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Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem

Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem
Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem

Con la sentenza numero 102 del 12 maggio 2016, la Corte Costituzionale si pronuncia per la prima volta sul controverso tema della compatibilità del doppio binario sanzionatorio (amministrativo e penale) ed il principio del ne bis in idem, alla luce anche della copiosa giurisprudenza in materia da parte della Corte Edu, uno su tutti, il caso Grande Stevans c. Italia.

Il problema si pone in quei settori dell’ordinamento in cui il legislatore italiano ha previsto un microcosmo normativo dove alle fattispecie penali si affiancano delle fattispecie a rilevanza amministrativa.

È il caso di alcuni reati tributari di cui al decreto legislativo 74 del 2000 (ad esempio, l’8 marzo scorso la consulta si è pronunciata su una questione di legittimità costituzionale, sollevata dal tribunale di Bologna, avente ad oggetto la compatibilità dell’articolo 10 ter e, quindi, del doppio binario sanzionatorio in materia tributaria e il principio del ne bis in idem, dichiarata poi inammissibile), oppure, è il caso della vigente disciplina sanzionatoria prevista dal t.u.f. (decreto legislativo 58/1998) in materia di abusi di mercato (oggetto della recentissima pronuncia della Corte Costituzionale in commento).

L’articolo 185 t.u.f. prevede un’ipotesi di reato denominata “manipolazione del mercato”, alla quale si affianca l’illecito amministrativo (parimenti denominato “manipolazione del mercato”) di cui all’articolo 187- ter t.u.f.

Nel noto caso Grande Stevans, la Corte di Strasburgo ha analizzato il sistema di repressione delle condotte di manipolazione del mercato, concludendo che, alla luce della nozione di “pena” e di “materia penale”, elaborate dalla stessa giurisprudenza della corte a partire dal risalente caso Engel, le sanzioni pecuniarie inflitte dall’articolo 187 ter perseguono uno scopo afflittivo e repressivo (basti fare caso all’entità degli importi monetari che la sanzione può raggiungere) e, dunque, benché il legislatore italiano le qualifichi formalmente come amministrative, in realtà sostanzialmente costituiscono una sanzione penale, con la conseguenza che si crea una duplicazione sanzionatoria rispetto alla fattispecie, formalmente e sostanzialmente penale, dell’articolo 185 t.u.f..

Con la sentenza Grande Stevans la corte Edu ha dichiarato che il sistema del doppio binario italiano in materia di manipolazioni del mercato è incompatibile con la Convenzione europea dei diritto dell’uomo, nella misura in cui risulta lesivo del diritto ad un equo processo (articolo 6 Cedu) e del principio del ne bis in idem (articolo 4 protocollo 7 addizionale alla Cedu), ai sensi del quale un soggetto già assolto o condannato in via definitiva non può essere processato o condannato nuovamente per il medesimo fatto.

Nel caso concreto la Corte ravvisa una violazione del principio del ne bis in idem, in quanto i ricorrenti, condannati in via definitiva per violazione dell’articolo 187 ter t.u.f. in un procedimento davanti la Consob, sono stati successivamente sottoposti ad un nuovo processo davanti al giudice penale, in cui veniva contestato l’illecito penale di cui all’articolo 185 t.u.f.. La Corte di Strasburgo rileva una violazione del ne bis in idem poiché ritiene che oggetto del secondo procedimento sia la stessa condotta già sanzionata nel primo procedimento davanti la Consob. A tal proposito, la Corte Edu ha condannato l’Italia a rimuovere la violazione del divieto del bis in idem.

La sentenza Grande Stevans ha sollevato una serie di problematiche sulla disciplina contenuta nel Titolo I- bis del t.u.f. ed ha spinto, da una parte, la Corte di Cassazione a sollevare una questione di legittimità costituzionale in relazione all’articolo 187 ter per contrasto con l’articolo 117 comma 1 Costituzione (quale parametro interposto in relazione all’articolo 4, Protocollo 7 della Cedu) dall’altra, il legislatore ad intervenire con la legge delega numero 114 del 2015.

