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Breve storia del Nagorno-Karabakh tra diritto internazionale e legge del più forte

Nagorno-Karabakh
Nagorno-Karabakh

I venti di guerra hanno ripreso a soffiare, nella loro drammatica implacabilità, sul Nagorno-Karabakh.

Si tratta di quella limitata porzione di territorio caucasico, di poco inferiore al Molise, incastonata tra Armenia ed Azerbaigian. Prima facie non sembrerebbe esattamente un’area cardinale dal punto di vista geopolitico, in ragione della mancanza di sbocchi sul mare e di un’aspra conformazione montuosa – non a caso “Nagorno Karabakh” è letteralmente traducibile “giardino nero di montagna”.

Sono però eminentemente questioni storico-culturali a fare di questo lembo di terra uno dei territori più aspramente contesi al mondo. In specie, è la presenza di un folto gruppo di armeni etnici nel territorio che sino al dicembre 1991 (ma per gli azeri tutt’oggi) era parte dell’Azerbaigian. Ne è quindi scaturita una sanguinosa guerra finalizzata alla preservazione della controversa indipendenza statuale della regione armena scismatica, la quale vede ancora oggi contrapposti due schieramenti: da un lato, l’auto-proclamata Repubblica dell’Artsakh (denominazione armena della regione secessionista) e l’Armenia in qualità di “patron”; dall’altro, l’Azerbaigian e la Turchia quale ingombrante sponsor esterno.

La questione è la solita, spinosa, disputa di diritto internazionale pubblico: se a prevalere debba essere il diritto (armeno) all’auto-determinazione dei popoli, ovvero il rispetto del dogma della sovranità nazionale (azera). Si rende quindi opportuno effettuare un essenziale excursus storico-giuridico della questione, a fini chiarificativi.

Prima tappa di una certa rilevanza è costituita dal trattato di pace del Golestan del 24 ottobre 1813, con cui si pose formalmente fine al terzo conflitto russo-persiano (1804-13), il primo su larga scala tra le due potenze. Sebbene l’Impero zarista fosse già impegnato in dispendiose ostilità contro la Francia napoleonica (che nel giugno 1812 iniziava la campagna di Russia), la Svezia e l’Impero ottomano, le forze zariste guidate dai generali Ivan Gudovič e Pavel Čičagov prevalsero sul campo e spinsero gli avversari alla resa.

Tra le province già persiane che passarono sotto il dominio russo in virtù dell’armistizio del Golestan fu anche il khanato del Karabakh – comprendente non solo il già menzionato Nagorno-Karabakh (Karabakh superiore), ma altresì il Karabakh inferiore, che risulta oggi amministrativamente sparso tra Azerbaijan ed Artsakh. Intenzionato a riappropriarsi del Karabakh e di quanto perso una decade prima, nel luglio 1826 lo scià persiano Fath ʿAli lanciò una nuova offensiva fulminea, che venne però efficacemente contrastata dai comandanti Valerian Madatov ed Ivan Paskevič – nonostante talune difficoltà iniziali. Di conseguenza, la dinastia imperiale Qajar fu costretta a firmare un documento ancora più umiliante del precedente: il trattato di pace di Turkmentchaï del 21 febbraio 1828, con cui i persiani accettarono di cedere allo zar Nikolaj I l’intera regione transcaucasica – incluse le attuali Armenia e Azerbaigian.

Per la restante parte del XIX secolo, e ancora sino alle fasi embrionali della prima guerra mondiale, il Karabakh godette di relativa stabilità. Non avrebbero però esitato a farsi sentire le epocali conseguenze della rivoluzione ottobrina leninista del 1917, nonché i mutamenti giuridici innestati nel primo dopoguerra.

Sia l’Armenia che l’Azerbaijan, nel 1918 e fino all’imminente avvento sovietico, costituirono uno Stato indipendente su base prevalentemente etnica, avanzando entrambi pretese storico-geografiche sul Karabakh superiore.

