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Decalogo di marketing referendario - seconda parte

Decalogo di marketing referendario - seconda parte
Decalogo di marketing referendario - seconda parte

Bologna, 24 ottobre 2016

 

Decalogo di marketing referendario - seconda parte

Proseguo il mio discorso, con le altre cinque tesi.

Sesta tesi: i convitati di pietra. Tralasciando la tattica e la massmediologia, resta il fatto che sì e no evocano in un senso o nell’altro la legge elettorale e il sistema di elezione dei senatori. Si finisce per monopolizzare la discussione con argomenti eso-referendari e si ha l’impressione di dover votare col freno a meno tirato: voto sì, sperando che la legge elettorale non implichi la formazione di una maggioranza tirannica, voto no – anche se voterei sì – perché temo che la legge elettorale conduca ad un sistema autoritario o oligarchico.

A parte che questo argomento consente ad alcuni esponenti della linea del no di tenere i piedi in due staffe, resta il fatto che il dibattito è viziato o, per dirla più sobriamente, condizionato.

Settima tesi: snodo. Vediamo invece il vero e appassionante tema, che potremmo definire meta-referendario o meglio carsico. Il sistema bicamerale paritario consente di meglio rappresentare l’intero corpo elettorale e di fare in modo che le leggi siano la somma di diverse istanze, non necessariamente di una parte sola. Favorisce il compromesso, la condivisione e, in definitiva, impedisce che chi vince si prenda tutto o, meglio, che chi perde subisca il cappotto (perde 1 a 0, non 6 a 0).

Sono d’accordo con coloro che sostengono che il vero snodo sia tra l’affermazione della condivisione, con la nascita della terza (o quarta?) repubblica in modalità sharing, quale araba fenice delle precedenti convergenze parallele, e l’avvio del premierato temperato, a vocazione maggioritaria.

Ottava testi: sabbie mobili. Volendo leggere in controluce il dibattito referendario, non si può trascurare il parere di chi vi intravvede le sabbie mobili in cui si dibattono le democrazie occidentali: ricorso alla democrazia diretta nella forma della partecipazione telematica (con la logica del mi piace/non mi piace), rifiuto delle responsabilità di governo e cessione della sovranità a enti sovranazionali, concertazione in sede parlamentare/extraparlamentare, fabbrica del consenso mediante prelievo fiscale e redistribuzione, parlamento come dirittificio, visione salvifica dei tecnici al posto dei politici.

Nona tesi: capitribù. In questo contesto, i capitribù svolgono un ruolo fondamentale, non solo per gli indecisi. Ci si schiera per l’uno o l’altro fronte perché si è in buona compagnia, oppure, almeno, non si è con quella che si considera la peggiore compagnia, oppure ancora perché si interpretano i silenzi in un modo o nell’altro (forse sbagliando, ma questo in fondo è secondario). Ognuno, sul piano politico-culturale, ha le proprie stelle polari.

Alla triade Zagrebelsky-Saviano-Grillo – tralascio i comprimari – si contrappone la monade Renzi, con qualche aiutino inaspettato (ad esempio, Pera-Urbani). Quanti voti spostano – in positivo o in negativo – queste stelle polari? nel referendum molto più dei partiti. In questo senso la spersonalizzazione di Renzi può essere un errore strategico. Quel che mi interessa è che l’uomo tecnologico è anche uomo emotivo.

Decima tesi: ‘o giurista fortunato e innamorato. Se non è un capotribù, che posto si ritaglia il giurista? Incomincio col dire che vive i suoi cinque minuti di celebrità. Ci vorranno anni prima che gli capiti un’altra occasione così: essere al centro dell’attenzione dei mass media. Tuttavia, mi dispiace deluderlo, ma il giurista non è mai decisivo, non è un primattore, al massimo una comparsa, importante, ma pur sempre una comparsa. Anche Zagrebelsky è decisivo solo quando smette i panni del giurista.

E allora? allora il giurista ha una funzione importante, quella di fornire strumenti di lettura, con i quali l’interessato farà ciò che vuole. Allo stesso tempo gli strumenti devono essere sterilizzati perché se no rischiano di essere dannosi, creando confusione. Mi spiego meglio: la battaglia sulla formulazione del quesito non è battaglia giuridica ma politica: non ci sono soluzioni ammissibili diverse rispetto al quesito così come è formulato, né è possibile spacchettare il referendum. È battaglia legittima? senz’altro, ma il politico prevale sul giurista.

Si fanno dunque strada i peccati principali commessi nella storia dai giuristi: la superbia e la lussuria. Il giurista finisce per innamorarsi di una tesi e, nel proprio armamentario, cerca argomenti in grado di corroborarla, ritenendo così di poterla fare prevalere. In realtà si dovrebbe accorgere – forse con scoramento ma con realismo – che i propri arnesi sono solo, appunto, degli strumenti al servizio di questa o quella visione politica. Paradossalmente, il riconoscerlo contribuirebbe a valorizzare il proprio ruolo e a innalzare la qualità del confronto. Ma si sa, tra ragione e sentimento, prevale la seconda.

