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Decalogo di marketing referendario - prima parte

Decalogo di marketing referendario - prima parte
Decalogo di marketing referendario - prima parte

Bologna, 17 ottobre 2016

 

Decalogo di marketing referendario - prima parte

Provo a svolgere il tema partendo dalla fulminante intuizione delle ragioni che porteranno alla vittoria del no: “Quando l’italiano che vorrebbe cambiare alcuni articoli della Costituzione incontra l’italiano che vuole salvare la democrazia, l’italiano che vorrebbe cambiare alcuni articoli della Costituzione è un italiano morto” (Claudio Giunta, Il Foglio, 11 ottobre 2016). Procedo per tesi, una correlata all’altra.

Prima tesi: grazie referendum. A sei settimane dal voto una cosa è certa: le diverse campagne mediatico-politico-costituzionali per il sì e per il no hanno fornito e forniranno argomenti per decine di instant book, studi, analisi e tesi a massmediologi, sociologi, politologi, antropologici, storici e anche ai giuristi (in erba e no).

Sinceramente è un elemento poco rassicurante ma è pur sempre qualcosa da cui partire. Avremo tanti studi che ci diranno cosa è stato sbagliato su un fronte e sull’altro, cosa si è perso e cosa si sarebbe potuto guadagnare. Naturalmente col senno di poi. Insomma prepariamoci al trionfo del ditino puntato degli esperti del ramo.

Seconda tesi: sparigliamento degli schieramenti. Uno dei più interessanti fenomeni, sul quale si è già focalizzata l’attenzione dei politici, è quello della collocazione di personalità all’interno dei molteplici schieramenti che tagliano orizzontalmente e verticalmente i due campi e non sono riconducibili a forze politiche.

Ci sono molte ragioni tattico-strategiche alla base della scelta, in ogni caso è interessante rilevare che a ciascuno si potrebbe associare una delle imprese care ai capitani di ventura dei secoli quattordicesimo-sedicesimo, antesignane degli odierni payoff-slogan.

Terza tesi: uno contro tanti. Tuttavia, mentre le truppe del fronte per il no – riprendendo la citazione – si raccolgono nel segno dell’impresa “resisti al nemico” a strenua protezione del carroccio costituito dai valori della primigenia costituzione e, il va sans dire, della democrazia, i molteplici fronti del sì evocano altre imprese che potremmo così riassumere, con enfasi e approssimazione: “governa di più parlamenta di meno”, “semplifica per modernizzare”, “razionalizza e risparmia”, “Italia migliore”, ecc. ecc. ecc..

Insomma è evidente che il no ha la strada spianata, mentre il sì arranca dietro a slogan poco vincenti, soprattutto fungibili, vale a dire utilizzati e utilizzabili per mille e una campagne politiche. Del resto, proprio perché il fronte del no è trincerato attorno al carroccio, è il fronte del sì a doverlo snidare, ma allo stesso tempo a subire agevoli e ficcanti contrattacchi.

Quarta tesi: timidezza coltivo, opportunità vo cercando. Il quadro è ancor più diversificato dall’intensità del coinvolgimento negli schieramenti delle personalità di calibro nazionale, regionale e locale. Volendo metterla sul ridere si può misurare i gradi di tiepidezza in termini di tatticismo; volendo essere più foschi già mi prefiguro il regolamento di conti, la notte dei lunghi coltelli all’interno delle diverse sedi di partito, le purghe e gli autodafé. Qualche testa rotolerà o sarà costretta alla pubblica ammenda (ci sarà da ridere anche se sarebbe più appropriato piangere): “sì è vero ho consigliato (non mi sono speso sufficientemente) di (per far) votare sì (o no), ma mi sbagliavo, ho solo cercato di mediare in buona fede per non inasprire gli animi”.

Anche qui con differenze: mentre sul fronte del no, a parte qualche voce che ammette che qualcosa nella riforma ha senso, è nel fronte del sì che noto il farsi largo dei “per quanto”, “nella misura in cui”, “ma anche”, “è pur vero che”, sintomo di paura per quel che sarà (leggi: non sarò sul fronte sbagliato della storia?). Insomma, ragionando sul piano marketing, il fronte del sì sembra spesso cercare scuse e giustificazioni più che ragioni. Al fronte del no basta sventolare la propria bandiera con l’impresa in bella vista.

Quinta tesi: parallelismi. Gli stessi argomenti a favore del sì sono utilizzati in maniera speculare a favore del no. Chi ha la pazienza di vedersi i video di Filodiritto con i giuristi che hanno accettato il nostro invito lo potrà constatare. In fondo non ci vedo nulla di strano, anzi è un bel segno perché vuol dire che il dibattito non si è impantanato su questioni di lana caprina o, peggio, non staziona nel regno del nulla delle affermazioni apocalittiche.

In altri casi, il fronte del no non contesta la scelta di fondo, ad esempio, il nuovo bicameralismo centrato sulla camera (i monocameralisti mi sembrano in minoranza), ma sostiene che la soluzione riguardo al Senato, per composizione, poteri, modalità di elezione, avrebbe dovuto essere diversa, proponendone alcune ma lasciando il campo aperto ad altre, purché non siano quelle adottate dalla riforma. In questo caso il fronte del no perde mordente e si avvita in tecnicismi degni del più pedante costituzionalista.