Erevan adduceva tre motivazioni a fondamento delle proprie rivendicazioni: le cime del Nagorno-Karabakh altro non erano che la naturale prosecuzione orientale dell’Altopiano armeno, morfologicamente assai differente dalle steppe azere; l’area era già allora prevalentemente abitata da armeni etnici; ivi era stata inoltre la “culla” del nazionalismo armeno in età moderna. Dal canto suo, Baku rivendicava con fermezza le radici turco-iraniche dell’intero Karabakh pre-zarista (non solo della parte settentrionale) ed i più sviluppati rapporti commerciali intrattenuti con l’area.

A ben vedere, le ragioni erano anche strategiche: se per l’Armenia l’area costitutiva un prototipo di frontiera naturale ai fini dell’unità geografica del Paese, per l’Azerbaijan il controllo altrui delle alture presentava un problematico vulnus che spezzava per di più la continuità territoriale con i “fratelli” turco-ottomani.

Vale la pena rammentare in tale sede che Lenin stesso era uno strenuo fautore del diritto di auto-determinazione dei popoli. Il rivoluzionario russo aveva difatti affermato, in un suo articolo del 1914 apparso sul mensile letterario bolscevico Prosveščenie: “Completa uguaglianza di diritti per tutte le nazioni; il diritto delle nazioni all’auto-determinazione; l’unità dei lavoratori di tutte le nazioni: tale è il programma nazionale che il marxismo, l’esperienza del mondo intero e l’esperienza della Russia insegnano ai lavoratori.”

Facendo leva sulle idee leniniste e sulle tesi wilsoniane sull’auto-determinazione dei popoli, il 22 luglio 1918 gli armeni dichiararono l’indipendenza del Nagorno-Karabakh ed affidarono funzioni esecutive e legislative al Consiglio del Karabakh. Un anno più tardi, il 26 agosto 1919, il Consiglio concluse un accordo provvisorio con il Governo azero per evitare un’escalation militare, in attesa della conclusione della conferenza di pace di Parigi. La guerra tra armeni e azeri era però nell’aria, e puntualmente esplose nel marzo-aprile 1920 – il che funse da precursore per la sovietizzazione del Nagorno-Karabakh dei mesi successivi.

Il dilemma sull’assegnazione della regione finì allora per coinvolgere la dirigenza comunista. Se in un primo tempo se ne prospettò l’appartenenza all’Armenia, fu poi la causa azera ad essere sposata dai sovietici. Il 5 luglio 1921, l’Ufficio caucasico del Comitato centrale del Partito Comunista russo decise quindi di trasferire il Nagorno-Karabakh all’Azerbaigian, che nel frattempo, dall’aprile 1920, era divenuto una Repubblica sovietica affiliata all’URSS.

Le circostanze che alla regione venisse assegnata un’ampia autonomia, e che anche ad Erevan, nel dicembre 1922, venisse instaurato un regime sovietico, furono funzionali inter alia a far sotterrare l’ascia di guerra armeno-azera in favore di una non meno serrata diatriba diplomatica. Alimentata anche da continue accuse di politiche etniche volte a favorire l’afflusso di azeri nella regione prevalentemente armena. Tale, dunque, fu la genesi dell’oblast’ autonoma del Nagorno Karabakh della RSS Azera.

Come prevedibile, il fuoco dei mai sopiti dissapori armeno-azeri, per più di metà secolo celantesi sotto la cenere della struttura sovietica, è ri-divampato in tutta la sua cruda spettacolarità proprio quando la sovra-struttura sovietica è venuta meno. È stato allora che si sono riproposti gli annosi problemi di “assegnazione” del Nagorno-Karabakh, tanto più esiziali in quanto non si trattava più di sistemare confini interni tra Repubbliche sovietiche, quanto piuttosto di disegnare il limes dei nuovi ordinamenti indipendenti post-sovietici.

Sullo sfondo della politica di perestrojka (“ristrutturazione”) portata avanti da Michail Gorbačëv, dalla seconda metà degli anni ‘80 la classe dirigente armena etnica tornò a farsi sentire. Il 20 febbraio 1988, i delegati dell’oblast’ autonoma del Nagorno-Karabakh adottarono una risoluzione con cui si chiedeva formalmente al Sovet Supremo dell’Unione Sovietica – organo apicale dell’ordinamento sovietico – di entrare a far parte della RSS Armena.

