha inciso in maniera significativa sui diritti nazionali, almeno su due distinti piani: innanzitutto, sul piano delle riforme dei sistemi economici di intervento dello stato nell’economia, promovendo politiche di privatizzazione e, soprattutto, di liberalizzazione dei mercati; in secondo luogo, sul piano della disciplina generale dell’autonomia privata e del contratto, obbligando i legislatori nazionali a rimodellare le proprie normative, con riferimento ai rapporti contrattuali tra imprese e, soprattutto, tra imprese e consumatori.  Nella prospettiva indicata, gli interventi del legislatore comunitario hanno puntato sull’armonizzazione in senso sostanziale del diritto contrattuale, nell’intento di eliminare le divergenze. Da qui il ricorso a direttive che, con riferimento al settore volta per volta considerato (contratti di viaggio, contratti conclusi fuori dai locali commerciali, clausole abusive, vendita di beni di consumo, ecc.) introducevano nuovi principi e nuove regole, fondate sul principio di trasparenza, sulla previsione di precisi obblighi informativi, sul ricorso a un nuovo formalismo negoziale, sull’introduzione di nuove forme di tutela dell’effettiva consapevolezza del consumatore, e via dicendo.

3.1 L’acquis comunitario e l’adozione di strumenti opzionali per la disciplina dei rapporti contrattuali transnazionali

Dal punto di vista degli sviluppi del diritto privato europeo, non v’è dubbio che particolare rilevanza rivestono quegli interventi del legislatore comunitario diretti all’armonizzazione in senso sostanziale delle regole relative ai contratti. Nei sistemi di civil law l’introduzione di nuovi principi e regole contrattuali di derivazione comunitaria ha determinato uno sconvolgimento che ha portato, in alcuni casi, persino alla revisione dell’originario impianto codicistico. Valga, per tutti, l’esempio della Germania, in cui la riforma dello Schuldrecht, avviata già alla fine degli anni settanta, ha ricevuto una spinta decisiva in seguito all’obbligo di adeguamento alla legislazione comunitaria, che ha inciso in maniera così radicale sulla coerenza interna del sistema, da determinarne una riconsiderazione.

Di fronte a questa realtà, in cui il diritto contrattuale dei singoli Stati è già fortemente caratterizzato dall’incidenza del diritto europeo, giova chiedersi che senso abbia discorrere di maggiore armonizzazione del diritto privato ed invocare ulteriori prospettive di sviluppo di un diritto privato (contrattuale) europeo. Si tratta davvero di evocare la prospettiva di una codificazione europea destinata a soppiantare i codici nazionali o, comunque, i sistemi di diritto privato di ogni singolo Stato? O si tratta di una prospettiva più realistica, destinata a perseguire obiettivi più pragmatici? E, se è così, di quali obiettivi si tratta?

La risposta agli interrogativi posti la troviamo in quegli interventi con cui la stessa Commissione ha progressivamente delimitato e definito i margini di sviluppo di un diritto privato europeo. In particolare, già a partire dalla Comunicazione del 2001 sul diritto contrattuale europeo, la Commissione ha chiarito come le prospettive di sviluppo dovessero essere correlate alla duplice tipologia di interventi che interessano la materia contrattuale e che in queste pagine si è cercato di descrivere: da un lato, gli interventi finalizzati alla creazione di uno spazio giuridico europeo; dall’altro, gli interventi finalizzati all’armonizzazione in senso sostanziale delle regole in materia di diritto contrattuale. In entrambi i casi, l’obiettivo perseguito è quello di andare oltre le strategie di intervento fino ad ora adottate.

Più precisamente:

a) con riferimento alla materia dei rapporti contrattuali transnazionali, l’obiettivo della unificazione dei criteri di collegamento è già stato realizzato, come si è detto, dalla Convenzione di Roma, divenuta oggi regolamento comunitario. In base a tale normativa (art. 3), (richiamata dall’art. 57 della l. di riforma del diritto internazionale privato), il criterio principale in ordine alla legge applicabile a un rapporto contrattuale è rappresentato dalla scelta delle parti (cd. autonomia della volontà). La Commissione, tuttavia, mette in evidenza come tale possibilità di scelta possa non rappresentare una soluzione ottimale, nell’ambito dei rapporti contrattuali che interessano il mercato europeo. La scelta, infatti, rinvia comunque ad un ordinamento straniero, che innanzitutto bisogna conoscere, con conseguente aumento dei costi transattivi. In ogni caso, le incertezze connesse all’applicazione di un diritto straniero possono finire per disincentivare il ricorso alle transazioni internazionali, soprattutto per le piccole e medie imprese; senza contare, poi, che la scelta in ordine alla legge applicabile può, concretamente, essere imposta dal contraente più forte. Per tali ragioni, la Commissione avverte come sarebbe più consono, in una prospettiva volta alla creazione di un mercato unico e di uno spazio giuridico senza frontiere, consentire alle parti di fare ricorso ad un corpo di regole di diritto contrattuale europeo, che possa fungere da strumento opzionale su cui orientare la scelta in merito alla legge applicabile al rapporto;

