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EGO ET IVS

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EGO ET IVS

ABSTRACT (IN ITALIANO): La tematica dei diritti della persona e della personalità necessita di una trattazione generale e breve che la canalizzi in un’ottica sistemica. Le relazioni gnoseologiche tra il diritto civile e il diritto pubblico, e tra i testi normativi dei diversi rami dell’ordinamento giuridico diventano un punto di partenza e non un semplice punto di arrivo nella riflessione sul diritto di uno Stato personologico. Il seguente lavoro propone una interpretazione dei diritti della persona partendo da una base epistemologica sulla conformazione dell’io nel suo rapporto con il dover essere, le istituzioni, il web. Parlare di embrione, maternità, tutela del nome e dell’identità dei soggetti, di pace e sicurezza, di ecologia e scienza, di tecnicismo giudico e di neocostituzionalismo costituisce uno spunto per sistemare le basi di un programma scientifico che possa supportare il giurista teorico e il pratico del diritto nei propri percorsi di logica e argomentazione forense.

ABSTRACT (IN ENGLISH): The issue of Human Person and Personality Rights requires a general and short treatment that canalizes this topic into a systemic point of view. Cognitive relations between Civil Law and Public Law, and among legal texts about different legal order branches become a starting and not a simply arrival point for the reflections about the legal system of a State that protects Person and Personality. The following work proposes an interpretation of Person Rights starting from an epistemological base where it’s need to consider Human Ego and its connection with Duty, Institutions, Web dimensions. Talk about embryo, maternity, legal protection of name and subjects’ identity, about peace and security, about ecology and science, about the legal technicality and about the new constitutionalism is a starting point to fix the bases of a scientific program which can support the theoretical and practical jurist, during its logic paths and forensic argumentation.

 

SOMMARIO: 1. Prospetto gnoseologico introduttivo - 2. L’identità individuale e collettiva tra cibernetica e potere - 3. L’io: dalle fonti giuspersonologiche alle forme di tutela - 4. Persona quale categoria dell’io disegoisticizzato e ordinamento: profili pubblicistici

 

1. Prospetto gnoseologico introduttivo

Per poter discorrere di principi personologici occorre avere un quadro generale del problema della individuazione dell’oggetto, o meglio, del termine subiettivo oggetto di tutela nomo-ordinamentale.

Occorre, pertanto, partire “sic et simpliciter” dalla presa di coscienza del problema della dimensione ontica dell’io, e della sua fenomenologia, per poi passare al problema della soppesata e idonea dimensione di un dover essere teleologicamente funzionalizzato alla tutela viva - attraverso delle forme di protezione - dell’essere.

Per poter effettuare un’analisi di ermeneutica normativa, sul piano teoretico anticamera della praxis, occorre prima impostare le questioni inerenti alla strutturazione poietica della norma dispositiva in generale. Chi scrive intende discernere dall’ermeneutica normativa la nomica (ramo ed anzi spazio scientifico di studio della dimensione del nomos), e quindi la nomologia, che indaga gli orizzonti intrinseci della norma a partire dagli strumenti cardinali della logica pura. L’ermeneutica normativa, quale interpretazione scientificamente strutturata e diretta al dato oggettivo della disposizione normativa da cui viene ricavata la norma, come già detto, appunto, parte dal dato nomico in senso stretto, in particolare dal greggio letterale di esso, e giunge attraverso l’ausilio degli strumenti logici, spiegati in campo dopo quelli propri della cognitività, al risultato in sé e per sé positivistico-dispositivo in senso legale.

Quanto più l’ermeneutica normativa ha ad oggetto disposizioni letterali con un grado di polivalenza semantica sopra lo zero nel senso della comune significanza linguistica, tanto più si farà utile l’ausilio degli strumenti logici puri, e quindi l’intervento - e talvolta anche l’invasività valutativa e ortopedicizzante - della ermeneutica medesima.

Così, ritornando propedeuticamente al distinguo tra nomica o nomologia ed ermeneutica normativa, o anche ermeneutica nomica (o nomologica), qualora si registri la necessarietà dell’intervento operativo della scienza interpretativa fondata su elementi di logica pura, si può concludere affermando che la nomica si occupa delle norme (già inquadrabili quali risultanti dell’attività ermeneutica), e sulle stesse costruisce indagini logiche di qualificazione a livello di teoria generale del diritto, utili alla tenuta sistemico-categoriale dei formanti concettuali dell’ordinamento o anche dei microsistemi normativi; la nomica si pone rispetto alla logica pura in un rapporto di consostanzialità (i principi della logica pura, come identità, non contraddizione e terzo escluso, a rigore, sono intrinsecati al campo nomologico della qualificazione nomica in senso astratto). Per l’ermeneutica la logica è uno strumento che trova ingresso nell’entroterra operativo, appunto interpretativo, ma non giunge sino alle fondamenta ontiche. Logica pura e nomologia, senza dubbio, sono distinguibili, dato che la seconda risulta essere spazio oggettivamente specificato della prima: l’oggetto è il nomos nella sua astrattezza, sempre utile ai percorsi di ricerca finalizzati alle argomentazioni della pratica forense. Se oggetto di questo ramo scientifico è una norma y, nel proprio significato specifico, il significato siffatto costituisce non il mero oggetto, bensì il contenuto specifico.

2. L’identità individuale e collettiva tra cibernetica e potere

L’identità astraibile dalla giuspersonologia è un concetto fenomenico - prima che giuridico - di natura ibrida, subiettivo-obiettiva, ma anche una vera e propria categoria ontologica, primaria ma complessa. La fenomenologia dell’identità si sviluppa insieme alle dialettiche appercettive e percettive del cogitare. L’io come io-identità appare un microcosmo fluido in perenne espansione, trans-ontologico, in cui i fattori sociali (anche quelli giuridico-imperativi), ambientali, biologici, tecnologici conformano dialetticamente il prospetto dell’essere.

In una appena nata società di massa occorreva riflettere sul dissolvimento dell’io, nel suo nucleo ontico effettivo, tra le fenomeniche e i neologismi logici di un apparato costitutivamente sovrastrutturalizzato, e funzionalizzato ad effetti sovrastrutturalizzanti; e ancora, sulla spersonalizzazione dell’individuo, il quale, tra potere centralizzato e oligopoli economici, si amalgamava e si disperdeva nella massa. Questa, purtuttavia, rappresentava un humus in cui si declinavano nuovi paradigmi partecipativi, come i partiti di massa. In una società in cui le forme di produzione erano strutturate tayloristicamente sull’ausilio della tecnologia, poi, forte si faceva la necessità di indagare su alienazione, reificazione e mercificazione.

L’io e il non-io fichtiani, l’io generale rousseauiano, l’homo oeconomicus e l’homo novum poliedrico marxiani, nella società dei social networks, vanno ripensati e riposizionati nelle (e attraverso le) dimensioni ultronee del tempo contemporaneo, troppo avvinto a consumistici neoformalismi di protezione che, come le logiche del benessere inconsistente o meramente efficientistico e deteleologicizzato, strutturano la persistenza semi-evolutiva del mercato.

Una indagine sulla categoria di identità deve partire dall’osservazione ontologica e rifondativamente critica del concetto di essere, individuale e sociale; tale riflessione isolerebbe possibili basi gnoseologiche, falsificabili, in funzione dell’indagine successiva, positivistica, sulla natura di diritto assoluto, alienabile o non alienabile, nonché sulla struttura dei diritti della personalità, e delle loro forme di tutela viva, nei vari formanti istituzionali del sistema nomologico: la persona nella proprietà, nell’azienda, nel mercato, nella contrattualistica; nella retribuzione e nelle deterrenze criminologiche, nella rieducazione e risocializzazione penalistiche; nella Repubblica costituita da Comuni, Province (forse ancora per poco), Città metropolitane e Stato, nelle forme partecipative della volontà legislativa.

L’identità diviene essa stessa spazio identitario a più dimensioni, o si riqualifica soltanto attraverso le finzioni giuridiche che le conferiscono peso e convenzionale misura, rilevanza e tutela negli spazi di varia natura, anche cibernetica?

Una indagine sulla fisiologia delle nuove spiagge ontologiche dell’identità personale, complesse ed evanescenti poiché sempre in fieri, da un lato, ma anche formalizzabili nonché gestibili sempre più attraverso gli strumenti di dominio dello spazio cibernetico omologante, dall’altro lato, poi, non può sottrarsi allo scrutinio dinamico del nucleo conoscitivo del problema nel suo versante patologico: le distorsioni tra identità naturale e identità cibernetico-finzionistica; le distorsioni tra identità individuale e identità di gruppo, nelle loro disparate combinazioni. Tra queste, a rigore, si pensi al rapporto qualitativamente distorsivo tra io effettivo, o meglio, materiale - qual è l’effettivo? - e gruppo collettivo materiale, ossia tra io e formazione sociale realizzativa della persona (in quale sua versione identitaria?); e ancora, tra identità individuale materiale e identità del gruppo cibernetico (forum, gruppi di social network, indagando anche sul grado di sussumibilità di questi nel concetto di formazione sociale riconosciuta e garantita dalle Carte fondamentali, anche interne); tra identità individuale cibernetica e identità di gruppo collettivo materiale (si pensi al rapporto tra il contenuto personologico della pagina facebook del politico Taldeitali con l’ethos dei circoli partitici delle città e dei paesi); tra identità dell’io dispiegato nella dimensione cibernetica e identità delle alquanto iper-mobili formazioni sociali del cyber space.

L’osservazione non s’arresta nella attestazione eventuale delle distorsioni anzidette, tipiche dello spazio vacante e vacuo tra i contenuti delle diverse dimensioni in cui dimora e si sviluppa, socializza e si monadizza l’essere, e quindi nella presa d’atto dei cortocircuiti identitari individuali e collettivi. Un’attività di osservazione pura, propedeutica ad una nomologia effettivamente corrispondente all’essente e capace di fronteggiare i problemi emergenti nella dimensione del de jure condendo, a rigore, deve confrontarsi con l’assetto organizzativo, le funzioni e l’evoluzione del potere (pubblico, privato ed ibrido), analizzato nelle sue sfumature, tra assolutismo e relativismo.

3. L’io: dalle fonti giuspersonologiche alle forme di tutela

La persona costituisce un valore di per sé. Essa non risulta inquadrabile quale mero centro imputativo di interessi sintetici, bensì, appunto, occorre concepirla come essente personalistico qualificato dalla propria stessa subiettività, nonché, ai fini della ricostruzione della ratio dei cc.dd. diritti della personalità, come valore in sé.

Lo Stato, pubblico ente territoriale non economico, non preesiste né nomo-assiologicamente né storicamente, e quindi fenomenicamente, al centro subiettivo pulsante, titolare di diritti affini e calzanti alle esigenze del proprio sviluppo e della propria vicenda esistenziale uti singulo, e nelle formazioni antropico-sociali. L’avvicendamento dei modelli statuali si è dimensionato sulla necessità di affinare e garantire la pienezza del riconoscimento e della tutela della persona; ed ecco che il modello dello Stato di diritto, adagiato istituzionalmente sul concetto di uguaglianza in senso formale, ha progressivamente incamerato le esigenze tipiche della dimensione sociale con gli strumenti welfariani e socialmente garantistici dello Stato sociale diritto. L’ennesima evoluzione, sempre in fieri nel suo incedere di progressivo riconoscimento al passo con il pure progressivo avvicendarsi delle esigenze sottese alla vita associata, mostra la propria schiettezza nella propensione alla dimensione personologica della statualità e, più in generale, della istituzionalità.

