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Linking e diritto d’autore: la Corte nel caso GS Media ribalta le Conclusioni dell’Avvocato Generale e valorizza i criteri soggettivi per interpretare la nozione di comunicazione al pubblico

di Gianluca Campus e Alessia Vinzzani


 

1. Introduzione

Dopo alcuni mesi di ampio dibattito originato dalle Conclusioni dell’Avvocato Generale Melchior Wathelet, l’8 settembre 2016 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è finalmente pronunciata sul caso GS Media (C‐160/15 GS Media BV vs Sanoma Media Netherlands BV, Playboy Enterprises International Inc., Britt Geertruida Dekker).

Il caso vede contrapposti nei Paesi Bassi da un lato la Sanoma, editrice di Playboy dall’altro, la società GS Media che gestisce il sito Internet GeenStijl, sul quale nel 2011 era apparso il servizio fotografico della Signora Britt Dekker, modella di Playboy. La tecnica con cui le suddette foto erano state messe a disposizione degli internauti è quella del linking ovvero quella attività che consente al gestore di un sito Internet di accedere attraverso un collegamento ipertestuale (detto “link”) a risorse esterne al sito stesso.

La Corte Suprema dei Paesi Bassi ha proposto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (di seguito la “Corte di Giustizia”) chiedendo se, e in quali circostanze, il fatto di collocare su un sito Web un collegamento ipertestuale che rimanda ad opere tutelate dal diritto d’autore, disponibili su un altro sito Internet ma senza l’autorizzazione del titolare del diritto, costituisca una “comunicazione al pubblico” ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione (di seguito la “Direttiva Infosoc”).

Si ricorda che l’Avvocato Generale nelle sue Conclusioni aveva offerto un’interpretazione innovativa della nozione di comunicazione al pubblico e sembrava favorevole, a certe condizioni, a ritenere lecito il linking anche ove fosse diretto verso siti ospitanti opere la cui comunicazione al pubblico non fosse stata autorizzata dal titolare dei diritti. L’Avvocato Generale affermava infatti che nel caso di specie il linking non potesse essere considerato un atto di comunicazione e inoltre che non si rivolgesse neppure ad un pubblico nuovo, difettando così degli elementi necessari e cumulativi affinché l’attività di linking potesse essere considerata una comunicazione al pubblico ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva Infosoc.

La Corte di Giustizia con la Sentenza in commento però ha ribaltato le Conclusioni dell’Avvocato Generale e ha riconosciuto che nel caso di specie il linking fosse un “atto di comunicazione” e che fosse diretto a un “pubblico nuovo” ed ha altresì valorizzato il concetto di “valutazione individualizzata” della fattispecie e conseguentemente una serie di criteri complementari per interpretare la nozione di comunicazione al pubblico.

Pertanto secondo la Corte di Giustizia al fine di valutare se il fatto di collocare su un sito Internet collegamenti ipertestuali verso opere protette, liberamente disponibili su un altro sito Internet senza l’autorizzazione del titolare del diritto d’autore, rientri nella nozione di comunicazione al pubblico ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, della Direttiva Infosoc, occorre determinare se tali collegamenti siano forniti senza fini di lucro da una persona che non fosse a conoscenza, o non potesse ragionevolmente esserlo, dell’illegittimità della pubblicazione delle opere protette, oppure se, al contrario, i collegamenti ipertestuali siano forniti a fini di lucro, ipotesi nella quale si deve invece presumere tal conoscenza.

 

2. La decisione della Corte di Giustizia sul caso GS

L’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva Infosoc garantisce ad autori, artisti, produttori e organismi di radiodiffusione il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi comunicazione al pubblico delle opere protette, “compresa la messa a disposizione del pubblico delle opere in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente”. Seconda la Corte di Giustizia si tratta di un diritto precauzionale attraverso il quale i titolari delle opere protette possono evitare eventuali utilizzi o comunicazioni delle stesse da parte di soggetti non autorizzati.