b) con riferimento ai molteplici interventi di armonizzazione in senso sostanziale che hanno riguardato la materia contrattuale, la Commissione avverte come lo strumento fino ad oggi adoperato, ovvero la direttiva, possa presentare dei limiti, in ordine alla possibilità di ottenere risultati omogenei in tutto il territorio europeo. Ciò, relativamente a diversi profili: le direttive comunitarie utilizzano termini giuridici astratti, dei quali non viene fornita una definizione ed i medesimi termini possono assumere un significato diverso all’interno dei paesi destinatari; inoltre, trattandosi di uno strumento per definizione frammentario, le direttive, pur concernendo un medesimo ambito applicativo possono contenere al loro interno contraddizioni; infine, imponendo una misura di armonizzazione minima, le direttive non riescono ad eliminare del tutto il problema relativo alle differenze di legislazione nei singoli Stati. L’obiettivo, dunque, è quello di andare oltre la prospettiva di armonizzazione indiretta e frammentaria, rappresentata dallo strumento della direttiva. La Commissione non si limita a compiere tale analisi e, nei documenti successivi alla Comunicazione del 2001, individua la strada da intraprendere: l’adozione di un Quadro comune di riferimento (CFR) 12.

A tale strumento la Commissione assegna una duplice funzione: da un lato, quella di un testo volto a stabilire una terminologia comune nel campo del diritto contrattuale europeo, allo scopo di potersene servire come modello normativo di riferimento, nella futura produzione normativa comunitaria e nazionale; dall’altro, quello di corpus di regole applicabili alla materia contrattuale, da adoperare quale strumento opzionale.

Il CFR, dunque, che avrebbe una struttura e un contenuto composito, sarebbe lo strumento in cui si concretano le prospettive di sviluppo del diritto privato europeo, nella duplice direzione indicata: il miglioramento dell’acquis comunitario, attraverso un testo di riferimento idoneo ad eliminare le contraddizioni presenti nei molteplici interventi comunitari ed a fornire adeguate definizioni di termini giuridici adoperati nelle direttive; allo stesso tempo, l’utilizzazione di un corpo di regole unitario per la disciplina dei rapporti contrattuali internazionali, in una prospettiva volta al superamento della mera armonizzazione delle regole di conflitto.

4. Considerazioni conclusive

È evidente che i meccanismi descritti nella parte precedente non mancano di aspetti criticabili: L’Europa non è pronta per la codificazione dovuto all’eccessiva divergenza nelle regole, stili e procedure giuridici, la legislazione attuale manca di coerenza, e i meccanismi “soft” non sono sufficienti per soddisfare i bisogni dell’integrazione europea. A questo punto è utile considerare le discussioni più generali sull’integrazione europea, fuori dal campo del diritto privato. Il conflitto fra giuristi favorevoli al “hard law” e quelli favorevoli al “soft law” appare anche nel contesto del programma sociale europeo. Alcuni giuristi preferiscono l’uso del metodo comunitario classico, mentre altri preferiscono meccanismi “soft”, come il metodo aperto di coordinamento. Questo primo gruppo presume che la mancanza di legislazione centrale provochi un “race to the bottom” (declino) negli standard sociali, mentre il secondo gruppo sostiene che la diversità sia un vantaggio nella ricerca verso nuove soluzioni a problemi nuovi creati dall’integrazione europea. Tuttavia la verità è che un conflitto fra questi due gruppi non è inevitabile: una convergenza maggiore può essere ottenuta con un ibrido delle due idee.

Questi ragionamenti sono applicabili anche alla discussione sul diritto europeo contrattuale: mentre il ruolo del “hard law” è insostituibile per ottenere un’unità coerente per realizzare un mercato unico, il ruolo del “soft law” è ugualmente insostituibile per coordinare il processo legislativo e aumentare la convergenza fra gli stati membri. Altri meccanismi soft sono indispensabili alla creazione di una cultura contrattuale europea, importante per preparare una base per l’accettabilità e la coerenza di un’eventuale legislazione.

 

[1] È opportuno precisare subito che il termine ‘europeizzazione’ in questo saggio verrà usato intercambiabilmente con il termine ‘armonizzazione’. Con questo termine intendiamo una convergenza nelle regole e pratiche del diritto contrattuale nei sistemi degli stati membri dell’Unione europea, sia

graduale che immediata.