Dopo un’analisi sistemica della Carta costituzionale italiana del 1948, a rigore, si potrà osservare come alcuni valori, divenuti principi giuridici generali, miliari e dirimenti nelle attività decisionali, ed anche apparentemente antinomici, talvolta, in alcuni profili del loro sviluppo storico, vengono riletti e ricuciti nella loro dinamica convivenza sinergica attraverso la ermeneutica nomologica personologicamente vocata. Si pensi, ad esempio, al principio di eguaglianza sostanziale di cui al secondo comma dell’articolo 3 Costituzione, e al principio di libertà economica, di cui all’articolo 41, comma 1, Costituzione. Essi, da un lato, vengono composti, nella loro potenziale portata applicativa concreta e specifica, attraverso la qualificazione solidaristica del fine dei rapporti giuridici soggettivi in cui si perpetuano, e si confrontano, le disparate esigenze in tensione delle posizioni soggettive dei diversi consociati nella dimensione iure privatorum, e quindi attraverso la espressa statuizione della funzione sociale della proprietà e della sua accessibilità a tutti, nonché attraverso il divieto di svolgimento della libera iniziativa economica privata in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. D’altro canto, tuttavia, dato il carattere più che altro di limite - e non di vocazione dominante - della conduzione socializzata e socializzante della libera impresa nel libero mercato concorrenziale, e della stessa proprietà attraverso cui si sviluppa l’impresa stessa, il complesso incastro tra valori, oltre che prodotto del contemperamento caso per caso, viene risolto, in modo comunque sempre aperto, attraverso il rinvio al basico carattere personologico-lavoristico della Repubblica, sacralizzato in seno alla Carta costituzionale del ’48. In ragion di ciò, appunto, la persona come valore in sé, e i vari formanti specifici delle assiologie prospettiche del neocostituzionalismo evolutivo, nonché i beni giuridici di matrice subiettivistica intrinseci allo statuto ontologico della persona medesima, costituiscono il primum movens normativo, e il perno giuridico-culturale intorno al quale s’avviluppa la vicenda nomologica della dimensione patrimoniale.

L’ordinamento giuridico in una visione olistica, o comunque non frantumata, non può esser diviso in un ordinamento pubblicistico e in uno privatistico, separato e soltanto comunicante col primo. La dottrina più evoluta a tal riguardo non risulta atrofizzata in una summa divisio tra diritto pubblico e diritto privato, infatti; e ciò si può facilmente apprezzare anzitutto per la struttura concettuale stessa della persona in seno alle maglie della rinnovata dogmatica dei diritti nei suoi diversi frangenti, e nelle sue presupposte dimensioni oggetto di positivizzazione.

Le forme giuridiche di tutela, sotto i profili penalistico di c.d. extrema ratio ordinamentale, amministrativistico e civilistico, rientrano in un unico - più generale - entroterra garantistico affine alle vocazioni personologiche della più accreditata ermeneutica costituzionale. Tali forme di tutela, a rigore, sono presenti trasversalmente nei settori tipicamente privatistico-civilistici, da un lato, e nelle Carte internazionali, dichiarazioni e trattati, oltre che, come anzidetto, nelle Carte costituzionali, e quindi nelle culture giuridiche dei singoli Stati.

Se la persona è posta la centro dell’assiologia normativa sotto i diversi e (sistemicamente) unificabili piani del ius, occorre preliminarmente inquadrare l’essenza della persona, e quindi accingersi a definirne i contorni e le qualità caratterizzanti, a livello di semantica giuridica e a livello di rilevanza strettamente positiva nell’ordinamento.

Il concetto di persona si distingue da quello di essere umano, si distingue da quello di cittadino, eppure entrambi - soprattutto il primo - li comprende e li qualifica ulteriormente. Nel diritto civile si discorre di persona fisica e di persona giuridica o ente morale nella nominalistica della tradizione. L’articolo 1 Codice Civile sancisce che l’acquisizione della capacità giuridica si realizza al momento fenomenico della nascita. Una volta acquisita, la capacità giuridica non può essere sottratta; nessuno, infatti, può essere privato, per motivi politici (articolo 22 Costituzione), della capacità giuridica, della cittadinanza e del nome, elemento giuridico - quest’ultimo - identificativo non soltanto dinanzi alla generalità dei consociati e nei confronti dello Stato per adempiere ad un vago e vetusto concetto di ordine pubblico, sempre comunque utile funzionalmente alla stabilità e alla sicurezza, ma anche e anzitutto elemento giuridico co-predicativo dell’identità personale del soggetto. Anche gli enti morali, condotti e amministrati da persone fisiche aggregate, o anche singolarmente nella sinergia relazionale con gli altri soggetti (si pensi alla c.d. società unipersonale di nuovo conio), hanno un diritto al nome e godono di diverse tutele riconosciute alla persona, intesa precipuamente quale essere umano subiettivo. Cogito ergo persona sum, verrebbe da proferire in modo sinteticamente solenne, e indicativo.

I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati (quindi condizionati sospensivamente, si potrebbe intendere) all’evento fisico della nascita. E da questo assunto della normativa - quindi convenzionale in senso giuridico e non soltanto logico - può iniziare, in connessione ai principi costituzionali e del diritto sovranazionale, una indagine ontologico-qualificativa, propedeutica alla edificazione di uno statuto giuridico per l’embrione. Quest’ultimo potrebbe esser visto come persona in formazione, o in realtà “soltanto” come individuo, essere umano in formazione progressiva e quindi come persona in potenza, nel suo potenziale attualizzarsi appunto: non come persona in formazione, dato che il formarsi in personam implica l’esserci già in status personae; tranne se la scienza non chiarirà in modo pregnantemente rigoroso - e purtuttavia sempre falsificabile, ovviamente - la incidenza sull’embrione dei fattori sociali costitutivamente personalizzanti ed esterni alla vita intrauterina, non di alcuni generici fattori bensì degli specifici e complessi fattori sociali che dalla nascita in poi di un individuo inseriscono lo stesso nel collante comunitario che va oltre la piccola formazione sociale della famiglia.

In realtà e a rigore lo Stato protegge il nascituro concepito sotto diversi aspetti, insieme e non separatamente rispetto alla maternità, ma da qui a concepire il nascituro concepito ancora embrione come persona passa di mezzo la problematica dei diritti specifici dell’embrione in quanto persona, e della loro azionabilità (il diritto a non nascere se non sani, di matrice pretoria, è stato sconfessato dalla medesima giurisprudenza di legittimità). Il concetto di persona, infatti, non coincide con quello di essere umano, che lo precede a livello logico se non fenomenologico, dato che ai sensi dell’anzidetto articolo 1 del Codice Civile la capacità giuridica si acquisisce al momento e attraverso l’evento della nascita. In questa concezione, alquanto tradizionale malgrado laica e neutrale nonché descrittiva, viene ad analogicizzarsi la formula normativa della capacità con quella della persona, entrambe non definite, ma lasciate alla applicazione dei giuristi pratici previa identificazione di tali complessi concetti, immersi nel divenire filosofico-antropologico e sociologico del pensiero corrente.

Nel discorrere di persona e di tutela della stessa, poi, occorre menzionare la protezione ordinamentale della dignitas et libertas delle persone nelle interrelazioni sociali che scadono dalla sfera fisiologica a quella patologica.

Lontani dalle aberranti o comunque vetuste distinzioni qualitative tra esseri umani persone ed esseri umani non persone, quindi res, tipiche di età giuridiche di molto risalenti e rientranti nel diritto romano precedente alla tradizione romanistica protrattasi fino al secolo XIX, il Codice Penale appresta una tutela alla persona dalle forme di schiavitù nelle quali purtroppo le distorsioni antropiche la relegano per trarre illeciti ed ingiusti profitti, e/o per via di perversioni ingiustificabili della umana mente.

Una siffatta tutela da forme distorte di mortificazione dell’essere umano e di vanificazione dello statuto ufficiale della persona nell’ordinamento giuridico, così, rappresenta lo specchio di una società in cui ancor forte occorre quindi ribadire il distinguo ontologico tra la persona e la res. Tale discernimento poi risulta funzionale allo studio del rapporto tra titolare di un diritto e oggetto della titolarità: nel caso dei diritti della personalità il centro subiettivo imputativo della titolarità coincide con l’oggetto del proprio personalissimo esercizio di tale condizione e posizione di titolarità esclusiva, inalienabile, irrinunciabile, assoluta e imprescrittibile nella propria tutela inibitoria dai comportamenti lesivi e offensivi. Mentre nel rapporto tra persone e res la cosa forma oggetto della relazione in quanto i punti della relazione medesima risultano distinti non soltanto sul piano logico bensì pure su quello fenomenico (materiale o immateriale che sia il bene concreto oggetto del diritto che riconosce e regola la relazione), per i diritti della persona il soggetto esercita i diritti indisponibili e inalienabili del proprio di dentro, e del proprio in-sé, il soggetto cioè esercita i diritti che rappresentano dei formanti del medesimo proprio essere subiettivo, nella propria unica e irripetibile pregnanza esistenziale, e nella propria vita, psicofisica o ‘soltanto’ giuridica (nel caso degli enti).

Per quanto concerne più da vicino le fonti del diritto ove poter ritrovare le dimensioni della persona protette da riconoscimenti, garanzie e forme specifiche di tutela, occorre anzitutto soffermarsi sulla Costituzione italiana. Questa, al primo comma del primo articolo, fonda la Repubblica democratica sul lavoro. Il lavoro come forma di partecipazione della persona alla vita della res publica, e quindi allo svolgimento realizzativo della democrazia come valore di condivisione di valori comuni nelle pluralità di visioni ed esigenze particolari, rappresenta concettualmente e praticamente un elemento tipico della dimensione personologica. Il lavoro in astratto deve essere realizzativo della persona come singola e nelle formazioni sociali (articolo 2 Costituzione), e deve essere frutto di scelta (articolo 4, comma 2, Costituzione), teleologicamente orientato al progresso materiale e spirituale dell’intima dimensione della persona nella sua ricerca interiore e nella sua tensione continua al benessere attraverso l’esercizio propositivo delle libertà. A proposito di libertà, strettamente inerenti alla sfera privata trasversale alla capacità pubblica di essere riconosciuti e protetti, si vedano le specificazioni della libertà della persona: si pensi, ad esempio, alla libertà di pensiero e quindi alla libertà religiosa o comunque di concezione filosofico-spirituale ai sensi dell’articolo 8, comma 1, Costituzione, che si riferisce a “tutte le confessioni religiose”.

Sul piano dei diritti della personalità inerenti alla protezione dei diritti umani, si pensi alla condizione giuridica dello straniero, regolata dagli strumenti internazionali che entrano sotto la copertura costituzionale ex articolo 10, comma 2, Costituzione, neutralizzando la portata restrittiva e vetusta - antipersonologica - di cui al precedente e gerarchicamente sottordinato articolo 16 delle cc.dd. Preleggi, leit-motiv nomologico di una anacronistica condizione di reciprocità, recessiva già di fronte alla Legge (ordinaria) n. 218/1999 sul diritto internazionale privato.