La Corte di Cassazione recentemente ha sottoposto al giudice delle leggi due questioni di legittimità costituzionale: la quinta sezione penale relativamente all’incipit dell’articolo 187 bis (“salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato” anziché “salvo che il fatto costituisca reato”) e all’articolo 649 codice di procedura penale; la Sezione Tributaria ha rimesso alla Corte Costituzionale la valutazione circa la compatibilità dell’articolo 187 ter del t.u.f. con l’articolo 117 comma 1 Costituzione ( in relazione all’ articolo 4, Protocollo 7 della Cedu).

La Consulta non ha preso esplicitamente posizione sul merito della questione, bensì si è limitata a dichiarare inammissibili tutte le questioni sottoposte al suo esame.

La Corte dichiara, innanzitutto, inammissibile la questione proposta in via principale dalla quinta sezione penale, concernente la particolare clausola di apertura dell’articolo 187 bis t.u.f. che disciplina le sanzioni amministrative per l’abuso di informazioni privilegiate, facendo salve però le sanzioni penali eventualmente irrogabili per i medesimi fatti; il giudice a quo, dunque, chiedeva alla consulta di sostituire questo inciso con la diversa clausola di sussidiarietà “salvo che il fatto costituisca reato”, in modo tale da escludere le sanzioni amministrative laddove il fatto integrasse un illecito penale.

Il caso sottoposto all’attenzione della corte di Cassazione riguardava una condanna per delitto di abuso di informazioni privilegiate ex articolo 184 t.u.f., in relazione al medesimo fatto storico per il quale il soggetto era già stato sottoposto a procedimento amministrativo e aveva subito la relativa sanzione, ai sensi del parallelo illecito amministrativo di cui all’articolo 187 bis t.u.f..

La Consulta dichiara, tuttavia, l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, infatti, essa aveva ad oggetto una disposizione, articolo 187 bis t.u.f., la cui sanzione era già stata irrogata e che non spiegava più alcuno effetto nel processo penale pendente davanti al giudice a quo, nel quale, piuttosto, si discuteva dell’applicabilità dell’articolo 184 che disciplina il corrispondente illecito penale di abuso di informazioni privilegiate. Inoltre, la Corte aggiunge che un ipotetico accoglimento della questione non sarebbe valso ad evitare la violazione delle norme Convenzionali, dal momento che, anche se venisse revocata la sanzione amministrativa erogata dalla Consob, il procedimento penale andrebbe comunque concluso. Ciò avrebbe portato comunque alla violazione dell’articolo 4 protocollo 7 della Cedu che non vieta l’irrogazione di una doppia sanzione ma la celebrazione di un secondo processo per il medesimo fatto.

In via subordinata, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 649 codice di procedura penale per contrasto con l’articolo 117 comma 1, in relazione all’articolo 4 protocollo 7 della Cedu, nella parte in cui la disposizione impugnata non prevede “l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui l’imputato sia stato giudicato, con provvedimento irrevocabile, per il medesimo fatto nell’ambito di un procedimento amministrativo per l’applicazione di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale”. Anche questa questione viene dichiarata inammissibile in quanto i giudici ritengono che non sia adeguatamente motivata circa la sua non manifesta infondatezza. Inoltre, la Consulta rileva che l’intervento additivo sull’articolo 649 codice di procedura penale comporterebbe esclusivamente la mancata celebrazione di un secondo procedimento per il medesimo fatto, senza, però, determinare alcun tipo di ordine di priorità tra sanzione penale e sanzione amministrativa: godrebbe di tale priorità il procedimento celebrato più celermente.

Quindi, l’accoglimento della questione avrebbe solamente impedito l’irrogazione di una doppia sanzione, ma non avrebbe fornito alcun tipo di rimedio contro la possibilità di un doppio procedimento per uno stesso fatto, questione che potrà essere definita solo con un intervento legislativo di riforma del sistema sanzionatorio degli abusi di mercato, volto ad accogliere i principi emanati nell’ambito della giurisprudenza della Corte Edu.