[2] Sull’argomento v. C. KOHLER, Lo spazio giudiziario europeo in materia civile e il diritto internazionale privato comunitario, in P. PICONE (a cura di), Diritto internazionale privato e diritto comunitario, Milano, 2004, p. 65; F. POCAR, La comunitarizzazione del diritto internazionale privato: una “European Conflict of Law Revolution”?, in RDIPP, 2000, p. 873 ss..

[3] OJ C 158, 26.6.1989, p.400 (Resolution A2-157/89)

[4] O Lando and H Beale (eds.), Principles of European Contract Law Parts I and II, Kluwer, 2000.

[5] Academy of European Private Lawyers, European Contract Code – Preliminary draft, Pavia, 2001.

[6] Questa tecnica comparativa può essere nominata come “common core”, molto usata dopo il progetto Cornell negli anni 60. Cf R B Schlesinger, Formation of contracts, a study of the common core of legal systems, NewYork, 1968, e M Bussani, U Mattei, ‘The Common Core Approach to European Private Law’, (Vol. 3 1997/98) The Columbia Journal of European Law 339.

[7] Cf. O Lando, ‘Optional or Mandatory Harmonisation’, (2000) European Review of Private Law, p.59, alla p.65.

[8] Cf. M Bussani, “Integrative Comparative Law Enterprises and the Inner Stratification of Legal Systems”,

(2000) ERPL p. 85, at pag. 92.

[9] J Scott and D Trubek, ‘Mind the Gap: Law and New Approaches to Governance in the European

Union’, ELJ 8/1:1-18 (2002).

[10] Cf. O Lando, si veda nota numero 7.

[11] P Legrand, Against a European Civil Code, (1997) 60 MLR 44.

[12] Cf. le proposte di C. Schmid, nota 12.

[13] Cf. le proposte di C. Schmid, nota 12.

[14] Cf. O Lando, si veda nota numero 7. 

1. La creazione di uno spazio giuridico europeo

1.1 “Europeizzazione”, armonizzazione

La questione sull’europeanizzazione [1] del diritto privato, e del diritto contrattuale in particolare, è stata molto discussa negli anni recenti. Diverse sono state le iniziative europee in merito, e tante le risposte di quanti si sono cimentati su questo argomenti. La letteratura infatti è cosi ampia che è difficile riuscire ad essere particolarmente originali.

Sebbene vi sia molta diversità fra le regole che si applicano ai contratti, è importante ricordare che vi sono dei concetti di partenza in comune che dimostrano che il processo di europeizzazione esiste da quando esiste un diritto contrattuale. Molti sono i sistemi che mostrano una somiglianza con il diritto romano contrattuale. Tutti i sistemi giuridici riconoscono il concetto liberale dell’autonomia privata. Il diritto comunitario insieme alla disciplina del diritto comparato hanno aumentato la convergenza fra i sistemi nazionali.

Una prima tipologia di interventi del legislatore comunitario, destinata ad incidere sulle discipline privatistiche dei singoli Stati, è collegata all’esigenza di creare uno spazio giuridico europeo, soprattutto in seguito all’importanza che il tema della cooperazione giudiziaria in materia civile ha assunto col Trattato di Amsterdam[2].

Altra iniziativa verso un’armonizzazione generale è stata proposta dal Parlamento europeo nel 1989 [3], che ha provocato l’inizio di una ricerca accademica sulla possibilità di un codice civile europeo. Da allora, diversi gruppi di giuristi hanno prodotto dei codici che potrebbero essere la base di un diritto contrattuale europeo: fra loro i più importanti sono la Commissione di diritto contrattuale europeo[4] e l’accademia dei giuristi europei privati[5].

Nel 2001, la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione al Consiglio e Parlamento europeo, con lo scopo di “allargare il dibattito sul diritto contrattuale europeo, coinvolgendo il Parlamento europeo, il Consiglio e le diverse parti interessate: imprese, operatori del diritto, accademici e associazioni dei consumatori”.

La comunicazione ha proposto quattro opzioni per il futuro sviluppo del diritto contrattuale

europeo:

1. assenza di un’azione comunitaria;

2. promozione di un complesso di principi comuni in materia di diritto contrattuale per arrivare a una maggiore convergenza degli ordinamenti nazionali;

3. miglioramento qualitativo della legislazione già esistente;

4. adozione di una nuova ed esaustiva legislazione a livello comunitario.

Le risposte alla comunicazione della Commissione sono state tante, quasi sempre favorevoli alle opzioni 2 e 3, e quasi sempre sfavorevoli all’opzione 4. Dopo il processo consultivo, la Commissione ha prodotto il piano d’azione che, pur essendo favorevole alle opzioni 2 e 3, non manca di volontà nel continuare la ricerca ad un possibile codice europeo. Sembra quindi che l’idea della codificazione non sia stata abbandonata, e sarà un obiettivo per il futuro.

