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Natura, funzione e disciplina della sospensione cautelare dall’esercizio della professione forense o dal tirocinio

Natura, funzione e disciplina della sospensione cautelare dall’esercizio della professione forense o dal tirocinio
Natura, funzione e disciplina della sospensione cautelare dall’esercizio della professione forense o dal tirocinio

ABSTRACT: la sospensione cautelare non è né un provvedimento giurisdizionale né una forma di sanzione disciplinare, ma costituisce, al contrario, un provvedimento cautelare incidentale di natura amministrativa non giurisdizionale a carattere provvisorio volto a tutelare il prestigio e la dignità dell’Ordine forense, la cui disciplina è racchiusa nell’articolo 60 del nuovo ordinamento forense (Legge 31 dicembre 2012, n. 247).

 

1. La sospensione cautelare: passato e presente normativo

Tra le misure di rilievo predisposte dall’ordinamento forense (Legge 31 dicembre 2012, n. 247, di seguito denominata o.p.f.) a tutela dell'affidamento della collettività e della clientela, “stante la specificità della funzione difensiva e in considerazione della primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela essa è preposta” (articolo 1, comma 2, o.p.f.), spicca la sospensione cautelare dall’esercizio della professione forense o dal tirocinio, disciplinata espressamente nell’articolo 60 del Titolo V (Il procedimento disciplinare) o.p.f..

In realtà, già in precedenza la misura interdittiva in questione era regolamentata dall’articolo 43, commi 3 e 4, del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, in base al quale il Consiglio dell’ordine poteva pronunciare, sentito il professionista, la sospensione dell’avvocato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale contro il quale fosse stato emesso mandato od ordine di comparizione o di accompagnamento, senza pregiudizio delle più gravi sanzioni.

Con l’avvento del nuovo codice di procedura penale nel 1989, eliminati il mandato e l’ordine di comparizione, la giurisprudenza forense e di legittimità diedero della norma un’interpretazione estensiva e, quindi, consona alla nuova realtà processuale penale: difatti, essa poteva essere pronunciata, in presenza di comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e deontologico e di particolare gravità, nel caso in cui l’avvocato fosse stato sottoposto ad una qualsiasi delle misure cautelari personali previste dal codice di rito penale nonché in caso di sentenza penale di condanna ancorché non passata in giudicato.

Oggi, il comma 1 del citato articolo 60 o.p.f. si presenta con una formulazione più dettagliata in materia: difatti, indica in modo tassativo i casi in cui è possibile adottare la sospensione cautelare dall’esercizio della professione o dal tirocinio.

Precisamente, essa può essere adottata in caso di:

  1. applicazione di misura cautelare detentiva o interdittiva irrogata in sede penale e non impugnata o confermata in sede di riesame o di appello;
  2. pena accessoria di cui all’articolo 35 c.p., anche se è stata disposta la sospensione condizionale della pena, irrogata con la sentenza penale di primo grado;
  3. applicazione di misura di sicurezza detentiva;
  4. condanna in primo grado per i reati previsti negli articoli 372 (Falsa testimonianza), 374 (Frode processuale), 377 (Intralcio alla giustizia), 378 (Favoreggiamento personale), 381 (Altre infedeltà del patrocinatore), 640 (Truffa) e 646 (Appropriazione indebita), se commessi nell’ambito dell’esercizio della professione o del tirocinio, 244 (Atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra), 648bis (Riciclaggio) e 648ter (Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) del codice penale;
  5. condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni.

 

2. Competenza a deliberarla e presupposti

La competenza a deliberarla spetta ad una apposita sezione del consiglio distrettuale di disciplina competente per il procedimento disciplinare, previa audizione dell’incolpato. In particolare, al Consiglio di disciplina del distretto ove è iscritto l’avvocato, o il praticante, o a quello del distretto nel quale è avvenuto il fatto per cui si procede (non più, quindi, al Consiglio dell’ordine). In ogni caso, si applica il principio della prevenzione con riguardo al momento dell’iscrizione della notizia del fatto stesso nel registro riservato di cui all’articolo 58 o.p.f. (articolo 51, comma 2, o.p.f. e articolo 4, commi 2 e 3, Reg. Consiglio Nazionale Forense, di seguito CNF, 21 febbraio 2014, n. 2, Procedimento disciplinare, approvato ai sensi dell’articolo 50, comma 5, dell’o.p.f.).