Infine, è giudicata inammissibile anche la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla sezione tributaria della Cassazione. Oggetto del ricorso era un’ordinanza di corte di appello confermativa di una sanzione irrogata dalla Consob ex articolo 187 ter t.u.f. per un fatto di manipolazione del mercato, in relazione al quale i ricorrenti avevano già patteggiato una pena ai sensi della parallela disposizione penale di cui all’articolo 185 t.u.f. .

Anche in questo caso la questione aveva ad oggetto il presunto contrasto dell’articolo 187 ter t.u.f. e l’ articolo 117 comma 1 Costituzione, in relazione all’articolo 4 protocollo 7 della Cedu. La Corte dichiara inammissibile la questione in quanto l’ordinanza di remissione non chiarisce se la soluzione imposta dalla corte Edu sia compatibile con gli obblighi di repressione degli abusi di mercato imposti dal diritto dell’Unione Europea.

Con questa sentenza la Corte evidentemente ha deciso di non decidere, probabilmente al fine di sollecitare il legislatore ad intervenire e a disciplinare il “doppio binario” sanzionatorio nel settore degli abusi di mercato, ma anche in quello penale-tributario all’interno del quale si pone il medesimo problema (nel settore degli abusi di mercato, infatti, siamo in attesa dell’attuazione della legge delega numero 114 del 2015 che prevede una riforma della disciplina).

Infatti, soltanto mediante un accurato intervenuto legislativo, volto a regolare i rapporti tra i due illeciti (penale e amministrativo) e i relativi procedimenti, sarebbe possibile eliminare il problema relativo alla violazione del ne bis in idem e, contemporaneamente, a rispettare gli obblighi sanzionatori derivanti dal diritto dell’unione europea che ci impone di perseguire gli abusi di mercato e le frodi gravi in materia di Iva.

Allo Stato dell’arte, in attesa di un intervento legislativo, le strade percorribili, al fine di assicurare il rispetto dei principi convenzionali, sono diverse e sono valide sia in materia di abusi di mercato sia in materia di reati tributari, vediamole.

Una prima soluzione, praticabile quando la disciplina sanzionatoria del doppio binario ricada entro l’ambito di applicazione del diritto Ue, questo è il caso degli abusi di mercato e dell’evasione Iva, è data dall’applicazione diretta dell’articolo 50 della carta dei diritti fondamentali dell’Ue (Carta di Nizza).

Infatti, l’articolo 50 ha un contenuto corrispondente a quello del divieto di bis in idem sancito dall’articolo 4 Protocollo 7 della Cedu, esso fissa il principio secondo cui “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”.

Il Testo della Carta di Nizza e, dunque, l’articolo 50 in forza dell’articolo 6 Trattato sull’unione europea è stato elevato a rango di diritto primario dell’unione, alla pari dei trattati, e ciò comporta l’applicazione diretta dell’articolo 50 della carta di Nizza da parte delle istituzioni dell’unione e degli stati membri, con conseguente disapplicazione delle norme interne contrastanti.

Da ciò deriva che il giudice penale italiano dovrà garantire la diretta applicazione dell’articolo 50, pronunciando sentenza di non doversi procedere per violazione del principio del ne bis in idem, ogniqualvolta si renda conto dell’esistenza di un provvedimento definitivo sullo stesso fatto concreto, che possa essere qualificato sostanzialmente penale alla luce dei noti criteri Engel.

Dunque, il giudice penale italiano chiamato a decidere su un caso di market abuse, in relazione al quale è stata già irrogata in via definitiva una sanzione amministrativa, constatata la violazione del ne bis in indem, dovrebbe procedere ala disapplicazione dell’articolo 649 codice di procedura penale e applicare in via diretta l’articolo 50 della Carta di Nizza.

