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Avvocato Generale UE: violazione di marchi con parole chiave nei motori di ricerca

Marchi – Pubblicità a partire da una parola chiave [“keyword advertising”] identica al marchio di un concorrente dell’inserzionista – Marchi notori – Offuscamento (“blurring”) – Corrosione (“tarnishment”) – Parassitismo (“free‑riding”) – Direttiva 89/104 – Articolo 5, n. 2 – Regolamento n. 40/94 – Articolo 9, n. 1, lett. c)
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NIILO JÄÄSKINEN

Causa C‑323/09 (1)

Interflora Inc

Interflora British Unit

contro

Marks & Spencer plc

Flowers Direct Online Limited

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice of (England and Wales), Chancery Division (Regno Unito)]

I – Introduzione

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale di cui ci occupiamo rappresenta l’ultima, in ordine di tempo, di una serie di cause in materia di pubblicità a partire da parole chiave offerta in un motore di ricerca su Internet.

2. Le parti della causa principale offrono un servizio di consegna di fiori a domicilio. Le società ricorrenti nella causa principale (in prosieguo designate congiuntamente come «Interflora») addebitano alla convenuta, la Marks & Spencer (2), di aver violato il marchio INTERFLORA (3), sostanzialmente avendo acquistato diverse sequenze di segni identici o simili al suddetto marchio come parole chiave nel servizio di pubblicità AdWords offerto da Google.

3. Le quattro questioni pregiudiziali possono essere suddivise in due gruppi.

4. Il primo gruppo di questioni riguarda i diritti conferiti a tutti i marchi registrati. Le disposizioni rilevanti figurano all’art. 5, n. 1, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (4), e alla corrispondente disposizione dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (5). Le soluzioni per questo gruppo di domande si possono rinvenire nelle pronunce rese nel 2010 nelle cause Google France e Google (6), BergSpechte, Eis.de e Portakabin (7). Tali cause vertevano sull’«uso», da parte di concorrenti, nei servizi di pubblicità offerti in motori di ricerca su Internet, di segni identici ai marchi di cui erano titolari i ricorrenti nelle cause stesse (8).

5. Il secondo gruppo di questioni costituisce l’aspetto di novità del presente caso: esse vertono sulla tutela dei marchi che godono di notorietà. In forza dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104, uno Stato membro può garantire a questo tipo di marchi una tutela più ampia. Questa tutela ampliata per i marchi che godono di notorietà (9), prevista anche dall’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 per il marchio comunitario, è stata oggetto di un minor numero di pronunce da parte della Corte rispetto alla tutela generale di cui al precedente punto. Le nuove questioni sollevate nel presente caso si riferiscono alla tutela di un marchio che gode di notorietà nonché al problema di stabilire in quali condizioni si possa parlare di offuscamento di tale marchio (diluizione tramite offuscamento) o di acquisizione di un vantaggio indebito («free-riding» o «parassitismo»), da parte di un concorrente, nel caso in cui quest’ultimo acquisti una parola chiave identica al marchio stesso in un servizio di pubblicità su Internet (10).

6. Di fatto, nel presente caso il termine «Interflora» assolve a tre diverse funzioni. In primo luogo, si tratta del termine di ricerca che un qualunque utente può scegliere di inserire in un motore di ricerca su Internet. In secondo luogo, si tratta di una parola chiave, acquistata da alcuni inserzionisti da un servizio di pubblicità offerto dal gestore di un motore di ricerca su Internet per far apparire un determinato messaggio pubblicitario. In terzo luogo, si tratta del simbolo significativo registrato ed utilizzato come marchio per indicare la provenienza di determinati beni o servizi da un’unica fonte commerciale.

7. Occorre osservare, in proposito, che la Commissione ha criticato taluni aspetti della giurisprudenza della Corte in materia di funzioni dei marchi diverse dall’indicazione dell’origine, ritenendola erronea e problematica sotto il profilo della certezza del diritto. Tuttavia, nel presente rinvio pregiudiziale sembra che solo la funzione relativa all’indicazione dell’origine di prodotti o servizi sia rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104. Né l’interpretazione dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 sembra portare, nel presente caso, ad una tutela irragionevolmente ampia degli interessi del titolare del marchio. Non ritengo pertanto necessario soffermarmi oltre sull’argomento.

8. Ciò premesso, è innegabile che la Corte si trovi in una situazione alquanto difficile quanto all’accettabilità della propria giurisprudenza relativa all’art. 5 della direttiva 89/104 anche alla luce delle censure mosse dalla dottrina e da importanti giudici nazionali competenti in materia di marchi (11).

9. A mio avviso, tuttavia, tali questioni sono in parte dovuti alla problematica redazione dell’art. 5 della direttiva 89/104. Pertanto, la situazione attuale potrebbe essere corretta attraverso provvedimenti legislativi adeguati piuttosto che non con un nuovo orientamento giurisprudenziale, come dimostra l’esempio dell’evoluzione nella legislazione federale statunitense in materia di diluizione dei marchi (12). Faccio notare che nel dicembre 2010 è pervenuto alla Commissione uno studio sulla funzione generale del sistema dei marchi in Europa, ed è auspicabile l’adozione di altre iniziative in questo settore (13).

II – Contesto normativo

A – Direttiva 89/104

10. Il primo ‘considerando’ della direttiva 89/104 prevede quanto segue (14):

«(...) le legislazioni che si applicano attualmente ai marchi d’impresa negli Stati membri presentano disparità che possono ostacolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi, nonché falsare le condizioni di concorrenza nel mercato comune; che nella prospettiva dell’instaurazione e del funzionamento del mercato interno è dunque necessario ravvicinare le legislazioni degli Stati membri».

11. Il nono ‘considerando’ della direttiva 89/104 è così formulato:

«(...) è fondamentale, per agevolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi, procurare che i marchi d’impresa registrati abbiano ormai negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri, la medesima tutela: che ciò non priva tuttavia gli Stati membri della facoltà di tutelare maggiormente i marchi d’impresa che abbiano acquisito una notorietà».

12. Il decimo ‘considerando’ della direttiva 89/104 enuncia quanto segue:

«(...) la tutela che è accordata dal marchio di impresa registrato e che mira in particolare a garantire la funzione d’origine del marchio di impresa, è assoluta in caso di identità tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi; che la tutela è accordata anche in caso di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi; (...) è indispensabile interpretare la nozione di somiglianza in relazione al rischio di confusione; che il rischio di confusione, la cui valutazione dipende da numerosi fattori, e segnatamente dalla notorietà del marchio di impresa sul mercato, dall’associazione che può essere fatta tra il marchio di impresa e il segno usato o registrato, dal grado di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi designati, costituisce la condizione specifica della tutela; (...) le norme procedurali nazionali che non sono pregiudicate dalla presente direttiva disciplinano i mezzi grazie a cui può essere constatato il rischio di confusione, e in particolare l’onere della prova».

13. L’art. 5 della direttiva 89/104, rubricato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», dispone quanto segue (15), (16):

«1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare in commercio:

a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b) un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.

2. Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi.

3. Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:

(…)

b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

(…)

d) l’uso del segno nella corrispondenza commerciale o nella pubblicità.

(…)

5. I paragrafi da 1 a 4 non pregiudicano le disposizioni applicabili in uno Stato membro per la tutela contro l’uso di un segno fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti o servizi, quando l’uso di tale segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi».

B – Regolamento n. 40/94

14. Il settimo ‘considerando’ del regolamento n. 40/94 (17) è, mutatis mutandis, identico al decimo ‘considerando’ della direttiva 89/104. Gli artt. 8, n. 5, 9 e 12, n. 1, del regolamento n. 40/94 corrispondono, in sostanza, agli artt. 4, n. 4, 5 e 6, n. 1, della direttiva 89/104.

15. L’art. 9 («Diritti conferiti dal marchio comunitario») del regolamento n. 40/94 così recita:

«1. Il marchio comunitario conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare in commercio:

a) un segno identico al marchio comunitario per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b) un segno che a motivo della sua identità o somiglianza col marchio comunitario e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio comunitario e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra il segno e il marchio;

c) un segno identico o simile al marchio comunitario per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato registrato, se il marchio comunitario gode di notorietà nella Comunità e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio comunitario o reca pregiudizio agli stessi.

2. Possono essere in particolare vietati, a norma del paragrafo 1:

(…)

b) l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali scopi oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno;

(…)

d) l’uso del segno nella corrispondenza commerciale o nella pubblicità».