Come si evince dal testo del citato articolo 60, comma 1, o.p.f., per l’adozione di tale misura cautelare non è necessaria l’apertura del procedimento disciplinare e dunque la predisposizione di un capo di incolpazione. Il Consiglio distrettuale competente non è chiamato a valutare la fondatezza delle incolpazioni o delle imputazioni penali ma solo la loro gravità e l'opportunità della sospensione qualora possa configurarsi, a causa dell’applicazione a carico del professionista di una delle misure, pene o condanne penali specificate nella norma, una situazione di allarme per il decoro e la dignità della intera classe forense.

Presupposto indefettibile della legittimità della pronunzia cautelare dell'organo disciplinare è la “previa audizione” dell’incolpato, in quanto volta a garantire il rispetto del contraddittorio e il diritto di difesa. Ne consegue che è affetto da nullità insanabile il provvedimento del Consiglio procedente che abbia inflitto la sospensione cautelare dall'esercizio della professione all'esito di una riunione alla quale l'interessato non sia stato convocato (cfr. CNF 10 giugno 2014 nn. 88-89; Cass. civ., sez. un., 1 marzo 2012 n. 3182), fatte salve comunque le ipotesi di assoluta impossibilità (ad esempio, latitanza, irreperibilità, etc.)” (così, CNF 15 dicembre 2011 n. 195), nel qual caso la pronuncia deve ritenersi legittima.

Al riguardo, la giurisprudenza forense ha comunque precisato che “l’obbligo di audizione può essere assolto anche in modo diverso da quello della convocazione presso il Consiglio procedente, ad esempio mediante l'accesso di Consiglieri, a ciò delegati, al domicilio od al carcere previa, ovviamente, autorizzazione dell'autorità giudiziaria competente” (così, CNF nn. 88-89/2014 cit.).

3. Natura e funzione secondo la giurisprudenza di legittimità e forense

Secondo consolidata giurisprudenza, la misura interdittiva in questione “non ha natura di sanzione, costituendo piuttosto un provvedimento amministrativo a carattere provvisorio, avente natura propriamente discrezionale, (…) la cui ratio va individuata nell’esigenza di tutelare e salvaguardare la dignità e il prestigio dell’Ordine forense” (in questi termini, CNF 6 giugno 2015 n. 79; in senso conforme, tra le altre, Cass. civ., sez. un., 23 dicembre 2005 n. 28505; Id., sez. un., 13 novembre 2012 n. 19711; CNF 18 luglio 2013 n. 110; Id. 4 marzo 2013 n. 24; Id. 27 dicembre 2012 n. 192; Id. 28 settembre 2011 n. 146; Id. 21 febbraio 2011 n. 8; Id. 19 settembre 2007 n. 104).

Pertanto, la sospensione cautelare non è né un provvedimento giurisdizionale né una forma di sanzione disciplinare, come tale suscettibile di applicazione soltanto dopo il procedimento disciplinare, ma costituisce, al contrario, un provvedimento cautelare incidentale di natura amministrativa non giurisdizionale a carattere provvisorio, svincolato dalle forme e dalle garanzie del procedimento disciplinare, nel senso che non richiede la preventiva formale apertura di un procedimento disciplinare.

4. Requisiti fondamentali per la sua deliberazione. Distinzione dalla misura cautelare penale

La sua adozione, in termini generali, è frutto di ponderata e motivata decisione discrezionale da parte del Consiglio distrettuale di disciplina (infatti, il legislatore ha utilizzato il verbo “può” e non “deve”) con riferimento ad entrambi i seguenti due requisiti:

  1. la gravità dei fatti che hanno portato all’applicazione delle misure sanzionatorie previste dalla norma richiamata;
  2. l’insorgenza, in conseguenza e per effetto di una delle ipotesi previste dalla norma medesima, di una situazione di allarme nella collettività, per la compromissione della dignità e del decoro della categoria nel suo complesso (c.d. “strepitus fori”) (cfr. CNF 30 gennaio 2012 n. 5).

Quanto al primo requisito, l’applicazione della misura cautelare ex articolo 60 o.p.f., avendo il suo normale presupposto nella semplice sussistenza delle ipotesi specificamente in esso indicate, richiede soltanto una valutazione della gravità dei fatti in cui è incorso il professionista (o il tirocinante) e prescinde quindi dalla valutazione di fondatezza dei medesimi, i quali, a seconda dei casi, hanno già formato o devono invece formare oggetto del giudizio penale ed eventualmente del successivo giudizio disciplinare; ciò che rileva, dunque, è la gravità, più che in astratto, in concreto dei fatti commessi, al fine di stabilire se sussista o meno un’incompatibilità morale, prima che giuridica, con l’esercizio della professione (cfr. CNF 6 giugno 2015 n. 79 cit.; CNF 2 aprile 2012 n. 52).