Nello specifico versante dei rapporti civili, e quindi, in quelli che tradizionalmente afferiscono alla settorializzazione dell’ordinamento giuridico dei privati, si ponga uno sguardo analitico alla interna Parte I della Costituzione, avente ad oggetto dispositivo, programmatico e precettivo in senso stretto, i cardini giuridici sui diritti e doveri dei cittadini, nei rapporti civili (Titolo I), nei rapporti etico-sociali (Titolo II), in quelli economici (Titolo III), in quelli politici (Titolo IV).

Sul piano delle fonti del diritto della personalità, descritto nei suoi vari frangenti esistenziali dei diritti personalissimi (concezione monista), o comunque, per quel che concerne le piattaforme positivizzate del riconoscimento della sommatoria dei puntuali diritti della persona (principio di frammentarietà della concezione atomistica meno progressista), si ricordi la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. E ancora, la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali del 1950, ratificata dallo Stato italiano con Legge n. 848 del 1955; la c.d. Carta di Nizza del dicembre del 2000, sui diritti fondamentali dell’Unione Europea; il Trattato di Lisbona del 2007, entrato in vigore nel 2009; ma anche e, anzitutto, per il loro portato già da tempo vincolante ai sensi dell’articolo 11 Costituzione, e dopo la Legge Costituzionale n. 3/2001 l’articolo 117, comma 1, Costituzione, i trattati dell’U.E., attualmente Trattato U.E. e Trattato sul Funzionamento dell’U.E.

Tutte queste Carte sacre del diritto costituiscono una sicura base di garanzia per la persona nelle sue disparate sfere esistenziali e nei suoi bisogni primari fondamentali. Così, nei rapporti tra persona e Stato e istituzioni in generale, da un lato, e, volendo restare nel c.d. ordinamento dei privati, nelle relazioni interpersonali iure privatorum, vige una serie di riconoscimenti e garanzie e, conseguentemente, sul piano della effettività, determinate forme adeguate e proporzionate di tutela.

Nella Convenzione EDU, all’articolo 2 si tratta di diritto alla vita, all’articolo 4 del divieto di schiavitù e di lavoro forzato, all’articolo 5 di diritto alla libertà e sicurezza, all’articolo 8 di diritto al rispetto della vita privata familiare, all’articolo 9 di libertà di pensiero, di coscienza e di religione, all’articolo 10 di libertà di espressione, all’articolo 11 di libertà di riunione e di associazione, all’articolo 12 di diritto al matrimonio, all’articolo 14 di divieto di discriminazione, all’articolo 17 di divieto di abuso del diritto, il quale ultimo costituisce invero un portato consequenzialistico del riconoscimento del diritto in una società antropo-fenomenicamente complessa, e organizzata in modo pure complesso, in cui ognuno gode del proprio bagaglio di diritti e posizioni giuridiche proiettabili, ed effettivamente proiettate, nella realtà sociale concreta, ove spesso le condizioni di scarsità delle risorse e di degrado sono il presupposto per il configurarsi di situazioni di abuso e quindi di prevaricazioni, attriti interrelazionali, distorsioni allocative.

Scendendo lungo la linea gerarchica interattiva in una sinergia ermeneutica e contestualizzante le specifiche dimensioni dei diritti inerenti la persona, si analizzi la struttura della garanzia personologica del Codice Civile italiano del 1942, ancora vigente dopo varie stagioni riformistiche ed epoche storico-antropiche alquanto mutevoli nei costumi sociali.

Le clausole generali del buon costume e della buona fede, molto elastiche e cangianti, a volte addirittura camaleontiche, forniscono una spia di apertura al cambiamento nella definizione di alcune sfumature concettuali di elementi gnoseologici presenti nelle meccaniche di fattispecie del diritto c.d. privato. La buona fede, in verità, contribuisce alla oggettivizzazione – in senso empirico-effettivistico - della tutela della persona nel mercato e nei traffici giuridici in generale; il buon costume appresta un aggancio mobile ed elastico alla dignitosa intesa della tutela personologica delle relazioni umane di fronte alla generalità dei consociati; la buona fede, invece, si staglia efficientemente nelle relazioni umane. Il concetto qualificato come “buono”, a rigore, è da intendere ai sensi dell’articolo 3 Costituzione, come letto dalla Corte costituzionale, ossia - anche - nel senso di principio di ragionevolezza, e quindi in connessione alla romanistica che voleva inquadrare il ius in generale come “ars bonum et aequum”.

Entrando nel vivo della dimensione civilistica della tutela personologica, si pensi all’articolo 5 Codice Civile, il quale sancisce che gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume. Ed ecco che ritorna il concetto di buon costume sopra menzionato. Ai sensi della Legge n. 167/2012, in deroga al divieto di cui all’articolo 5 come tradizionalmente inteso, il soggetto è ammesso a disporre a titolo gratuito di parti di polmone, pancreas, intestino al fine esclusivo di trapianto terapeutico tra persone viventi. L’articolo 5 de quo ha sempre aperto disparati dibattiti e momenti di riflessione, da ultimo sulla c.d. eutanasia, tra opinioni contrastanti, le quali giuridicamente devono fare i conti, nell’attuale assetto normativo, con il concetto di morte quale cessazione irreversibile delle funzioni encefaliche (ai sensi e per gli effetti della Legge del 1993 sulla dichiarazione agli atti civili della morte), da un lato, e con le fattispecie penali di cui agli articoli 579 Codice Penale (omicidio del consenziente) e 580 Codice Penale (istigazione o aiuto al suicidio).

Sono rilevanti in tale dimensione del diritto - afferente alle problematiche sottese alla ratio di cui all’articolo 5 Codice Civile - le questioni dei limiti della liceità delle disposizioni dei frutti del proprio corpo: è ammessa la cessione a titolo oneroso di unghie, capelli, latte (il c.d. latte della balia) per il carattere non lesivo e non irreversibile del distacco dal corpo, il quale si rigenera riproducendo quanto sottratto alla dimensione corporea in un dato momento; si pensi però alle questioni sulla donazione del rene, di parte del fegato, del sangue, oggi consentita. E ancora, si pensi alla questione della disposizione del proprio diritto alla sepoltura, e quindi a dove il corpo, privo di vita e di capacità giuridica, potrà essere posto, e con quali modalità (è lecita la cremazione, ad esempio).

Prima della Legge. n. 194/1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza l’articolo 5 era una disposizione normativa che spesso veniva letta soltanto nel suo versante assolutistico-proibitivo: nelle concezioni che già riconoscevano l’embrione come frutto naturale della donna (e non dello Stato o dell’uomo-padre), al di là della categorizzazione dell’embrione nello statuto ontologico della persona umana o in quello dell’essere umano in potenza, e ancora, nella concezione che lo qualificava come mero agglomerato bio-funzionalizzato di cellule umane e quindi come (sola) materia appartenente al corpo della gestante, portatrice di un proprio interesse in primo luogo, piuttosto che quello alla procreazione e alla continuazione della specie, la donna non poteva ledere l’embrione, poiché avrebbe leso il non ancora maturo frutto del proprio corpo, e quindi, non essendo il frutto staccato dalla persona matrice dello stesso, avrebbe finito per ledere se stessa, con violazione del divieto di cui all’articolo 5. Una interpretazione, questa, davvero analogistica con la disciplina giuridica della res, e antitetica all’autodeterminazionismo, oltre che - prima ancora - schematica, subordinatrice delle ragioni del diritto del mondo alle dommatiche del mondo del diritto, per come questo illo tempore si manifestava agli occhi dell’interprete tradizionale.

L’articolo 6 Codice Civile, poi, statuisce che ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito; il secondo comma specifica che nel nome si comprendono il prenome e il cognome. Il terzo comma dispone che non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati; si pensi a tal riguardo all’articolo 89 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000 sull’ordinamento dello stato civile. Insieme al nome anche il nomignolo è protetto, secondo la giurisprudenza. Ai sensi dell’articolo 9 Codice Civile, comunque, risulta estesa la tutela allo pseudonimo: lo pseudonimo, usato da una persona in modo che ne abbia acquisito l’importanza del nome, può essere tutelato ai sensi dell’articolo 7. Tale ultimo articolo, invero, appresta due forme di tutela al diritto della personalità sotto il profilo del diritto al nome: l’azione di reclamo e l’azione di usurpazione. L’azione di reclamo risulta esperibile se viene contestata la legittimità dell’utilizzo del nome, e secondo una parte della giurisprudenza anche in caso di molestie di fatto in tal senso; secondo chi qui scrive sarebbe una sorta di actio negatoria nominis personae, a voler parafrasare parallelisticamente la protezione apprestata dall’ordinamento iure privatorum alla proprietà privata ai sensi dell’articolo 949 Codice Civile. Il parallelo sarebbe così effettuato tra la dimensione patrimonialistica, nella quale viene a risolversi la tutela non in forma specifica ma risarcitoria, postuma al danno, ex articolo 2043 Codice Civile in termini difficilmente monetizzabili ma comunque usualmente monetizzati secondo parametri e tabelle d’uso giurisprudenziale. Coi diritti della personalità di cui agli articoli 6 e seguenti del Codice Civile, distinti concettualmente ma avvinti unitariamente all’essere unum ed unico della persona nel suo esistere relazionale in un hic et nunc determinato, si è invero nel settore delle garanzie personologico-nominalistiche, a protezione non di mere identificazioni erga omnes, bensì di un vero e proprio diritto alla identità personale dell’individuo.

L’azione di usurpazione, poi, è esperibile per un abusivo ed illegittimo utilizzo del proprio nome con presenza di un pregiudizio dannoso, causalmente riconducibile all’abuso medesimo; si potrebbe pertanto salutare questa duplice forma di tutela del nome con un parallelismo equazionale: l’azione di reclamo a tutela del proprio nome sta all’azione petitoria negatoria, come l’azione di usurpazione sta all’azione rivendicatoria; con i dovuti discernimenti per via della differente natura dell’oggetto di tali forme di tutela, personologiche in senso stretto (quelle sul nome) ,e reali-dominicali quali proiezioni personologiche delle sicurezze abitative ed economiche della persona fisica o anche giuridica proprietaria (azioni reali ad eventuale valenza personologica).

L’articolo 8 Codice Civile, comunque, statuisce che nel caso contemplato dall’articolo 7, l’azione può essere promossa anche da chi, pur non portando il nome contestato o indebitamente usato, abbia alla tutela del nome un interesse fondato su ragioni familiari degne d’esser protette. Il familiare agisce quindi a tutela del soggetto defunto sì, ma, a rigore, fondando il proprio diritto d’azione sul proprio interesse riflesso.

L’articolo 10 appresta una tutela dall’abuso dell’immagine altrui. L’immagine attiene ad una dimensione prettamente personologica non patrimoniale, ma può essere un bene giuridico patrimonialmente sfruttabile, previo consenso espresso o tacito, sempre revocabile.

