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La Corte di Giustizia sulla circolazione delle specialità medicinali nell’Unione Europea

La Corte di Giustizia sulla circolazione delle specialità medicinali nell’Unione Europea
La Corte di Giustizia sulla circolazione delle specialità medicinali nell’Unione Europea

La Corte di Giustizia recentemente è ritornata sull’interpretazione dell’articolo 34 del TFUE (Treat on the Functioning of the European Union) che impone il divieto, fra gli Stati membri, di restrizioni quantitative all’importazione di beni e servizi, nonchè qualsiasi misura di effetto equivalente, occupandosi in particolare della circolazione delle specialità medicinali nell’Unione Europea.

La Corte di Giustizia ha sostanzialmente affermato che non è coerente, con il diritto dell’Unione Europea, una legge tedesca che stabilisce prezzi imposti per farmaci soggetti a prescrizione, in quanto limita la possibilità alle farmacie estere, che operano via internet, di entrare nel mercato nazionale propronendo sconti sul prezzo.

Una norma, come quella tedesca, non può essere, peraltro, giustificata con l’obiettivo di garantire la tutela della salute pubblica.

La Sentenza della Corte di Giustizia, causa C-148/15

Il caso, che ha riguardato la Germania, presentava alcune specificità quali, la possibilità di vendita a distanza di specialità medicinali soggette a prescrizione medica, oltre che un sistema di negoziazione del prezzo dei medicinali diverso da quello degli altri paesi dell’Unione. Peraltro, come è noto, la diversità dei sistemi di assistenza sanitaria, all’interno dell’Unione Europea, è uno dei temi più articolati con i quali una seria analisi del mercato dovrebbe misurarsi.

Le legislazione tedesca prevede che il Ministero dell’Economica e la Tecnologia stabilisca delle fasce di prezzo per i medicinali distribuiti per la rivendita all’ingrosso nelle farmacie o presso i veterinari e, sulla base di un Regolamento, erano state individuate delle fasce di prezzo applicabili anche alla vendita per corrispondenza dei medicianli recapitati a consumatori finali in Germania, da parte di farmacie aventi sede in un’altro Stato membro dell’Unione europea.

La questione esaminata dalla Corte nasceva dal fatto che una organizzazione di mutua assistenza per i pazienti affetti dal Morbo di Parkinson, in collaborazione con una nota organizzazione di farmacie olandesi, la Doc Morris, aveva promosso, per  i propri assistiti, un sistema di bonus del quale avrebbero usufruito i suoi iscritti ed assistiti, qualora avessero acquistato i farmaci presso la medesima Doc Morris.

Si trattava, ovviamente, di vendita via internet di specialità medicinali soggetti a prescrizione medica.

La questione di compatibilità con il diritto dell’Unione era stata sollevata nel giudizio di appello, ponendo i seguenti quesiti:

1) Se l’articolo 34 TFUE debba essere interpretato nel senso che un sistema di prezzi imposti previsto dal diritto nazionale per i medicinali soggetti a prescrizione costituisce una misura di effetto equivalente ai sensi di tale articolo;

2) In caso di risposta affermativa della Corte alla prima questione: se il sistema di prezzi imposti per i medicinali soggetti a prescrizione sia giustificato a norma dell’articolo 36 TFUE ai fini della tutela della salute e della vita delle persone, in particolare qualora esso sia l’unico sistema che consenta di garantire un approvvigionamento uniforme in medicinali della popolazione su tutto il territorio tedesco ed in particolare nelle zone rurali;

3) In caso di risposta affermativa della Corte alla seconda questione: quali requisiti debba soddisfare l’accertamento giudiziale dell’effettiva sussistenza della condizione di cui alla seconda parte della seconda questione.

La Corte, nella sentenza citata, ha risposto in tal senso:

  • L’articolo 34 TFUE deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede la fissazione di prezzi uniformi per la vendita da parte delle farmacie di medicinali per uso umano soggetti a prescrizione, configura una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’importazione ai sensi di detto articolo, dal momento che tale normativa incide maggiormente sulla vendita di medicinali soggetti a prescrizione da parte di farmacie stabilite in altri Stati membri rispetto alla vendita di tali medicinali da parte di farmacie stabilite nel territorio nazionale.
  • L’articolo 36 TFUE deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede la fissazione di prezzi uniformi per la vendita da parte delle farmacie di medicinali per uso umano soggetti a prescrizione, non può essere giustificata alla luce dell’obiettivo della tutela della salute e della vita delle persone, ai sensi di detto articolo, dal momento che tale normativa non è idonea a conseguire gli obiettivi perseguiti.

