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Il malato feriale

Rapporto fra gli istituti della malattia e delle ferie
Il malato feriale
Il malato feriale

‹‹Nel momento in cui ci si chiede il significato e il valore della vita, si è malati››. Se Sigmund Freud aveva ragione sarebbe opportuno scegliere con molta attenzione il momento giusto per farsi certe domande. Si sconsigliano interrogativi del genere, ad esempio, quando si è in ferie.

Tuttavia di domande inopportune era maestro lo stesso Freud e l’insorgere di una malattia durante il periodo di ferie è una possibilità che, con l’aiuto della sfortuna, ben può realizzarsi.

Per comprendere quale sia il rapporto ed individuare le possibili sovrapposizioni tra i due istituti bisogna preliminarmente passare per una, seppur breve, analisi di entrambi.

L’istituto delle ferie è innanzitutto previsto dalla Costituzione che, al comma terzo dell’articolo 36, stabilisce che ‹‹Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi››. Le modalità di concessione e fruizione sono invece disciplinate dall’articolo 2109 del codice civile, il quale dispone che ‹‹il prestatore di lavoro ha diritto…ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto dell’esigenza dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro…››.

Infine con l’articolo 10 del Decreto Legislativo n. 66/2003 si stabilisce la durata del c.d. periodo minimo feriale: si tratta di un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane, di cui due settimane da fruirsi (consecutivamente su richiesta del lavoratore) nel corso dell’anno di maturazione, e le rimanenti due da fruirsi (anche in modo frazionato) entro i diciotto mesi successivi all’anno di maturazione.

Tutto ciò salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva, la quale, peraltro, può prevedere ulteriori periodi di ferie. In ogni caso il periodo minimo feriale non può essere sostituito dalla relativa indennità di ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.

La malattia costituisce invece una delle più importanti e comuni cause di sospensione del rapporto per temporanea impossibilità sopravvenuta della prestazione di lavoro.

Nel caso in cui tale evento sospensivo si realizzi, l’articolo 2110 del codice civile stabilisce che il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto per un certo periodo di tempo (il c.d. periodo di comporto) e alla retribuzione per i giorni di assenza o ad una indennità sostitutiva della stessa; tali giorni di assenza, inoltre, devono essere computati nell’anzianità di servizio. La durata del periodo di comporto è fissata dai contratti collettivi, anche sommando più malattie distinte, e spesso sulla base del livello e dell’anzianità del lavoratore.

Ma, tornando al caso del nostro “sfortunato” lavoratore, bisogna far presente che la malattia, oltre a produrre una temporanea sospensione del rapporto di lavoro, può anche produrre un effetto sospensivo sul decorso delle ferie. Ciò a patto che sia rispettata una condizione in particolare: che la specificità degli stati morbosi e delle cure sia incompatibile con l’essenziale funzione di riposo, recupero delle energie psicofisiche e ricreazione,propria delle ferie (Corte Cass. sentenza n. 1947 del 23-02-1998). Dunque il principio dell’effetto sospensivo della malattia sulle ferie risulta pacifico ma non ha valore assoluto, tollerando eccezioni da individuare tenendo conto delle caratteristiche della malattia stessa (cfr. Corte Cost. n. 616 del 30-12-1987, n. 616 del 30-12-1987).

In sostanza l’idoneità della malattia a interrompere le ferie va valutata rapportandola al c.d. danno biologico: è il grado di compromissione delle funzioni che permettono al lavoratore di estrinsecarsi nella vita sociale ed individuale che va misurato per poter valutare se la malattia renda possibile o meno la fruizione delle ferie.

Se ciò che rileva è soltanto il reale pregiudizio eventualmente procurato alla funzione di reintegro delle energie psicofisiche propria dell’istituto, ben si comprende perché vi è l’obbligo per il datore di lavoro che intenda procedere al controllo sanitario di precisare espressamente, all’atto della richiesta, che si tratta di lavoratore ammalatosi durante un periodo di ferie e per il quale si richiede di accertare le condizioni per l’interruzione delle ferie stesse.