In secondo luogo, al di fuori dell’ambito di applicazione del diritto Ue, dove non possono essere invocati i diritti riconosciuti dalla Carta di Nizza (ad esempio: nelle materie di omesso versamento di ritenute di imposta), è possibile dare applicazione all’articolo 4 protocollo 7 Cedu, il quale, sebbene si ponga come norma interposta che non può essere direttamente applicata in luogo di disposizioni contrastanti del diritto nazionale, trova diretta applicazione in tutte quelle ipotesi non regolate in modo antitetico da una disposizione di diritto interno. Dunque, anche in questo caso si potrà pervenire ad una sentenza di non doversi procedere fondata direttamente sull’articolo 4 protocollo 7 della Cedu.

Ci si è chiesti quale possa essere la via percorribile nel caso in cui lo stesso fatto di market abuse abbia condotto all’apertura di due procedimenti paralleli, quello penale e quello amministrativo, però entrambi si sono già conclusi con sentenze passate in giudicato. La Corte di Cassazione, in mancanza di uno strumento legislativo ad hoc, ha elaborato diverse soluzioni in via interpretativa (Cassazione Sezione I 1 dicembre 2006 numero 2800; Cassazione Sezione IV 12 novembre 2008, numero 45807).

Una soluzione potrebbe essere l’applicazione dell’articolo 669 comma 1 codice di procedura penale a mente del quale “se più sentenze di condanna divenute irrevocabili sono state pronunciate contro la stessa persona per il medesimo fatto, il giudice ordina l’esecuzione della sentenza con cui si pronunciò la condanna meno grave, revocando le altre”, questa interpretazione presuppone un’interpretazione estensiva del concetto di “sentenze di condanna divenute irrevocabili” che ricomprenda anche i provvedimenti definitivi, formalmente amministrativi, ma valutati come sostanzialmente penali dalla Corte Edu.

Sul punto si è pronunciata nel 2011 la Corte Costituzionale che, con la sentenza numero 113, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 630 codice di procedura penale nella parte in cui non prevede una specifica ipotesi di revisione del giudicato nel caso in cui vi sia la necessità di uniformarsi ad una sentenza definitiva con cui la Corte Edu abbia sanzionato l’italia per violazione di diritti convenzionali.

Ultimo scenario da esaminare è quello della litispendenza.

Si tratta delle ipotesi in cui i due procedimenti, penale e amministrativo, sono entrambi avviati ma nessuno dei due è divenuto definitivo. L’assenza di una res iudicata non comporta la violazione del principio del ne bis in idem, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte di Strasburgo nel caso Grande Stevans e ribadita nel recente caso lucky dev. C. Svezia del 27 novembre 2014: fintantoché i due procedimenti, vertenti sullo stesso fatto, sono pendenti e nessuno dei due è divenuto definitivo con decisione irrevocabile, non sussiste alcuna violazione del principio convenzionale. È evidente come questo sistema comporta un grosso spreco di risorse e di tempo, dal momento che i due procedimenti sono destinati a correre paralleli fino a quando la conclusione di uno dei due, verosimilmente quello amministrativo che di regola ha un decorso più rapido rispetto a quello penale, impone l’arresto dell’altro.

La sentenza Grande Stevans ha avuto un forte impatto sul sistema italiano di contrasto al market abuse, tuttavia, il deficit evidenziato non è circoscritto soltanto al caso esaminato dalla corte di Strasburgo, relativo al solo settore degli abusi di mercato, bensì è suscettibile di essere esteso allo intero campo del diritto penale-amministrativo (tributario). Occorre, pertanto, un intervento legislativo ad hoc, capace di evitare il ripetersi delle violazioni e volto a modificare la disciplina degli abusi di mercato, al fine di adeguarla ai dicta della Corte di Strasburgo.

A tal proposito, è stata recentemente adottata la direttiva 2014/57/Ue, il cui termine ultimo per il recepimento è il 3 luglio 2016.

Il legislatore italiano ha risposto con la legge delega del 9 luglio 2015 numero 114 con cui invita il Governo, seguendo i criteri direttivi di cui all’articolo 11, ad adeguare il t.u.f. agli obblighi derivanti dalla direttiva 2014/57/Ue.