Il diritto all’immagine, seppur distinto nella propria autonomia concettuale, può legarsi ai diritti dell’onore, della reputazione, ed anche al riserbo negli spazi in cui il soggetto può ancora goderne. La dignità, presente in più punti della Carta costituzionale (ad esempio nell’articolo 36) ed anche nella legislazione codicistica (si pensi ad esempio alla disciplina lavoristica), rappresenta l’in-sé del diritto della personalità e penetra in tutti i versanti dei cc.dd. diritti personalissimi.

Si pensi, ancora, al diritto alla riservatezza, dapprima rintracciabile in seno alla legislazione costituzionale e codicistica tradizionale soltanto attraverso il sapiente utilizzo dei principi della logica, e al contempo della sociologia, nella interpretazione dei diritti inalienabili dell’uomo; poi sacralizzato attraverso procedimenti specifici e attraverso l’istituzione della figura del c.d. “Garante della privacy”, trova oggi la propria compiuta - e sempre in fieri - disciplina nel c.d. codice della privacy, Decreto Legislativo n. 196/2003. Anche la legge sul diritto d’autore, Legge n. 633/1941, a rigore, appresta una disciplina protettiva nei confronti della personalità dell’autore attraverso il riconoscimento del valore poietico singolare e originale dell’autorato. Le opere dell’ingegno della persona sono non soltanto proiezione della persona nella dimensione della vita, ma realizzazione e approfondimento dello spirito della persona medesima. L’opera dell’ingegno viene qualificata come oggetto di specifica tutela anche in attività inerenti alle tecnologie dello spazio cibernetico; si pensi a tal riguardo alla legislazione c.d. speciale di cui al codice della proprietà industriale, di cui al Decreto Legislativo n. 30/2005.

La protezione della persona si riscontra anche nell’entroterra funzionalizzato della apparentemente contrapposta dimensione patrimonialistica avente ad oggetto diritti immobiliari e fondiari “in surplus”: si pensi alla Legge n. 379/1978 sull’equo canone e sulle locazioni a tutela del soggetto locatario che cerca abitazione ove svolgere la propria dimensione esistenziale primaria.

Malgrado il c.d. Testo Unico Finanziario (Decreto Legislativo n. 58/1998) e il c.d. Codice del consumo (Decreto Legislativo n. 206/2005) siano primariamente orientati alla tutela della libera concorrenza del mercato unico europeo, crescente si fa il ruolo della persona nel mercato e nel sistema creditizio e bancario, anche attraverso le Autorità amministrative cc.dd. indipendenti e attraverso l’ausilio ermeneutico specifico e pregnante della giurisprudenza europea e nazionale.

La persona risulta essere il primum movens ordinamentale, origine e punto di incontro delle normative tutte del sistema giuridico, poiché essa è origine di tutte le sovrastrutture della civiltà che l’essere umano ha (più o meno) organizzato nel tempo. La persona - e il suo benessere -  rappresenta, in fin dei conti, pure il fine ultimo di ogni attività legislativa, amministrativa, giudiziale.

4. Persona quale categoria dell’io disegoisticizzato e ordinamento: profili pubblicistici

Un Ente sociale di diritto di ispirazione personologica non può non tener conto del volere dei propri cittadini-esseri umani e, quindi, non può ridurre sempre la struttura della fenomenologia poietica della volontà generale in un finzionistico e astratto io-comune, o io-generale, di rousseauiana memoria. La persona entra nel momento poietico dell’ordinamento e lo fa anche in modo non indiretto, o (in positivo) estrinsecamente diretto: si pensi all’istituto costituzionale del referendum.

L’articolo 75 della Costituzione del ‘48  sancisce che “È indetto referendum popolare per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del referendum”. La Corte Costituzionale ha affrontato più volte la tematica dei cc.dd. limiti impliciti alla ammissibilità dello strumento referendario abrogativo. Anche la letteratura specialistica e le istanze politologiche della società civile si sono spese per far calzare intorno ad uno strumento di tale effettualità politica una (auspicabilmente) adeguata riflessione. L’indagine intorno al referendum abrogativo, tuttavia, non può prescindere dalla vocazione personologica del nostro ordinamento: il referendum non può esser letto soltanto in senso strettamente politico, ma prima di tutto deve essere inserito nella dimensione della cultura socio-personologica. Si ricordi che esistono anche strumenti referendari negli Statuti degli enti pubblici territoriali, si pensi al referendum comunale. Vi sono delle correnti che auspicano l’abolizione del c.d. quorum referendario, visto come lassistico limite alla sfera di intervento del cittadino nel dominio della cosa pubblica.

Restando in una dimensione soltanto locale, come quella comunale, e quindi agoratica, o meta-agoratica più o meno estesa, a proposito della abolizione del quorum referendario comunale, potrebbero farsi le seguenti osservazioni, ovviamente falsificabili.

Conducendo la mente al principio di cui all’articolo 1, comma 2, prima parte, Costituzione sulla appartenenza della sovranità al popolo, e conseguentemente recando il pensiero al concetto costituzionalmente contestualizzato e soppesato di popolo e a quello di esercizio della sovranità, come strutturato e conformato già ai sensi della seconda parte di quel comma secondo dell’articolo 1 anzidetto, si potrebbe propendere per una visione “conservatrice” e cautelare della democrazia, coi suoi pesi e contrappesi (i tanto decantati checks and balances) persino negli strumenti - solitamente temperati - di democrazia c.d. diretta. Ma potrebbe registrarsi pure un’esigenza logica di accostarsi, con uno speranziero sorriso, alle costruttive riflessioni di orientamento propulsivo finalizzate alla fondazione di una società di cittadini agenti attivi: ciò non in “ragione” di cattivi umori registrati a fronte delle sconfitte di importanti prove referendarie di tipo ambientalistico e antilobbistico, quindi pro-antitrust (si pensi al referendum dell’aprile 2016), né per i detestabili giochetti sottobanco della dirty policy, e quindi non per fattori induttivi o peggio ancora per mere distorsioni civico-emotive, bensì per deduzioni, perché i meccanismi decisionali popolari diretti non possono continuare a sortire una disparità di trattamento rispetto alle ordinarie - ed anzi basiche - discipline decisionali delle entità collettive di tipo politico, tolte le eccezioni di materia, e le discipline cc.dd. aggravate anche per necessità.

Un Ente personologico non può disinteressarsi dei germi del malessere degli essere umani che sono presenti nel proprio territorio, e la questione personologica può specializzarsi in connessione alla questione del pacifismo internazionale realista. La persona ha diritto a vivere in un territorio le cui istituzioni disciplinino il reale, e agiscano, in adesione proporzionale alla urgente necessità di pace, locale e globale, nella gestione dei rapporti con gli altri Enti del panorama effettivamente esistente sul piano internazionale.

L’Ente personologico generale, la comunità internazionale di liberi, eguali e razionali, almeno nel progetto tendenziale del libero sviluppo nelle pari opportunità e all’insegna delle diversità quali patrimoni di ricchezze culturali irrinunciabili, non dovrebbe vivere il senso del proprio esistere attraverso le inconsistenze di un laissez-faire piegato alle logiche opportunistiche del mercato bellico e degli armamenti. Così i legislatori degli Stati che si autodichiarano civili, a tutela della sicurezza, non dovrebbero permettere l’incremento delle armi verso Paesi poco raccomandabili, di fatto, sullo scenario internazionale. Esistono, infatti, dei divieti. Ci sono ulteriori istanze, nella società civile, che sulla base di monitoraggi continui tendono, con la cultura e con lo sviluppo della dimensione sapienziale della conoscenza, ad indebolire la miopia della sottocultura che si pone alla base dell’inetico profitto bellico degli armamenti di fatto cedibili ergaomnes’.

A livello di similitudine logico-qualificativa, potrebbe chiedersi se i legislatori autodichiarantisi civili, in tali delicatissimi campi del diritto internazionale e del diritto mercatorio, e quindi in siffatti campi della scacchiera politica internazionale, agiscono perseguendo un falso equilibrio di Nash - in cui i “giuocatori” non hanno interesse alcuno a muovere i già mossi pezzi mobili del decisionismo fatale della scacchiera - o seguendo il fumus d’un crudele ottimo paretiano della classe bellico-industriale. 

Sul versante dei traffici anti-personologici internazionali, poi, le speculazioni purtroppo giungono ad interessare l’antigiuridico know-how e i bilanci delle mafie, le quali vivono attraverso la gestione e i dirottamenti degli ordinari tragitti del denaro.

Quando il popolo, raggiunta la civica coscienza opportuna al vero vivere associato, coinciderà esso stesso con l’istituzione ordinamentale - che sia lo Stato, l’Unione Europea, e/o una organizzazione universale giusfraternizzata e giusfraternizzante nel rispetto dei valori universali comuni, e all’insegna della stima per le belle diversità autoctone dei vari luoghi del pianeta - le tipologie di mafie ancora oggi attive non avranno più fiato: saranno sepolte dal decorso degli eventi storici che dobbiamo apprestarci a vivere nell’ancora lungo cammino per un’onesta cittadinanza libera che pretenda da sé un futuro presente pulito, personologicamente puro, e purificato in senso personologico.

Ma davvero ci stiamo dirigendo verso questi virtuosismi sì bene conoscibili alla teoretica?

La sfiducia nella struttura della democrazia nell’era del clicca-e-via (e del clicca-e-così-sia) ha generato un depauperamento dei luoghi tecnici e volontaristici della democrazia, il partito e il movimento dei cittadini organizzati insieme ai (e nei) partiti. Le soluzioni tecniche propinateci nell’era di una paventata tecnocrazia hanno deluso le ragionevolezze su cui si basa il nostro stare insieme in società. Occorre rivalutare il ruolo delle alleanze. Ma occorre farlo propinando contenuti, irrinunciabili perché richiesti e sentiti effettivamente dai cittadini. Si deve riprendere la storia per mano, e ricostruire una identità entificabile - diversa dalle identità dei trascorsi - che sappia essere una forza progressista, ma che rinunci al sentirsi tale in quanto assiologicamente auto-battezzatasi come tale.

Sopra si è fatto riferimento alla tecnocrazia, ma non in generale. Non deve essere intesa, la anzidetta critica alle modalità del tecnicismo reale, come rinuncia al dato tecnico, anzi la scienza e la dimensione sapienziale devono garantire la ricerca euristica di soluzioni appropriate, le quali, sicuramente, devono anche essere comprensibili e volontariamente determinate nonché condivise dalla generalità dei consociati. Si pensi, così, alla martoriata Taranto, dove se si applicassero i saperi scientifici e coi dati alla mano, si perverrebbe al concepimento di soluzioni politiche e finanziarie appropriate a garantire la vita e la salute. Vita e salute sono elementi che imprescindibilmente entrano nel pacchetto mobile delle assiologie nomiche del diritto personologico.

Se la vocazione generale deve irrobustirsi per poter accogliere adeguatamente, e con equilibrio, la chiamata dell’io alle auspicabili nonviolente armi del logos, non può che perforarsi - già sul piano di mentalità individuale e comune - il “velo di Maya” dell’indifferenza e della statolatria, pervenendo ad una palingenesi fondativamente costituita dal quotidiano sforzo di ricerca, da parte di esseri che non s’accontentino di una scarsa razionalità deragionevolizzata.

Il cerebro-boxersofo individua per aree problematiche d’interesse le geografie delle proprie azioni sociali, senza discriminazioni di patria alcuna, se non il potenziale ovunque. Scelta e rinunzie: volti della medesima medaglia.