Appare chiaro, quindi, che lo stato di temporanea e assoluta incapacità al lavoro specifico non sempre è idoneo ad interrompere il decorso del periodo feriale. In linea di massima e a titolo puramente esemplificativo, una inabilità temporanea assoluta generica (stati febbrili, ricoveri, ingessature …) non dovrebbe consentire il godimento delle ferie, mentre una inabilità temporanea assoluta al lavoro specifico potrebbe inibirne il godimento solo se rilevante, oltreché ai fini dell’esecuzione della prestazione lavorativa, anche ai fini del riposo e del ristoro del prestatore. Così non sarebbe, per esempio, in caso di disturbi da stress connessi all’ambiente di lavoro o, più in generale, in caso di patologie per le quali attività ludico ricreative potrebbero considerarsi in qualche modo strumentali alla guarigione (cfr. circ. INPS n.109 del 17-05-1999).

C’è poi da dire che, così come la malattia può sospendere il normale decorso delle ferie, anche le ferie possono produrre un effetto sospensivo sul decorso del periodo di comporto. Perché ciò avvenga, anche in questo caso, deve essere rispettata una condizione in particolare: il rischio concreto per il lavoratore di perdere il posto di lavoro per superamento dello stesso periodo di comporto.

Secondo un orientamento consolidato della Corte di Cassazione, il lavoratore non può scegliere autonomamente e arbitrariamente il periodo di godimento delle ferie, né può imputare a ferie eventuali assenze per malattia; è indispensabile invece un coordinamento con le esigenze di un ordinato svolgimento dell’attività di impresa (come previsto dal già citato art. 2109 c.c.), fermo restando che la concessione delle ferie costituisce una prerogativa riconducibile al potere organizzativo del datore di lavoro (cfr. Corte Cass. n. 4217 del 14-05-1995, n.9797 del 2-10-1998, n. 9816 del 14-04-2008, n. 10352 del 22-04-2008, n.7433 del 14-04-2016).

Ma esiste anche un diverso e altrettanto consolidato orientamento della stessa Corte di Cassazione in base al quale il lavoratore ha facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, al fine di sospendere il periodo di comporto, e ciò in considerazione del prevalente interesse dello stesso lavoratore alla prosecuzione del rapporto.

Sarebbe d’altronde costituzionalmente scorretto precludere il diritto alle ferie a causa di condizioni psicofisiche inidonee al loro pieno godimento dacché, stante la probabile perdita del posto di lavoro per superamento del comporto e non potendo le ferie stesse essere sospese o spostate al termine della malattia, se ne renderebbe impossibile l’effettiva fruizione. Spetterà quindi al datore di lavoro, una volta investito della richiesta di ferie (che in ogni caso il lavoratore dovrà presentare), tener conto, nell’assumere la propria decisione, del fondamentale interesse del richiedente al mantenimento del posto di lavoro.

Dunque, anche se non esiste nel nostro ordinamento una norma che esplicitamente imponga al datore l’accoglimento delle ferie, al fine di evitare il licenziamento e la conseguente perdita del posto di lavoro (fonte di reddito per il lavoratore e per la sua famiglia), sarebbe l’ordinamento stesso, in ossequio alle clausole generali di correttezza e buona fede, ad imporre al datore di lavoro, pur sempre considerati e ponderati i contrapposti interessi in gioco, l’accoglimento della richiesta del lavoratore. (cfr. Cass. n. 11691 del 19-11-1998, n. 6043 del 11-05-2000, n. 29317 del 15-12-2008, n.5078 del 3-3-2009, n. 17538 del 1-08-2014, n. 14471 del 07-06-2013, n. 7433 del 14-04-2016).

Concludendo ancora con le parole di Freud, ‹‹La domanda circa lo scopo della vita umana è stata posta innumerevoli volte; non ha ancora trovato una risposta soddisfacente, forse non la consente nemmeno››. Un motivo in più, non ce ne vorrà il padre della psicoanalisi, per rimandare certi interrogativi a data da destinarsi.