Con la sentenza numero 102 del 12 maggio 2016, la Corte Costituzionale si pronuncia per la prima volta sul controverso tema della compatibilità del doppio binario sanzionatorio (amministrativo e penale) ed il principio del ne bis in idem, alla luce anche della copiosa giurisprudenza in materia da parte della Corte Edu, uno su tutti, il caso Grande Stevans c. Italia.

Il problema si pone in quei settori dell’ordinamento in cui il legislatore italiano ha previsto un microcosmo normativo dove alle fattispecie penali si affiancano delle fattispecie a rilevanza amministrativa.

È il caso di alcuni reati tributari di cui al decreto legislativo 74 del 2000 (ad esempio, l’8 marzo scorso la consulta si è pronunciata su una questione di legittimità costituzionale, sollevata dal tribunale di Bologna, avente ad oggetto la compatibilità dell’articolo 10 ter e, quindi, del doppio binario sanzionatorio in materia tributaria e il principio del ne bis in idem, dichiarata poi inammissibile), oppure, è il caso della vigente disciplina sanzionatoria prevista dal t.u.f. (decreto legislativo 58/1998) in materia di abusi di mercato (oggetto della recentissima pronuncia della Corte Costituzionale in commento).

L’articolo 185 t.u.f. prevede un’ipotesi di reato denominata “manipolazione del mercato”, alla quale si affianca l’illecito amministrativo (parimenti denominato “manipolazione del mercato”) di cui all’articolo 187- ter t.u.f.

Nel noto caso Grande Stevans, la Corte di Strasburgo ha analizzato il sistema di repressione delle condotte di manipolazione del mercato, concludendo che, alla luce della nozione di “pena” e di “materia penale”, elaborate dalla stessa giurisprudenza della corte a partire dal risalente caso Engel, le sanzioni pecuniarie inflitte dall’articolo 187 ter perseguono uno scopo afflittivo e repressivo (basti fare caso all’entità degli importi monetari che la sanzione può raggiungere) e, dunque, benché il legislatore italiano le qualifichi formalmente come amministrative, in realtà sostanzialmente costituiscono una sanzione penale, con la conseguenza che si crea una duplicazione sanzionatoria rispetto alla fattispecie, formalmente e sostanzialmente penale, dell’articolo 185 t.u.f..

Con la sentenza Grande Stevans la corte Edu ha dichiarato che il sistema del doppio binario italiano in materia di manipolazioni del mercato è incompatibile con la Convenzione europea dei diritto dell’uomo, nella misura in cui risulta lesivo del diritto ad un equo processo (articolo 6 Cedu) e del principio del ne bis in idem (articolo 4 protocollo 7 addizionale alla Cedu), ai sensi del quale un soggetto già assolto o condannato in via definitiva non può essere processato o condannato nuovamente per il medesimo fatto.

Nel caso concreto la Corte ravvisa una violazione del principio del ne bis in idem, in quanto i ricorrenti, condannati in via definitiva per violazione dell’articolo 187 ter t.u.f. in un procedimento davanti la Consob, sono stati successivamente sottoposti ad un nuovo processo davanti al giudice penale, in cui veniva contestato l’illecito penale di cui all’articolo 185 t.u.f.. La Corte di Strasburgo rileva una violazione del ne bis in idem poiché ritiene che oggetto del secondo procedimento sia la stessa condotta già sanzionata nel primo procedimento davanti la Consob. A tal proposito, la Corte Edu ha condannato l’Italia a rimuovere la violazione del divieto del bis in idem.

La sentenza Grande Stevans ha sollevato una serie di problematiche sulla disciplina contenuta nel Titolo I- bis del t.u.f. ed ha spinto, da una parte, la Corte di Cassazione a sollevare una questione di legittimità costituzionale in relazione all’articolo 187 ter per contrasto con l’articolo 117 comma 1 Costituzione (quale parametro interposto in relazione all’articolo 4, Protocollo 7 della Cedu) dall’altra, il legislatore ad intervenire con la legge delega numero 114 del 2015.