Attualmente, le regole fondamentali in materia di competenza giurisdizionale e circolazione delle decisioni adottate in ogni singolo Stato sono contenute nel regolamento 44/2001, che ha trasformato in strumento comunitario la Convenzione di Bruxelles del 1968 (regolamento Bruxelles II). Ciò, con riferimento all’intera materia civile e commerciale (salvo alcune eccezioni) e dunque anche per ciò che concerne la materia contrattuale. Viceversa, per quanto attiene all’utilizzazione di criteri di collegamento uniformi, ancora con riferimento alla materia contrattuale, essa rappresenta già una realtà, in seguito alla ratifica della Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni nascenti da contratto, oggi modificata in strumento comunitario (regolamento “Roma I”, 593/2008).

1.2 Giustificazioni dell’europeizzazione

Le giustificazioni che vengono proposte per l’armonizzazione del diritto contrattuale europeo sono quasi esclusivamente economiche, fenomeno non sorprendente dato che le competenze più importanti della comunità restano nella realizzazione di un mercato interno coerente. L’argomento proposto da coloro che sono favorevoli all’armonizzazione è basato sui costi delle transazioni: una varietà di regole fra stati può essere inconveniente alle imprese che svolgono un’attività internazionale in quanto spesso sarà necessario il ricorso ad esperti locali per capire le regole sconosciute. Questo aumenta i costi di una transazione con un’impresa straniera, e diminuisce l’incentivazione e l’inclinazione di entrare in contratti internazionali. Questa situazione ovviamente non è facilmente compatibile con l’idea di un mercato unico. L’europeizzazione quindi può diminuire questi costi di transazione e facilitare lo scambio di prodotti nel mercato internazionale.

Vi sono anche motivi non economici. È chiaro che la presenza di una legge uniforme rappresenta un’unità culturale fra i popoli. Un diritto contrattuale europeo avrebbe quindi il ruolo sia di contribuire alla creazione di una cultura comune europea, sia di evidenziarne l’esistenza. Chiaramente questo tema non è stato trattato molto nella letteratura, visto che il legame fra l’armonizzazione del diritto contrattuale e la competenza culturale della comunità (Articolo 151 TEC) non è abbastanza forte da superare il principio di sussidiarietà.

1.3 Divergenza nelle regole

L’estensione della varietà nelle regole che governano i contratti negli stati membri non è facilmente quantificabile. Mentre è evidente che le regole usate per regolare i contratti variano molto a primo impatto, è altrettanto evidente che diverse regole possono portare ad un risultato simile in una particolare situazione. Poiché un’analisi completa dei diritti contrattuali degli stati membri non è possibile nello spazio qui permesso, ci limiteremo ad alcuni commenti generali.

Il diritto romano ha esercitato una grande influenza sui sistemi civil law. Anche se la parte generale del diritto contrattuale romano non era altamente sviluppata, i giuristi canonici insieme alle scuole di diritto naturale e di volontarismo hanno trasformato le idee romane in un sistema complesso di regole, di cui la più importante realizzazione era il codice civile francese. Dall’altra parte della Manica la crescita del diritto contrattuale è stata più lenta. È accettato generalmente che il diritto romano non ha esercitato la medesima influenza sul sistema inglese. Per questo motivo molte delle regole inglesi non si trovano nei sistemi continentali e viceversa.

Tuttavia, nonostante queste divergenze formali, vi è molta convergenza nascosta , sia nelle regole (un buon esempio sono le regole che governano la formazione di un contratto) sia nel risultato e nelle conseguenze di regole diverse. Quest’ultima osservazione è alla base delle tecniche moderne del diritto comparato, che analizzano il risultato delle regole giuridiche in una data situazione anzicché paragonarle[6]. Utilizzando questa tecnica, si può osservare che molte divergenze apparenti nelle regole non costituiscono una barriera all’europeizzazione. È giusto anche sottolineare come i gruppi di giuristi di diverse nazionalità sono arrivati con una certa facilità a regole comuni[7]. Questa riflessione ci suggerisce che vi è meno divergenza fra i sistemi nazionali di quello che sembra. Nonostante questa convergenza nascosta, sarebbe un’esagerazione sostenere che non vi sono importanti punti di divergenza fra stati.

2. Meccanismi di “Europeizzazione”

In questa sezione ci occuperemo dei diversi meccanismi che esistono per promuovere il processo di europeizzazione alla luce delle divergenze e convergenze identificate nella parte precedente. Due tipi di giuristi possono essere identificati nella letteratura favorevole all’europeizzazione: quelli che propongono la codificazione di un diritto europeo contrattuale e quelli che sostengono che la codificazione non sia necessaria oppure che sia inefficace per completare una coerente armonizzazione. Questi ultimi spesso consigliano dei meccanismi di soft law per promuovere il processo di europeizzazione. Le difficoltà che l’europeizzazione incontrerà dipendono fortemente da quale fra questi meccanismi verrà favorito. Le due posizioni sono spesso considerate in sovrapponibili.