Il commento

Pur nella sua logica linearità la sentenza in questione merita alcuni commenti.

La prima questione sottoposta alla Corte è stata risolta partendo dalla rilevazione che il regime dei prezzi imposti si applicava sia alle farmacie tedesche sia alle farmacie aventi sede in altri paesi europei, con la conseguenza che tale sistema, secondo la Corte, è idoneo ad ostacolare maggiormente i prodotti provvenienti da altri paesi. La Corte, molto semplicemente ha sostenuto, che le farmacie che operano esclusivamente a distanza  non hanno modo di superare le barriere della mancanza di una presenza fisica, se non attraverso sistemi che incidano sulla sola componente del prezzo. Questo fenomeno ha una valenza concorrenziale, in quanto la concorrenza è per sua natura determinata dal prezzo, per cui impedire ad un operatore economico di scendere sotto un livello di prezzo stabilito, finisce per privarlo della possibilità di essere competitivo.

In Germania, come in altri paesi europei, il possesso e la gestione di una farmacia è limitato ai soli farmacisti, per cui l’analisi comparativa dell’effetto (anti)concorrenziale di una simile misura non è da valutare confrotando le farmacie territoriali con le farmacie virtuali, bensì – come correttamente ha ritenuto la Corte – valutandola nel complesso del sistema delle farmacie, ossia in generale. Infatti, è verosimile ritenere che una farmacia territoriale, in Germania come in altri paesi europei, in un regime di prezzi imposti, non avrebbe incentivi ad implementare un sistema di vendita via internet se non indotta da circostanze specifiche; comunque si tratterebbe – per tale farmacia – di un canale di vendita aggiuntivo e minoritario rispetto al canale della distribuzione fisica.

Ma la questione esaminata dalla Corte presentava una specificità di non poco rilievo, cioè si trattava di farmaci soggetti a prescrizione medica. In Italia, ad esempio, la vendita via internet o per corrispondenza per tali categorie di farmaci è espressamente vietata.

Per cui sarebbe da chiedersi se la presenza del farmacista, quindi la possibilità di poter interagire naturalmente e senza barriere con tale figura professionale, rappresenti un elemento di garanzia per il consumatore.

La questione della tutela della salute è stata affrontata dalla Corte con la risposta al secondo quesito ossia, indagando se esistono degli obiettivi di tutela della salute e della vita delle persone per i quali la disposizione generale dell’articolo 36 del TFUE, quale regola generale della libera circolazione delle merci, possa essere derogato.

Ebbene, sul punto, trattandosi di materia – quella della tutela della salute – di competenza degli Stati membri, la Corte ha rilevato in via preliminare che gli Stati hanno discrezionalità nell’adottare misure idonee al raggiugimento di questa tutela. E qui la questione si complica! Ciò in quanto la Corte, già in precedenti casi, aveva ribadito che quando un giudice nazionale analizza una normativa nazionale con riferimento alla giustificazione relativa alla tutela della salute e della vita delle persone ai sensi dell’articolo 36 del TFUE, deve esaminare in modo obiettivo, sulla scorta di dati statistici, puntuali o con altri mezzi.  Tali criteri devono servire a valutare, per quanto possibile, obiettivamente, gli elementi di prova forniti dallo Stato membro interessato e soprattutto, se sia possibile conseguire l’obiettivo di tutela della salute attraverso misure meno restrittive della libera circolazione delle merci.

Il ragionamento della Corte tuttavia, a leggere la sentenza, sembrerebbe essersi sviluppato seguendo un percorso strettamente legato alle logiche del mercato, meno a quelle della tutela della salute. In questo senso appare significativo il commento della Corte laddove afferma  che una maggiore concorrenza sui prezzi sarebbe vantaggiosa, poichè promuoverebbe l’insediamento di farmaci in regioni, come quelle rurali, in cui l’esiguo numero di esercizi commerciali comporterebbe la fatturazione di prezzi più elevati.

In realtà, sullo sfondo del percorso seguito dalla Corte, sembrano esserci le conclusioni dell’Avvocato Generale, che – nel corso del giudizio - ha dedicato un piccolo paragrafo alla questione delle “incertezze sull’esistenza o la portata di rischi per la salute delle persone” sostenendo, in primis, che l’onere di provare che si tratta di una misura giustificata alla luce del principio di tutela della salute grava sullo Stato membro.