III – Causa principale e questioni pregiudiziali

A – Il servizio di posizionamento «AdWords»

16. La Google gestisce un motore di ricerca su Internet. Quando un utente di Internet effettua una ricerca a partire da una o più parole, il motore di ricerca visualizza, in ordine decrescente di pertinenza, i siti che sembrano meglio corrispondere a tali parole. Si tratta dei risultati cosiddetti «naturali» della ricerca.

17. La Google propone inoltre un servizio di posizionamento a pagamento denominato «AdWords». Tale servizio consente a qualsiasi operatore economico, che si riservi una o più parole chiave, di far apparire un link pubblicitario verso il suo sito, qualora tali parole coincidano con quelle contenute nella richiesta indirizzata da un utente di Internet al motore di ricerca. Tale link pubblicitario appare nella rubrica «link sponsorizzati», visualizzata o sul lato destro dello schermo, a destra dei risultati naturali, o nella parte superiore dello schermo, al di sopra di tali risultati.

18. Detto link pubblicitario è accompagnato da un breve messaggio commerciale. Tale link e tale messaggio costituiscono, insieme, l’annuncio pubblicitario («ad») visualizzato nella rubrica «link sponsorizzati».

19. L’inserzionista è tenuto a pagare un corrispettivo per il servizio di posizionamento per ogni selezione («click») del link pubblicitario. Tale corrispettivo è calcolato in funzione, in particolare, del «prezzo massimo per click» che, al momento della conclusione del contratto di servizio di posizionamento con la Google, l’inserzionista ha convenuto di pagare, nonché del numero di click su tale link da parte degli utenti di Internet.

20. Più inserzionisti possono riservarsi la stessa parola chiave. L’ordine in cui vengono visualizzati i loro link pubblicitari in tal caso sarà determinato, in particolare, in base al prezzo massimo per click, a quante volte i detti link sono stati selezionati in precedenza, nonché alla qualità dell’annuncio come valutata dalla Google. In qualunque momento l’inserzionista può migliorare la sua posizione nell’ordine di visualizzazione fissando un prezzo massimo per click più alto oppure provando a migliorare la qualità del suo annuncio.

21. La Google ha messo a punto un processo automatizzato per consentire la selezione di parole chiave e la creazione di annunci. Gli inserzionisti selezionano le parole chiave, redigono il messaggio commerciale e inseriscono il link verso il loro sito.

B – L’uso di parole chiave nella causa principale

22. La Interflora Inc., società stabilita nel Michigan (Stati Uniti d’America), gestisce una rete di distribuzione di fiori in tutto il mondo. La Interflora British Unit è una licenziataria della Interflora Inc.

23. La rete Interflora è formata da fioristi indipendenti, con i quali si possono effettuare ordinazioni di persona o per telefono. La Interflora possiede però anche siti web che permettono di effettuare ordinazioni via Internet, che vengono evase dal membro della rete più vicino all’indirizzo cui dovranno essere consegnati i fiori. Il principale sito web è www.interflora.com, che ridirige verso siti web specifici nazionali, come il sito www. Interflora.co.uk.

24. INTERFLORA è un marchio nazionale nel Regno Unito ed è anche un marchio comunitario (18). È assodato che tali marchi godono di grande rinomanza sostanziale nel Regno Unito e in altri Stati membri dell’Unione europea.

25. La Marks & Spencer plc, società di diritto inglese, è uno dei maggiori rivenditori al dettaglio del Regno Unito. Tale società fornisce un’ampia gamma di prodotti e servizi attraverso la propria rete di negozi e tramite il suo sito web www.marksandspencer.com. Una delle sue attività consiste nella vendita e nella consegna di fiori a domicilio. Tale attività commerciale si trova in concorrenza con quella della Interflora. La Marks & Spencer non fa parte della rete Interflora.

26. Nell’ambito del servizio di posizionamento «AdWords», la Marks & Spencer si è riservata la parola chiave «interflora» nonché alcune varianti formate dalla stessa parola chiave con «errori marginali» e da espressioni contenenti il termine interflora (come «interflora flowers», «interflora delivery», «interflora.com», «interflora co uk»), come parole chiave (19).

27. Di conseguenza, quando un utente Internet inseriva la parola «interflora» o una delle suddette varianti o espressioni come termine di ricerca nel motore di ricerca di Google, sotto il titolo «link sponsorizzato» appariva un annuncio pubblicitario della Marks & Spencer.

28. È pacifico che nell’annuncio pubblicitario visualizzato non comparivano espressioni riferite ad Interflora scelte come parola chiave né veniva mostrato il marchio Interflora in alcun altro modo.

29. Assodati i fatti testé riferiti, la Interflora ha citato la Marks & Spencer per violazione dei suoi diritti di marchio dinanzi al giudice nazionale, il quale ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte una serie di questioni pregiudiziali.

C – Le questioni pregiudiziali proposte

30. Con ordinanza 16 luglio 2009, la High Court of Justice of England and Wales, Chancery Division (la «High Court») ha proposto dieci questioni pregiudiziali, di cui riporto qui di seguito le prime quattro:

«1) Se, qualora un operatore commerciale, che svolge un’attività in concorrenza con il titolare di un marchio registrato e che fornisce beni e servizi identici a quelli designati dal detto marchio per mezzo del proprio sito web, (a) scelga un segno identico (…) al marchio in questione quale parola chiave per un servizio di link sponsorizzati offerto dal gestore di un motore di ricerca, b) denomini il segno come una parola chiave, c) associ il segno con l’URL del proprio sito web, d) stabilisca il costo che dovrà sostenere per ogni click in base a tale parola chiave, e) programmi i tempi di visualizzazione del link sponsorizzato e f) usi il segno in questione nella corrispondenza commerciale relativa alla fatturazione ed al pagamento delle tariffe e/o all’amministrazione del proprio account con il gestore del motore di ricerca – sebbene il link sponsorizzato non includa direttamente il segno o un altro segno simile – , tutti o alcuni di questi atti configurino un “uso” del segno da parte del concorrente ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della [direttiva 89/104] nonché dell’art. 9, n. 1, lett. a), del [regolamento n. 40/94].

2) Se in tali casi si tratti di un uso «per» prodotti o servizi identici a quelli per i quali è stato registrato il marchio d’impresa ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a) della [direttiva 89/104] e dell’art. 9, n. 1, lett. a) del [regolamento n. 40/94].

3) Se tale uso rientri nell’ambito di applicazione di una o di entrambe le seguenti disposizioni:

a) art. 5, n. 1, lett. a), della [direttiva 89/04] e art. 9, n. 1, lett. a), del [regolamento n. 40/94]

b) art. 5, n. 2, della [direttiva 89/04] ed art. 9, n. 1, lett. c), del [regolamento n. 40/94].

4) Se la questione n. 3 possa ricevere una soluzione diversa qualora:

a) la presentazione del link sponsorizzato del concorrente in risposta ad una ricerca effettuata dall’utente per mezzo del segno in questione sia idonea ad indurre una parte del pubblico a credere che il concorrente sia un membro della rete commerciale gestita dal titolare del marchio, contrariamente al vero; o

b) il gestore del motore di ricerca non consenta ai titolari del marchio nello Stato membro (…) interessato di bloccare la selezione, da parte dei terzi, di segni identici ai loro marchi quali parole chiave».

31. Dopo la pronuncia resa nella causa Google France e Google e dopo aver ricevuto, con lettera della cancelleria della Corte 23 marzo 2010, una richiesta di chiarimenti, la High Court, con decisione 29 aprile 2010 ricevuta dalla Corte il 9 giugno 2010, ha ritirato le questioni pregiudiziali nn. 5-10, mantenendo quindi ferme soltanto le prime quattro questioni citate al paragrafo precedente. La High Court ha inoltre abbreviato la questione 3, lett. b), limitandola ai termini riportati al paragrafo precedente.

32. Osservazioni scritte sono state depositate dalla Interflora, dalla Marks & Spencer, dalla Repubblica portoghese e dalla Commissione. Ad eccezione della Repubblica portoghese, tutte le parti sono intervenute all’udienza del 13 ottobre 2010 per svolgere argomenti orali. Ai fini dell’udienza, la Corte ha chiesto alle parti di concentrare le loro difese sulla questione 3, lett. b).