ABSTRACT (IN ITALIANO): La tematica dei diritti della persona e della personalità necessita di una trattazione generale e breve che la canalizzi in un’ottica sistemica. Le relazioni gnoseologiche tra il diritto civile e il diritto pubblico, e tra i testi normativi dei diversi rami dell’ordinamento giuridico diventano un punto di partenza e non un semplice punto di arrivo nella riflessione sul diritto di uno Stato personologico. Il seguente lavoro propone una interpretazione dei diritti della persona partendo da una base epistemologica sulla conformazione dell’io nel suo rapporto con il dover essere, le istituzioni, il web. Parlare di embrione, maternità, tutela del nome e dell’identità dei soggetti, di pace e sicurezza, di ecologia e scienza, di tecnicismo giudico e di neocostituzionalismo costituisce uno spunto per sistemare le basi di un programma scientifico che possa supportare il giurista teorico e il pratico del diritto nei propri percorsi di logica e argomentazione forense.

ABSTRACT (IN ENGLISH): The issue of Human Person and Personality Rights requires a general and short treatment that canalizes this topic into a systemic point of view. Cognitive relations between Civil Law and Public Law, and among legal texts about different legal order branches become a starting and not a simply arrival point for the reflections about the legal system of a State that protects Person and Personality. The following work proposes an interpretation of Person Rights starting from an epistemological base where it’s need to consider Human Ego and its connection with Duty, Institutions, Web dimensions. Talk about embryo, maternity, legal protection of name and subjects’ identity, about peace and security, about ecology and science, about the legal technicality and about the new constitutionalism is a starting point to fix the bases of a scientific program which can support the theoretical and practical jurist, during its logic paths and forensic argumentation.

 

SOMMARIO: 1. Prospetto gnoseologico introduttivo - 2. L’identità individuale e collettiva tra cibernetica e potere - 3. L’io: dalle fonti giuspersonologiche alle forme di tutela - 4. Persona quale categoria dell’io disegoisticizzato e ordinamento: profili pubblicistici

 

1. Prospetto gnoseologico introduttivo

Per poter discorrere di principi personologici occorre avere un quadro generale del problema della individuazione dell’oggetto, o meglio, del termine subiettivo oggetto di tutela nomo-ordinamentale.

Occorre, pertanto, partire “sic et simpliciter” dalla presa di coscienza del problema della dimensione ontica dell’io, e della sua fenomenologia, per poi passare al problema della soppesata e idonea dimensione di un dover essere teleologicamente funzionalizzato alla tutela viva - attraverso delle forme di protezione - dell’essere.

Per poter effettuare un’analisi di ermeneutica normativa, sul piano teoretico anticamera della praxis, occorre prima impostare le questioni inerenti alla strutturazione poietica della norma dispositiva in generale. Chi scrive intende discernere dall’ermeneutica normativa la nomica (ramo ed anzi spazio scientifico di studio della dimensione del nomos), e quindi la nomologia, che indaga gli orizzonti intrinseci della norma a partire dagli strumenti cardinali della logica pura. L’ermeneutica normativa, quale interpretazione scientificamente strutturata e diretta al dato oggettivo della disposizione normativa da cui viene ricavata la norma, come già detto, appunto, parte dal dato nomico in senso stretto, in particolare dal greggio letterale di esso, e giunge attraverso l’ausilio degli strumenti logici, spiegati in campo dopo quelli propri della cognitività, al risultato in sé e per sé positivistico-dispositivo in senso legale.

Quanto più l’ermeneutica normativa ha ad oggetto disposizioni letterali con un grado di polivalenza semantica sopra lo zero nel senso della comune significanza linguistica, tanto più si farà utile l’ausilio degli strumenti logici puri, e quindi l’intervento - e talvolta anche l’invasività valutativa e ortopedicizzante - della ermeneutica medesima.

Così, ritornando propedeuticamente al distinguo tra nomica o nomologia ed ermeneutica normativa, o anche ermeneutica nomica (o nomologica), qualora si registri la necessarietà dell’intervento operativo della scienza interpretativa fondata su elementi di logica pura, si può concludere affermando che la nomica si occupa delle norme (già inquadrabili quali risultanti dell’attività ermeneutica), e sulle stesse costruisce indagini logiche di qualificazione a livello di teoria generale del diritto, utili alla tenuta sistemico-categoriale dei formanti concettuali dell’ordinamento o anche dei microsistemi normativi; la nomica si pone rispetto alla logica pura in un rapporto di consostanzialità (i principi della logica pura, come identità, non contraddizione e terzo escluso, a rigore, sono intrinsecati al campo nomologico della qualificazione nomica in senso astratto). Per l’ermeneutica la logica è uno strumento che trova ingresso nell’entroterra operativo, appunto interpretativo, ma non giunge sino alle fondamenta ontiche. Logica pura e nomologia, senza dubbio, sono distinguibili, dato che la seconda risulta essere spazio oggettivamente specificato della prima: l’oggetto è il nomos nella sua astrattezza, sempre utile ai percorsi di ricerca finalizzati alle argomentazioni della pratica forense. Se oggetto di questo ramo scientifico è una norma y, nel proprio significato specifico, il significato siffatto costituisce non il mero oggetto, bensì il contenuto specifico.

2. L’identità individuale e collettiva tra cibernetica e potere

L’identità astraibile dalla giuspersonologia è un concetto fenomenico - prima che giuridico - di natura ibrida, subiettivo-obiettiva, ma anche una vera e propria categoria ontologica, primaria ma complessa. La fenomenologia dell’identità si sviluppa insieme alle dialettiche appercettive e percettive del cogitare. L’io come io-identità appare un microcosmo fluido in perenne espansione, trans-ontologico, in cui i fattori sociali (anche quelli giuridico-imperativi), ambientali, biologici, tecnologici conformano dialetticamente il prospetto dell’essere.

In una appena nata società di massa occorreva riflettere sul dissolvimento dell’io, nel suo nucleo ontico effettivo, tra le fenomeniche e i neologismi logici di un apparato costitutivamente sovrastrutturalizzato, e funzionalizzato ad effetti sovrastrutturalizzanti; e ancora, sulla spersonalizzazione dell’individuo, il quale, tra potere centralizzato e oligopoli economici, si amalgamava e si disperdeva nella massa. Questa, purtuttavia, rappresentava un humus in cui si declinavano nuovi paradigmi partecipativi, come i partiti di massa. In una società in cui le forme di produzione erano strutturate tayloristicamente sull’ausilio della tecnologia, poi, forte si faceva la necessità di indagare su alienazione, reificazione e mercificazione.

L’io e il non-io fichtiani, l’io generale rousseauiano, l’homo oeconomicus e l’homo novum poliedrico marxiani, nella società dei social networks, vanno ripensati e riposizionati nelle (e attraverso le) dimensioni ultronee del tempo contemporaneo, troppo avvinto a consumistici neoformalismi di protezione che, come le logiche del benessere inconsistente o meramente efficientistico e deteleologicizzato, strutturano la persistenza semi-evolutiva del mercato.

Una indagine sulla categoria di identità deve partire dall’osservazione ontologica e rifondativamente critica del concetto di essere, individuale e sociale; tale riflessione isolerebbe possibili basi gnoseologiche, falsificabili, in funzione dell’indagine successiva, positivistica, sulla natura di diritto assoluto, alienabile o non alienabile, nonché sulla struttura dei diritti della personalità, e delle loro forme di tutela viva, nei vari formanti istituzionali del sistema nomologico: la persona nella proprietà, nell’azienda, nel mercato, nella contrattualistica; nella retribuzione e nelle deterrenze criminologiche, nella rieducazione e risocializzazione penalistiche; nella Repubblica costituita da Comuni, Province (forse ancora per poco), Città metropolitane e Stato, nelle forme partecipative della volontà legislativa.

L’identità diviene essa stessa spazio identitario a più dimensioni, o si riqualifica soltanto attraverso le finzioni giuridiche che le conferiscono peso e convenzionale misura, rilevanza e tutela negli spazi di varia natura, anche cibernetica?

Una indagine sulla fisiologia delle nuove spiagge ontologiche dell’identità personale, complesse ed evanescenti poiché sempre in fieri, da un lato, ma anche formalizzabili nonché gestibili sempre più attraverso gli strumenti di dominio dello spazio cibernetico omologante, dall’altro lato, poi, non può sottrarsi allo scrutinio dinamico del nucleo conoscitivo del problema nel suo versante patologico: le distorsioni tra identità naturale e identità cibernetico-finzionistica; le distorsioni tra identità individuale e identità di gruppo, nelle loro disparate combinazioni. Tra queste, a rigore, si pensi al rapporto qualitativamente distorsivo tra io effettivo, o meglio, materiale - qual è l’effettivo? - e gruppo collettivo materiale, ossia tra io e formazione sociale realizzativa della persona (in quale sua versione identitaria?); e ancora, tra identità individuale materiale e identità del gruppo cibernetico (forum, gruppi di social network, indagando anche sul grado di sussumibilità di questi nel concetto di formazione sociale riconosciuta e garantita dalle Carte fondamentali, anche interne); tra identità individuale cibernetica e identità di gruppo collettivo materiale (si pensi al rapporto tra il contenuto personologico della pagina facebook del politico Taldeitali con l’ethos dei circoli partitici delle città e dei paesi); tra identità dell’io dispiegato nella dimensione cibernetica e identità delle alquanto iper-mobili formazioni sociali del cyber space.

L’osservazione non s’arresta nella attestazione eventuale delle distorsioni anzidette, tipiche dello spazio vacante e vacuo tra i contenuti delle diverse dimensioni in cui dimora e si sviluppa, socializza e si monadizza l’essere, e quindi nella presa d’atto dei cortocircuiti identitari individuali e collettivi. Un’attività di osservazione pura, propedeutica ad una nomologia effettivamente corrispondente all’essente e capace di fronteggiare i problemi emergenti nella dimensione del de jure condendo, a rigore, deve confrontarsi con l’assetto organizzativo, le funzioni e l’evoluzione del potere (pubblico, privato ed ibrido), analizzato nelle sue sfumature, tra assolutismo e relativismo.

3. L’io: dalle fonti giuspersonologiche alle forme di tutela

La persona costituisce un valore di per sé. Essa non risulta inquadrabile quale mero centro imputativo di interessi sintetici, bensì, appunto, occorre concepirla come essente personalistico qualificato dalla propria stessa subiettività, nonché, ai fini della ricostruzione della ratio dei cc.dd. diritti della personalità, come valore in sé.

Lo Stato, pubblico ente territoriale non economico, non preesiste né nomo-assiologicamente né storicamente, e quindi fenomenicamente, al centro subiettivo pulsante, titolare di diritti affini e calzanti alle esigenze del proprio sviluppo e della propria vicenda esistenziale uti singulo, e nelle formazioni antropico-sociali. L’avvicendamento dei modelli statuali si è dimensionato sulla necessità di affinare e garantire la pienezza del riconoscimento e della tutela della persona; ed ecco che il modello dello Stato di diritto, adagiato istituzionalmente sul concetto di uguaglianza in senso formale, ha progressivamente incamerato le esigenze tipiche della dimensione sociale con gli strumenti welfariani e socialmente garantistici dello Stato sociale diritto. L’ennesima evoluzione, sempre in fieri nel suo incedere di progressivo riconoscimento al passo con il pure progressivo avvicendarsi delle esigenze sottese alla vita associata, mostra la propria schiettezza nella propensione alla dimensione personologica della statualità e, più in generale, della istituzionalità.