E la Germania, secondo quanto riportato nelle citate conclusioni, non ha fornito alcuna prova, limitandosi a richiamare il principio generale della giurisprudenza della Corte per il quale “qualora sussitano incertezze sull’esistenza o la portata di rischi per la salute delle persone, lo Stato membro deve poter adottare misure di protezione senza dover attendere che la realtà di tali rischi sia pienamente dimostrata”.

Tuttavia l’applicazione di tale principio di “precauzione” alle farmacie rischia di essere inopportuno in quanto genera confusione tra il principio di “precauzione” ed il principio di “prevenzione”. Il principio di “precauzione”, secondo il ragionamento della giurisprudenza recente della Corte, è strettamente legato alla gestione del rischio in un contesto di incertezza scientifica, nel senso che un rischio è incerto quando è dubbia la sua esistenza. Ma tutto questo non può applicarsi a contesti nei quali non sia possibile procedere a valutazioni di natura scientifica. Così nel caso tedesco in esame alla Corte poichè l’incertezza è relativa ad una misura consistente in una scelta di politica sanitaria diretta ad affrontare un rischio preventivamente valutato, risulta difficile applicare il principio di “precauzione”. O meglio, sarebbe stato compito dello Stato membro dimostrare, scientificamente, che la misura era tale da trovare una reale giustificazione alla luce di un principio di “precauzione.

Eppure, non può disconoscersi che la vicenda avrebbe potuto ricevere anche diverse chiavi di lettura, non connesse con le questioni inerenti alla tutela della salute o non correlata all’esercizio dell’attività di farmacia. Le preliminari considerazioni sulle misure che incidono sul prezzo quali misure a sicuro ed immediato effetto concorrenziale, ha di fatto limitato in partenza la visione della Corte di Giustizia che, sul tema del prezzo dei farmaci soggetti a prescrizione, ha omesso ogni considerazione correlata con la governance dei sistemi di assicurazione malattia o, meglio ancora, quei sistemi che – come quello vigente in Italia – hanno l’obiettivo di garantire l’assistenza sanitaria e farmaceutica indistintamente a tutti i cittadini (e non  solo).

In Italia, come è noto, non esiste un prezzo fisso per i farmaci soggetti a prescrizione e rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale, bensì esiste un regime denominato del “prezzo massimo di rimborso”.

Il Servizio Sanitario Nazionale rimborsa al cittadino fino a concorrenza del prezzo più basso del corrispondente prodotto (stesso principio attivo, stessa forma farmaceutica, stesso dosaggio) disponibile nel circuito distributivo nazionale. Tale prezzo viene individuato dall’Agenzia Italiana del Farmaco sulla base di una attività ricognitiva che si conclude con l’aggiornamento della cd. “lista di trasparenza”.

In Italia, come è noto, abbiamo un altro genere di problema il cui effetto, fortemente anticoncorrenziale non è stato ancora vagliato dalle autorità indipendenti a ciò preposte. Un problema che nasce dalla profonda trasformazione a livello globale, ancora in corso, nel mercato dei farmaci, a causa dell’aumento delle economie produttive, della capacità di rifornirsi di materie prime farmacologiche in paesi a basso costo, ed alla diminuzione degli investimenti in produzione e ricerca e sviluppo in Italia, dovuti alla burocrazia ed alle politiche fiscali poco favorevoli alle imprese. Il problema consiste nel fatto che un farmaco entra nel mercato con un prezzo più basso della concorrenza, permane nel mercato per qualche mese e poi sparisce, con la conseguenza che il prezzo di riferimento si abbassa ma la concorrenza, di fatto, non si realizza.

Un altro aspetto è invece correlato con il sistema di remunerazione delle farmacie che, come da più parti rilevato, ha non poche implicazioni nel mercato dei farmaci. Proprio in Germania, nel maggio di quest’anno, l’ABDA (associazione tedesca dei titolari di farmacia) ha rilevato che tra i 48mila medicinali presenti nel prontuario tedesco ce ne sono 2.600 che costano più di 1.200 euro e 49 che superano i 10mila. Questo ha un impatto significativo sul sistema di remunerazione delle farmacie che, in generale, non potrebbe prescindere dalla fissazione di un tetto massimo di guadagno, considerato – peraltro – che il costo dell’attività di farmacia è sostanzialmente analogo per i farmaci a basso costo e per i farmaci ad alto costo.