Non è sempre facile tuttavia capire quali fattispecie rientrino nell’ambito della nozione di “comunicazione al pubblico” ai sensi della Direttiva Infosoc, soprattutto nel mondo del Web dove la comunicazione delle opere può avvenire secondo modalità e logiche diverse dalle forme ordinarie di trasmissione tramite strumenti di telecomunicazione.

Per decidere se il linking possa essere, nel caso di specie, una comunicazione al pubblico secondo la Corte di Giustizia è necessario analizzare e comprendere quali siano gli obiettivi della Direttiva Infosoc. L’obiettivo principale è quello di garantire una tutela elevata ai titolari delle opere protette dal diritto d’autore (art.17, paragrafo 2, della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, nel proseguo la “Carta”). I titolari dovrebbero ottenere un compenso adeguato nel caso in cui si verificasse un utilizzo o una comunicazione dell’opera da parte di terzi soggetti. Questo però non è l’unico obiettivo che la Direttiva Infosoc deve garantire. Infatti, anche gli utenti che popolano il mondo del Web devono poter avere libertà d’espressione e d’informazione. Alla luce di quanto sopra, l’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva Infosoc deve essere interpretato in modo tale da trovare un giusto equilibrio tra gli interessi degli utenti e quelli dei titolari delle opere protette.

La Corte di Giustizia ritiene che affinché vi sia una comunicazione al pubblico sia necessaria la presenza di una serie di elementi cumulativi, ovvero un atto di comunicazione e la comunicazione dell’opera ad un pubblico (che possiamo indicare come “requisiti oggettivi”), senza escludere la rilevanza del carattere intenzionale della comunicazione (che possiamo indicare come “requisito soggettivo”). Tutti questi elementi devono essere analizzati nel contesto di una “valutazione individualizzata” (la Corte richiama la giurisprudenza sull’art. 8, paragrafo 2 della Direttiva 2006/115/CE nei casi Reha Training – C‐117/15 e Phonographic Performance (Ireland) Limited – C‐162/10).

In effetti la Corte di Giustizia, diversamente dall’Avvocato Generale Melchior Wathelet, sembra affrontare in modo abbastanza sbrigativo i “requisiti oggettivi” della fattispecie e si concentra in modo analitico sul “requisito soggettivo” della fattispecie.

Si ricordi che secondo l’Avvocato Generale la condotta posta in essere dalla GS Media non costituiva neppure un atto di comunicazione, ma una semplice attività con cui veniva facilitato il reperimento delle foto litigiose. In subordine, l’Avvocato Generale riteneva che comunque, ove anche si volesse ritenere sussistente un atto di comunicazione, sarebbe comunque mancato il requisito del “pubblico nuovo”. Il criterio del “pubblico nuovo” sarebbe infatti soddisfatto solo se l’intervento del gestore di un sito Internet, che colloca sul proprio sito il link a risorse esterne sul Web, fosse indispensabile a mettere le opere a disposizione di un pubblico nuovo. Ma mettere a disposizione un link non può essere considerato indispensabile a raggiungere un pubblico “nuovo” allorquando il sito Web cui è diretto il link sia liberamente accessibile. Per l’Avvocato Generale mancherebbero quindi entrambi gli elementi oggettivi necessari e cumulativi affinché vi possa essere una “comunicazione al pubblico” rilevante ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva Infosoc.

Nella Sentenza in commento la Corte di Giustizia non sembra neppure affrontare esplicitamente il punto se il linking sia o meno un “atto di comunicazione” ma sembra darlo per presupposto, tramite il richiamo della giurisprudenza dei casi Svensson (C‐466/12) e BestWater (C‐348/13) (punti 40‐43 della sentenza) dove il punto era stato già risolto nel senso di un’interpretazione ampia della nozione di “atto di comunicazione” (nonostante il considerando 23 della Direttiva Infosoc sembri restringere gli atti di comunicazione rilevanti per l’art. 3, paragrafo 1, della Direttiva Infosoc agli atti di trasmissione e ritrasmissione).