Dopo un’analisi sistemica della Carta costituzionale italiana del 1948, a rigore, si potrà osservare come alcuni valori, divenuti principi giuridici generali, miliari e dirimenti nelle attività decisionali, ed anche apparentemente antinomici, talvolta, in alcuni profili del loro sviluppo storico, vengono riletti e ricuciti nella loro dinamica convivenza sinergica attraverso la ermeneutica nomologica personologicamente vocata. Si pensi, ad esempio, al principio di eguaglianza sostanziale di cui al secondo comma dell’articolo 3 Costituzione, e al principio di libertà economica, di cui all’articolo 41, comma 1, Costituzione. Essi, da un lato, vengono composti, nella loro potenziale portata applicativa concreta e specifica, attraverso la qualificazione solidaristica del fine dei rapporti giuridici soggettivi in cui si perpetuano, e si confrontano, le disparate esigenze in tensione delle posizioni soggettive dei diversi consociati nella dimensione iure privatorum, e quindi attraverso la espressa statuizione della funzione sociale della proprietà e della sua accessibilità a tutti, nonché attraverso il divieto di svolgimento della libera iniziativa economica privata in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. D’altro canto, tuttavia, dato il carattere più che altro di limite - e non di vocazione dominante - della conduzione socializzata e socializzante della libera impresa nel libero mercato concorrenziale, e della stessa proprietà attraverso cui si sviluppa l’impresa stessa, il complesso incastro tra valori, oltre che prodotto del contemperamento caso per caso, viene risolto, in modo comunque sempre aperto, attraverso il rinvio al basico carattere personologico-lavoristico della Repubblica, sacralizzato in seno alla Carta costituzionale del ’48. In ragion di ciò, appunto, la persona come valore in sé, e i vari formanti specifici delle assiologie prospettiche del neocostituzionalismo evolutivo, nonché i beni giuridici di matrice subiettivistica intrinseci allo statuto ontologico della persona medesima, costituiscono il primum movens normativo, e il perno giuridico-culturale intorno al quale s’avviluppa la vicenda nomologica della dimensione patrimoniale.

L’ordinamento giuridico in una visione olistica, o comunque non frantumata, non può esser diviso in un ordinamento pubblicistico e in uno privatistico, separato e soltanto comunicante col primo. La dottrina più evoluta a tal riguardo non risulta atrofizzata in una summa divisio tra diritto pubblico e diritto privato, infatti; e ciò si può facilmente apprezzare anzitutto per la struttura concettuale stessa della persona in seno alle maglie della rinnovata dogmatica dei diritti nei suoi diversi frangenti, e nelle sue presupposte dimensioni oggetto di positivizzazione.

Le forme giuridiche di tutela, sotto i profili penalistico di c.d. extrema ratio ordinamentale, amministrativistico e civilistico, rientrano in un unico - più generale - entroterra garantistico affine alle vocazioni personologiche della più accreditata ermeneutica costituzionale. Tali forme di tutela, a rigore, sono presenti trasversalmente nei settori tipicamente privatistico-civilistici, da un lato, e nelle Carte internazionali, dichiarazioni e trattati, oltre che, come anzidetto, nelle Carte costituzionali, e quindi nelle culture giuridiche dei singoli Stati.

Se la persona è posta la centro dell’assiologia normativa sotto i diversi e (sistemicamente) unificabili piani del ius, occorre preliminarmente inquadrare l’essenza della persona, e quindi accingersi a definirne i contorni e le qualità caratterizzanti, a livello di semantica giuridica e a livello di rilevanza strettamente positiva nell’ordinamento.

Il concetto di persona si distingue da quello di essere umano, si distingue da quello di cittadino, eppure entrambi - soprattutto il primo - li comprende e li qualifica ulteriormente. Nel diritto civile si discorre di persona fisica e di persona giuridica o ente morale nella nominalistica della tradizione. L’articolo 1 Codice Civile sancisce che l’acquisizione della capacità giuridica si realizza al momento fenomenico della nascita. Una volta acquisita, la capacità giuridica non può essere sottratta; nessuno, infatti, può essere privato, per motivi politici (articolo 22 Costituzione), della capacità giuridica, della cittadinanza e del nome, elemento giuridico - quest’ultimo - identificativo non soltanto dinanzi alla generalità dei consociati e nei confronti dello Stato per adempiere ad un vago e vetusto concetto di ordine pubblico, sempre comunque utile funzionalmente alla stabilità e alla sicurezza, ma anche e anzitutto elemento giuridico co-predicativo dell’identità personale del soggetto. Anche gli enti morali, condotti e amministrati da persone fisiche aggregate, o anche singolarmente nella sinergia relazionale con gli altri soggetti (si pensi alla c.d. società unipersonale di nuovo conio), hanno un diritto al nome e godono di diverse tutele riconosciute alla persona, intesa precipuamente quale essere umano subiettivo. Cogito ergo persona sum, verrebbe da proferire in modo sinteticamente solenne, e indicativo.

I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati (quindi condizionati sospensivamente, si potrebbe intendere) all’evento fisico della nascita. E da questo assunto della normativa - quindi convenzionale in senso giuridico e non soltanto logico - può iniziare, in connessione ai principi costituzionali e del diritto sovranazionale, una indagine ontologico-qualificativa, propedeutica alla edificazione di uno statuto giuridico per l’embrione. Quest’ultimo potrebbe esser visto come persona in formazione, o in realtà “soltanto” come individuo, essere umano in formazione progressiva e quindi come persona in potenza, nel suo potenziale attualizzarsi appunto: non come persona in formazione, dato che il formarsi in personam implica l’esserci già in status personae; tranne se la scienza non chiarirà in modo pregnantemente rigoroso - e purtuttavia sempre falsificabile, ovviamente - la incidenza sull’embrione dei fattori sociali costitutivamente personalizzanti ed esterni alla vita intrauterina, non di alcuni generici fattori bensì degli specifici e complessi fattori sociali che dalla nascita in poi di un individuo inseriscono lo stesso nel collante comunitario che va oltre la piccola formazione sociale della famiglia.

In realtà e a rigore lo Stato protegge il nascituro concepito sotto diversi aspetti, insieme e non separatamente rispetto alla maternità, ma da qui a concepire il nascituro concepito ancora embrione come persona passa di mezzo la problematica dei diritti specifici dell’embrione in quanto persona, e della loro azionabilità (il diritto a non nascere se non sani, di matrice pretoria, è stato sconfessato dalla medesima giurisprudenza di legittimità). Il concetto di persona, infatti, non coincide con quello di essere umano, che lo precede a livello logico se non fenomenologico, dato che ai sensi dell’anzidetto articolo 1 del Codice Civile la capacità giuridica si acquisisce al momento e attraverso l’evento della nascita. In questa concezione, alquanto tradizionale malgrado laica e neutrale nonché descrittiva, viene ad analogicizzarsi la formula normativa della capacità con quella della persona, entrambe non definite, ma lasciate alla applicazione dei giuristi pratici previa identificazione di tali complessi concetti, immersi nel divenire filosofico-antropologico e sociologico del pensiero corrente.

Nel discorrere di persona e di tutela della stessa, poi, occorre menzionare la protezione ordinamentale della dignitas et libertas delle persone nelle interrelazioni sociali che scadono dalla sfera fisiologica a quella patologica.

Lontani dalle aberranti o comunque vetuste distinzioni qualitative tra esseri umani persone ed esseri umani non persone, quindi res, tipiche di età giuridiche di molto risalenti e rientranti nel diritto romano precedente alla tradizione romanistica protrattasi fino al secolo XIX, il Codice Penale appresta una tutela alla persona dalle forme di schiavitù nelle quali purtroppo le distorsioni antropiche la relegano per trarre illeciti ed ingiusti profitti, e/o per via di perversioni ingiustificabili della umana mente.

Una siffatta tutela da forme distorte di mortificazione dell’essere umano e di vanificazione dello statuto ufficiale della persona nell’ordinamento giuridico, così, rappresenta lo specchio di una società in cui ancor forte occorre quindi ribadire il distinguo ontologico tra la persona e la res. Tale discernimento poi risulta funzionale allo studio del rapporto tra titolare di un diritto e oggetto della titolarità: nel caso dei diritti della personalità il centro subiettivo imputativo della titolarità coincide con l’oggetto del proprio personalissimo esercizio di tale condizione e posizione di titolarità esclusiva, inalienabile, irrinunciabile, assoluta e imprescrittibile nella propria tutela inibitoria dai comportamenti lesivi e offensivi. Mentre nel rapporto tra persone e res la cosa forma oggetto della relazione in quanto i punti della relazione medesima risultano distinti non soltanto sul piano logico bensì pure su quello fenomenico (materiale o immateriale che sia il bene concreto oggetto del diritto che riconosce e regola la relazione), per i diritti della persona il soggetto esercita i diritti indisponibili e inalienabili del proprio di dentro, e del proprio in-sé, il soggetto cioè esercita i diritti che rappresentano dei formanti del medesimo proprio essere subiettivo, nella propria unica e irripetibile pregnanza esistenziale, e nella propria vita, psicofisica o ‘soltanto’ giuridica (nel caso degli enti).

Per quanto concerne più da vicino le fonti del diritto ove poter ritrovare le dimensioni della persona protette da riconoscimenti, garanzie e forme specifiche di tutela, occorre anzitutto soffermarsi sulla Costituzione italiana. Questa, al primo comma del primo articolo, fonda la Repubblica democratica sul lavoro. Il lavoro come forma di partecipazione della persona alla vita della res publica, e quindi allo svolgimento realizzativo della democrazia come valore di condivisione di valori comuni nelle pluralità di visioni ed esigenze particolari, rappresenta concettualmente e praticamente un elemento tipico della dimensione personologica. Il lavoro in astratto deve essere realizzativo della persona come singola e nelle formazioni sociali (articolo 2 Costituzione), e deve essere frutto di scelta (articolo 4, comma 2, Costituzione), teleologicamente orientato al progresso materiale e spirituale dell’intima dimensione della persona nella sua ricerca interiore e nella sua tensione continua al benessere attraverso l’esercizio propositivo delle libertà. A proposito di libertà, strettamente inerenti alla sfera privata trasversale alla capacità pubblica di essere riconosciuti e protetti, si vedano le specificazioni della libertà della persona: si pensi, ad esempio, alla libertà di pensiero e quindi alla libertà religiosa o comunque di concezione filosofico-spirituale ai sensi dell’articolo 8, comma 1, Costituzione, che si riferisce a “tutte le confessioni religiose”.

Sul piano dei diritti della personalità inerenti alla protezione dei diritti umani, si pensi alla condizione giuridica dello straniero, regolata dagli strumenti internazionali che entrano sotto la copertura costituzionale ex articolo 10, comma 2, Costituzione, neutralizzando la portata restrittiva e vetusta - antipersonologica - di cui al precedente e gerarchicamente sottordinato articolo 16 delle cc.dd. Preleggi, leit-motiv nomologico di una anacronistica condizione di reciprocità, recessiva già di fronte alla Legge (ordinaria) n. 218/1999 sul diritto internazionale privato.