In Italia il termine per modificare il metodo di remunerazione della filiera del farmaco è stato prorogato annualmente per ben quattro volte, chissà se il 2017 sarà l’anno decisivo per evitare una ulteriore proroga dell’articolo 15, comma 2, della Legge n. 135/2012.

La Corte di Giustizia recentemente è ritornata sull’interpretazione dell’articolo 34 del TFUE (Treat on the Functioning of the European Union) che impone il divieto, fra gli Stati membri, di restrizioni quantitative all’importazione di beni e servizi, nonchè qualsiasi misura di effetto equivalente, occupandosi in particolare della circolazione delle specialità medicinali nell’Unione Europea.

La Corte di Giustizia ha sostanzialmente affermato che non è coerente, con il diritto dell’Unione Europea, una legge tedesca che stabilisce prezzi imposti per farmaci soggetti a prescrizione, in quanto limita la possibilità alle farmacie estere, che operano via internet, di entrare nel mercato nazionale propronendo sconti sul prezzo.

Una norma, come quella tedesca, non può essere, peraltro, giustificata con l’obiettivo di garantire la tutela della salute pubblica.

La Sentenza della Corte di Giustizia, causa C-148/15

Il caso, che ha riguardato la Germania, presentava alcune specificità quali, la possibilità di vendita a distanza di specialità medicinali soggette a prescrizione medica, oltre che un sistema di negoziazione del prezzo dei medicinali diverso da quello degli altri paesi dell’Unione. Peraltro, come è noto, la diversità dei sistemi di assistenza sanitaria, all’interno dell’Unione Europea, è uno dei temi più articolati con i quali una seria analisi del mercato dovrebbe misurarsi.

Le legislazione tedesca prevede che il Ministero dell’Economica e la Tecnologia stabilisca delle fasce di prezzo per i medicinali distribuiti per la rivendita all’ingrosso nelle farmacie o presso i veterinari e, sulla base di un Regolamento, erano state individuate delle fasce di prezzo applicabili anche alla vendita per corrispondenza dei medicianli recapitati a consumatori finali in Germania, da parte di farmacie aventi sede in un’altro Stato membro dell’Unione europea.

La questione esaminata dalla Corte nasceva dal fatto che una organizzazione di mutua assistenza per i pazienti affetti dal Morbo di Parkinson, in collaborazione con una nota organizzazione di farmacie olandesi, la Doc Morris, aveva promosso, per  i propri assistiti, un sistema di bonus del quale avrebbero usufruito i suoi iscritti ed assistiti, qualora avessero acquistato i farmaci presso la medesima Doc Morris.

Si trattava, ovviamente, di vendita via internet di specialità medicinali soggetti a prescrizione medica.

La questione di compatibilità con il diritto dell’Unione era stata sollevata nel giudizio di appello, ponendo i seguenti quesiti:

1) Se l’articolo 34 TFUE debba essere interpretato nel senso che un sistema di prezzi imposti previsto dal diritto nazionale per i medicinali soggetti a prescrizione costituisce una misura di effetto equivalente ai sensi di tale articolo;

2) In caso di risposta affermativa della Corte alla prima questione: se il sistema di prezzi imposti per i medicinali soggetti a prescrizione sia giustificato a norma dell’articolo 36 TFUE ai fini della tutela della salute e della vita delle persone, in particolare qualora esso sia l’unico sistema che consenta di garantire un approvvigionamento uniforme in medicinali della popolazione su tutto il territorio tedesco ed in particolare nelle zone rurali;

3) In caso di risposta affermativa della Corte alla seconda questione: quali requisiti debba soddisfare l’accertamento giudiziale dell’effettiva sussistenza della condizione di cui alla seconda parte della seconda questione.

La Corte, nella sentenza citata, ha risposto in tal senso:

  • L’articolo 34 TFUE deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede la fissazione di prezzi uniformi per la vendita da parte delle farmacie di medicinali per uso umano soggetti a prescrizione, configura una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’importazione ai sensi di detto articolo, dal momento che tale normativa incide maggiormente sulla vendita di medicinali soggetti a prescrizione da parte di farmacie stabilite in altri Stati membri rispetto alla vendita di tali medicinali da parte di farmacie stabilite nel territorio nazionale.
  • L’articolo 36 TFUE deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede la fissazione di prezzi uniformi per la vendita da parte delle farmacie di medicinali per uso umano soggetti a prescrizione, non può essere giustificata alla luce dell’obiettivo della tutela della salute e della vita delle persone, ai sensi di detto articolo, dal momento che tale normativa non è idonea a conseguire gli obiettivi perseguiti.