Quanto all’altro requisito (c.d. “strepitus fori”), esso si sostanzia nell’«allarme» che uno di quei casi indicati nel comma 1 dell’articolo 60 o.p.f. che consente l’adozione della cautela abbia creato, non solo nello stretto ambiente professionale, ma anche e soprattutto nell’ambito più vasto e generale della collettività, di guisa che la conoscenza e diffusione all’esterno della notizia del caso considerato crei nell’opinione pubblica un «clamore» negativo che si ripercuota sull’intera classe forense, compromettendone il prestigio, il decoro, la credibilità e l’immagine (ancora, CNF 6 giugno 2015 n. 79 cit.; in termini simili, in precedenza, CNF 12 ottobre 2009 n. 89 e 27 settembre 2009 n. 133, in applicazione dell’articolo 43, comma 3, R.D.L. n. 1578/1933 cit.; in senso conforme anche Cass. civ., sez. un., 25 novembre 2009 n. 24760).

Perciò, la deliberazione con cui il Consiglio procedente disponga la sospensione del professionista o del tirocinante ai sensi dell'articolo 60 o.p.f. deve essere adeguatamente motivata, pena la sua illegittimità. Essa deve essere puntuale e corretta con l'enunciazione delle ragioni per le quali si ritiene - da parte del Consiglio distrettuale di disciplina - che possa configurarsi, per il comportamento del professionista, una situazione di allarme per il decoro e la dignità della classe forense.

Quanto detto poc’anzi porta a distinguere nettamente la misura cautelare in esame da quelle cautelari penali. Infatti, “mentre alla base delle misure cautelari penali stanno il rischio di inquinamento delle prove, il pericolo di reiterazione del reato ed il pericolo di fuga, la sospensione cautelare disciplinare si giustifica in vista della salvaguardia dell'Ordine Forense, al fine di preservarne la funzione sociale dalle menomazioni di prestigio che possono conseguire alla notizia di assoggettamento dell'avvocato alle misure e condanne indicate nel comma 1 dell’articolo 60 o.p.f.” (così, CNF 4 marzo 2013 n. 24).

5. Durata, revoca ed efficacia

Tornando adesso alla disciplina, la misura de quo può essere irrogata per un periodo non superiore ad un anno (in passato, poteva avere anche una durata a tempo indeterminato) ed è esecutiva dalla data della notifica all’interessato (articolo 60, comma 2, o.p.f.). Al riguardo, il Consiglio distrettuale di disciplina dà immediata notizia del provvedimento al Consiglio dell’ordine presso il quale è iscritto l’avvocato [o il praticante, secondo il disposto dell’articolo 32, comma 5, Reg. CNF 21 febbraio 2014 n. 2, cit.] affinché vi dia esecuzione (articolo 60, comma 7, o.p.f.). Ne dà altresì comunicazione senza indugio:

  1. ai capi degli uffici giudiziari del distretto ove ha sede il Consiglio dell’ordine competente per l’esecuzione;
  2. a tutti i Consigli dell’ordine (articolo 62, comma 5, o.p.f. e articolo 35, comma 4, Reg. CNF 21 febbraio 2014 n. 2, cit.).

Copia della comunicazione è affissa presso gli uffici del Consiglio dell’ordine di appartenenza dell’iscritto che è competente per l’esecuzione (articolo 62, comma 6, o.p.f. e articolo 35, comma 5, Reg. CNF 21 febbraio 2014 n. 2, cit.).

Tuttavia, la sospensione cautelare può essere revocata o modificata nella sua durata, d’ufficio o su istanza di parte, qualora, anche per circostanze sopravvenute, non appaia adeguata ai fatti commessi (articolo 60, comma 5, o.p.f.). Sull’istanza di revoca o di modifica presentata dall’interessato è competente a pronunciarsi altra sezione, diversa da quella che ebbe a disporre il provvedimento cautelare, designata dal Presidente del Consiglio distrettuale di disciplina (articolo 32, comma 4, Reg. CNF 21 febbraio 2014 n. 2, cit.). Anche in tal caso il consiglio distrettuale di disciplina dà immediata notizia del provvedimento di revoca o di modifica al Consiglio dell’ordine presso il quale è iscritto l’avvocato o il praticante affinché vi dia esecuzione (articolo 32, comma 5, Reg. CNF 21 febbraio 2014 n. 2, cit.).