La Corte di Giustizia dedica qualche passaggio in più alla nozione di “pubblico nuovo”, segnalando che nel caso GS Media mancherebbe all’origine l’autorizzazione del titolare dei diritti e quindi non potrebbero applicarsi le conclusioni dei casi Svensson e BestWater secondo cui il linking a risorse liberamente disponibili sul Web e previamente autorizzate dai titolari dei diritti non comporta alcuna estensione del pubblico dei destinatari originariamente presi in considerazione da detti titolari dei diritti (cioè tutti gli utenti di Internet). Il pubblico del sito GeenStijl è pertanto secondo la Corte di Giustizia un “pubblico nuovo”.

Su questo punto rimangono peraltro alcuni aspetti della fattispecie non del tutto chiari. Ė la stessa Corte di Giustizia (punti 8 e 20 della sentenza) ad affermare che il sito GeenStijl aveva ricevuto da un terzo non identificabile (sotto pseudonimo) il link per accedere al sito per l’archiviazione Filefactory.com e che questo link avrebbe consentito di eludere le misure restrittive (la c.d. “chiave digitale”) per l’accesso all’archivio su Filefactory.com che ospitava le foto litigiose. Ma se il link in questione fosse stato reso disponibile a GeenStijl dal titolare della “chiave digitale” (il terzo non identificabile) sarebbe anche opinabile sostenere che link ospitato da GeenStijl abbia puntato a risorse non liberamente disponibili o comunque abbia superato misure restrittive all’accesso. Resterebbe tuttavia il fatto che le opere sarebbero state rese disponibili senza la preventiva autorizzazione del titolare dei diritti, circostanza nota al sito GeenStijl.

Nell’ottica della Corte di Giustizia assume un’importanza decisiva (sembrerebbe) il carattere intenzionale dell’intervento del sito che ha effettuato il linking. La Corte di Giustizia afferma infatti che l’utente “realizza un atto di comunicazione quando interviene, con piena cognizione delle conseguenze del suo comportamento, per dare ai suoi clienti accesso ad un’opera protetta, in particolare quando, in mancanza di questo intervento, tali clienti non potrebbero, in via di principio, fruire dell’opera diffusa”.

Inoltre la Corte di Giustizia mette in evidenza, quale criterio complementare per la ricostruzione della nozione di comunicazione al pubblico, il carattere lucrativo della comunicazione.

Se infatti il collocamento del link verso un’opera protetta dal diritto d’autore liberamente disponibile su un altro sito Internet è effettuato senza scopo di lucro, occorrerà verificare se il soggetto che ha posto in essere questa condotta sia a conoscenza o non possa ragionevolmente essere a conoscenza del fatto che l’opera sia stata pubblicata senza l’autorizzazione del titolare.

In tal caso se il soggetto che mette a disposizione il link non è conoscenza dell’assenza di autorizzazione e non potrebbe ragionevolmente esserlo (di regola, secondo la Corte di Giustizia, chi agisce senza scopo di lucro non avrebbe piena cognizione delle conseguenze del suo comportamento) non si potrà parlare di “comunicazione al pubblico”.

Se invece il linking è avvenuto con scopo di lucro, secondo la Corte di Giustizia, è legittimo ritenere che il gestore del sito, il quale mette a disposizione il collegamento ipertestuale, debba porre in essere tutte le verifiche necessaria al fine di analizzare se l’opera è stata illegittimamente pubblicata.

Nell’ottica della Corte di Giustizia, in tal caso, dovrà presumersi (con presunzione relativa) che il collocamento del collegamento ipertestuale sia avvenuto con piena conoscenza dell’assenza dell’autorizzazione iniziale, trattandosi quindi di una comunicazione al pubblico ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva Infosoc.

Per quando concerne il caso in esame la sentenza della Corte di Giustizia fa rientrare la condotta posta in essere dalla GS Media in questo secondo scenario di linking avvenuto con scopo di lucro.

La GS Media gestisce il sito GeenStijl per finalità evidentemente economiche (si tratta infatti di uno dei dieci siti di attualità più visitati nei Paesi Bassi). La Sanoma, quale titolare del diritto d’autore sul servizio fotografico oggetto di contenzioso, non ha autorizzato la pubblicazione iniziale delle opere. Risulta inoltre accertato che la GS Media fosse a conoscenza della mancanza di tale autorizzazione iniziale. Di conseguenza secondo la Corte di Giustizia la condotta posta in essere dalla GS Media rientra nella nozione di “comunicazione al pubblico” ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva Infosoc, e doveva quindi essere autorizzata dalla Sanoma.