Tuttavia è stato notato che questa contrapposizione non è valida, e infatti le due posizioni possono complementarsi[8]. Anche se l’idea di immediata codificazione verrà rispinta nelle pagine successive, la posizione difesa sarà che un ruolo complementare per i meccanismi hard e soft law non è solamente possibile, ma addirittura necessario per una coerente armonizzazione. 

2.1 Hard law

Con questo termine intendiamo le regole inderogabili (mandatory laws) che vengono introdotte nei sistemi giuridici degli stati membri, sia dal potere legislativo dell’Unione europea, sia dagli stati membri indipendentemente attraverso un trattato. L’espressione quindi comprende l’armonizzazione con le direttive e anche l’armonizzazione con un codice civile europeo.

La legislazione europea avvenuta fino a ora ha avuto un ruolo importante per rompere alcune barriere economiche al mercato unico, create da regole divergenti. Tuttavia vi sono molti problemi con la legislazione esistente.

In primo luogo, il “metodo classico comunitario”[9], usato dal processo legislativo europeo, non si presta all’armonizzazione del diritto contrattuale europeo, dato che il campo ha rilevanza per almeno cinque direzioni generali (DG) nella Commissione europea. Questo ha provocato una notevole incoerenza nelle direttive prodotte.

In secondo luogo la scelta della direttiva come atto legislativo significa che molta divergenza nazionale non viene eliminata nel processo di attuazione. Inoltre, nei casi di una insufficiente attuazione, la direttiva stessa non ha validità fra due privati in una causa. Per questi motivi la legislazione esistente in questo campo può essere considerato insufficiente e inefficace per risolvere i bisogni economici di un mercato unico.

Diversi giuristi hanno sostenuto la desiderabilità della progettazione, esecuzione e applicazione di un codice contrattuale europeo[10]. Il principale vantaggio di un codice europeo è la sua capacità di diminuire i costi di transazione, a condizione che le regole inderogabili siano limitate a quelle assolutamente necessarie.

In primo luogo, la divergenza nelle regole giuridiche significa che un eventuale codice non sarà facilmente accettato in Europa, ma più importante è il legame fra le regole che governano i contratti e l’identità culturale di una società. Questo significa che un codice contrattuale europeo dovrebbe stabilire dei valori della giustizia distributiva per sostituire quelli già esistenti nei sistemi nazionali. Data la mancanza di accordo fra gli stati membri nel campo della protezione sociale, è da dubitare che un codice pattuito fra gli stati membri possa avere la coerenza necessaria per stabilire questi valori. Per questo motivo è necessario stabilire una cultura contrattuale europea prima di poter codificare le regole.

In secondo luogo, la divergenza negli stili giudiziali nazionali presenta un problema ancora più grave per la coerenza di un’eventuale codificazione. Sono esagerate le proposte che la divergenza negli stili giudiziali è tale da impedire completamente il processo di armonizzazione[11]. La presenza di diversità non preclude la possibilità di una futura convergenza. Tuttavia, la precedente analisi della divergenza porta alla conclusione che un diritto uniforme sui libri non corrisponderebbe ad un diritto uniforme nella pratica. Considerati gli stili diversi sia del processo normativo giudiziale, sia dell’interpretazione giudiziale e sia degli stili delle sentenze, è chiaro che molta divergenza rimarrebbe nonostante l’esistenza di un codice uniforme europeo.

Un’uniformità coerente richiede pertanto una riforma istituzionale e metodi di coordinamento del processo giudiziale europeo[12].

In terzo luogo, la divergenza nelle procedure giuridiche crea un altro problema: una codificazione del diritto contrattuale europeo non sarebbe efficace o socialmente accettabile senza un sistema armonizzato di applicazione, esecuzione e sanzione della legge. Sarebbe possibile per i privati di scegliere il sistema procedurale più adatto alla transazione, ma questa non è una soluzione soddisfacente, dato che i privati meno dotati di informazione e di potere contrattuale non potrebbero usufruire di questa possibilità. Per questo motivo si sostiene che un processo di codificazione del diritto contrattuale deve essere accompagnato dall’armonizzazione delle procedure giuridiche civili. L’esperienza degli Stati Uniti sopporta questo argomento. È importante notare che il mercato unico statunitense non è gravemente danneggiato dalla mancanza di una codificazione del diritto contrattuale. Anche se i vantaggi di un diritto uniforme dei contratti sono chiari, questo non implica che la codificazione sia l’unico modo di approfittare di questi vantaggi, soprattutto considerati i diversi problemi che la codificazione incontrerebbe. È necessario aumentare la convergenza nelle tre aree che abbiamo identificato (le regole, stili e procedure giuridici) prima che la codificazione possa essere un progetto realistico.