La sospensione cautelare perde comunque efficacia nei seguenti casi:

  1. qualora, nel termine di sei mesi dalla sua irrogazione (non, quindi, dalla sua notifica), il consiglio distrettuale di disciplina non deliberi il provvedimento sanzionatorio (articolo 60, comma 3, o.p.f.);
  2. se il consiglio distrettuale di disciplina delibera non esservi luogo a provvedimento disciplinare; oppure
  3. se dispone l’irrogazione dell’avvertimento o della censura (articolo 60, comma 4, o.p.f.).

 

6. L’impugnazione della sospensione cautelare

Contro tale misura interdittiva l’interessato può proporre ricorso avanti ad apposita sezione disciplinare del Consiglio Nazionale Forense nel termine di venti giorni dall’avvenuta notifica nei modi previsti per l’impugnazione dei provvedimenti disciplinari (artt. 60, comma 6, e 61 o.p.f.). Il ricorso non ha effetti sospensivi dell’esecuzione (articolo 32, comma 6, ultimo periodo, Reg. CNF 21 febbraio 2014 n. 2, cit.).

Avverso la decisione del CNF l’interessato può altresì proporre ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione, entro trenta giorni dalla notificazione, per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge ai sensi dell’articolo 36, comma 6, o.p.f., considerato che, per espressa disposizione di legge, essa ha natura di sentenza (articolo 37, comma 2, secondo periodo, o.p.f.). Anche tale ricorso non ha effetto sospensivo. Tuttavia l'esecuzione può essere sospesa dalle sezioni unite della Corte di cassazione in camera di consiglio su istanza del ricorrente (articolo 36, comma 7, o.p.f.).

Secondo consolidata interpretazione, il ricorso al CNF è atto propriamente impugnatorio, che postula l'esercizio di attività professionale, talché non è ammissibile ove non sia sottoscritto da soggetto legittimato allo ius postulandi dinanzi al CNF, come nel caso in cui sia proposto da avvocato sospeso cautelarmente e pertanto privato con efficacia immediata di tale potere (in tal senso, v. CNF 19 dicembre 2014 n. 192; Id., 16 marzo 2011 n. 30; Cass. civ., sez. un., 8 maggio 2008 n. 11213).

Il sindacato che il CNF è chiamato a svolgere in caso di impugnazione della misura cautelare, stante l’evidenziata natura discrezionale del potere con essa esercitato, è limitato, pacificamente, al controllo di legittimità del provvedimento non potendosi estendere ad un riesame del merito e restando precluso ogni riscontro in ordine all’opportunità della comminata sospensione; ciò, in buona sostanza, comporta non la totale esclusione del controllo della motivazione, ma la sua sindacabilità nei limiti in cui l’anomalia motivazionale si traduca nell’inesistenza della motivazione stessa, da intendersi non solo come mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, ma anche come motivazione solo apparente e/o perplessa e/o obiettivamente incomprensibile e/o caratterizzata da affermazioni tra loro inconciliabili (così, CNF 6 giugno 2015 n. 79 cit.; in termini simili, in precedenza, CNF 28 settembre 2011 n. 146; Id. 28 dicembre 2007 n. 257).

Si rammenta che, secondo la giurisprudenza forense (seppur precedente all’entrata in vigore della Legge n. 247/2012, ma tuttora applicabile), la deliberazione con la quale il Consiglio distrettuale di disciplina irroga la misura cautelare della sospensione non può ritenersi priva di motivazione quando contenga espliciti riferimenti sia al comportamento dell’incolpato sia alle misure e condanne indicate nell’articolo 60, comma 1, o.p.f. (cfr., tra le altre, CNF 28 settembre 2011 n. 146).

7. Esecuzione del provvedimento cautelare ed effetti

Per l’esecuzione del provvedimento cautelare è competente il Consiglio dell’ordine al cui albo o registro è iscritto l’incolpato (articolo 62, comma 3, o.p.f. e articolo 35, comma 1, Reg. CNF 21 febbraio 2014 n. 2, cit.), il quale, nel caso in cui il consiglio distrettuale di disciplina abbia irrogata la sanzione disciplinare della sospensione a carico dell’iscritto al termine del relativo procedimento, determina d’ufficio senza ritardo la durata residua della sanzione medesima, detraendo il periodo di sospensione cautelare già scontata (articolo 62, comma 8, o.p.f. e articolo 35, comma 6, Reg. CNF 21 febbraio 2014 n. 2, cit.).Si deve rammentare, però, che, secondo la giurisprudenza forense, tale misura interdittiva impedisce sì lo svolgimento dell’attività processuale ma non fa venir meno l'obbligo di ricevere tutti gli atti (giudiziali, stragiudiziali, di cancelleria, di parte, dei colleghi) afferenti sia agli incarichi che allo status professionale, benché limitato nelle sue esplicazioni dal provvedimento cautelare (in tal senso, cfr. CNF 21 ottobre 2013 n. 195).