IV – Analisi

A – Osservazioni generali

33. Ai fini della valutazione dei due gruppi di questioni presentate inizialmente, proporrò anzitutto alcune osservazioni generali relative alla tutela offerta dall’art. 5 della direttiva 89/104. Debbo inoltre precisare, in via preliminare, che le questioni verranno esaminate unicamente alla luce dell’art. 5, n. 1, lett. a), e n. 2, della direttiva 89/104, ma che l’interpretazione cui si perverrà al termine di tale esame sarà applicabile, mutatis mutandis, all’art. 9, n. 1, lett. a) e lett. c), del regolamento n. 40/94 (20).

34. La tutela offerta ai marchi ai sensi dell’art. 5 della direttiva 89/104 riguarda l’uso di un segno a fini distintivi di prodotti o servizi, dato che il n. 5 di tale disposizione esclude dal proprio ambito di applicazione la tutela offerta dagli Stati membri riguardo ad usi diversi. Per quanto riguarda l’estensione della tutela offerta dal suddetto articolo, il n. 1 dello stesso riguarda situazioni in cui il segno e il marchio in conflitto vengono utilizzati per prodotti o servizi identici o simili, mentre tale requisito non compare al n. 2.

35. La tutela offerta dall’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104, relativa a segni e a prodotti o servizi identici, è «assoluta», nel senso che il titolare del marchio non è tenuto a dimostrare il rischio di confusione (21), cosa che invece è richiesta per la tutela ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b), che riguarda situazioni in cui non esiste una «doppia identità» tra segni e prodotti o servizi, ma i segni, i prodotti o i servizi oppure gli uni e gli altri sono simili. Per situazioni di doppia identità intendo i casi in cui i diritti del titolare di un marchio siano violati da un terzo che usa un segno identico per prodotti identici (22).

36. Per i marchi che godono di notorietà l’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 aggiunge i seguenti aspetti:

– esso istituisce una possibile ulteriore protezione di alcuni marchi, che gli Stati membri possono decidere se mettere in atto o meno; il Regno Unito l’ha attivata, così come molti altri Stati membri, se non addirittura tutti (23);

– la tutela che esso offre va oltre quella prevista dall’art. 5, n. 1;

– la tutela è disponibile solo per i marchi che godono di notorietà.

37. Occorre sottolineare al riguardo che, in contraddizione piuttosto evidente con la lettera dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104, la Corte ha dichiarato, nelle sentenze Davidoff (24) e Adidas-Salomon e AdidasBenelux (25), che l’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 istituisce una tutela specifica in caso di uso da parte di un terzo di un marchio d’impresa o di un segno successivo, identico o simile al marchio notorio registrato, non solo per prodotti o servizi non simili, ma anche per prodotti o servizi identici o simili a quelli contraddistinti da quest’ultimo (26).

B – Applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 [questioni nn. 1, 2, 3, lett. a) e 4]

38. Riguardo alle questioni nn. 1, 2, 3, lett. a) e 4 [per quanto riferita alla questione n. 3, lett. a)] occorre prendere in esame l’interpretazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 in una situazione in cui un inserzionista abbia scelto di utilizzare una parola chiave identica ad un marchio, senza il consenso del titolare di questo, nell’ambito di un servizio di posizionamento a pagamento su Internet.

39. Ricordo che nell’unica sentenza riguardante un gestore di un motore di ricerca (sentenza Google France e Google) una delle questioni fondamentali accertate è che il gestore di un motore di ricerca o il suo servizio di posizionamento a pagamento non «utilizzano» segni simili al marchio e pertanto le loro attività non ricadono nell’ambito dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 (27).

40. A mio avviso, pertanto, da ciò consegue che il comportamento del fornitore del servizio di posizionamento riguardo alla possibilità per il titolare del marchio di vietare l’uso del proprio marchio come parola chiave è irrilevante ai fini della soluzione delle questioni nn. 1-3, lett. a). L’unico punto di diritto dei marchi che qui rileva è che, nel caso in cui il gestore del servizio di posizionamento attribuisca tale possibilità ai titolari di un marchio, da ciò si potrebbe dedurre in alcuni casi l’esistenza di un tacito consenso del titolare del marchio all’uso del proprio marchio come parola chiave (28).

41. Inoltre, dalla giurisprudenza Google France e Google deriva che è l’inserzionista stesso, che sceglie una parola chiave identica ad un marchio altrui, ad utilizzare il marchio in relazione, a seconda dei casi, ai propri prodotti o a quelli del titolare del marchio. Questo può compromettere la funzione di indicazione di origine nel caso in cui l’annuncio pubblicitario visualizzato nel link sponsorizzato non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o, invece, da un terzo (29).

42. Per quanto riguarda la nozione di uso per prodotti o servizi, sembra irrilevante il fatto che l’annuncio pubblicitario mostri o meno il marchio (30). A mio avviso, è ovvio che un effetto negativo sulla funzione di indicazione di origine può essere escluso nel caso in cui l’annuncio pubblicitario nel link sponsorizzato menzioni il marchio ma dissoci di fatto l’inserzionista dallo stesso, ad esempio attraverso una pubblicità comparativa legittima. Tuttavia, a priori un annuncio pubblicitario visualizzato nel link sponsorizzato che menzioni o riproduca il marchio scelto come parola chiave costituisce un «utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità» che può essere vietato dal titolare del marchio ai sensi dell’art. 5, n. 3, lett. d), della direttiva 89/104, fatta salva l’applicazione degli artt. 6 o 7 della direttiva 89/104 o delle disposizioni della direttiva sulla pubblicità comparativa (31).

43. Poiché il criterio applicato dalla Corte è il rischio che l’uso abbia un effetto negativo su alcune delle funzioni del marchio, nel caso di specie la funzione di indicazione di origine (32), è necessario esaminare tale uso in concreto. Se il marchio non viene menzionato nell’annuncio pubblicitario, la rilevanza della questione dipende a mio avviso dalla natura dei prodotti e dei servizi tutelati dal marchio, tenendo conto non solo della portata della tutela registrata per il marchio, ma anche del significato e della notorietà che il marchio ha acquisito attraverso l’uso nella mente di settori rilevanti del pubblico.

44. Secondo la formula utilizzata dalla Corte nella sentenza Google France e Google, «nella maggior parte dei casi, inserendo il nome di un marchio quale parola da ricercare, l’utente di Internet si prefigge di trovare informazioni od offerte sui prodotti o sui servizi di tale marchio. Pertanto, quando sono visualizzati, sopra o a lato dei risultati naturali della ricerca, link pubblicitari verso siti che offrono prodotti o servizi di concorrenti del titolare di detto marchio, l’utente di Internet, se non esclude subito tali link in quanto non pertinenti e non li confonde con quelli del titolare del marchio, può percepire che detti link offrano un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare del marchio» (33).

45. In molti casi, la visualizzazione di alternative commerciali non appare nociva per la funzione di indicazione di origine del marchio, in quanto il fatto che un annuncio pubblicitario compaia in un link sponsorizzato dopo aver digitato una parola chiave identica ad un marchio non crea un’associazione o un nesso tra il marchio e il prodotto o il servizio promosso dall’annuncio. Come dichiarato dalla Corte, l’utente di Internet può percepire i link pubblicitari come offerte di alternative commerciali rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare del marchio. Questo vale per prodotti o servizi identici. Il rischio di errore è ancor meno probabile nel caso di prodotti o servizi diversi ma correlati. Ciò accade, per esempio, nel caso in cui il marchio scelto come parola chiave faccia riferimento a viaggi in aereo e l’annuncio pubblicitario visualizzato riguardi il noleggio di automobili o la sistemazione in alberghi. Del resto, uno dei pregi di Internet consiste proprio nel fatto che esso incrementa notevolmente le possibilità dei consumatori di compiere scelte ragionate tra prodotti e servizi (34).

46. Tuttavia, nel caso in cui un marchio come INTERFLORA, che identifica una nota rete commerciale di imprese indipendenti che forniscono un particolare servizio uniforme, ossia la consegna di fiori a domicilio sulla base di una procedura standard, la visualizzazione del nome di un’altra impresa in un link sponsorizzato può, a mio avviso, creare l’impressione che l’impresa menzionata nell’annuncio pubblicitario appartenga alla rete di imprese individuate da quel marchio (35).

47. Pertanto, a mio parere, oltre al suo significato registrato, il marchio INTERFLORA ha acquisito anche un «significato secondario» (36) che denota una determinata rete commerciale di fioristi che forniscono un determinato tipo di servizio di consegna, e la notorietà di tale marchio si riferisce o è identica alle associazioni positive che tale significato possiede nella mente delle pertinenti cerchie di consumatori (37).