La Corte di Cassazione recentemente ha sottoposto al giudice delle leggi due questioni di legittimità costituzionale: la quinta sezione penale relativamente all’incipit dell’articolo 187 bis (“salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato” anziché “salvo che il fatto costituisca reato”) e all’articolo 649 codice di procedura penale; la Sezione Tributaria ha rimesso alla Corte Costituzionale la valutazione circa la compatibilità dell’articolo 187 ter del t.u.f. con l’articolo 117 comma 1 Costituzione ( in relazione all’ articolo 4, Protocollo 7 della Cedu).

La Consulta non ha preso esplicitamente posizione sul merito della questione, bensì si è limitata a dichiarare inammissibili tutte le questioni sottoposte al suo esame.

La Corte dichiara, innanzitutto, inammissibile la questione proposta in via principale dalla quinta sezione penale, concernente la particolare clausola di apertura dell’articolo 187 bis t.u.f. che disciplina le sanzioni amministrative per l’abuso di informazioni privilegiate, facendo salve però le sanzioni penali eventualmente irrogabili per i medesimi fatti; il giudice a quo, dunque, chiedeva alla consulta di sostituire questo inciso con la diversa clausola di sussidiarietà “salvo che il fatto costituisca reato”, in modo tale da escludere le sanzioni amministrative laddove il fatto integrasse un illecito penale.

Il caso sottoposto all’attenzione della corte di Cassazione riguardava una condanna per delitto di abuso di informazioni privilegiate ex articolo 184 t.u.f., in relazione al medesimo fatto storico per il quale il soggetto era già stato sottoposto a procedimento amministrativo e aveva subito la relativa sanzione, ai sensi del parallelo illecito amministrativo di cui all’articolo 187 bis t.u.f..

La Consulta dichiara, tuttavia, l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, infatti, essa aveva ad oggetto una disposizione, articolo 187 bis t.u.f., la cui sanzione era già stata irrogata e che non spiegava più alcuno effetto nel processo penale pendente davanti al giudice a quo, nel quale, piuttosto, si discuteva dell’applicabilità dell’articolo 184 che disciplina il corrispondente illecito penale di abuso di informazioni privilegiate. Inoltre, la Corte aggiunge che un ipotetico accoglimento della questione non sarebbe valso ad evitare la violazione delle norme Convenzionali, dal momento che, anche se venisse revocata la sanzione amministrativa erogata dalla Consob, il procedimento penale andrebbe comunque concluso. Ciò avrebbe portato comunque alla violazione dell’articolo 4 protocollo 7 della Cedu che non vieta l’irrogazione di una doppia sanzione ma la celebrazione di un secondo processo per il medesimo fatto.

In via subordinata, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 649 codice di procedura penale per contrasto con l’articolo 117 comma 1, in relazione all’articolo 4 protocollo 7 della Cedu, nella parte in cui la disposizione impugnata non prevede “l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui l’imputato sia stato giudicato, con provvedimento irrevocabile, per il medesimo fatto nell’ambito di un procedimento amministrativo per l’applicazione di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale”. Anche questa questione viene dichiarata inammissibile in quanto i giudici ritengono che non sia adeguatamente motivata circa la sua non manifesta infondatezza. Inoltre, la Consulta rileva che l’intervento additivo sull’articolo 649 codice di procedura penale comporterebbe esclusivamente la mancata celebrazione di un secondo procedimento per il medesimo fatto, senza, però, determinare alcun tipo di ordine di priorità tra sanzione penale e sanzione amministrativa: godrebbe di tale priorità il procedimento celebrato più celermente.

Quindi, l’accoglimento della questione avrebbe solamente impedito l’irrogazione di una doppia sanzione, ma non avrebbe fornito alcun tipo di rimedio contro la possibilità di un doppio procedimento per uno stesso fatto, questione che potrà essere definita solo con un intervento legislativo di riforma del sistema sanzionatorio degli abusi di mercato, volto ad accogliere i principi emanati nell’ambito della giurisprudenza della Corte Edu.