2.2 Soft law

Considerate le critiche subite dal meccanismo di codificazione, molti giuristi hanno proposto altri meccanismi ‘soft’ con cui promuovere l’europeizzazione. Molti hanno sottolineato l’importanza di creare una cultura contrattuale europea per facilitare il processo di armonizzazione. Questa non sarà un’impresa facile, e saranno necessarie altre iniziative. In primo luogo, è necessaria l’identificazione di un diritto comune contrattuale europeo. Questo significa la realizzazione di libri che superano le frontiere fra stati.

È anche importante iniziare un’educazione più ‘europea’ di questo diritto comune: le università europee hanno un ruolo importante per educare le future generazioni di avvocati. L’importanza di questo diventa chiara quando si guarda all’altra parte dell’Atlantico: anche se il diritto contrattuale statunitense non è armonizzato completamente gli studenti di giurisprudenza crescono con il diritto federale, non quello statale.

Tuttavia questi meccanismi da soli non bastano ad ottenere un diritto contrattuale europeo unito, necessario per superare i bisogni economici di un mercato unico. Per questo motivi, molti dei giuristi non favorevoli alla codificazione spesso propongono un modello facoltativo al fine di incoraggiare una maggiore convergenza. Questo modello potrebbe essere simile al “Restatement of Law”, una compilazione privata celebre negli Stati Uniti in forma di articoli che espone sistematicamente le decisioni emesse nei vari Stati che, secondo i compilatori, meritano di essere applicate dai giudici. Un modello simile avrebbe il vantaggio di permettere sia al potere legislativo sia ai giudici di impegnarsi nella ricerca comparativa nel adattare le regole nazionali secondo una struttura europea[13]. Anche se un ‘Restatement’ non ha la validità giuridica di legge, l’esempio degli Stati Uniti indica che potrebbe svolgere un ruolo importante. Una maggior convergenza nelle procedure giuridiche potrebbe essere ottenuta con un meccanismo simile. Tuttavia molti giuristi insistono che un meccanismo del genere non sarebbe sufficiente per ottenere l’unità necessaria di realizzare un mercato unico[14].

3. Il diritto dei contratti e l’armonizzazione in senso sostanziale

In materia contrattuale, gli interventi del legislatore comunitario non avrebbero potuto essere limitati alla prospettiva della cooperazione giudiziaria in materia civile e della creazione di uno spazio giuridico europeo. Si tratta, infatti, di una materia che presenta un’incidenza diretta sull’assetto regolativi del mercato imposto dall’Unione, e che dunque richiede, ai fini di un corretto funzionamento dello stesso, un ravvicinamento delle disposizione normative esistenti nei diversi paesi. L’espansione della logica economica del mercato e della libera concorrenza, sottesi all’impianto comunitario, ha inciso in maniera significativa sui diritti nazionali, almeno su due distinti piani: innanzitutto, sul piano delle riforme dei sistemi economici di intervento dello stato nell’economia, promovendo politiche di privatizzazione e, soprattutto, di liberalizzazione dei mercati; in secondo luogo, sul piano della disciplina generale dell’autonomia privata e del contratto, obbligando i legislatori nazionali a rimodellare le proprie normative, con riferimento ai rapporti contrattuali tra imprese e, soprattutto, tra imprese e consumatori.  Nella prospettiva indicata, gli interventi del legislatore comunitario hanno puntato sull’armonizzazione in senso sostanziale del diritto contrattuale, nell’intento di eliminare le divergenze. Da qui il ricorso a direttive che, con riferimento al settore volta per volta considerato (contratti di viaggio, contratti conclusi fuori dai locali commerciali, clausole abusive, vendita di beni di consumo, ecc.) introducevano nuovi principi e nuove regole, fondate sul principio di trasparenza, sulla previsione di precisi obblighi informativi, sul ricorso a un nuovo formalismo negoziale, sull’introduzione di nuove forme di tutela dell’effettiva consapevolezza del consumatore, e via dicendo.

3.1 L’acquis comunitario e l’adozione di strumenti opzionali per la disciplina dei rapporti contrattuali transnazionali

Dal punto di vista degli sviluppi del diritto privato europeo, non v’è dubbio che particolare rilevanza rivestono quegli interventi del legislatore comunitario diretti all’armonizzazione in senso sostanziale delle regole relative ai contratti. Nei sistemi di civil law l’introduzione di nuovi principi e regole contrattuali di derivazione comunitaria ha determinato uno sconvolgimento che ha portato, in alcuni casi, persino alla revisione dell’originario impianto codicistico. Valga, per tutti, l’esempio della Germania, in cui la riforma dello Schuldrecht, avviata già alla fine degli anni settanta, ha ricevuto una spinta decisiva in seguito all’obbligo di adeguamento alla legislazione comunitaria, che ha inciso in maniera così radicale sulla coerenza interna del sistema, da determinarne una riconsiderazione.