Nello specifico versante dei rapporti civili, e quindi, in quelli che tradizionalmente afferiscono alla settorializzazione dell’ordinamento giuridico dei privati, si ponga uno sguardo analitico alla interna Parte I della Costituzione, avente ad oggetto dispositivo, programmatico e precettivo in senso stretto, i cardini giuridici sui diritti e doveri dei cittadini, nei rapporti civili (Titolo I), nei rapporti etico-sociali (Titolo II), in quelli economici (Titolo III), in quelli politici (Titolo IV).

Sul piano delle fonti del diritto della personalità, descritto nei suoi vari frangenti esistenziali dei diritti personalissimi (concezione monista), o comunque, per quel che concerne le piattaforme positivizzate del riconoscimento della sommatoria dei puntuali diritti della persona (principio di frammentarietà della concezione atomistica meno progressista), si ricordi la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. E ancora, la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali del 1950, ratificata dallo Stato italiano con Legge n. 848 del 1955; la c.d. Carta di Nizza del dicembre del 2000, sui diritti fondamentali dell’Unione Europea; il Trattato di Lisbona del 2007, entrato in vigore nel 2009; ma anche e, anzitutto, per il loro portato già da tempo vincolante ai sensi dell’articolo 11 Costituzione, e dopo la Legge Costituzionale n. 3/2001 l’articolo 117, comma 1, Costituzione, i trattati dell’U.E., attualmente Trattato U.E. e Trattato sul Funzionamento dell’U.E.

Tutte queste Carte sacre del diritto costituiscono una sicura base di garanzia per la persona nelle sue disparate sfere esistenziali e nei suoi bisogni primari fondamentali. Così, nei rapporti tra persona e Stato e istituzioni in generale, da un lato, e, volendo restare nel c.d. ordinamento dei privati, nelle relazioni interpersonali iure privatorum, vige una serie di riconoscimenti e garanzie e, conseguentemente, sul piano della effettività, determinate forme adeguate e proporzionate di tutela.

Nella Convenzione EDU, all’articolo 2 si tratta di diritto alla vita, all’articolo 4 del divieto di schiavitù e di lavoro forzato, all’articolo 5 di diritto alla libertà e sicurezza, all’articolo 8 di diritto al rispetto della vita privata familiare, all’articolo 9 di libertà di pensiero, di coscienza e di religione, all’articolo 10 di libertà di espressione, all’articolo 11 di libertà di riunione e di associazione, all’articolo 12 di diritto al matrimonio, all’articolo 14 di divieto di discriminazione, all’articolo 17 di divieto di abuso del diritto, il quale ultimo costituisce invero un portato consequenzialistico del riconoscimento del diritto in una società antropo-fenomenicamente complessa, e organizzata in modo pure complesso, in cui ognuno gode del proprio bagaglio di diritti e posizioni giuridiche proiettabili, ed effettivamente proiettate, nella realtà sociale concreta, ove spesso le condizioni di scarsità delle risorse e di degrado sono il presupposto per il configurarsi di situazioni di abuso e quindi di prevaricazioni, attriti interrelazionali, distorsioni allocative.

Scendendo lungo la linea gerarchica interattiva in una sinergia ermeneutica e contestualizzante le specifiche dimensioni dei diritti inerenti la persona, si analizzi la struttura della garanzia personologica del Codice Civile italiano del 1942, ancora vigente dopo varie stagioni riformistiche ed epoche storico-antropiche alquanto mutevoli nei costumi sociali.

Le clausole generali del buon costume e della buona fede, molto elastiche e cangianti, a volte addirittura camaleontiche, forniscono una spia di apertura al cambiamento nella definizione di alcune sfumature concettuali di elementi gnoseologici presenti nelle meccaniche di fattispecie del diritto c.d. privato. La buona fede, in verità, contribuisce alla oggettivizzazione – in senso empirico-effettivistico - della tutela della persona nel mercato e nei traffici giuridici in generale; il buon costume appresta un aggancio mobile ed elastico alla dignitosa intesa della tutela personologica delle relazioni umane di fronte alla generalità dei consociati; la buona fede, invece, si staglia efficientemente nelle relazioni umane. Il concetto qualificato come “buono”, a rigore, è da intendere ai sensi dell’articolo 3 Costituzione, come letto dalla Corte costituzionale, ossia - anche - nel senso di principio di ragionevolezza, e quindi in connessione alla romanistica che voleva inquadrare il ius in generale come “ars bonum et aequum”.

Entrando nel vivo della dimensione civilistica della tutela personologica, si pensi all’articolo 5 Codice Civile, il quale sancisce che gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume. Ed ecco che ritorna il concetto di buon costume sopra menzionato. Ai sensi della Legge n. 167/2012, in deroga al divieto di cui all’articolo 5 come tradizionalmente inteso, il soggetto è ammesso a disporre a titolo gratuito di parti di polmone, pancreas, intestino al fine esclusivo di trapianto terapeutico tra persone viventi. L’articolo 5 de quo ha sempre aperto disparati dibattiti e momenti di riflessione, da ultimo sulla c.d. eutanasia, tra opinioni contrastanti, le quali giuridicamente devono fare i conti, nell’attuale assetto normativo, con il concetto di morte quale cessazione irreversibile delle funzioni encefaliche (ai sensi e per gli effetti della Legge del 1993 sulla dichiarazione agli atti civili della morte), da un lato, e con le fattispecie penali di cui agli articoli 579 Codice Penale (omicidio del consenziente) e 580 Codice Penale (istigazione o aiuto al suicidio).

Sono rilevanti in tale dimensione del diritto - afferente alle problematiche sottese alla ratio di cui all’articolo 5 Codice Civile - le questioni dei limiti della liceità delle disposizioni dei frutti del proprio corpo: è ammessa la cessione a titolo oneroso di unghie, capelli, latte (il c.d. latte della balia) per il carattere non lesivo e non irreversibile del distacco dal corpo, il quale si rigenera riproducendo quanto sottratto alla dimensione corporea in un dato momento; si pensi però alle questioni sulla donazione del rene, di parte del fegato, del sangue, oggi consentita. E ancora, si pensi alla questione della disposizione del proprio diritto alla sepoltura, e quindi a dove il corpo, privo di vita e di capacità giuridica, potrà essere posto, e con quali modalità (è lecita la cremazione, ad esempio).

Prima della Legge. n. 194/1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza l’articolo 5 era una disposizione normativa che spesso veniva letta soltanto nel suo versante assolutistico-proibitivo: nelle concezioni che già riconoscevano l’embrione come frutto naturale della donna (e non dello Stato o dell’uomo-padre), al di là della categorizzazione dell’embrione nello statuto ontologico della persona umana o in quello dell’essere umano in potenza, e ancora, nella concezione che lo qualificava come mero agglomerato bio-funzionalizzato di cellule umane e quindi come (sola) materia appartenente al corpo della gestante, portatrice di un proprio interesse in primo luogo, piuttosto che quello alla procreazione e alla continuazione della specie, la donna non poteva ledere l’embrione, poiché avrebbe leso il non ancora maturo frutto del proprio corpo, e quindi, non essendo il frutto staccato dalla persona matrice dello stesso, avrebbe finito per ledere se stessa, con violazione del divieto di cui all’articolo 5. Una interpretazione, questa, davvero analogistica con la disciplina giuridica della res, e antitetica all’autodeterminazionismo, oltre che - prima ancora - schematica, subordinatrice delle ragioni del diritto del mondo alle dommatiche del mondo del diritto, per come questo illo tempore si manifestava agli occhi dell’interprete tradizionale.

L’articolo 6 Codice Civile, poi, statuisce che ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito; il secondo comma specifica che nel nome si comprendono il prenome e il cognome. Il terzo comma dispone che non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati; si pensi a tal riguardo all’articolo 89 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000 sull’ordinamento dello stato civile. Insieme al nome anche il nomignolo è protetto, secondo la giurisprudenza. Ai sensi dell’articolo 9 Codice Civile, comunque, risulta estesa la tutela allo pseudonimo: lo pseudonimo, usato da una persona in modo che ne abbia acquisito l’importanza del nome, può essere tutelato ai sensi dell’articolo 7. Tale ultimo articolo, invero, appresta due forme di tutela al diritto della personalità sotto il profilo del diritto al nome: l’azione di reclamo e l’azione di usurpazione. L’azione di reclamo risulta esperibile se viene contestata la legittimità dell’utilizzo del nome, e secondo una parte della giurisprudenza anche in caso di molestie di fatto in tal senso; secondo chi qui scrive sarebbe una sorta di actio negatoria nominis personae, a voler parafrasare parallelisticamente la protezione apprestata dall’ordinamento iure privatorum alla proprietà privata ai sensi dell’articolo 949 Codice Civile. Il parallelo sarebbe così effettuato tra la dimensione patrimonialistica, nella quale viene a risolversi la tutela non in forma specifica ma risarcitoria, postuma al danno, ex articolo 2043 Codice Civile in termini difficilmente monetizzabili ma comunque usualmente monetizzati secondo parametri e tabelle d’uso giurisprudenziale. Coi diritti della personalità di cui agli articoli 6 e seguenti del Codice Civile, distinti concettualmente ma avvinti unitariamente all’essere unum ed unico della persona nel suo esistere relazionale in un hic et nunc determinato, si è invero nel settore delle garanzie personologico-nominalistiche, a protezione non di mere identificazioni erga omnes, bensì di un vero e proprio diritto alla identità personale dell’individuo.

L’azione di usurpazione, poi, è esperibile per un abusivo ed illegittimo utilizzo del proprio nome con presenza di un pregiudizio dannoso, causalmente riconducibile all’abuso medesimo; si potrebbe pertanto salutare questa duplice forma di tutela del nome con un parallelismo equazionale: l’azione di reclamo a tutela del proprio nome sta all’azione petitoria negatoria, come l’azione di usurpazione sta all’azione rivendicatoria; con i dovuti discernimenti per via della differente natura dell’oggetto di tali forme di tutela, personologiche in senso stretto (quelle sul nome) ,e reali-dominicali quali proiezioni personologiche delle sicurezze abitative ed economiche della persona fisica o anche giuridica proprietaria (azioni reali ad eventuale valenza personologica).

L’articolo 8 Codice Civile, comunque, statuisce che nel caso contemplato dall’articolo 7, l’azione può essere promossa anche da chi, pur non portando il nome contestato o indebitamente usato, abbia alla tutela del nome un interesse fondato su ragioni familiari degne d’esser protette. Il familiare agisce quindi a tutela del soggetto defunto sì, ma, a rigore, fondando il proprio diritto d’azione sul proprio interesse riflesso.

L’articolo 10 appresta una tutela dall’abuso dell’immagine altrui. L’immagine attiene ad una dimensione prettamente personologica non patrimoniale, ma può essere un bene giuridico patrimonialmente sfruttabile, previo consenso espresso o tacito, sempre revocabile.

Il diritto all’immagine, seppur distinto nella propria autonomia concettuale, può legarsi ai diritti dell’onore, della reputazione, ed anche al riserbo negli spazi in cui il soggetto può ancora goderne. La dignità, presente in più punti della Carta costituzionale (ad esempio nell’articolo 36) ed anche nella legislazione codicistica (si pensi ad esempio alla disciplina lavoristica), rappresenta l’in-sé del diritto della personalità e penetra in tutti i versanti dei cc.dd. diritti personalissimi.