ABSTRACT: la sospensione cautelare non è né un provvedimento giurisdizionale né una forma di sanzione disciplinare, ma costituisce, al contrario, un provvedimento cautelare incidentale di natura amministrativa non giurisdizionale a carattere provvisorio volto a tutelare il prestigio e la dignità dell’Ordine forense, la cui disciplina è racchiusa nell’articolo 60 del nuovo ordinamento forense (Legge 31 dicembre 2012, n. 247).

 

1. La sospensione cautelare: passato e presente normativo

Tra le misure di rilievo predisposte dall’ordinamento forense (Legge 31 dicembre 2012, n. 247, di seguito denominata o.p.f.) a tutela dell'affidamento della collettività e della clientela, “stante la specificità della funzione difensiva e in considerazione della primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela essa è preposta” (articolo 1, comma 2, o.p.f.), spicca la sospensione cautelare dall’esercizio della professione forense o dal tirocinio, disciplinata espressamente nell’articolo 60 del Titolo V (Il procedimento disciplinare) o.p.f..

In realtà, già in precedenza la misura interdittiva in questione era regolamentata dall’articolo 43, commi 3 e 4, del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, in base al quale il Consiglio dell’ordine poteva pronunciare, sentito il professionista, la sospensione dell’avvocato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale contro il quale fosse stato emesso mandato od ordine di comparizione o di accompagnamento, senza pregiudizio delle più gravi sanzioni.

Con l’avvento del nuovo codice di procedura penale nel 1989, eliminati il mandato e l’ordine di comparizione, la giurisprudenza forense e di legittimità diedero della norma un’interpretazione estensiva e, quindi, consona alla nuova realtà processuale penale: difatti, essa poteva essere pronunciata, in presenza di comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e deontologico e di particolare gravità, nel caso in cui l’avvocato fosse stato sottoposto ad una qualsiasi delle misure cautelari personali previste dal codice di rito penale nonché in caso di sentenza penale di condanna ancorché non passata in giudicato.

Oggi, il comma 1 del citato articolo 60 o.p.f. si presenta con una formulazione più dettagliata in materia: difatti, indica in modo tassativo i casi in cui è possibile adottare la sospensione cautelare dall’esercizio della professione o dal tirocinio.

Precisamente, essa può essere adottata in caso di:

  1. applicazione di misura cautelare detentiva o interdittiva irrogata in sede penale e non impugnata o confermata in sede di riesame o di appello;
  2. pena accessoria di cui all’articolo 35 c.p., anche se è stata disposta la sospensione condizionale della pena, irrogata con la sentenza penale di primo grado;
  3. applicazione di misura di sicurezza detentiva;
  4. condanna in primo grado per i reati previsti negli articoli 372 (Falsa testimonianza), 374 (Frode processuale), 377 (Intralcio alla giustizia), 378 (Favoreggiamento personale), 381 (Altre infedeltà del patrocinatore), 640 (Truffa) e 646 (Appropriazione indebita), se commessi nell’ambito dell’esercizio della professione o del tirocinio, 244 (Atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra), 648bis (Riciclaggio) e 648ter (Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) del codice penale;
  5. condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni.

 

2. Competenza a deliberarla e presupposti

La competenza a deliberarla spetta ad una apposita sezione del consiglio distrettuale di disciplina competente per il procedimento disciplinare, previa audizione dell’incolpato. In particolare, al Consiglio di disciplina del distretto ove è iscritto l’avvocato, o il praticante, o a quello del distretto nel quale è avvenuto il fatto per cui si procede (non più, quindi, al Consiglio dell’ordine). In ogni caso, si applica il principio della prevenzione con riguardo al momento dell’iscrizione della notizia del fatto stesso nel registro riservato di cui all’articolo 58 o.p.f. (articolo 51, comma 2, o.p.f. e articolo 4, commi 2 e 3, Reg. Consiglio Nazionale Forense, di seguito CNF, 21 febbraio 2014, n. 2, Procedimento disciplinare, approvato ai sensi dell’articolo 50, comma 5, dell’o.p.f.).

Come si evince dal testo del citato articolo 60, comma 1, o.p.f., per l’adozione di tale misura cautelare non è necessaria l’apertura del procedimento disciplinare e dunque la predisposizione di un capo di incolpazione. Il Consiglio distrettuale competente non è chiamato a valutare la fondatezza delle incolpazioni o delle imputazioni penali ma solo la loro gravità e l'opportunità della sospensione qualora possa configurarsi, a causa dell’applicazione a carico del professionista di una delle misure, pene o condanne penali specificate nella norma, una situazione di allarme per il decoro e la dignità della intera classe forense.