48. Di conseguenza, un’associazione tra il marchio della Interflora e un identico servizio di consegna di fiori fornito dalla Marks & Spencer è possibile ed anche probabile nella mente di un consumatore medio in cerca di informazioni riguardo a tali servizi su Internet, qualora si trovi di fronte al seguente annuncio pubblicitario (38):

«M&S Flowers Online

www.marksandspencer.com/flowers

Magnifici fiori freschi e piante. Per una consegna il giorno successivo, ordinare entro le 17».

A mio avviso, nell’ambito del presente caso, il fatto che la pubblicità compaia come conseguenza dell’inserimento del termine «interflora» in un motore di ricerca crea un’associazione secondo la quale la Marks & Spencer fa parte della rete Interflora.

49. Alla luce della suesposta analisi relativa alle questioni nn. 1, 2 e 3, lett. a), suggerisco che l’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e l’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 vengano interpretati nel senso che:

– un segno identico ad un marchio è utilizzato «per prodotti o servizi», ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, quando sia stato selezionato come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet senza il consenso del titolare del marchio, e la visualizzazione degli annunci pubblicitari sia organizzata sulla base di parole chiave.

– Il titolare del marchio ha diritto di vietare tale comportamento nelle circostanze testé menzionate, nel caso in cui tale annuncio pubblicitario non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o invece da un terzo.

– Un errore sull’origine dei prodotti o servizi si verifica quando il link sponsorizzato del concorrente sia idoneo ad indurre una parte del pubblico a credere che il concorrente sia un membro della rete commerciale gestita dal titolare del marchio, contrariamente al vero. In conseguenza di ciò, il titolare del marchio ha il diritto di vietare l’uso della parola chiave nelle pubblicità da parte del concorrente in questione.

– Il comportamento del gestore del servizio di posizionamento quanto alla possibilità del titolare del marchio di vietare l’uso del proprio marchio come parola chiave è irrilevante con riferimento alle soluzioni appena proposte.

C – Tutela ampliata per i marchi che godono di notorietà ai sensi dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 [questioni nn. 3, lett. b), e 4]

1. Osservazioni generali sulla tutela contro la diluizione del marchio

50. La diluizione del marchio (39) poggia sull’idea secondo cui il vero scopo del marchio dovrebbe essere quello di tutelare gli sforzi e gli investimenti effettuati dal titolare del marchio nonché il valore autonomo («goodwill» o «avviamento») del marchio. Questo approccio ai marchi «basato sulla titolarità» si distingue dall’idea «basata sull’inganno» secondo la quale il diritto dei marchi tutela in primo luogo la funzione di indicazione origine per evitare che i consumatori e gli altri utenti finali siano indotti in errore riguardo all’origine commerciale di prodotti e servizi (40). L’approccio basato sulla titolarità tutela anche la funzione di comunicazione, di pubblicità e di investimento dei marchi ai fini della creazione di una marca dotata di un’immagine positiva e di un valore economico autonomo (valore della marca o «goodwill»). Di conseguenza, il marchio può essere utilizzato per prodotti o servizi diversi che nulla hanno in comune a parte il fatto di essere soggetti al controllo del titolare del marchio. Le funzioni di indicazione di origine e di qualità (41) verrebbero tutelate come fattori che contribuiscono al valore della marca.

51. Questa teoria della diluizione, oggi associata specificamente ai marchi notori, estende la tutela del marchio a prodotti e servizi diversi da quelli appartenenti al settore di tutela registrato. Storicamente, essa ha svolto una funzione analoga a quella della cosiddetta dottrina Kodak, la quale giustifica un’ampia portata della tutela dei marchi notori contro la confusione (42).

52. Sia nel diritto dell’Unione europea sia negli Stati Uniti la nozione della tutela contro la diluizione si riferisce in modo specifico a due fenomeni: la protezione dall’offuscamento e quella dalla corrosione (43). La protezione dall’offuscamento («blurring» o diluizione in senso stretto) è concessa contro l’uso che comporti il rischio che il marchio perda il suo carattere distintivo e quindi il suo valore. Protezione dalla corrosione («tarnishment») significa tutela contro usi che ledono la reputazione del marchio.

53. Inoltre, a differenza che negli stati Uniti (44), nel diritto dei marchi dell’Unione europea la protezione dalla diluizione riguarda anche un terzo fenomeno, ossia la tutela contro il parassitismo («free-riding»), ovvero contro l’ottenimento di un indebito vantaggio tratto dalla notorietà o dal carattere distintivo di un marchio altrui. L’essenza della tutela contro il parassitismo non consiste nel proteggere il titolare del marchio dai danni arrecati al marchio stesso, ma piuttosto nel proteggere il titolare del marchio contro l’autore della violazione che ottiene un indebito vantaggio da un uso non autorizzato del marchio (45).

54. Quanto alla terminologia, a mio parere nel diritto dell’Unione europea sui marchi la diluizione in senso ampio comprende l’offuscamento, la corrosione (o svilimento) e il parassitismo. Per offuscamento (o diluizione in senso stretto) si intende l’uso che può portare ad un processo di diluizione del marchio in senso stretto, ossia ad una diminuzione del carattere distintivo del marchio.

55. Con le questioni nn. 3, lett. b), e 4, il giudice del rinvio intende stabilire in quali circostanze si può ritenere che un inserzionista che utilizza un segno identico al marchio notorio di un concorrente agisca

– in modo da danneggiare il carattere distintivo di quel marchio

e/o

– in modo da trarre un vantaggio indebito dal carattere distintivo o dalla notorietà di quel marchio (46).

2. Se l’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 sia applicabile nel caso in cui la situazione ricada anche nell’ambito dell’art. 5, n. 1, lett. a)

56. Prima di analizzare la questione n. 3, lett. b), occorre esaminare se gli artt. 5, n. 1, lett. a) e 5, n. 2, della direttiva 89/104 siano applicabili simultaneamente o se si possano applicare solo uno alla volta.

57. La tutela contro le tre forme di diluizione è accordata, ai sensi dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104, ai marchi che godono di notorietà contro segni identici o simili utilizzati per prodotti o servizi che non siano identici o simili a quelli contrassegnati dal marchio. Tuttavia, come sottolineato in precedenza, la giurisprudenza Davidoff ha esteso l’applicazione di tale disposizione alle situazioni in cui il segno identico o simile venga utilizzato per prodotti o servizi identici o simili. Questo amplia la tutela contro la diluizione ai casi in cui esiste un rapporto di concorrenza economica diretta tra il titolare del marchio e chi fa uso di un segno identico o simile. Ricordo che non vi è disaccordo tra le parti riguardo al fatto che la INTERFLORA goda di notorietà ai sensi dell’art. 5, n. 2.

58. Dalla giurisprudenza recente della Corte relativa all’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104, deriva che l’uso di un segno identico rientra nell’ambito di tale disposizione purché sia idoneo a recare pregiudizio a una qualsiasi delle funzioni del marchio e non soltanto alla funzione di indicazione di origine (47).

59. Tuttavia, non ritengo che la Corte abbia voluto dire che il ruolo di tutte le funzioni del marchio sarebbe limitato all’applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104. In caso di doppia identità tra segni e tra prodotti o servizi, tutte le funzioni, o alcune di esse, sono rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 5, n. 2. Ricordo che le funzioni del marchio diverse da quella di indicazione dell’origine sono tutelate dall’art. 5, n. 2, nei casi indicati nell’art. 5, n. 1, lett. b), qualora non sia possibile dimostrare un rischio di confusione.

60. Nel caso di doppia identità si può pensare che la tutela contro l’offuscamento, la corrosione e il parassitismo sia basata soltanto sull’art. 5, n. 1, lett. a), senza chiamare in causa l’art. 5, n. 2. Questo sarebbe vero a patto che l’uso di un segno identico a un marchio per prodotti o servizi identici sia idoneo a compromettere una qualsiasi delle funzioni del marchio. In questo caso, è ovvio, le funzioni più interessate sarebbero quelle di qualità, comunicazione, pubblicità e investimento, ma anche le funzioni di identificazione o distinzione nei limiti in cui il segno venga utilizzato per distinguere tra prodotti e servizi per scopi diversi da quello dell’indicazione della loro origine.