Si pensi, ancora, al diritto alla riservatezza, dapprima rintracciabile in seno alla legislazione costituzionale e codicistica tradizionale soltanto attraverso il sapiente utilizzo dei principi della logica, e al contempo della sociologia, nella interpretazione dei diritti inalienabili dell’uomo; poi sacralizzato attraverso procedimenti specifici e attraverso l’istituzione della figura del c.d. “Garante della privacy”, trova oggi la propria compiuta - e sempre in fieri - disciplina nel c.d. codice della privacy, Decreto Legislativo n. 196/2003. Anche la legge sul diritto d’autore, Legge n. 633/1941, a rigore, appresta una disciplina protettiva nei confronti della personalità dell’autore attraverso il riconoscimento del valore poietico singolare e originale dell’autorato. Le opere dell’ingegno della persona sono non soltanto proiezione della persona nella dimensione della vita, ma realizzazione e approfondimento dello spirito della persona medesima. L’opera dell’ingegno viene qualificata come oggetto di specifica tutela anche in attività inerenti alle tecnologie dello spazio cibernetico; si pensi a tal riguardo alla legislazione c.d. speciale di cui al codice della proprietà industriale, di cui al Decreto Legislativo n. 30/2005.

La protezione della persona si riscontra anche nell’entroterra funzionalizzato della apparentemente contrapposta dimensione patrimonialistica avente ad oggetto diritti immobiliari e fondiari “in surplus”: si pensi alla Legge n. 379/1978 sull’equo canone e sulle locazioni a tutela del soggetto locatario che cerca abitazione ove svolgere la propria dimensione esistenziale primaria.

Malgrado il c.d. Testo Unico Finanziario (Decreto Legislativo n. 58/1998) e il c.d. Codice del consumo (Decreto Legislativo n. 206/2005) siano primariamente orientati alla tutela della libera concorrenza del mercato unico europeo, crescente si fa il ruolo della persona nel mercato e nel sistema creditizio e bancario, anche attraverso le Autorità amministrative cc.dd. indipendenti e attraverso l’ausilio ermeneutico specifico e pregnante della giurisprudenza europea e nazionale.

La persona risulta essere il primum movens ordinamentale, origine e punto di incontro delle normative tutte del sistema giuridico, poiché essa è origine di tutte le sovrastrutture della civiltà che l’essere umano ha (più o meno) organizzato nel tempo. La persona - e il suo benessere -  rappresenta, in fin dei conti, pure il fine ultimo di ogni attività legislativa, amministrativa, giudiziale.

4. Persona quale categoria dell’io disegoisticizzato e ordinamento: profili pubblicistici

Un Ente sociale di diritto di ispirazione personologica non può non tener conto del volere dei propri cittadini-esseri umani e, quindi, non può ridurre sempre la struttura della fenomenologia poietica della volontà generale in un finzionistico e astratto io-comune, o io-generale, di rousseauiana memoria. La persona entra nel momento poietico dell’ordinamento e lo fa anche in modo non indiretto, o (in positivo) estrinsecamente diretto: si pensi all’istituto costituzionale del referendum.

L’articolo 75 della Costituzione del ‘48  sancisce che “È indetto referendum popolare per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del referendum”. La Corte Costituzionale ha affrontato più volte la tematica dei cc.dd. limiti impliciti alla ammissibilità dello strumento referendario abrogativo. Anche la letteratura specialistica e le istanze politologiche della società civile si sono spese per far calzare intorno ad uno strumento di tale effettualità politica una (auspicabilmente) adeguata riflessione. L’indagine intorno al referendum abrogativo, tuttavia, non può prescindere dalla vocazione personologica del nostro ordinamento: il referendum non può esser letto soltanto in senso strettamente politico, ma prima di tutto deve essere inserito nella dimensione della cultura socio-personologica. Si ricordi che esistono anche strumenti referendari negli Statuti degli enti pubblici territoriali, si pensi al referendum comunale. Vi sono delle correnti che auspicano l’abolizione del c.d. quorum referendario, visto come lassistico limite alla sfera di intervento del cittadino nel dominio della cosa pubblica.

Restando in una dimensione soltanto locale, come quella comunale, e quindi agoratica, o meta-agoratica più o meno estesa, a proposito della abolizione del quorum referendario comunale, potrebbero farsi le seguenti osservazioni, ovviamente falsificabili.

Conducendo la mente al principio di cui all’articolo 1, comma 2, prima parte, Costituzione sulla appartenenza della sovranità al popolo, e conseguentemente recando il pensiero al concetto costituzionalmente contestualizzato e soppesato di popolo e a quello di esercizio della sovranità, come strutturato e conformato già ai sensi della seconda parte di quel comma secondo dell’articolo 1 anzidetto, si potrebbe propendere per una visione “conservatrice” e cautelare della democrazia, coi suoi pesi e contrappesi (i tanto decantati checks and balances) persino negli strumenti - solitamente temperati - di democrazia c.d. diretta. Ma potrebbe registrarsi pure un’esigenza logica di accostarsi, con uno speranziero sorriso, alle costruttive riflessioni di orientamento propulsivo finalizzate alla fondazione di una società di cittadini agenti attivi: ciò non in “ragione” di cattivi umori registrati a fronte delle sconfitte di importanti prove referendarie di tipo ambientalistico e antilobbistico, quindi pro-antitrust (si pensi al referendum dell’aprile 2016), né per i detestabili giochetti sottobanco della dirty policy, e quindi non per fattori induttivi o peggio ancora per mere distorsioni civico-emotive, bensì per deduzioni, perché i meccanismi decisionali popolari diretti non possono continuare a sortire una disparità di trattamento rispetto alle ordinarie - ed anzi basiche - discipline decisionali delle entità collettive di tipo politico, tolte le eccezioni di materia, e le discipline cc.dd. aggravate anche per necessità.

Un Ente personologico non può disinteressarsi dei germi del malessere degli essere umani che sono presenti nel proprio territorio, e la questione personologica può specializzarsi in connessione alla questione del pacifismo internazionale realista. La persona ha diritto a vivere in un territorio le cui istituzioni disciplinino il reale, e agiscano, in adesione proporzionale alla urgente necessità di pace, locale e globale, nella gestione dei rapporti con gli altri Enti del panorama effettivamente esistente sul piano internazionale.

L’Ente personologico generale, la comunità internazionale di liberi, eguali e razionali, almeno nel progetto tendenziale del libero sviluppo nelle pari opportunità e all’insegna delle diversità quali patrimoni di ricchezze culturali irrinunciabili, non dovrebbe vivere il senso del proprio esistere attraverso le inconsistenze di un laissez-faire piegato alle logiche opportunistiche del mercato bellico e degli armamenti. Così i legislatori degli Stati che si autodichiarano civili, a tutela della sicurezza, non dovrebbero permettere l’incremento delle armi verso Paesi poco raccomandabili, di fatto, sullo scenario internazionale. Esistono, infatti, dei divieti. Ci sono ulteriori istanze, nella società civile, che sulla base di monitoraggi continui tendono, con la cultura e con lo sviluppo della dimensione sapienziale della conoscenza, ad indebolire la miopia della sottocultura che si pone alla base dell’inetico profitto bellico degli armamenti di fatto cedibili ergaomnes’.

A livello di similitudine logico-qualificativa, potrebbe chiedersi se i legislatori autodichiarantisi civili, in tali delicatissimi campi del diritto internazionale e del diritto mercatorio, e quindi in siffatti campi della scacchiera politica internazionale, agiscono perseguendo un falso equilibrio di Nash - in cui i “giuocatori” non hanno interesse alcuno a muovere i già mossi pezzi mobili del decisionismo fatale della scacchiera - o seguendo il fumus d’un crudele ottimo paretiano della classe bellico-industriale. 

Sul versante dei traffici anti-personologici internazionali, poi, le speculazioni purtroppo giungono ad interessare l’antigiuridico know-how e i bilanci delle mafie, le quali vivono attraverso la gestione e i dirottamenti degli ordinari tragitti del denaro.

Quando il popolo, raggiunta la civica coscienza opportuna al vero vivere associato, coinciderà esso stesso con l’istituzione ordinamentale - che sia lo Stato, l’Unione Europea, e/o una organizzazione universale giusfraternizzata e giusfraternizzante nel rispetto dei valori universali comuni, e all’insegna della stima per le belle diversità autoctone dei vari luoghi del pianeta - le tipologie di mafie ancora oggi attive non avranno più fiato: saranno sepolte dal decorso degli eventi storici che dobbiamo apprestarci a vivere nell’ancora lungo cammino per un’onesta cittadinanza libera che pretenda da sé un futuro presente pulito, personologicamente puro, e purificato in senso personologico.

Ma davvero ci stiamo dirigendo verso questi virtuosismi sì bene conoscibili alla teoretica?

La sfiducia nella struttura della democrazia nell’era del clicca-e-via (e del clicca-e-così-sia) ha generato un depauperamento dei luoghi tecnici e volontaristici della democrazia, il partito e il movimento dei cittadini organizzati insieme ai (e nei) partiti. Le soluzioni tecniche propinateci nell’era di una paventata tecnocrazia hanno deluso le ragionevolezze su cui si basa il nostro stare insieme in società. Occorre rivalutare il ruolo delle alleanze. Ma occorre farlo propinando contenuti, irrinunciabili perché richiesti e sentiti effettivamente dai cittadini. Si deve riprendere la storia per mano, e ricostruire una identità entificabile - diversa dalle identità dei trascorsi - che sappia essere una forza progressista, ma che rinunci al sentirsi tale in quanto assiologicamente auto-battezzatasi come tale.

Sopra si è fatto riferimento alla tecnocrazia, ma non in generale. Non deve essere intesa, la anzidetta critica alle modalità del tecnicismo reale, come rinuncia al dato tecnico, anzi la scienza e la dimensione sapienziale devono garantire la ricerca euristica di soluzioni appropriate, le quali, sicuramente, devono anche essere comprensibili e volontariamente determinate nonché condivise dalla generalità dei consociati. Si pensi, così, alla martoriata Taranto, dove se si applicassero i saperi scientifici e coi dati alla mano, si perverrebbe al concepimento di soluzioni politiche e finanziarie appropriate a garantire la vita e la salute. Vita e salute sono elementi che imprescindibilmente entrano nel pacchetto mobile delle assiologie nomiche del diritto personologico.

Se la vocazione generale deve irrobustirsi per poter accogliere adeguatamente, e con equilibrio, la chiamata dell’io alle auspicabili nonviolente armi del logos, non può che perforarsi - già sul piano di mentalità individuale e comune - il “velo di Maya” dell’indifferenza e della statolatria, pervenendo ad una palingenesi fondativamente costituita dal quotidiano sforzo di ricerca, da parte di esseri che non s’accontentino di una scarsa razionalità deragionevolizzata.

Il cerebro-boxersofo individua per aree problematiche d’interesse le geografie delle proprie azioni sociali, senza discriminazioni di patria alcuna, se non il potenziale ovunque. Scelta e rinunzie: volti della medesima medaglia.