Bologna, 17 ottobre 2016

 

Decalogo di marketing referendario - prima parte

Provo a svolgere il tema partendo dalla fulminante intuizione delle ragioni che porteranno alla vittoria del no: “Quando l’italiano che vorrebbe cambiare alcuni articoli della Costituzione incontra l’italiano che vuole salvare la democrazia, l’italiano che vorrebbe cambiare alcuni articoli della Costituzione è un italiano morto” (Claudio Giunta, Il Foglio, 11 ottobre 2016). Procedo per tesi, una correlata all’altra.

Prima tesi: grazie referendum. A sei settimane dal voto una cosa è certa: le diverse campagne mediatico-politico-costituzionali per il sì e per il no hanno fornito e forniranno argomenti per decine di instant book, studi, analisi e tesi a massmediologi, sociologi, politologi, antropologici, storici e anche ai giuristi (in erba e no).

Sinceramente è un elemento poco rassicurante ma è pur sempre qualcosa da cui partire. Avremo tanti studi che ci diranno cosa è stato sbagliato su un fronte e sull’altro, cosa si è perso e cosa si sarebbe potuto guadagnare. Naturalmente col senno di poi. Insomma prepariamoci al trionfo del ditino puntato degli esperti del ramo.

Seconda tesi: sparigliamento degli schieramenti. Uno dei più interessanti fenomeni, sul quale si è già focalizzata l’attenzione dei politici, è quello della collocazione di personalità all’interno dei molteplici schieramenti che tagliano orizzontalmente e verticalmente i due campi e non sono riconducibili a forze politiche.

Ci sono molte ragioni tattico-strategiche alla base della scelta, in ogni caso è interessante rilevare che a ciascuno si potrebbe associare una delle imprese care ai capitani di ventura dei secoli quattordicesimo-sedicesimo, antesignane degli odierni payoff-slogan.

Terza tesi: uno contro tanti. Tuttavia, mentre le truppe del fronte per il no – riprendendo la citazione – si raccolgono nel segno dell’impresa “resisti al nemico” a strenua protezione del carroccio costituito dai valori della primigenia costituzione e, il va sans dire, della democrazia, i molteplici fronti del sì evocano altre imprese che potremmo così riassumere, con enfasi e approssimazione: “governa di più parlamenta di meno”, “semplifica per modernizzare”, “razionalizza e risparmia”, “Italia migliore”, ecc. ecc. ecc..

Insomma è evidente che il no ha la strada spianata, mentre il sì arranca dietro a slogan poco vincenti, soprattutto fungibili, vale a dire utilizzati e utilizzabili per mille e una campagne politiche. Del resto, proprio perché il fronte del no è trincerato attorno al carroccio, è il fronte del sì a doverlo snidare, ma allo stesso tempo a subire agevoli e ficcanti contrattacchi.

Quarta tesi: timidezza coltivo, opportunità vo cercando. Il quadro è ancor più diversificato dall’intensità del coinvolgimento negli schieramenti delle personalità di calibro nazionale, regionale e locale. Volendo metterla sul ridere si può misurare i gradi di tiepidezza in termini di tatticismo; volendo essere più foschi già mi prefiguro il regolamento di conti, la notte dei lunghi coltelli all’interno delle diverse sedi di partito, le purghe e gli autodafé. Qualche testa rotolerà o sarà costretta alla pubblica ammenda (ci sarà da ridere anche se sarebbe più appropriato piangere): “sì è vero ho consigliato (non mi sono speso sufficientemente) di (per far) votare sì (o no), ma mi sbagliavo, ho solo cercato di mediare in buona fede per non inasprire gli animi”.

Anche qui con differenze: mentre sul fronte del no, a parte qualche voce che ammette che qualcosa nella riforma ha senso, è nel fronte del sì che noto il farsi largo dei “per quanto”, “nella misura in cui”, “ma anche”, “è pur vero che”, sintomo di paura per quel che sarà (leggi: non sarò sul fronte sbagliato della storia?). Insomma, ragionando sul piano marketing, il fronte del sì sembra spesso cercare scuse e giustificazioni più che ragioni. Al fronte del no basta sventolare la propria bandiera con l’impresa in bella vista.

Quinta tesi: parallelismi. Gli stessi argomenti a favore del sì sono utilizzati in maniera speculare a favore del no. Chi ha la pazienza di vedersi i video di Filodiritto con i giuristi che hanno accettato il nostro invito lo potrà constatare. In fondo non ci vedo nulla di strano, anzi è un bel segno perché vuol dire che il dibattito non si è impantanato su questioni di lana caprina o, peggio, non staziona nel regno del nulla delle affermazioni apocalittiche.

In altri casi, il fronte del no non contesta la scelta di fondo, ad esempio, il nuovo bicameralismo centrato sulla camera (i monocameralisti mi sembrano in minoranza), ma sostiene che la soluzione riguardo al Senato, per composizione, poteri, modalità di elezione, avrebbe dovuto essere diversa, proponendone alcune ma lasciando il campo aperto ad altre, purché non siano quelle adottate dalla riforma. In questo caso il fronte del no perde mordente e si avvita in tecnicismi degni del più pedante costituzionalista.