 

3. Osservazioni

Si osserva che il riferimento fatto dalla Corte alla “valutazione individualizzata” e il ricorso ai criteri complementari (essenzialmente di valutazione di elementi soggettivi della fattispecie) citati nei precedenti giurisprudenziali Reha Training e Phonographic Performance (Ireland) Limited assumono, nel contesto di un caso di pretesa violazione di diritto d’autore tramite linking, una forza selettiva della liceità o illiceità della fattispecie che sembra andare molto oltre quella dei casi in cui questi criteri sono stati originariamente adottati dalla Corte.

Si consideri infatti che sia nel caso Reha Training sia nel caso Phonographic Performance (Ireland) Limited gli elementi oggettivi della comunicazione al pubblico erano molto chiaramente individuati.

Quanto al requisito della sussistenza di un “atto di comunicazione”, venivano in questione chiare ritrasmissioni di opere a favore di utenti che altrimenti non sarebbero stati in grado di riceverle nelle stesse condizioni di luogo e di tempo in mancanza delle apparecchiature tecniche messe a disposizione dall’autore della ritrasmissione (in un caso si trattava di un centro di riabilitazione che metteva a disposizione apparecchi televisivi e nell’altro caso si trattava di un albergo che ritrasmetteva musica nelle stanze dei clienti).

Quanto al requisito del “pubblico nuovo” la Corte di Giustizia è arrivata alla conclusione che l’insieme delle persone che frequentano un albergo o un centro di riabilitazione sono un insieme di persone diverse da quelle che il titolare dei diritti ha preso in considerazione quanto ha concesso il diritto alla comunicazione delle sue opere.

L’intenzionalità della condotta e il carattere lucrativo della stessa assumevano pertanto nei precedenti giurisprudenziali citati un valore rafforzativo nella ricostruzione della fattispecie ma non sembravano essere elementi centrali della ricostruzione.

Nel caso GS Media invece, e più in generale nei casi di linking, alla luce della Sentenza in commento sarà determinante accertare il livello di consapevolezza di chi fa ricorso al linking (che varia peraltro a seconda che ci sia una finalità lucrativa o meno) e quindi non sembra in definitiva aumentare il livello di certezza del diritto. I giudici nazionali saranno chiamati ad analizzare profili non sempre facilmente accertabili quando si troveranno a valutare pretese violazioni di diritto d’autore tramite linking.

Vero è che la Corte di Giustizia ha probabilmente cercato di trovare un equilibrio per i casi in cui operatori professionali del Web (come GeenStijl) vogliano trarre indebitamente profitto da risorse reperibili via Internet senza neppure porsi il problema se gli autori siano stati adeguatamente remunerati (o ancora di più se abbiano autorizzato a monte la comunicazione). Il contesto in cui questi temi, che sono alla radice del funzionamento e della logica di comunicazione sulla Rete, dovrebbero trovare adeguata composizione è probabilmente legislativo e non giudiziale.

Si ricorda che la Commissione Europea, nella Comunicazioni “A Digital Single Market Strategy for Europe” (COM(2015) 192 final) e “Towards a modern, more European copyright framework” (COM(2015) 626 final) ha sottolineato la necessità di riformare il quadro normativo europeo di diritto d’autore al fine di garantire che il valore generato da nuove forme di distribuzione on line di contenuti sia condiviso in modo equo. Il tema si pone in particolare per lo sfruttamento di opere protette da parte di piattaforme on line e aggregatori di contenuti, che fanno ampio ricorso a varie forme di linking. Si sottolinea pertanto che eventuali chiarimenti a livello legislativo relativi alla natura di atto di messa a disposizione del pubblico di fenomeni come linking, framing ed embedding, non dovrebbero prescindere da una riflessione su meccanismi di equa remunerazione dei titolari dei diritti adeguati alla comunicazione on line.

redatto il 20 settembre 2016

di Gianluca Campus e Alessia Vinzzani


 

1. Introduzione

Dopo alcuni mesi di ampio dibattito originato dalle Conclusioni dell’Avvocato Generale Melchior Wathelet, l’8 settembre 2016 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è finalmente pronunciata sul caso GS Media (C‐160/15 GS Media BV vs Sanoma Media Netherlands BV, Playboy Enterprises International Inc., Britt Geertruida Dekker).