‹‹Nel momento in cui ci si chiede il significato e il valore della vita, si è malati››. Se Sigmund Freud aveva ragione sarebbe opportuno scegliere con molta attenzione il momento giusto per farsi certe domande. Si sconsigliano interrogativi del genere, ad esempio, quando si è in ferie.

Tuttavia di domande inopportune era maestro lo stesso Freud e l’insorgere di una malattia durante il periodo di ferie è una possibilità che, con l’aiuto della sfortuna, ben può realizzarsi.

Per comprendere quale sia il rapporto ed individuare le possibili sovrapposizioni tra i due istituti bisogna preliminarmente passare per una, seppur breve, analisi di entrambi.

L’istituto delle ferie è innanzitutto previsto dalla Costituzione che, al comma terzo dell’articolo 36, stabilisce che ‹‹Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi››. Le modalità di concessione e fruizione sono invece disciplinate dall’articolo 2109 del codice civile, il quale dispone che ‹‹il prestatore di lavoro ha diritto…ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto dell’esigenza dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro…››.

Infine con l’articolo 10 del Decreto Legislativo n. 66/2003 si stabilisce la durata del c.d. periodo minimo feriale: si tratta di un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane, di cui due settimane da fruirsi (consecutivamente su richiesta del lavoratore) nel corso dell’anno di maturazione, e le rimanenti due da fruirsi (anche in modo frazionato) entro i diciotto mesi successivi all’anno di maturazione.

Tutto ciò salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva, la quale, peraltro, può prevedere ulteriori periodi di ferie. In ogni caso il periodo minimo feriale non può essere sostituito dalla relativa indennità di ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.

La malattia costituisce invece una delle più importanti e comuni cause di sospensione del rapporto per temporanea impossibilità sopravvenuta della prestazione di lavoro.

Nel caso in cui tale evento sospensivo si realizzi, l’articolo 2110 del codice civile stabilisce che il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto per un certo periodo di tempo (il c.d. periodo di comporto) e alla retribuzione per i giorni di assenza o ad una indennità sostitutiva della stessa; tali giorni di assenza, inoltre, devono essere computati nell’anzianità di servizio. La durata del periodo di comporto è fissata dai contratti collettivi, anche sommando più malattie distinte, e spesso sulla base del livello e dell’anzianità del lavoratore.

Ma, tornando al caso del nostro “sfortunato” lavoratore, bisogna far presente che la malattia, oltre a produrre una temporanea sospensione del rapporto di lavoro, può anche produrre un effetto sospensivo sul decorso delle ferie. Ciò a patto che sia rispettata una condizione in particolare: che la specificità degli stati morbosi e delle cure sia incompatibile con l’essenziale funzione di riposo, recupero delle energie psicofisiche e ricreazione,propria delle ferie (Corte Cass. sentenza n. 1947 del 23-02-1998). Dunque il principio dell’effetto sospensivo della malattia sulle ferie risulta pacifico ma non ha valore assoluto, tollerando eccezioni da individuare tenendo conto delle caratteristiche della malattia stessa (cfr. Corte Cost. n. 616 del 30-12-1987, n. 616 del 30-12-1987).

In sostanza l’idoneità della malattia a interrompere le ferie va valutata rapportandola al c.d. danno biologico: è il grado di compromissione delle funzioni che permettono al lavoratore di estrinsecarsi nella vita sociale ed individuale che va misurato per poter valutare se la malattia renda possibile o meno la fruizione delle ferie.

Se ciò che rileva è soltanto il reale pregiudizio eventualmente procurato alla funzione di reintegro delle energie psicofisiche propria dell’istituto, ben si comprende perché vi è l’obbligo per il datore di lavoro che intenda procedere al controllo sanitario di precisare espressamente, all’atto della richiesta, che si tratta di lavoratore ammalatosi durante un periodo di ferie e per il quale si richiede di accertare le condizioni per l’interruzione delle ferie stesse.