61. Simile interpretazione sarebbe coerente con l’idea, espressa nel decimo ‘considerando’ della direttiva 89/104, secondo cui la tutela offerta dall’art. 5, n. 1, lett. a) è «assoluta». A mio parere, è ovvio altresì che qualsiasi uso che ricade nell’ambito dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 è potenzialmente idoneo a recare pregiudizio ad almeno una delle funzioni del marchio sopra menzionate, specialmente perché la tutela ampliata offerta dall’art. 5, n. 2, della direttiva 89/10

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NIILO JÄÄSKINEN

Causa C‑323/09 (1)

Interflora Inc

Interflora British Unit

contro

Marks & Spencer plc

Flowers Direct Online Limited

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice of (England and Wales), Chancery Division (Regno Unito)]

I – Introduzione

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale di cui ci occupiamo rappresenta l’ultima, in ordine di tempo, di una serie di cause in materia di pubblicità a partire da parole chiave offerta in un motore di ricerca su Internet.

2. Le parti della causa principale offrono un servizio di consegna di fiori a domicilio. Le società ricorrenti nella causa principale (in prosieguo designate congiuntamente come «Interflora») addebitano alla convenuta, la Marks & Spencer (2), di aver violato il marchio INTERFLORA (3), sostanzialmente avendo acquistato diverse sequenze di segni identici o simili al suddetto marchio come parole chiave nel servizio di pubblicità AdWords offerto da Google.

3. Le quattro questioni pregiudiziali possono essere suddivise in due gruppi.

4. Il primo gruppo di questioni riguarda i diritti conferiti a tutti i marchi registrati. Le disposizioni rilevanti figurano all’art. 5, n. 1, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (4), e alla corrispondente disposizione dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (5). Le soluzioni per questo gruppo di domande si possono rinvenire nelle pronunce rese nel 2010 nelle cause Google France e Google (6), BergSpechte, Eis.de e Portakabin (7). Tali cause vertevano sull’«uso», da parte di concorrenti, nei servizi di pubblicità offerti in motori di ricerca su Internet, di segni identici ai marchi di cui erano titolari i ricorrenti nelle cause stesse (8).

5. Il secondo gruppo di questioni costituisce l’aspetto di novità del presente caso: esse vertono sulla tutela dei marchi che godono di notorietà. In forza dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104, uno Stato membro può garantire a questo tipo di marchi una tutela più ampia. Questa tutela ampliata per i marchi che godono di notorietà (9), prevista anche dall’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 per il marchio comunitario, è stata oggetto di un minor numero di pronunce da parte della Corte rispetto alla tutela generale di cui al precedente punto. Le nuove questioni sollevate nel presente caso si riferiscono alla tutela di un marchio che gode di notorietà nonché al problema di stabilire in quali condizioni si possa parlare di offuscamento di tale marchio (diluizione tramite offuscamento) o di acquisizione di un vantaggio indebito («free-riding» o «parassitismo»), da parte di un concorrente, nel caso in cui quest’ultimo acquisti una parola chiave identica al marchio stesso in un servizio di pubblicità su Internet (10).

6. Di fatto, nel presente caso il termine «Interflora» assolve a tre diverse funzioni. In primo luogo, si tratta del termine di ricerca che un qualunque utente può scegliere di inserire in un motore di ricerca su Internet. In secondo luogo, si tratta di una parola chiave, acquistata da alcuni inserzionisti da un servizio di pubblicità offerto dal gestore di un motore di ricerca su Internet per far apparire un determinato messaggio pubblicitario. In terzo luogo, si tratta del simbolo significativo registrato ed utilizzato come marchio per indicare la provenienza di determinati beni o servizi da un’unica fonte commerciale.

7. Occorre osservare, in proposito, che la Commissione ha criticato taluni aspetti della giurisprudenza della Corte in materia di funzioni dei marchi diverse dall’indicazione dell’origine, ritenendola erronea e problematica sotto il profilo della certezza del diritto. Tuttavia, nel presente rinvio pregiudiziale sembra che solo la funzione relativa all’indicazione dell’origine di prodotti o servizi sia rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104. Né l’interpretazione dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 sembra portare, nel presente caso, ad una tutela irragionevolmente ampia degli interessi del titolare del marchio. Non ritengo pertanto necessario soffermarmi oltre sull’argomento.

8. Ciò premesso, è innegabile che la Corte si trovi in una situazione alquanto difficile quanto all’accettabilità della propria giurisprudenza relativa all’art. 5 della direttiva 89/104 anche alla luce delle censure mosse dalla dottrina e da importanti giudici nazionali competenti in materia di marchi (11).

9. A mio avviso, tuttavia, tali questioni sono in parte dovuti alla problematica redazione dell’art. 5 della direttiva 89/104. Pertanto, la situazione attuale potrebbe essere corretta attraverso provvedimenti legislativi adeguati piuttosto che non con un nuovo orientamento giurisprudenziale, come dimostra l’esempio dell’evoluzione nella legislazione federale statunitense in materia di diluizione dei marchi (12). Faccio notare che nel dicembre 2010 è pervenuto alla Commissione uno studio sulla funzione generale del sistema dei marchi in Europa, ed è auspicabile l’adozione di altre iniziative in questo settore (13).

II – Contesto normativo

A – Direttiva 89/104

10. Il primo ‘considerando’ della direttiva 89/104 prevede quanto segue (14):

«(...) le legislazioni che si applicano attualmente ai marchi d’impresa negli Stati membri presentano disparità che possono ostacolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi, nonché falsare le condizioni di concorrenza nel mercato comune; che nella prospettiva dell’instaurazione e del funzionamento del mercato interno è dunque necessario ravvicinare le legislazioni degli Stati membri».

11. Il nono ‘considerando’ della direttiva 89/104 è così formulato:

«(...) è fondamentale, per agevolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi, procurare che i marchi d’impresa registrati abbiano ormai negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri, la medesima tutela: che ciò non priva tuttavia gli Stati membri della facoltà di tutelare maggiormente i marchi d’impresa che abbiano acquisito una notorietà».

12. Il decimo ‘considerando’ della direttiva 89/104 enuncia quanto segue:

«(...) la tutela che è accordata dal marchio di impresa registrato e che mira in particolare a garantire la funzione d’origine del marchio di impresa, è assoluta in caso di identità tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi; che la tutela è accordata anche in caso di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi; (...) è indispensabile interpretare la nozione di somiglianza in relazione al rischio di confusione; che il rischio di confusione, la cui valutazione dipende da numerosi fattori, e segnatamente dalla notorietà del marchio di impresa sul mercato, dall’associazione che può essere fatta tra il marchio di impresa e il segno usato o registrato, dal grado di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi designati, costituisce la condizione specifica della tutela; (...) le norme procedurali nazionali che non sono pregiudicate dalla presente direttiva disciplinano i mezzi grazie a cui può essere constatato il rischio di confusione, e in particolare l’onere della prova».

13. L’art. 5 della direttiva 89/104, rubricato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», dispone quanto segue (15), (16):

«1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare in commercio:

a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b) un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.

2. Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi.

3. Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:

(…)

b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

(…)

d) l’uso del segno nella corrispondenza commerciale o nella pubblicità.

(…)

5. I paragrafi da 1 a 4 non pregiudicano le disposizioni applicabili in uno Stato membro per la tutela contro l’uso di un segno fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti o servizi, quando l’uso di tale segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi».

B – Regolamento n. 40/94

14. Il settimo ‘considerando’ del regolamento n. 40/94 (17) è, mutatis mutandis, identico al decimo ‘considerando’ della direttiva 89/104. Gli artt. 8, n. 5, 9 e 12, n. 1, del regolamento n. 40/94 corrispondono, in sostanza, agli artt. 4, n. 4, 5 e 6, n. 1, della direttiva 89/104.

15. L’art. 9 («Diritti conferiti dal marchio comunitario») del regolamento n. 40/94 così recita:

«1. Il marchio comunitario conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare in commercio:

a) un segno identico al marchio comunitario per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b) un segno che a motivo della sua identità o somiglianza col marchio comunitario e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio comunitario e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra il segno e il marchio;

c) un segno identico o simile al marchio comunitario per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato registrato, se il marchio comunitario gode di notorietà nella Comunità e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio comunitario o reca pregiudizio agli stessi.

2. Possono essere in particolare vietati, a norma del paragrafo 1:

(…)

b) l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali scopi oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno;

(…)

d) l’uso del segno nella corrispondenza commerciale o nella pubblicità».

III – Causa principale e questioni pregiudiziali

A – Il servizio di posizionamento «AdWords»

16. La Google gestisce un motore di ricerca su Internet. Quando un utente di Internet effettua una ricerca a partire da una o più parole, il motore di ricerca visualizza, in ordine decrescente di pertinenza, i siti che sembrano meglio corrispondere a tali parole. Si tratta dei risultati cosiddetti «naturali» della ricerca.