Il caso vede contrapposti nei Paesi Bassi da un lato la Sanoma, editrice di Playboy dall’altro, la società GS Media che gestisce il sito Internet GeenStijl, sul quale nel 2011 era apparso il servizio fotografico della Signora Britt Dekker, modella di Playboy. La tecnica con cui le suddette foto erano state messe a disposizione degli internauti è quella del linking ovvero quella attività che consente al gestore di un sito Internet di accedere attraverso un collegamento ipertestuale (detto “link”) a risorse esterne al sito stesso.

La Corte Suprema dei Paesi Bassi ha proposto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (di seguito la “Corte di Giustizia”) chiedendo se, e in quali circostanze, il fatto di collocare su un sito Web un collegamento ipertestuale che rimanda ad opere tutelate dal diritto d’autore, disponibili su un altro sito Internet ma senza l’autorizzazione del titolare del diritto, costituisca una “comunicazione al pubblico” ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione (di seguito la “Direttiva Infosoc”).

Si ricorda che l’Avvocato Generale nelle sue Conclusioni aveva offerto un’interpretazione innovativa della nozione di comunicazione al pubblico e sembrava favorevole, a certe condizioni, a ritenere lecito il linking anche ove fosse diretto verso siti ospitanti opere la cui comunicazione al pubblico non fosse stata autorizzata dal titolare dei diritti. L’Avvocato Generale affermava infatti che nel caso di specie il linking non potesse essere considerato un atto di comunicazione e inoltre che non si rivolgesse neppure ad un pubblico nuovo, difettando così degli elementi necessari e cumulativi affinché l’attività di linking potesse essere considerata una comunicazione al pubblico ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva Infosoc.

La Corte di Giustizia con la Sentenza in commento però ha ribaltato le Conclusioni dell’Avvocato Generale e ha riconosciuto che nel caso di specie il linking fosse un “atto di comunicazione” e che fosse diretto a un “pubblico nuovo” ed ha altresì valorizzato il concetto di “valutazione individualizzata” della fattispecie e conseguentemente una serie di criteri complementari per interpretare la nozione di comunicazione al pubblico.

Pertanto secondo la Corte di Giustizia al fine di valutare se il fatto di collocare su un sito Internet collegamenti ipertestuali verso opere protette, liberamente disponibili su un altro sito Internet senza l’autorizzazione del titolare del diritto d’autore, rientri nella nozione di comunicazione al pubblico ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, della Direttiva Infosoc, occorre determinare se tali collegamenti siano forniti senza fini di lucro da una persona che non fosse a conoscenza, o non potesse ragionevolmente esserlo, dell’illegittimità della pubblicazione delle opere protette, oppure se, al contrario, i collegamenti ipertestuali siano forniti a fini di lucro, ipotesi nella quale si deve invece presumere tal conoscenza.

 

2. La decisione della Corte di Giustizia sul caso GS

L’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva Infosoc garantisce ad autori, artisti, produttori e organismi di radiodiffusione il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi comunicazione al pubblico delle opere protette, “compresa la messa a disposizione del pubblico delle opere in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente”. Seconda la Corte di Giustizia si tratta di un diritto precauzionale attraverso il quale i titolari delle opere protette possono evitare eventuali utilizzi o comunicazioni delle stesse da parte di soggetti non autorizzati.

Non è sempre facile tuttavia capire quali fattispecie rientrino nell’ambito della nozione di “comunicazione al pubblico” ai sensi della Direttiva Infosoc, soprattutto nel mondo del Web dove la comunicazione delle opere può avvenire secondo modalità e logiche diverse dalle forme ordinarie di trasmissione tramite strumenti di telecomunicazione.