Presupposto indefettibile della legittimità della pronunzia cautelare dell'organo disciplinare è la “previa audizione” dell’incolpato, in quanto volta a garantire il rispetto del contraddittorio e il diritto di difesa. Ne consegue che è affetto da nullità insanabile il provvedimento del Consiglio procedente che abbia inflitto la sospensione cautelare dall'esercizio della professione all'esito di una riunione alla quale l'interessato non sia stato convocato (cfr. CNF 10 giugno 2014 nn. 88-89; Cass. civ., sez. un., 1 marzo 2012 n. 3182), fatte salve comunque le ipotesi di assoluta impossibilità (ad esempio, latitanza, irreperibilità, etc.)” (così, CNF 15 dicembre 2011 n. 195), nel qual caso la pronuncia deve ritenersi legittima.

Al riguardo, la giurisprudenza forense ha comunque precisato che “l’obbligo di audizione può essere assolto anche in modo diverso da quello della convocazione presso il Consiglio procedente, ad esempio mediante l'accesso di Consiglieri, a ciò delegati, al domicilio od al carcere previa, ovviamente, autorizzazione dell'autorità giudiziaria competente” (così, CNF nn. 88-89/2014 cit.).

3. Natura e funzione secondo la giurisprudenza di legittimità e forense

Secondo consolidata giurisprudenza, la misura interdittiva in questione “non ha natura di sanzione, costituendo piuttosto un provvedimento amministrativo a carattere provvisorio, avente natura propriamente discrezionale, (…) la cui ratio va individuata nell’esigenza di tutelare e salvaguardare la dignità e il prestigio dell’Ordine forense” (in questi termini, CNF 6 giugno 2015 n. 79; in senso conforme, tra le altre, Cass. civ., sez. un., 23 dicembre 2005 n. 28505; Id., sez. un., 13 novembre 2012 n. 19711; CNF 18 luglio 2013 n. 110; Id. 4 marzo 2013 n. 24; Id. 27 dicembre 2012 n. 192; Id. 28 settembre 2011 n. 146; Id. 21 febbraio 2011 n. 8; Id. 19 settembre 2007 n. 104).

Pertanto, la sospensione cautelare non è né un provvedimento giurisdizionale né una forma di sanzione disciplinare, come tale suscettibile di applicazione soltanto dopo il procedimento disciplinare, ma costituisce, al contrario, un provvedimento cautelare incidentale di natura amministrativa non giurisdizionale a carattere provvisorio, svincolato dalle forme e dalle garanzie del procedimento disciplinare, nel senso che non richiede la preventiva formale apertura di un procedimento disciplinare.

4. Requisiti fondamentali per la sua deliberazione. Distinzione dalla misura cautelare penale

La sua adozione, in termini generali, è frutto di ponderata e motivata decisione discrezionale da parte del Consiglio distrettuale di disciplina (infatti, il legislatore ha utilizzato il verbo “può” e non “deve”) con riferimento ad entrambi i seguenti due requisiti:

  1. la gravità dei fatti che hanno portato all’applicazione delle misure sanzionatorie previste dalla norma richiamata;
  2. l’insorgenza, in conseguenza e per effetto di una delle ipotesi previste dalla norma medesima, di una situazione di allarme nella collettività, per la compromissione della dignità e del decoro della categoria nel suo complesso (c.d. “strepitus fori”) (cfr. CNF 30 gennaio 2012 n. 5).

Quanto al primo requisito, l’applicazione della misura cautelare ex articolo 60 o.p.f., avendo il suo normale presupposto nella semplice sussistenza delle ipotesi specificamente in esso indicate, richiede soltanto una valutazione della gravità dei fatti in cui è incorso il professionista (o il tirocinante) e prescinde quindi dalla valutazione di fondatezza dei medesimi, i quali, a seconda dei casi, hanno già formato o devono invece formare oggetto del giudizio penale ed eventualmente del successivo giudizio disciplinare; ciò che rileva, dunque, è la gravità, più che in astratto, in concreto dei fatti commessi, al fine di stabilire se sussista o meno un’incompatibilità morale, prima che giuridica, con l’esercizio della professione (cfr. CNF 6 giugno 2015 n. 79 cit.; CNF 2 aprile 2012 n. 52).