17. La Google propone inoltre un servizio di posizionamento a pagamento denominato «AdWords». Tale servizio consente a qualsiasi operatore economico, che si riservi una o più parole chiave, di far apparire un link pubblicitario verso il suo sito, qualora tali parole coincidano con quelle contenute nella richiesta indirizzata da un utente di Internet al motore di ricerca. Tale link pubblicitario appare nella rubrica «link sponsorizzati», visualizzata o sul lato destro dello schermo, a destra dei risultati naturali, o nella parte superiore dello schermo, al di sopra di tali risultati.

18. Detto link pubblicitario è accompagnato da un breve messaggio commerciale. Tale link e tale messaggio costituiscono, insieme, l’annuncio pubblicitario («ad») visualizzato nella rubrica «link sponsorizzati».

19. L’inserzionista è tenuto a pagare un corrispettivo per il servizio di posizionamento per ogni selezione («click») del link pubblicitario. Tale corrispettivo è calcolato in funzione, in particolare, del «prezzo massimo per click» che, al momento della conclusione del contratto di servizio di posizionamento con la Google, l’inserzionista ha convenuto di pagare, nonché del numero di click su tale link da parte degli utenti di Internet.

20. Più inserzionisti possono riservarsi la stessa parola chiave. L’ordine in cui vengono visualizzati i loro link pubblicitari in tal caso sarà determinato, in particolare, in base al prezzo massimo per click, a quante volte i detti link sono stati selezionati in precedenza, nonché alla qualità dell’annuncio come valutata dalla Google. In qualunque momento l’inserzionista può migliorare la sua posizione nell’ordine di visualizzazione fissando un prezzo massimo per click più alto oppure provando a migliorare la qualità del suo annuncio.

21. La Google ha messo a punto un processo automatizzato per consentire la selezione di parole chiave e la creazione di annunci. Gli inserzionisti selezionano le parole chiave, redigono il messaggio commerciale e inseriscono il link verso il loro sito.

B – L’uso di parole chiave nella causa principale

22. La Interflora Inc., società stabilita nel Michigan (Stati Uniti d’America), gestisce una rete di distribuzione di fiori in tutto il mondo. La Interflora British Unit è una licenziataria della Interflora Inc.

23. La rete Interflora è formata da fioristi indipendenti, con i quali si possono effettuare ordinazioni di persona o per telefono. La Interflora possiede però anche siti web che permettono di effettuare ordinazioni via Internet, che vengono evase dal membro della rete più vicino all’indirizzo cui dovranno essere consegnati i fiori. Il principale sito web è www.interflora.com, che ridirige verso siti web specifici nazionali, come il sito www. Interflora.co.uk.

24. INTERFLORA è un marchio nazionale nel Regno Unito ed è anche un marchio comunitario (18). È assodato che tali marchi godono di grande rinomanza sostanziale nel Regno Unito e in altri Stati membri dell’Unione europea.

25. La Marks & Spencer plc, società di diritto inglese, è uno dei maggiori rivenditori al dettaglio del Regno Unito. Tale società fornisce un’ampia gamma di prodotti e servizi attraverso la propria rete di negozi e tramite il suo sito web www.marksandspencer.com. Una delle sue attività consiste nella vendita e nella consegna di fiori a domicilio. Tale attività commerciale si trova in concorrenza con quella della Interflora. La Marks & Spencer non fa parte della rete Interflora.

26. Nell’ambito del servizio di posizionamento «AdWords», la Marks & Spencer si è riservata la parola chiave «interflora» nonché alcune varianti formate dalla stessa parola chiave con «errori marginali» e da espressioni contenenti il termine interflora (come «interflora flowers», «interflora delivery», «interflora.com», «interflora co uk»), come parole chiave (19).

27. Di conseguenza, quando un utente Internet inseriva la parola «interflora» o una delle suddette varianti o espressioni come termine di ricerca nel motore di ricerca di Google, sotto il titolo «link sponsorizzato» appariva un annuncio pubblicitario della Marks & Spencer.

28. È pacifico che nell’annuncio pubblicitario visualizzato non comparivano espressioni riferite ad Interflora scelte come parola chiave né veniva mostrato il marchio Interflora in alcun altro modo.

29. Assodati i fatti testé riferiti, la Interflora ha citato la Marks & Spencer per violazione dei suoi diritti di marchio dinanzi al giudice nazionale, il quale ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte una serie di questioni pregiudiziali.

C – Le questioni pregiudiziali proposte

30. Con ordinanza 16 luglio 2009, la High Court of Justice of England and Wales, Chancery Division (la «High Court») ha proposto dieci questioni pregiudiziali, di cui riporto qui di seguito le prime quattro:

«1) Se, qualora un operatore commerciale, che svolge un’attività in concorrenza con il titolare di un marchio registrato e che fornisce beni e servizi identici a quelli designati dal detto marchio per mezzo del proprio sito web, (a) scelga un segno identico (…) al marchio in questione quale parola chiave per un servizio di link sponsorizzati offerto dal gestore di un motore di ricerca, b) denomini il segno come una parola chiave, c) associ il segno con l’URL del proprio sito web, d) stabilisca il costo che dovrà sostenere per ogni click in base a tale parola chiave, e) programmi i tempi di visualizzazione del link sponsorizzato e f) usi il segno in questione nella corrispondenza commerciale relativa alla fatturazione ed al pagamento delle tariffe e/o all’amministrazione del proprio account con il gestore del motore di ricerca – sebbene il link sponsorizzato non includa direttamente il segno o un altro segno simile – , tutti o alcuni di questi atti configurino un “uso” del segno da parte del concorrente ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della [direttiva 89/104] nonché dell’art. 9, n. 1, lett. a), del [regolamento n. 40/94].

2) Se in tali casi si tratti di un uso «per» prodotti o servizi identici a quelli per i quali è stato registrato il marchio d’impresa ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a) della [direttiva 89/104] e dell’art. 9, n. 1, lett. a) del [regolamento n. 40/94].

3) Se tale uso rientri nell’ambito di applicazione di una o di entrambe le seguenti disposizioni:

a) art. 5, n. 1, lett. a), della [direttiva 89/04] e art. 9, n. 1, lett. a), del [regolamento n. 40/94]

b) art. 5, n. 2, della [direttiva 89/04] ed art. 9, n. 1, lett. c), del [regolamento n. 40/94].

4) Se la questione n. 3 possa ricevere una soluzione diversa qualora:

a) la presentazione del link sponsorizzato del concorrente in risposta ad una ricerca effettuata dall’utente per mezzo del segno in questione sia idonea ad indurre una parte del pubblico a credere che il concorrente sia un membro della rete commerciale gestita dal titolare del marchio, contrariamente al vero; o

b) il gestore del motore di ricerca non consenta ai titolari del marchio nello Stato membro (…) interessato di bloccare la selezione, da parte dei terzi, di segni identici ai loro marchi quali parole chiave».

31. Dopo la pronuncia resa nella causa Google France e Google e dopo aver ricevuto, con lettera della cancelleria della Corte 23 marzo 2010, una richiesta di chiarimenti, la High Court, con decisione 29 aprile 2010 ricevuta dalla Corte il 9 giugno 2010, ha ritirato le questioni pregiudiziali nn. 5-10, mantenendo quindi ferme soltanto le prime quattro questioni citate al paragrafo precedente. La High Court ha inoltre abbreviato la questione 3, lett. b), limitandola ai termini riportati al paragrafo precedente.

32. Osservazioni scritte sono state depositate dalla Interflora, dalla Marks & Spencer, dalla Repubblica portoghese e dalla Commissione. Ad eccezione della Repubblica portoghese, tutte le parti sono intervenute all’udienza del 13 ottobre 2010 per svolgere argomenti orali. Ai fini dell’udienza, la Corte ha chiesto alle parti di concentrare le loro difese sulla questione 3, lett. b).

IV – Analisi

A – Osservazioni generali

33. Ai fini della valutazione dei due gruppi di questioni presentate inizialmente, proporrò anzitutto alcune osservazioni generali relative alla tutela offerta dall’art. 5 della direttiva 89/104. Debbo inoltre precisare, in via preliminare, che le questioni verranno esaminate unicamente alla luce dell’art. 5, n. 1, lett. a), e n. 2, della direttiva 89/104, ma che l’interpretazione cui si perverrà al termine di tale esame sarà applicabile, mutatis mutandis, all’art. 9, n. 1, lett. a) e lett. c), del regolamento n. 40/94 (20).