Per decidere se il linking possa essere, nel caso di specie, una comunicazione al pubblico secondo la Corte di Giustizia è necessario analizzare e comprendere quali siano gli obiettivi della Direttiva Infosoc. L’obiettivo principale è quello di garantire una tutela elevata ai titolari delle opere protette dal diritto d’autore (art.17, paragrafo 2, della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, nel proseguo la “Carta”). I titolari dovrebbero ottenere un compenso adeguato nel caso in cui si verificasse un utilizzo o una comunicazione dell’opera da parte di terzi soggetti. Questo però non è l’unico obiettivo che la Direttiva Infosoc deve garantire. Infatti, anche gli utenti che popolano il mondo del Web devono poter avere libertà d’espressione e d’informazione. Alla luce di quanto sopra, l’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva Infosoc deve essere interpretato in modo tale da trovare un giusto equilibrio tra gli interessi degli utenti e quelli dei titolari delle opere protette.

La Corte di Giustizia ritiene che affinché vi sia una comunicazione al pubblico sia necessaria la presenza di una serie di elementi cumulativi, ovvero un atto di comunicazione e la comunicazione dell’opera ad un pubblico (che possiamo indicare come “requisiti oggettivi”), senza escludere la rilevanza del carattere intenzionale della comunicazione (che possiamo indicare come “requisito soggettivo”). Tutti questi elementi devono essere analizzati nel contesto di una “valutazione individualizzata” (la Corte richiama la giurisprudenza sull’art. 8, paragrafo 2 della Direttiva 2006/115/CE nei casi Reha Training – C‐117/15 e Phonographic Performance (Ireland) Limited – C‐162/10).

In effetti la Corte di Giustizia, diversamente dall’Avvocato Generale Melchior Wathelet, sembra affrontare in modo abbastanza sbrigativo i “requisiti oggettivi” della fattispecie e si concentra in modo analitico sul “requisito soggettivo” della fattispecie.

Si ricordi che secondo l’Avvocato Generale la condotta posta in essere dalla GS Media non costituiva neppure un atto di comunicazione, ma una semplice attività con cui veniva facilitato il reperimento delle foto litigiose. In subordine, l’Avvocato Generale riteneva che comunque, ove anche si volesse ritenere sussistente un atto di comunicazione, sarebbe comunque mancato il requisito del “pubblico nuovo”. Il criterio del “pubblico nuovo” sarebbe infatti soddisfatto solo se l’intervento del gestore di un sito Internet, che colloca sul proprio sito il link a risorse esterne sul Web, fosse indispensabile a mettere le opere a disposizione di un pubblico nuovo. Ma mettere a disposizione un link non può essere considerato indispensabile a raggiungere un pubblico “nuovo” allorquando il sito Web cui è diretto il link sia liberamente accessibile. Per l’Avvocato Generale mancherebbero quindi entrambi gli elementi oggettivi necessari e cumulativi affinché vi possa essere una “comunicazione al pubblico” rilevante ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva Infosoc.

Nella Sentenza in commento la Corte di Giustizia non sembra neppure affrontare esplicitamente il punto se il linking sia o meno un “atto di comunicazione” ma sembra darlo per presupposto, tramite il richiamo della giurisprudenza dei casi Svensson (C‐466/12) e BestWater (C‐348/13) (punti 40‐43 della sentenza) dove il punto era stato già risolto nel senso di un’interpretazione ampia della nozione di “atto di comunicazione” (nonostante il considerando 23 della Direttiva Infosoc sembri restringere gli atti di comunicazione rilevanti per l’art. 3, paragrafo 1, della Direttiva Infosoc agli atti di trasmissione e ritrasmissione).