Comprensibilmente, l’istanza generò reazioni contrastanti: laddove essa venne inappellabilmente bocciata dal Sovet supremo della RSS azera (13 giugno), l’invece condiscendente assemblea della RSS armena deferì la questione a Mosca (15 giugno). L’atteso responso del Sovet supremo sovietico arrivò il 18 luglio 1988: sulla base dell’art. 78 della Costituzione sovietica del 1977 (“Il territorio della repubblica federata non può essere modificato senza il suo consenso. I confini tra repubbliche federate possono essere modificati previo comune accordo delle rispettive repubbliche, che deve essere sottoposto all’approvazione dell’URSS.”), il consesso moscovita infranse le speranze armene.

Il susseguente scoppio di pogromy interetnici (coinvolgenti gli azeri d’Armenia e gli armeni d’Azerbaijan) fece però sì che, nel gennaio 1989, il Sovet supremo dell’URSS proclamasse lo stato d’emergenza e delegasse de facto a un’autorità sotto il diretto controllo di Mosca il governo della regione. L’organo venne sciolto formalmente nel novembre dello stesso anno, e sostituito da un “Comitato organizzativo repubblicano” sotto l’egida della RSS Azera. Ne seguì una “guerra” assembleare tra armeni – che il 1° dicembre 1989 chiesero nuovamente la riunificazione con il Nagorno-Karabakh – ed azeri – che il 23 novembre 1991 sciolsero l’oblast’ autonoma: i tempi giungevano a quasi completa maturazione per un secondo focolaio di guerra.

Sull’esempio degli Stati baltici, dalla Georgia, dell’Ucraina, della Bielorussia e della Moldavia, il 30 agosto 1991 anche il Sovet supremo dell’Azerbaigian dichiarò la propria secessione dall’URSS. Nel farlo, Baku si professò erede diretta della Repubblica azera (1918-20), riconoscendo altresì la soluzione di continuità con la legislazione dell’“invasore” sovietico.

Non fu però l’unica, dato che anche il Nagorno-Karabakh adottò nel frattempo una dichiarazione d’indipendenza (2 settembre), facendo leva sull’art. 3 della “legge sulla secessione” sovietica dell’aprile 1990 – quindi precedente l’uscita azera dall’URSS: “La popolazione […] delle entità autonome conserva il diritto di decidere autonomamente la questione di rimanere all’interno dell’URSS o della repubblica secessionista, nonché di sollevare la questione del proprio status giuridico statale.”

Di conseguenza, il 10 dicembre 1991 le autorità del Nagorno-Karabakh proclamarono un referendum sull’auto-determinazione della regione – che, anche grazie alla composizione etnica prevalentemente armena, stravinse con il 99,89% dei voti a favore. L’8 gennaio 1922, poco prima lo scoppio della seconda guerra armeno-azera per il controllo dell’area, le autorità del Karabakh diedero quindi una forma repubblicana e democratica di Stato.

L’excursus si chiude qui, quando la storia diventa attualità. Si chiude con il divampare di un conflitto che il cessate il fuoco dell’Accordo di Biškek del 5 maggio 1994 ha quantomeno contribuito a “congelare”, con sparse recrudescenze alternate da rari momenti di dialogo (come la dichiarazione di Maiendorf del 2008).

Lo status quo consegna peraltro un quadro contraddittorio: il Nagorno-Karabakh è oggi de facto indipendente, ma de jure non riconosciuto da nessun Stato membro dell’ONU (nemmeno dalla “sorella” Armenia). Gli ultimi scontri hanno peraltro palesato il sempre più rilevante ruolo degli attori esterni: in primis la Turchia, che dà supporto alle tesi (e alle campagne militari) azere nella regione; quindi la Russia, filo-armena, che sta dimostrando di preferire la via della mediazione.

Scontro, quello russo-turco, che ha anch’esso radici storiche e ripercussioni geopolitiche.

A dimostrazione del fatto che non tutto ciò che succede nel Caucaso, rimane (solo) nel Caucaso.