Infine, è giudicata inammissibile anche la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla sezione tributaria della Cassazione. Oggetto del ricorso era un’ordinanza di corte di appello confermativa di una sanzione irrogata dalla Consob ex articolo 187 ter t.u.f. per un fatto di manipolazione del mercato, in relazione al quale i ricorrenti avevano già patteggiato una pena ai sensi della parallela disposizione penale di cui all’articolo 185 t.u.f. .

Anche in questo caso la questione aveva ad oggetto il presunto contrasto dell’articolo 187 ter t.u.f. e l’ articolo 117 comma 1 Costituzione, in relazione all’articolo 4 protocollo 7 della Cedu. La Corte dichiara inammissibile la questione in quanto l’ordinanza di remissione non chiarisce se la soluzione imposta dalla corte Edu sia compatibile con gli obblighi di repressione degli abusi di mercato imposti dal diritto dell’Unione Europea.

Con questa sentenza la Corte evidentemente ha deciso di non decidere, probabilmente al fine di sollecitare il legislatore ad intervenire e a disciplinare il “doppio binario” sanzionatorio nel settore degli abusi di mercato, ma anche in quello penale-tributario all’interno del quale si pone il medesimo problema (nel settore degli abusi di mercato, infatti, siamo in attesa dell’attuazione della legge delega numero 114 del 2015 che prevede una riforma della disciplina).

Infatti, soltanto mediante un accurato intervenuto legislativo, volto a regolare i rapporti tra i due illeciti (penale e amministrativo) e i relativi procedimenti, sarebbe possibile eliminare il problema relativo alla violazione del ne bis in idem e, contemporaneamente, a rispettare gli obblighi sanzionatori derivanti dal diritto dell’unione europea che ci impone di perseguire gli abusi di mercato e le frodi gravi in materia di Iva.

Allo Stato dell’arte, in attesa di un intervento legislativo, le strade percorribili, al fine di assicurare il rispetto dei principi convenzionali, sono diverse e sono valide sia in materia di abusi di mercato sia in materia di reati tributari, vediamole.

Una prima soluzione, praticabile quando la disciplina sanzionatoria del doppio binario ricada entro l’ambito di applicazione del diritto Ue, questo è il caso degli abusi di mercato e dell’evasione Iva, è data dall’applicazione diretta dell’articolo 50 della carta dei diritti fondamentali dell’Ue (Carta di Nizza).

Infatti, l’articolo 50 ha un contenuto corrispondente a quello del divieto di bis in idem sancito dall’articolo 4 Protocollo 7 della Cedu, esso fissa il principio secondo cui “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”.

Il Testo della Carta di Nizza e, dunque, l’articolo 50 in forza dell’articolo 6 Trattato sull’unione europea è stato elevato a rango di diritto primario dell’unione, alla pari dei trattati, e ciò comporta l’applicazione diretta dell’articolo 50 della carta di Nizza da parte delle istituzioni dell’unione e degli stati membri, con conseguente disapplicazione delle norme interne contrastanti.

Da ciò deriva che il giudice penale italiano dovrà garantire la diretta applicazione dell’articolo 50, pronunciando sentenza di non doversi procedere per violazione del principio del ne bis in idem, ogniqualvolta si renda conto dell’esistenza di un provvedimento definitivo sullo stesso fatto concreto, che possa essere qualificato sostanzialmente penale alla luce dei noti criteri Engel.

Dunque, il giudice penale italiano chiamato a decidere su un caso di market abuse, in relazione al quale è stata già irrogata in via definitiva una sanzione amministrativa, constatata la violazione del ne bis in indem, dovrebbe procedere ala disapplicazione dell’articolo 649 codice di procedura penale e applicare in via diretta l’articolo 50 della Carta di Nizza.