34. La tutela offerta ai marchi ai sensi dell’art. 5 della direttiva 89/104 riguarda l’uso di un segno a fini distintivi di prodotti o servizi, dato che il n. 5 di tale disposizione esclude dal proprio ambito di applicazione la tutela offerta dagli Stati membri riguardo ad usi diversi. Per quanto riguarda l’estensione della tutela offerta dal suddetto articolo, il n. 1 dello stesso riguarda situazioni in cui il segno e il marchio in conflitto vengono utilizzati per prodotti o servizi identici o simili, mentre tale requisito non compare al n. 2.

35. La tutela offerta dall’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104, relativa a segni e a prodotti o servizi identici, è «assoluta», nel senso che il titolare del marchio non è tenuto a dimostrare il rischio di confusione (21), cosa che invece è richiesta per la tutela ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. b), che riguarda situazioni in cui non esiste una «doppia identità» tra segni e prodotti o servizi, ma i segni, i prodotti o i servizi oppure gli uni e gli altri sono simili. Per situazioni di doppia identità intendo i casi in cui i diritti del titolare di un marchio siano violati da un terzo che usa un segno identico per prodotti identici (22).

36. Per i marchi che godono di notorietà l’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 aggiunge i seguenti aspetti:

– esso istituisce una possibile ulteriore protezione di alcuni marchi, che gli Stati membri possono decidere se mettere in atto o meno; il Regno Unito l’ha attivata, così come molti altri Stati membri, se non addirittura tutti (23);

– la tutela che esso offre va oltre quella prevista dall’art. 5, n. 1;

– la tutela è disponibile solo per i marchi che godono di notorietà.

37. Occorre sottolineare al riguardo che, in contraddizione piuttosto evidente con la lettera dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104, la Corte ha dichiarato, nelle sentenze Davidoff (24) e Adidas-Salomon e AdidasBenelux (25), che l’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 istituisce una tutela specifica in caso di uso da parte di un terzo di un marchio d’impresa o di un segno successivo, identico o simile al marchio notorio registrato, non solo per prodotti o servizi non simili, ma anche per prodotti o servizi identici o simili a quelli contraddistinti da quest’ultimo (26).

B – Applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 [questioni nn. 1, 2, 3, lett. a) e 4]

38. Riguardo alle questioni nn. 1, 2, 3, lett. a) e 4 [per quanto riferita alla questione n. 3, lett. a)] occorre prendere in esame l’interpretazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 in una situazione in cui un inserzionista abbia scelto di utilizzare una parola chiave identica ad un marchio, senza il consenso del titolare di questo, nell’ambito di un servizio di posizionamento a pagamento su Internet.

39. Ricordo che nell’unica sentenza riguardante un gestore di un motore di ricerca (sentenza Google France e Google) una delle questioni fondamentali accertate è che il gestore di un motore di ricerca o il suo servizio di posizionamento a pagamento non «utilizzano» segni simili al marchio e pertanto le loro attività non ricadono nell’ambito dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 (27).

40. A mio avviso, pertanto, da ciò consegue che il comportamento del fornitore del servizio di posizionamento riguardo alla possibilità per il titolare del marchio di vietare l’uso del proprio marchio come parola chiave è irrilevante ai fini della soluzione delle questioni nn. 1-3, lett. a). L’unico punto di diritto dei marchi che qui rileva è che, nel caso in cui il gestore del servizio di posizionamento attribuisca tale possibilità ai titolari di un marchio, da ciò si potrebbe dedurre in alcuni casi l’esistenza di un tacito consenso del titolare del marchio all’uso del proprio marchio come parola chiave (28).

41. Inoltre, dalla giurisprudenza Google France e Google deriva che è l’inserzionista stesso, che sceglie una parola chiave identica ad un marchio altrui, ad utilizzare il marchio in relazione, a seconda dei casi, ai propri prodotti o a quelli del titolare del marchio. Questo può compromettere la funzione di indicazione di origine nel caso in cui l’annuncio pubblicitario visualizzato nel link sponsorizzato non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o, invece, da un terzo (29).

42. Per quanto riguarda la nozione di uso per prodotti o servizi, sembra irrilevante il fatto che l’annuncio pubblicitario mostri o meno il marchio (30). A mio avviso, è ovvio che un effetto negativo sulla funzione di indicazione di origine può essere escluso nel caso in cui l’annuncio pubblicitario nel link sponsorizzato menzioni il marchio ma dissoci di fatto l’inserzionista dallo stesso, ad esempio attraverso una pubblicità comparativa legittima. Tuttavia, a priori un annuncio pubblicitario visualizzato nel link sponsorizzato che menzioni o riproduca il marchio scelto come parola chiave costituisce un «utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità» che può essere vietato dal titolare del marchio ai sensi dell’art. 5, n. 3, lett. d), della direttiva 89/104, fatta salva l’applicazione degli artt. 6 o 7 della direttiva 89/104 o delle disposizioni della direttiva sulla pubblicità comparativa (31).

43. Poiché il criterio applicato dalla Corte è il rischio che l’uso abbia un effetto negativo su alcune delle funzioni del marchio, nel caso di specie la funzione di indicazione di origine (32), è necessario esaminare tale uso in concreto. Se il marchio non viene menzionato nell’annuncio pubblicitario, la rilevanza della questione dipende a mio avviso dalla natura dei prodotti e dei servizi tutelati dal marchio, tenendo conto non solo della portata della tutela registrata per il marchio, ma anche del significato e della notorietà che il marchio ha acquisito attraverso l’uso nella mente di settori rilevanti del pubblico.

44. Secondo la formula utilizzata dalla Corte nella sentenza Google France e Google, «nella maggior parte dei casi, inserendo il nome di un marchio quale parola da ricercare, l’utente di Internet si prefigge di trovare informazioni od offerte sui prodotti o sui servizi di tale marchio. Pertanto, quando sono visualizzati, sopra o a lato dei risultati naturali della ricerca, link pubblicitari verso siti che offrono prodotti o servizi di concorrenti del titolare di detto marchio, l’utente di Internet, se non esclude subito tali link in quanto non pertinenti e non li confonde con quelli del titolare del marchio, può percepire che detti link offrano un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare del marchio» (33).

45. In molti casi, la visualizzazione di alternative commerciali non appare nociva per la funzione di indicazione di origine del marchio, in quanto il fatto che un annuncio pubblicitario compaia in un link sponsorizzato dopo aver digitato una parola chiave identica ad un marchio non crea un’associazione o un nesso tra il marchio e il prodotto o il servizio promosso dall’annuncio. Come dichiarato dalla Corte, l’utente di Internet può percepire i link pubblicitari come offerte di alternative commerciali rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare del marchio. Questo vale per prodotti o servizi identici. Il rischio di errore è ancor meno probabile nel caso di prodotti o servizi diversi ma correlati. Ciò accade, per esempio, nel caso in cui il marchio scelto come parola chiave faccia riferimento a viaggi in aereo e l’annuncio pubblicitario visualizzato riguardi il noleggio di automobili o la sistemazione in alberghi. Del resto, uno dei pregi di Internet consiste proprio nel fatto che esso incrementa notevolmente le possibilità dei consumatori di compiere scelte ragionate tra prodotti e servizi (34).

46. Tuttavia, nel caso in cui un marchio come INTERFLORA, che identifica una nota rete commerciale di imprese indipendenti che forniscono un particolare servizio uniforme, ossia la consegna di fiori a domicilio sulla base di una procedura standard, la visualizzazione del nome di un’altra impresa in un link sponsorizzato può, a mio avviso, creare l’impressione che l’impresa menzionata nell’annuncio pubblicitario appartenga alla rete di imprese individuate da quel marchio (35).

47. Pertanto, a mio parere, oltre al suo significato registrato, il marchio INTERFLORA ha acquisito anche un «significato secondario» (36) che denota una determinata rete commerciale di fioristi che forniscono un determinato tipo di servizio di consegna, e la notorietà di tale marchio si riferisce o è identica alle associazioni positive che tale significato possiede nella mente delle pertinenti cerchie di consumatori (37).

48. Di conseguenza, un’associazione tra il marchio della Interflora e un identico servizio di consegna di fiori fornito dalla Marks & Spencer è possibile ed anche probabile nella mente di un consumatore medio in cerca di informazioni riguardo a tali servizi su Internet, qualora si trovi di fronte al seguente annuncio pubblicitario (38):

«M&S Flowers Online

www.marksandspencer.com/flowers

Magnifici fiori freschi e piante. Per una consegna il giorno successivo, ordinare entro le 17».