Appare chiaro, quindi, che lo stato di temporanea e assoluta incapacità al lavoro specifico non sempre è idoneo ad interrompere il decorso del periodo feriale. In linea di massima e a titolo puramente esemplificativo, una inabilità temporanea assoluta generica (stati febbrili, ricoveri, ingessature …) non dovrebbe consentire il godimento delle ferie, mentre una inabilità temporanea assoluta al lavoro specifico potrebbe inibirne il godimento solo se rilevante, oltreché ai fini dell’esecuzione della prestazione lavorativa, anche ai fini del riposo e del ristoro del prestatore. Così non sarebbe, per esempio, in caso di disturbi da stress connessi all’ambiente di lavoro o, più in generale, in caso di patologie per le quali attività ludico ricreative potrebbero considerarsi in qualche modo strumentali alla guarigione (cfr. circ. INPS n.109 del 17-05-1999).

C’è poi da dire che, così come la malattia può sospendere il normale decorso delle ferie, anche le ferie possono produrre un effetto sospensivo sul decorso del periodo di comporto. Perché ciò avvenga, anche in questo caso, deve essere rispettata una condizione in particolare: il rischio concreto per il lavoratore di perdere il posto di lavoro per superamento dello stesso periodo di comporto.

Secondo un orientamento consolidato della Corte di Cassazione, il lavoratore non può scegliere autonomamente e arbitrariamente il periodo di godimento delle ferie, né può imputare a ferie eventuali assenze per malattia; è indispensabile invece un coordinamento con le esigenze di un ordinato svolgimento dell’attività di impresa (come previsto dal già citato art. 2109 c.c.), fermo restando che la concessione delle ferie costituisce una prerogativa riconducibile al potere organizzativo del datore di lavoro (cfr. Corte Cass. n. 4217 del 14-05-1995, n.9797 del 2-10-1998, n. 9816 del 14-04-2008, n. 10352 del 22-04-2008, n.7433 del 14-04-2016).

Ma esiste anche un diverso e altrettanto consolidato orientamento della stessa Corte di Cassazione in base al quale il lavoratore ha facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, al fine di sospendere il periodo di comporto, e ciò in considerazione del prevalente interesse dello stesso lavoratore alla prosecuzione del rapporto.

Sarebbe d’altronde costituzionalmente scorretto precludere il diritto alle ferie a causa di condizioni psicofisiche inidonee al loro pieno godimento dacché, stante la probabile perdita del posto di lavoro per superamento del comporto e non potendo le ferie stesse essere sospese o spostate al termine della malattia, se ne renderebbe impossibile l’effettiva fruizione. Spetterà quindi al datore di lavoro, una volta investito della richiesta di ferie (che in ogni caso il lavoratore dovrà presentare), tener conto, nell’assumere la propria decisione, del fondamentale interesse del richiedente al mantenimento del posto di lavoro.

Dunque, anche se non esiste nel nostro ordinamento una norma che esplicitamente imponga al datore l’accoglimento delle ferie, al fine di evitare il licenziamento e la conseguente perdita del posto di lavoro (fonte di reddito per il lavoratore e per la sua famiglia), sarebbe l’ordinamento stesso, in ossequio alle clausole generali di correttezza e buona fede, ad imporre al datore di lavoro, pur sempre considerati e ponderati i contrapposti interessi in gioco, l’accoglimento della richiesta del lavoratore. (cfr. Cass. n. 11691 del 19-11-1998, n. 6043 del 11-05-2000, n. 29317 del 15-12-2008, n.5078 del 3-3-2009, n. 17538 del 1-08-2014, n. 14471 del 07-06-2013, n. 7433 del 14-04-2016).

Concludendo ancora con le parole di Freud, ‹‹La domanda circa lo scopo della vita umana è stata posta innumerevoli volte; non ha ancora trovato una risposta soddisfacente, forse non la consente nemmeno››. Un motivo in più, non ce ne vorrà il padre della psicoanalisi, per rimandare certi interrogativi a data da destinarsi.