In secondo luogo, al di fuori dell’ambito di applicazione del diritto Ue, dove non possono essere invocati i diritti riconosciuti dalla Carta di Nizza (ad esempio: nelle materie di omesso versamento di ritenute di imposta), è possibile dare applicazione all’articolo 4 protocollo 7 Cedu, il quale, sebbene si ponga come norma interposta che non può essere direttamente applicata in luogo di disposizioni contrastanti del diritto nazionale, trova diretta applicazione in tutte quelle ipotesi non regolate in modo antitetico da una disposizione di diritto interno. Dunque, anche in questo caso si potrà pervenire ad una sentenza di non doversi procedere fondata direttamente sull’articolo 4 protocollo 7 della Cedu.

Ci si è chiesti quale possa essere la via percorribile nel caso in cui lo stesso fatto di market abuse abbia condotto all’apertura di due procedimenti paralleli, quello penale e quello amministrativo, però entrambi si sono già conclusi con sentenze passate in giudicato. La Corte di Cassazione, in mancanza di uno strumento legislativo ad hoc, ha elaborato diverse soluzioni in via interpretativa (Cassazione Sezione I 1 dicembre 2006 numero 2800; Cassazione Sezione IV 12 novembre 2008, numero 45807).

Una soluzione potrebbe essere l’applicazione dell’articolo 669 comma 1 codice di procedura penale a mente del quale “se più sentenze di condanna divenute irrevocabili sono state pronunciate contro la stessa persona per il medesimo fatto, il giudice ordina l’esecuzione della sentenza con cui si pronunciò la condanna meno grave, revocando le altre”, questa interpretazione presuppone un’interpretazione estensiva del concetto di “sentenze di condanna divenute irrevocabili” che ricomprenda anche i provvedimenti definitivi, formalmente amministrativi, ma valutati come sostanzialmente penali dalla Corte Edu.

Sul punto si è pronunciata nel 2011 la Corte Costituzionale che, con la sentenza numero 113, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 630 codice di procedura penale nella parte in cui non prevede una specifica ipotesi di revisione del giudicato nel caso in cui vi sia la necessità di uniformarsi ad una sentenza definitiva con cui la Corte Edu abbia sanzionato l’italia per violazione di diritti convenzionali.

Ultimo scenario da esaminare è quello della litispendenza.

Si tratta delle ipotesi in cui i due procedimenti, penale e amministrativo, sono entrambi avviati ma nessuno dei due è divenuto definitivo. L’assenza di una res iudicata non comporta la violazione del principio del ne bis in idem, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte di Strasburgo nel caso Grande Stevans e ribadita nel recente caso lucky dev. C. Svezia del 27 novembre 2014: fintantoché i due procedimenti, vertenti sullo stesso fatto, sono pendenti e nessuno dei due è divenuto definitivo con decisione irrevocabile, non sussiste alcuna violazione del principio convenzionale. È evidente come questo sistema comporta un grosso spreco di risorse e di tempo, dal momento che i due procedimenti sono destinati a correre paralleli fino a quando la conclusione di uno dei due, verosimilmente quello amministrativo che di regola ha un decorso più rapido rispetto a quello penale, impone l’arresto dell’altro.

La sentenza Grande Stevans ha avuto un forte impatto sul sistema italiano di contrasto al market abuse, tuttavia, il deficit evidenziato non è circoscritto soltanto al caso esaminato dalla corte di Strasburgo, relativo al solo settore degli abusi di mercato, bensì è suscettibile di essere esteso allo intero campo del diritto penale-amministrativo (tributario). Occorre, pertanto, un intervento legislativo ad hoc, capace di evitare il ripetersi delle violazioni e volto a modificare la disciplina degli abusi di mercato, al fine di adeguarla ai dicta della Corte di Strasburgo.

A tal proposito, è stata recentemente adottata la direttiva 2014/57/Ue, il cui termine ultimo per il recepimento è il 3 luglio 2016.

Il legislatore italiano ha risposto con la legge delega del 9 luglio 2015 numero 114 con cui invita il Governo, seguendo i criteri direttivi di cui all’articolo 11, ad adeguare il t.u.f. agli obblighi derivanti dalla direttiva 2014/57/Ue.