Nel prossimo video dirò come e perché voto.

Bologna, 24 ottobre 2016

 

Decalogo di marketing referendario - seconda parte

Proseguo il mio discorso, con le altre cinque tesi.

Sesta tesi: i convitati di pietra. Tralasciando la tattica e la massmediologia, resta il fatto che sì e no evocano in un senso o nell’altro la legge elettorale e il sistema di elezione dei senatori. Si finisce per monopolizzare la discussione con argomenti eso-referendari e si ha l’impressione di dover votare col freno a meno tirato: voto sì, sperando che la legge elettorale non implichi la formazione di una maggioranza tirannica, voto no – anche se voterei sì – perché temo che la legge elettorale conduca ad un sistema autoritario o oligarchico.

A parte che questo argomento consente ad alcuni esponenti della linea del no di tenere i piedi in due staffe, resta il fatto che il dibattito è viziato o, per dirla più sobriamente, condizionato.

Settima tesi: snodo. Vediamo invece il vero e appassionante tema, che potremmo definire meta-referendario o meglio carsico. Il sistema bicamerale paritario consente di meglio rappresentare l’intero corpo elettorale e di fare in modo che le leggi siano la somma di diverse istanze, non necessariamente di una parte sola. Favorisce il compromesso, la condivisione e, in definitiva, impedisce che chi vince si prenda tutto o, meglio, che chi perde subisca il cappotto (perde 1 a 0, non 6 a 0).

Sono d’accordo con coloro che sostengono che il vero snodo sia tra l’affermazione della condivisione, con la nascita della terza (o quarta?) repubblica in modalità sharing, quale araba fenice delle precedenti convergenze parallele, e l’avvio del premierato temperato, a vocazione maggioritaria.

Ottava testi: sabbie mobili. Volendo leggere in controluce il dibattito referendario, non si può trascurare il parere di chi vi intravvede le sabbie mobili in cui si dibattono le democrazie occidentali: ricorso alla democrazia diretta nella forma della partecipazione telematica (con la logica del mi piace/non mi piace), rifiuto delle responsabilità di governo e cessione della sovranità a enti sovranazionali, concertazione in sede parlamentare/extraparlamentare, fabbrica del consenso mediante prelievo fiscale e redistribuzione, parlamento come dirittificio, visione salvifica dei tecnici al posto dei politici.

Nona tesi: capitribù. In questo contesto, i capitribù svolgono un ruolo fondamentale, non solo per gli indecisi. Ci si schiera per l’uno o l’altro fronte perché si è in buona compagnia, oppure, almeno, non si è con quella che si considera la peggiore compagnia, oppure ancora perché si interpretano i silenzi in un modo o nell’altro (forse sbagliando, ma questo in fondo è secondario). Ognuno, sul piano politico-culturale, ha le proprie stelle polari.

Alla triade Zagrebelsky-Saviano-Grillo – tralascio i comprimari – si contrappone la monade Renzi, con qualche aiutino inaspettato (ad esempio, Pera-Urbani). Quanti voti spostano – in positivo o in negativo – queste stelle polari? nel referendum molto più dei partiti. In questo senso la spersonalizzazione di Renzi può essere un errore strategico. Quel che mi interessa è che l’uomo tecnologico è anche uomo emotivo.

Decima tesi: ‘o giurista fortunato e innamorato. Se non è un capotribù, che posto si ritaglia il giurista? Incomincio col dire che vive i suoi cinque minuti di celebrità. Ci vorranno anni prima che gli capiti un’altra occasione così: essere al centro dell’attenzione dei mass media. Tuttavia, mi dispiace deluderlo, ma il giurista non è mai decisivo, non è un primattore, al massimo una comparsa, importante, ma pur sempre una comparsa. Anche Zagrebelsky è decisivo solo quando smette i panni del giurista.

E allora? allora il giurista ha una funzione importante, quella di fornire strumenti di lettura, con i quali l’interessato farà ciò che vuole. Allo stesso tempo gli strumenti devono essere sterilizzati perché se no rischiano di essere dannosi, creando confusione. Mi spiego meglio: la battaglia sulla formulazione del quesito non è battaglia giuridica ma politica: non ci sono soluzioni ammissibili diverse rispetto al quesito così come è formulato, né è possibile spacchettare il referendum. È battaglia legittima? senz’altro, ma il politico prevale sul giurista.

Si fanno dunque strada i peccati principali commessi nella storia dai giuristi: la superbia e la lussuria. Il giurista finisce per innamorarsi di una tesi e, nel proprio armamentario, cerca argomenti in grado di corroborarla, ritenendo così di poterla fare prevalere. In realtà si dovrebbe accorgere – forse con scoramento ma con realismo – che i propri arnesi sono solo, appunto, degli strumenti al servizio di questa o quella visione politica. Paradossalmente, il riconoscerlo contribuirebbe a valorizzare il proprio ruolo e a innalzare la qualità del confronto. Ma si sa, tra ragione e sentimento, prevale la seconda.

Nel prossimo video dirò come e perché voto.