Di fronte a questa realtà, in cui il diritto contrattuale dei singoli Stati è già fortemente caratterizzato dall’incidenza del diritto europeo, giova chiedersi che senso abbia discorrere di maggiore armonizzazione del diritto privato ed invocare ulteriori prospettive di sviluppo di un diritto privato (contrattuale) europeo. Si tratta davvero di evocare la prospettiva di una codificazione europea destinata a soppiantare i codici nazionali o, comunque, i sistemi di diritto privato di ogni singolo Stato? O si tratta di una prospettiva più realistica, destinata a perseguire obiettivi più pragmatici? E, se è così, di quali obiettivi si tratta?

La risposta agli interrogativi posti la troviamo in quegli interventi con cui la stessa Commissione ha progressivamente delimitato e definito i margini di sviluppo di un diritto privato europeo. In particolare, già a partire dalla Comunicazione del 2001 sul diritto contrattuale europeo, la Commissione ha chiarito come le prospettive di sviluppo dovessero essere correlate alla duplice tipologia di interventi che interessano la materia contrattuale e che in queste pagine si è cercato di descrivere: da un lato, gli interventi finalizzati alla creazione di uno spazio giuridico europeo; dall’altro, gli interventi finalizzati all’armonizzazione in senso sostanziale delle regole in materia di diritto contrattuale. In entrambi i casi, l’obiettivo perseguito è quello di andare oltre le strategie di intervento fino ad ora adottate.

Più precisamente:

a) con riferimento alla materia dei rapporti contrattuali transnazionali, l’obiettivo della unificazione dei criteri di collegamento è già stato realizzato, come si è detto, dalla Convenzione di Roma, divenuta oggi regolamento comunitario. In base a tale normativa (art. 3), (richiamata dall’art. 57 della l. di riforma del diritto internazionale privato), il criterio principale in ordine alla legge applicabile a un rapporto contrattuale è rappresentato dalla scelta delle parti (cd. autonomia della volontà). La Commissione, tuttavia, mette in evidenza come tale possibilità di scelta possa non rappresentare una soluzione ottimale, nell’ambito dei rapporti contrattuali che interessano il mercato europeo. La scelta, infatti, rinvia comunque ad un ordinamento straniero, che innanzitutto bisogna conoscere, con conseguente aumento dei costi transattivi. In ogni caso, le incertezze connesse all’applicazione di un diritto straniero possono finire per disincentivare il ricorso alle transazioni internazionali, soprattutto per le piccole e medie imprese; senza contare, poi, che la scelta in ordine alla legge applicabile può, concretamente, essere imposta dal contraente più forte. Per tali ragioni, la Commissione avverte come sarebbe più consono, in una prospettiva volta alla creazione di un mercato unico e di uno spazio giuridico senza frontiere, consentire alle parti di fare ricorso ad un corpo di regole di diritto contrattuale europeo, che possa fungere da strumento opzionale su cui orientare la scelta in merito alla legge applicabile al rapporto;

b) con riferimento ai molteplici interventi di armonizzazione in senso sostanziale che hanno riguardato la materia contrattuale, la Commissione avverte come lo strumento fino ad oggi adoperato, ovvero la direttiva, possa presentare dei limiti, in ordine alla possibilità di ottenere risultati omogenei in tutto il territorio europeo. Ciò, relativamente a diversi profili: le direttive comunitarie utilizzano termini giuridici astratti, dei quali non viene fornita una definizione ed i medesimi termini possono assumere un significato diverso all’interno dei paesi destinatari; inoltre, trattandosi di uno strumento per definizione frammentario, le direttive, pur concernendo un medesimo ambito applicativo possono contenere al loro interno contraddizioni; infine, imponendo una misura di armonizzazione minima, le direttive non riescono ad eliminare del tutto il problema relativo alle differenze di legislazione nei singoli Stati. L’obiettivo, dunque, è quello di andare oltre la prospettiva di armonizzazione indiretta e frammentaria, rappresentata dallo strumento della direttiva. La Commissione non si limita a compiere tale analisi e, nei documenti successivi alla Comunicazione del 2001, individua la strada da intraprendere: l’adozione di un Quadro comune di riferimento (CFR) 12.

A tale strumento la Commissione assegna una duplice funzione: da un lato, quella di un testo volto a stabilire una terminologia comune nel campo del diritto contrattuale europeo, allo scopo di potersene servire come modello normativo di riferimento, nella futura produzione normativa comunitaria e nazionale; dall’altro, quello di corpus di regole applicabili alla materia contrattuale, da adoperare quale strumento opzionale.