La Corte di Giustizia dedica qualche passaggio in più alla nozione di “pubblico nuovo”, segnalando che nel caso GS Media mancherebbe all’origine l’autorizzazione del titolare dei diritti e quindi non potrebbero applicarsi le conclusioni dei casi Svensson e BestWater secondo cui il linking a risorse liberamente disponibili sul Web e previamente autorizzate dai titolari dei diritti non comporta alcuna estensione del pubblico dei destinatari originariamente presi in considerazione da detti titolari dei diritti (cioè tutti gli utenti di Internet). Il pubblico del sito GeenStijl è pertanto secondo la Corte di Giustizia un “pubblico nuovo”.

Su questo punto rimangono peraltro alcuni aspetti della fattispecie non del tutto chiari. Ė la stessa Corte di Giustizia (punti 8 e 20 della sentenza) ad affermare che il sito GeenStijl aveva ricevuto da un terzo non identificabile (sotto pseudonimo) il link per accedere al sito per l’archiviazione Filefactory.com e che questo link avrebbe consentito di eludere le misure restrittive (la c.d. “chiave digitale”) per l’accesso all’archivio su Filefactory.com che ospitava le foto litigiose. Ma se il link in questione fosse stato reso disponibile a GeenStijl dal titolare della “chiave digitale” (il terzo non identificabile) sarebbe anche opinabile sostenere che link ospitato da GeenStijl abbia puntato a risorse non liberamente disponibili o comunque abbia superato misure restrittive all’accesso. Resterebbe tuttavia il fatto che le opere sarebbero state rese disponibili senza la preventiva autorizzazione del titolare dei diritti, circostanza nota al sito GeenStijl.

Nell’ottica della Corte di Giustizia assume un’importanza decisiva (sembrerebbe) il carattere intenzionale dell’intervento del sito che ha effettuato il linking. La Corte di Giustizia afferma infatti che l’utente “realizza un atto di comunicazione quando interviene, con piena cognizione delle conseguenze del suo comportamento, per dare ai suoi clienti accesso ad un’opera protetta, in particolare quando, in mancanza di questo intervento, tali clienti non potrebbero, in via di principio, fruire dell’opera diffusa”.

Inoltre la Corte di Giustizia mette in evidenza, quale criterio complementare per la ricostruzione della nozione di comunicazione al pubblico, il carattere lucrativo della comunicazione.

Se infatti il collocamento del link verso un’opera protetta dal diritto d’autore liberamente disponibile su un altro sito Internet è effettuato senza scopo di lucro, occorrerà verificare se il soggetto che ha posto in essere questa condotta sia a conoscenza o non possa ragionevolmente essere a conoscenza del fatto che l’opera sia stata pubblicata senza l’autorizzazione del titolare.

In tal caso se il soggetto che mette a disposizione il link non è conoscenza dell’assenza di autorizzazione e non potrebbe ragionevolmente esserlo (di regola, secondo la Corte di Giustizia, chi agisce senza scopo di lucro non avrebbe piena cognizione delle conseguenze del suo comportamento) non si potrà parlare di “comunicazione al pubblico”.

Se invece il linking è avvenuto con scopo di lucro, secondo la Corte di Giustizia, è legittimo ritenere che il gestore del sito, il quale mette a disposizione il collegamento ipertestuale, debba porre in essere tutte le verifiche necessaria al fine di analizzare se l’opera è stata illegittimamente pubblicata.

Nell’ottica della Corte di Giustizia, in tal caso, dovrà presumersi (con presunzione relativa) che il collocamento del collegamento ipertestuale sia avvenuto con piena conoscenza dell’assenza dell’autorizzazione iniziale, trattandosi quindi di una comunicazione al pubblico ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva Infosoc.

Per quando concerne il caso in esame la sentenza della Corte di Giustizia fa rientrare la condotta posta in essere dalla GS Media in questo secondo scenario di linking avvenuto con scopo di lucro.

La GS Media gestisce il sito GeenStijl per finalità evidentemente economiche (si tratta infatti di uno dei dieci siti di attualità più visitati nei Paesi Bassi). La Sanoma, quale titolare del diritto d’autore sul servizio fotografico oggetto di contenzioso, non ha autorizzato la pubblicazione iniziale delle opere. Risulta inoltre accertato che la GS Media fosse a conoscenza della mancanza di tale autorizzazione iniziale. Di conseguenza secondo la Corte di Giustizia la condotta posta in essere dalla GS Media rientra nella nozione di “comunicazione al pubblico” ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della Direttiva Infosoc, e doveva quindi essere autorizzata dalla Sanoma.