Quanto all’altro requisito (c.d. “strepitus fori”), esso si sostanzia nell’«allarme» che uno di quei casi indicati nel comma 1 dell’articolo 60 o.p.f. che consente l’adozione della cautela abbia creato, non solo nello stretto ambiente professionale, ma anche e soprattutto nell’ambito più vasto e generale della collettività, di guisa che la conoscenza e diffusione all’esterno della notizia del caso considerato crei nell’opinione pubblica un «clamore» negativo che si ripercuota sull’intera classe forense, compromettendone il prestigio, il decoro, la credibilità e l’immagine (ancora, CNF 6 giugno 2015 n. 79 cit.; in termini simili, in precedenza, CNF 12 ottobre 2009 n. 89 e 27 settembre 2009 n. 133, in applicazione dell’articolo 43, comma 3, R.D.L. n. 1578/1933 cit.; in senso conforme anche Cass. civ., sez. un., 25 novembre 2009 n. 24760).

Perciò, la deliberazione con cui il Consiglio procedente disponga la sospensione del professionista o del tirocinante ai sensi dell'articolo 60 o.p.f. deve essere adeguatamente motivata, pena la sua illegittimità. Essa deve essere puntuale e corretta con l'enunciazione delle ragioni per le quali si ritiene - da parte del Consiglio distrettuale di disciplina - che possa configurarsi, per il comportamento del professionista, una situazione di allarme per il decoro e la dignità della classe forense.

Quanto detto poc’anzi porta a distinguere nettamente la misura cautelare in esame da quelle cautelari penali. Infatti, “mentre alla base delle misure cautelari penali stanno il rischio di inquinamento delle prove, il pericolo di reiterazione del reato ed il pericolo di fuga, la sospensione cautelare disciplinare si giustifica in vista della salvaguardia dell'Ordine Forense, al fine di preservarne la funzione sociale dalle menomazioni di prestigio che possono conseguire alla notizia di assoggettamento dell'avvocato alle misure e condanne indicate nel comma 1 dell’articolo 60 o.p.f.” (così, CNF 4 marzo 2013 n. 24).

5. Durata, revoca ed efficacia

Tornando adesso alla disciplina, la misura de quo può essere irrogata per un periodo non superiore ad un anno (in passato, poteva avere anche una durata a tempo indeterminato) ed è esecutiva dalla data della notifica all’interessato (articolo 60, comma 2, o.p.f.). Al riguardo, il Consiglio distrettuale di disciplina dà immediata notizia del provvedimento al Consiglio dell’ordine presso il quale è iscritto l’avvocato [o il praticante, secondo il disposto dell’articolo 32, comma 5, Reg. CNF 21 febbraio 2014 n. 2, cit.] affinché vi dia esecuzione (articolo 60, comma 7, o.p.f.). Ne dà altresì comunicazione senza indugio:

  1. ai capi degli uffici giudiziari del distretto ove ha sede il Consiglio dell’ordine competente per l’esecuzione;
  2. a tutti i Consigli dell’ordine (articolo 62, comma 5, o.p.f. e articolo 35, comma 4, Reg. CNF 21 febbraio 2014 n. 2, cit.).

Copia della comunicazione è affissa presso gli uffici del Consiglio dell’ordine di appartenenza dell’iscritto che è competente per l’esecuzione (articolo 62, comma 6, o.p.f. e articolo 35, comma 5, Reg. CNF 21 febbraio 2014 n. 2, cit.).

Tuttavia, la sospensione cautelare può essere revocata o modificata nella sua durata, d’ufficio o su istanza di parte, qualora, anche per circostanze sopravvenute, non appaia adeguata ai fatti commessi (articolo 60, comma 5, o.p.f.). Sull’istanza di revoca o di modifica presentata dall’interessato è competente a pronunciarsi altra sezione, diversa da quella che ebbe a disporre il provvedimento cautelare, designata dal Presidente del Consiglio distrettuale di disciplina (articolo 32, comma 4, Reg. CNF 21 febbraio 2014 n. 2, cit.). Anche in tal caso il consiglio distrettuale di disciplina dà immediata notizia del provvedimento di revoca o di modifica al Consiglio dell’ordine presso il quale è iscritto l’avvocato o il praticante affinché vi dia esecuzione (articolo 32, comma 5, Reg. CNF 21 febbraio 2014 n. 2, cit.).

La sospensione cautelare perde comunque efficacia nei seguenti casi:

  1. qualora, nel termine di sei mesi dalla sua irrogazione (non, quindi, dalla sua notifica), il consiglio distrettuale di disciplina non deliberi il provvedimento sanzionatorio (articolo 60, comma 3, o.p.f.);
  2. se il consiglio distrettuale di disciplina delibera non esservi luogo a provvedimento disciplinare; oppure
  3. se dispone l’irrogazione dell’avvertimento o della censura (articolo 60, comma 4, o.p.f.).