Il commento

Pur nella sua logica linearità la sentenza in questione merita alcuni commenti.

La prima questione sottoposta alla Corte è stata risolta partendo dalla rilevazione che il regime dei prezzi imposti si applicava sia alle farmacie tedesche sia alle farmacie aventi sede in altri paesi europei, con la conseguenza che tale sistema, secondo la Corte, è idoneo ad ostacolare maggiormente i prodotti provvenienti da altri paesi. La Corte, molto semplicemente ha sostenuto, che le farmacie che operano esclusivamente a distanza  non hanno modo di superare le barriere della mancanza di una presenza fisica, se non attraverso sistemi che incidano sulla sola componente del prezzo. Questo fenomeno ha una valenza concorrenziale, in quanto la concorrenza è per sua natura determinata dal prezzo, per cui impedire ad un operatore economico di scendere sotto un livello di prezzo stabilito, finisce per privarlo della possibilità di essere competitivo.

In Germania, come in altri paesi europei, il possesso e la gestione di una farmacia è limitato ai soli farmacisti, per cui l’analisi comparativa dell’effetto (anti)concorrenziale di una simile misura non è da valutare confrotando le farmacie territoriali con le farmacie virtuali, bensì – come correttamente ha ritenuto la Corte – valutandola nel complesso del sistema delle farmacie, ossia in generale. Infatti, è verosimile ritenere che una farmacia territoriale, in Germania come in altri paesi europei, in un regime di prezzi imposti, non avrebbe incentivi ad implementare un sistema di vendita via internet se non indotta da circostanze specifiche; comunque si tratterebbe – per tale farmacia – di un canale di vendita aggiuntivo e minoritario rispetto al canale della distribuzione fisica.

Ma la questione esaminata dalla Corte presentava una specificità di non poco rilievo, cioè si trattava di farmaci soggetti a prescrizione medica. In Italia, ad esempio, la vendita via internet o per corrispondenza per tali categorie di farmaci è espressamente vietata.

Per cui sarebbe da chiedersi se la presenza del farmacista, quindi la possibilità di poter interagire naturalmente e senza barriere con tale figura professionale, rappresenti un elemento di garanzia per il consumatore.

La questione della tutela della salute è stata affrontata dalla Corte con la risposta al secondo quesito ossia, indagando se esistono degli obiettivi di tutela della salute e della vita delle persone per i quali la disposizione generale dell’articolo 36 del TFUE, quale regola generale della libera circolazione delle merci, possa essere derogato.

Ebbene, sul punto, trattandosi di materia – quella della tutela della salute – di competenza degli Stati membri, la Corte ha rilevato in via preliminare che gli Stati hanno discrezionalità nell’adottare misure idonee al raggiugimento di questa tutela. E qui la questione si complica! Ciò in quanto la Corte, già in precedenti casi, aveva ribadito che quando un giudice nazionale analizza una normativa nazionale con riferimento alla giustificazione relativa alla tutela della salute e della vita delle persone ai sensi dell’articolo 36 del TFUE, deve esaminare in modo obiettivo, sulla scorta di dati statistici, puntuali o con altri mezzi.  Tali criteri devono servire a valutare, per quanto possibile, obiettivamente, gli elementi di prova forniti dallo Stato membro interessato e soprattutto, se sia possibile conseguire l’obiettivo di tutela della salute attraverso misure meno restrittive della libera circolazione delle merci.

Il ragionamento della Corte tuttavia, a leggere la sentenza, sembrerebbe essersi sviluppato seguendo un percorso strettamente legato alle logiche del mercato, meno a quelle della tutela della salute. In questo senso appare significativo il commento della Corte laddove afferma  che una maggiore concorrenza sui prezzi sarebbe vantaggiosa, poichè promuoverebbe l’insediamento di farmaci in regioni, come quelle rurali, in cui l’esiguo numero di esercizi commerciali comporterebbe la fatturazione di prezzi più elevati.

In realtà, sullo sfondo del percorso seguito dalla Corte, sembrano esserci le conclusioni dell’Avvocato Generale, che – nel corso del giudizio - ha dedicato un piccolo paragrafo alla questione delle “incertezze sull’esistenza o la portata di rischi per la salute delle persone” sostenendo, in primis, che l’onere di provare che si tratta di una misura giustificata alla luce del principio di tutela della salute grava sullo Stato membro.