 

3. Osservazioni

Si osserva che il riferimento fatto dalla Corte alla “valutazione individualizzata” e il ricorso ai criteri complementari (essenzialmente di valutazione di elementi soggettivi della fattispecie) citati nei precedenti giurisprudenziali Reha Training e Phonographic Performance (Ireland) Limited assumono, nel contesto di un caso di pretesa violazione di diritto d’autore tramite linking, una forza selettiva della liceità o illiceità della fattispecie che sembra andare molto oltre quella dei casi in cui questi criteri sono stati originariamente adottati dalla Corte.

Si consideri infatti che sia nel caso Reha Training sia nel caso Phonographic Performance (Ireland) Limited gli elementi oggettivi della comunicazione al pubblico erano molto chiaramente individuati.

Quanto al requisito della sussistenza di un “atto di comunicazione”, venivano in questione chiare ritrasmissioni di opere a favore di utenti che altrimenti non sarebbero stati in grado di riceverle nelle stesse condizioni di luogo e di tempo in mancanza delle apparecchiature tecniche messe a disposizione dall’autore della ritrasmissione (in un caso si trattava di un centro di riabilitazione che metteva a disposizione apparecchi televisivi e nell’altro caso si trattava di un albergo che ritrasmetteva musica nelle stanze dei clienti).

Quanto al requisito del “pubblico nuovo” la Corte di Giustizia è arrivata alla conclusione che l’insieme delle persone che frequentano un albergo o un centro di riabilitazione sono un insieme di persone diverse da quelle che il titolare dei diritti ha preso in considerazione quanto ha concesso il diritto alla comunicazione delle sue opere.

L’intenzionalità della condotta e il carattere lucrativo della stessa assumevano pertanto nei precedenti giurisprudenziali citati un valore rafforzativo nella ricostruzione della fattispecie ma non sembravano essere elementi centrali della ricostruzione.

Nel caso GS Media invece, e più in generale nei casi di linking, alla luce della Sentenza in commento sarà determinante accertare il livello di consapevolezza di chi fa ricorso al linking (che varia peraltro a seconda che ci sia una finalità lucrativa o meno) e quindi non sembra in definitiva aumentare il livello di certezza del diritto. I giudici nazionali saranno chiamati ad analizzare profili non sempre facilmente accertabili quando si troveranno a valutare pretese violazioni di diritto d’autore tramite linking.

Vero è che la Corte di Giustizia ha probabilmente cercato di trovare un equilibrio per i casi in cui operatori professionali del Web (come GeenStijl) vogliano trarre indebitamente profitto da risorse reperibili via Internet senza neppure porsi il problema se gli autori siano stati adeguatamente remunerati (o ancora di più se abbiano autorizzato a monte la comunicazione). Il contesto in cui questi temi, che sono alla radice del funzionamento e della logica di comunicazione sulla Rete, dovrebbero trovare adeguata composizione è probabilmente legislativo e non giudiziale.

Si ricorda che la Commissione Europea, nella Comunicazioni “A Digital Single Market Strategy for Europe” (COM(2015) 192 final) e “Towards a modern, more European copyright framework” (COM(2015) 626 final) ha sottolineato la necessità di riformare il quadro normativo europeo di diritto d’autore al fine di garantire che il valore generato da nuove forme di distribuzione on line di contenuti sia condiviso in modo equo. Il tema si pone in particolare per lo sfruttamento di opere protette da parte di piattaforme on line e aggregatori di contenuti, che fanno ampio ricorso a varie forme di linking. Si sottolinea pertanto che eventuali chiarimenti a livello legislativo relativi alla natura di atto di messa a disposizione del pubblico di fenomeni come linking, framing ed embedding, non dovrebbero prescindere da una riflessione su meccanismi di equa remunerazione dei titolari dei diritti adeguati alla comunicazione on line.

redatto il 20 settembre 2016