 

6. L’impugnazione della sospensione cautelare

Contro tale misura interdittiva l’interessato può proporre ricorso avanti ad apposita sezione disciplinare del Consiglio Nazionale Forense nel termine di venti giorni dall’avvenuta notifica nei modi previsti per l’impugnazione dei provvedimenti disciplinari (artt. 60, comma 6, e 61 o.p.f.). Il ricorso non ha effetti sospensivi dell’esecuzione (articolo 32, comma 6, ultimo periodo, Reg. CNF 21 febbraio 2014 n. 2, cit.).

Avverso la decisione del CNF l’interessato può altresì proporre ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione, entro trenta giorni dalla notificazione, per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge ai sensi dell’articolo 36, comma 6, o.p.f., considerato che, per espressa disposizione di legge, essa ha natura di sentenza (articolo 37, comma 2, secondo periodo, o.p.f.). Anche tale ricorso non ha effetto sospensivo. Tuttavia l'esecuzione può essere sospesa dalle sezioni unite della Corte di cassazione in camera di consiglio su istanza del ricorrente (articolo 36, comma 7, o.p.f.).

Secondo consolidata interpretazione, il ricorso al CNF è atto propriamente impugnatorio, che postula l'esercizio di attività professionale, talché non è ammissibile ove non sia sottoscritto da soggetto legittimato allo ius postulandi dinanzi al CNF, come nel caso in cui sia proposto da avvocato sospeso cautelarmente e pertanto privato con efficacia immediata di tale potere (in tal senso, v. CNF 19 dicembre 2014 n. 192; Id., 16 marzo 2011 n. 30; Cass. civ., sez. un., 8 maggio 2008 n. 11213).

Il sindacato che il CNF è chiamato a svolgere in caso di impugnazione della misura cautelare, stante l’evidenziata natura discrezionale del potere con essa esercitato, è limitato, pacificamente, al controllo di legittimità del provvedimento non potendosi estendere ad un riesame del merito e restando precluso ogni riscontro in ordine all’opportunità della comminata sospensione; ciò, in buona sostanza, comporta non la totale esclusione del controllo della motivazione, ma la sua sindacabilità nei limiti in cui l’anomalia motivazionale si traduca nell’inesistenza della motivazione stessa, da intendersi non solo come mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, ma anche come motivazione solo apparente e/o perplessa e/o obiettivamente incomprensibile e/o caratterizzata da affermazioni tra loro inconciliabili (così, CNF 6 giugno 2015 n. 79 cit.; in termini simili, in precedenza, CNF 28 settembre 2011 n. 146; Id. 28 dicembre 2007 n. 257).

Si rammenta che, secondo la giurisprudenza forense (seppur precedente all’entrata in vigore della Legge n. 247/2012, ma tuttora applicabile), la deliberazione con la quale il Consiglio distrettuale di disciplina irroga la misura cautelare della sospensione non può ritenersi priva di motivazione quando contenga espliciti riferimenti sia al comportamento dell’incolpato sia alle misure e condanne indicate nell’articolo 60, comma 1, o.p.f. (cfr., tra le altre, CNF 28 settembre 2011 n. 146).

7. Esecuzione del provvedimento cautelare ed effetti

Per l’esecuzione del provvedimento cautelare è competente il Consiglio dell’ordine al cui albo o registro è iscritto l’incolpato (articolo 62, comma 3, o.p.f. e articolo 35, comma 1, Reg. CNF 21 febbraio 2014 n. 2, cit.), il quale, nel caso in cui il consiglio distrettuale di disciplina abbia irrogata la sanzione disciplinare della sospensione a carico dell’iscritto al termine del relativo procedimento, determina d’ufficio senza ritardo la durata residua della sanzione medesima, detraendo il periodo di sospensione cautelare già scontata (articolo 62, comma 8, o.p.f. e articolo 35, comma 6, Reg. CNF 21 febbraio 2014 n. 2, cit.).Si deve rammentare, però, che, secondo la giurisprudenza forense, tale misura interdittiva impedisce sì lo svolgimento dell’attività processuale ma non fa venir meno l'obbligo di ricevere tutti gli atti (giudiziali, stragiudiziali, di cancelleria, di parte, dei colleghi) afferenti sia agli incarichi che allo status professionale, benché limitato nelle sue esplicazioni dal provvedimento cautelare (in tal senso, cfr. CNF 21 ottobre 2013 n. 195).