E la Germania, secondo quanto riportato nelle citate conclusioni, non ha fornito alcuna prova, limitandosi a richiamare il principio generale della giurisprudenza della Corte per il quale “qualora sussitano incertezze sull’esistenza o la portata di rischi per la salute delle persone, lo Stato membro deve poter adottare misure di protezione senza dover attendere che la realtà di tali rischi sia pienamente dimostrata”.

Tuttavia l’applicazione di tale principio di “precauzione” alle farmacie rischia di essere inopportuno in quanto genera confusione tra il principio di “precauzione” ed il principio di “prevenzione”. Il principio di “precauzione”, secondo il ragionamento della giurisprudenza recente della Corte, è strettamente legato alla gestione del rischio in un contesto di incertezza scientifica, nel senso che un rischio è incerto quando è dubbia la sua esistenza. Ma tutto questo non può applicarsi a contesti nei quali non sia possibile procedere a valutazioni di natura scientifica. Così nel caso tedesco in esame alla Corte poichè l’incertezza è relativa ad una misura consistente in una scelta di politica sanitaria diretta ad affrontare un rischio preventivamente valutato, risulta difficile applicare il principio di “precauzione”. O meglio, sarebbe stato compito dello Stato membro dimostrare, scientificamente, che la misura era tale da trovare una reale giustificazione alla luce di un principio di “precauzione.

Eppure, non può disconoscersi che la vicenda avrebbe potuto ricevere anche diverse chiavi di lettura, non connesse con le questioni inerenti alla tutela della salute o non correlata all’esercizio dell’attività di farmacia. Le preliminari considerazioni sulle misure che incidono sul prezzo quali misure a sicuro ed immediato effetto concorrenziale, ha di fatto limitato in partenza la visione della Corte di Giustizia che, sul tema del prezzo dei farmaci soggetti a prescrizione, ha omesso ogni considerazione correlata con la governance dei sistemi di assicurazione malattia o, meglio ancora, quei sistemi che – come quello vigente in Italia – hanno l’obiettivo di garantire l’assistenza sanitaria e farmaceutica indistintamente a tutti i cittadini (e non  solo).

In Italia, come è noto, non esiste un prezzo fisso per i farmaci soggetti a prescrizione e rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale, bensì esiste un regime denominato del “prezzo massimo di rimborso”.

Il Servizio Sanitario Nazionale rimborsa al cittadino fino a concorrenza del prezzo più basso del corrispondente prodotto (stesso principio attivo, stessa forma farmaceutica, stesso dosaggio) disponibile nel circuito distributivo nazionale. Tale prezzo viene individuato dall’Agenzia Italiana del Farmaco sulla base di una attività ricognitiva che si conclude con l’aggiornamento della cd. “lista di trasparenza”.

In Italia, come è noto, abbiamo un altro genere di problema il cui effetto, fortemente anticoncorrenziale non è stato ancora vagliato dalle autorità indipendenti a ciò preposte. Un problema che nasce dalla profonda trasformazione a livello globale, ancora in corso, nel mercato dei farmaci, a causa dell’aumento delle economie produttive, della capacità di rifornirsi di materie prime farmacologiche in paesi a basso costo, ed alla diminuzione degli investimenti in produzione e ricerca e sviluppo in Italia, dovuti alla burocrazia ed alle politiche fiscali poco favorevoli alle imprese. Il problema consiste nel fatto che un farmaco entra nel mercato con un prezzo più basso della concorrenza, permane nel mercato per qualche mese e poi sparisce, con la conseguenza che il prezzo di riferimento si abbassa ma la concorrenza, di fatto, non si realizza.

Un altro aspetto è invece correlato con il sistema di remunerazione delle farmacie che, come da più parti rilevato, ha non poche implicazioni nel mercato dei farmaci. Proprio in Germania, nel maggio di quest’anno, l’ABDA (associazione tedesca dei titolari di farmacia) ha rilevato che tra i 48mila medicinali presenti nel prontuario tedesco ce ne sono 2.600 che costano più di 1.200 euro e 49 che superano i 10mila. Questo ha un impatto significativo sul sistema di remunerazione delle farmacie che, in generale, non potrebbe prescindere dalla fissazione di un tetto massimo di guadagno, considerato – peraltro – che il costo dell’attività di farmacia è sostanzialmente analogo per i farmaci a basso costo e per i farmaci ad alto costo.

In Italia il termine per modificare il metodo di remunerazione della filiera del farmaco è stato prorogato annualmente per ben quattro volte, chissà se il 2017 sarà l’anno decisivo per evitare una ulteriore proroga dell’articolo 15, comma 2, della Legge n. 135/2012.