A mio avviso, nell’ambito del presente caso, il fatto che la pubblicità compaia come conseguenza dell’inserimento del termine «interflora» in un motore di ricerca crea un’associazione secondo la quale la Marks & Spencer fa parte della rete Interflora.

49. Alla luce della suesposta analisi relativa alle questioni nn. 1, 2 e 3, lett. a), suggerisco che l’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e l’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 vengano interpretati nel senso che:

– un segno identico ad un marchio è utilizzato «per prodotti o servizi», ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94, quando sia stato selezionato come parola chiave nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet senza il consenso del titolare del marchio, e la visualizzazione degli annunci pubblicitari sia organizzata sulla base di parole chiave.

– Il titolare del marchio ha diritto di vietare tale comportamento nelle circostanze testé menzionate, nel caso in cui tale annuncio pubblicitario non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o invece da un terzo.

– Un errore sull’origine dei prodotti o servizi si verifica quando il link sponsorizzato del concorrente sia idoneo ad indurre una parte del pubblico a credere che il concorrente sia un membro della rete commerciale gestita dal titolare del marchio, contrariamente al vero. In conseguenza di ciò, il titolare del marchio ha il diritto di vietare l’uso della parola chiave nelle pubblicità da parte del concorrente in questione.

– Il comportamento del gestore del servizio di posizionamento quanto alla possibilità del titolare del marchio di vietare l’uso del proprio marchio come parola chiave è irrilevante con riferimento alle soluzioni appena proposte.

C – Tutela ampliata per i marchi che godono di notorietà ai sensi dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 [questioni nn. 3, lett. b), e 4]

1. Osservazioni generali sulla tutela contro la diluizione del marchio

50. La diluizione del marchio (39) poggia sull’idea secondo cui il vero scopo del marchio dovrebbe essere quello di tutelare gli sforzi e gli investimenti effettuati dal titolare del marchio nonché il valore autonomo («goodwill» o «avviamento») del marchio. Questo approccio ai marchi «basato sulla titolarità» si distingue dall’idea «basata sull’inganno» secondo la quale il diritto dei marchi tutela in primo luogo la funzione di indicazione origine per evitare che i consumatori e gli altri utenti finali siano indotti in errore riguardo all’origine commerciale di prodotti e servizi (40). L’approccio basato sulla titolarità tutela anche la funzione di comunicazione, di pubblicità e di investimento dei marchi ai fini della creazione di una marca dotata di un’immagine positiva e di un valore economico autonomo (valore della marca o «goodwill»). Di conseguenza, il marchio può essere utilizzato per prodotti o servizi diversi che nulla hanno in comune a parte il fatto di essere soggetti al controllo del titolare del marchio. Le funzioni di indicazione di origine e di qualità (41) verrebbero tutelate come fattori che contribuiscono al valore della marca.

51. Questa teoria della diluizione, oggi associata specificamente ai marchi notori, estende la tutela del marchio a prodotti e servizi diversi da quelli appartenenti al settore di tutela registrato. Storicamente, essa ha svolto una funzione analoga a quella della cosiddetta dottrina Kodak, la quale giustifica un’ampia portata della tutela dei marchi notori contro la confusione (42).

52. Sia nel diritto dell’Unione europea sia negli Stati Uniti la nozione della tutela contro la diluizione si riferisce in modo specifico a due fenomeni: la protezione dall’offuscamento e quella dalla corrosione (43). La protezione dall’offuscamento («blurring» o diluizione in senso stretto) è concessa contro l’uso che comporti il rischio che il marchio perda il suo carattere distintivo e quindi il suo valore. Protezione dalla corrosione («tarnishment») significa tutela contro usi che ledono la reputazione del marchio.

53. Inoltre, a differenza che negli stati Uniti (44), nel diritto dei marchi dell’Unione europea la protezione dalla diluizione riguarda anche un terzo fenomeno, ossia la tutela contro il parassitismo («free-riding»), ovvero contro l’ottenimento di un indebito vantaggio tratto dalla notorietà o dal carattere distintivo di un marchio altrui. L’essenza della tutela contro il parassitismo non consiste nel proteggere il titolare del marchio dai danni arrecati al marchio stesso, ma piuttosto nel proteggere il titolare del marchio contro l’autore della violazione che ottiene un indebito vantaggio da un uso non autorizzato del marchio (45).

54. Quanto alla terminologia, a mio parere nel diritto dell’Unione europea sui marchi la diluizione in senso ampio comprende l’offuscamento, la corrosione (o svilimento) e il parassitismo. Per offuscamento (o diluizione in senso stretto) si intende l’uso che può portare ad un processo di diluizione del marchio in senso stretto, ossia ad una diminuzione del carattere distintivo del marchio.

55. Con le questioni nn. 3, lett. b), e 4, il giudice del rinvio intende stabilire in quali circostanze si può ritenere che un inserzionista che utilizza un segno identico al marchio notorio di un concorrente agisca

– in modo da danneggiare il carattere distintivo di quel marchio

e/o

– in modo da trarre un vantaggio indebito dal carattere distintivo o dalla notorietà di quel marchio (46).

2. Se l’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 sia applicabile nel caso in cui la situazione ricada anche nell’ambito dell’art. 5, n. 1, lett. a)

56. Prima di analizzare la questione n. 3, lett. b), occorre esaminare se gli artt. 5, n. 1, lett. a) e 5, n. 2, della direttiva 89/104 siano applicabili simultaneamente o se si possano applicare solo uno alla volta.

57. La tutela contro le tre forme di diluizione è accordata, ai sensi dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104, ai marchi che godono di notorietà contro segni identici o simili utilizzati per prodotti o servizi che non siano identici o simili a quelli contrassegnati dal marchio. Tuttavia, come sottolineato in precedenza, la giurisprudenza Davidoff ha esteso l’applicazione di tale disposizione alle situazioni in cui il segno identico o simile venga utilizzato per prodotti o servizi identici o simili. Questo amplia la tutela contro la diluizione ai casi in cui esiste un rapporto di concorrenza economica diretta tra il titolare del marchio e chi fa uso di un segno identico o simile. Ricordo che non vi è disaccordo tra le parti riguardo al fatto che la INTERFLORA goda di notorietà ai sensi dell’art. 5, n. 2.

58. Dalla giurisprudenza recente della Corte relativa all’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104, deriva che l’uso di un segno identico rientra nell’ambito di tale disposizione purché sia idoneo a recare pregiudizio a una qualsiasi delle funzioni del marchio e non soltanto alla funzione di indicazione di origine (47).

59. Tuttavia, non ritengo che la Corte abbia voluto dire che il ruolo di tutte le funzioni del marchio sarebbe limitato all’applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104. In caso di doppia identità tra segni e tra prodotti o servizi, tutte le funzioni, o alcune di esse, sono rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 5, n. 2. Ricordo che le funzioni del marchio diverse da quella di indicazione dell’origine sono tutelate dall’art. 5, n. 2, nei casi indicati nell’art. 5, n. 1, lett. b), qualora non sia possibile dimostrare un rischio di confusione.

60. Nel caso di doppia identità si può pensare che la tutela contro l’offuscamento, la corrosione e il parassitismo sia basata soltanto sull’art. 5, n. 1, lett. a), senza chiamare in causa l’art. 5, n. 2. Questo sarebbe vero a patto che l’uso di un segno identico a un marchio per prodotti o servizi identici sia idoneo a compromettere una qualsiasi delle funzioni del marchio. In questo caso, è ovvio, le funzioni più interessate sarebbero quelle di qualità, comunicazione, pubblicità e investimento, ma anche le funzioni di identificazione o distinzione nei limiti in cui il segno venga utilizzato per distinguere tra prodotti e servizi per scopi diversi da quello dell’indicazione della loro origine.

61. Simile interpretazione sarebbe coerente con l’idea, espressa nel decimo ‘considerando’ della direttiva 89/104, secondo cui la tutela offerta dall’art. 5, n. 1, lett. a) è «assoluta». A mio parere, è ovvio altresì che qualsiasi uso che ricade nell’ambito dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 è potenzialmente idoneo a recare pregiudizio ad almeno una delle funzioni del marchio sopra menzionate, specialmente perché la tutela ampliata offerta dall’art. 5, n. 2, della direttiva 89/10