Il CFR, dunque, che avrebbe una struttura e un contenuto composito, sarebbe lo strumento in cui si concretano le prospettive di sviluppo del diritto privato europeo, nella duplice direzione indicata: il miglioramento dell’acquis comunitario, attraverso un testo di riferimento idoneo ad eliminare le contraddizioni presenti nei molteplici interventi comunitari ed a fornire adeguate definizioni di termini giuridici adoperati nelle direttive; allo stesso tempo, l’utilizzazione di un corpo di regole unitario per la disciplina dei rapporti contrattuali internazionali, in una prospettiva volta al superamento della mera armonizzazione delle regole di conflitto.

4. Considerazioni conclusive

È evidente che i meccanismi descritti nella parte precedente non mancano di aspetti criticabili: L’Europa non è pronta per la codificazione dovuto all’eccessiva divergenza nelle regole, stili e procedure giuridici, la legislazione attuale manca di coerenza, e i meccanismi “soft” non sono sufficienti per soddisfare i bisogni dell’integrazione europea. A questo punto è utile considerare le discussioni più generali sull’integrazione europea, fuori dal campo del diritto privato. Il conflitto fra giuristi favorevoli al “hard law” e quelli favorevoli al “soft law” appare anche nel contesto del programma sociale europeo. Alcuni giuristi preferiscono l’uso del metodo comunitario classico, mentre altri preferiscono meccanismi “soft”, come il metodo aperto di coordinamento. Questo primo gruppo presume che la mancanza di legislazione centrale provochi un “race to the bottom” (declino) negli standard sociali, mentre il secondo gruppo sostiene che la diversità sia un vantaggio nella ricerca verso nuove soluzioni a problemi nuovi creati dall’integrazione europea. Tuttavia la verità è che un conflitto fra questi due gruppi non è inevitabile: una convergenza maggiore può essere ottenuta con un ibrido delle due idee.

Questi ragionamenti sono applicabili anche alla discussione sul diritto europeo contrattuale: mentre il ruolo del “hard law” è insostituibile per ottenere un’unità coerente per realizzare un mercato unico, il ruolo del “soft law” è ugualmente insostituibile per coordinare il processo legislativo e aumentare la convergenza fra gli stati membri. Altri meccanismi soft sono indispensabili alla creazione di una cultura contrattuale europea, importante per preparare una base per l’accettabilità e la coerenza di un’eventuale legislazione.

 

[1] È opportuno precisare subito che il termine ‘europeizzazione’ in questo saggio verrà usato intercambiabilmente con il termine ‘armonizzazione’. Con questo termine intendiamo una convergenza nelle regole e pratiche del diritto contrattuale nei sistemi degli stati membri dell’Unione europea, sia

graduale che immediata.

[2] Sull’argomento v. C. KOHLER, Lo spazio giudiziario europeo in materia civile e il diritto internazionale privato comunitario, in P. PICONE (a cura di), Diritto internazionale privato e diritto comunitario, Milano, 2004, p. 65; F. POCAR, La comunitarizzazione del diritto internazionale privato: una “European Conflict of Law Revolution”?, in RDIPP, 2000, p. 873 ss..

[3] OJ C 158, 26.6.1989, p.400 (Resolution A2-157/89)

[4] O Lando and H Beale (eds.), Principles of European Contract Law Parts I and II, Kluwer, 2000.

[5] Academy of European Private Lawyers, European Contract Code – Preliminary draft, Pavia, 2001.

[6] Questa tecnica comparativa può essere nominata come “common core”, molto usata dopo il progetto Cornell negli anni 60. Cf R B Schlesinger, Formation of contracts, a study of the common core of legal systems, NewYork, 1968, e M Bussani, U Mattei, ‘The Common Core Approach to European Private Law’, (Vol. 3 1997/98) The Columbia Journal of European Law 339.

[7] Cf. O Lando, ‘Optional or Mandatory Harmonisation’, (2000) European Review of Private Law, p.59, alla p.65.

[8] Cf. M Bussani, “Integrative Comparative Law Enterprises and the Inner Stratification of Legal Systems”,

(2000) ERPL p. 85, at pag. 92.

[9] J Scott and D Trubek, ‘Mind the Gap: Law and New Approaches to Governance in the European

Union’, ELJ 8/1:1-18 (2002).

[10] Cf. O Lando, si veda nota numero 7.

[11] P Legrand, Against a European Civil Code, (1997) 60 MLR 44.

[12] Cf. le proposte di C. Schmid, nota 12.

[13] Cf. le proposte di C. Schmid, nota 12.

[14] Cf. O Lando, si veda nota numero 7.