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Cassazione Civile: diritto di cronaca sul gay pride versus diritto all’immagine

La materia è sempre di interesse e ricca di spunti di attualità e, soprattutto, concreti: qual è il contemperamento del diritto di cronaca e del diritto all’immagine?

Il tribunale di primo grado condannava la RAI a pagare all’attore il risarcimento del danno derivante dalla divulgazione non autorizzata della sua immagine, ripresa durante la manifestazione del gay pride e messa in onda nel corso di una trasmissione televisiva su rete nazionale.

Contro tale pronuncia la RAI ricorreva in appello, vedeva accolta l’impugnazione, in quanto, a giudizio del giudice di secondo grado, nel caso di specie:

(i)  non era stata dimostrata la corrispondenza tra la persona identificata mediante fotografia prodotta in atti e quella oggetto della trasmissione televisiva;

(ii) la RAI aveva legittimamente esercitato il proprio diritto di cronaca in quanto il gay pride costituiva un evento pubblico di rilevanza  mediatica;

(iii) il soggetto non era facilmente individuabile tra la folla che faceva da sfondo al servizio;

(iv) il soggetto non aveva immediatamente provveduto a esprimere il suo dissenso alla divulgazione.

Il soggetto offeso adiva pertanto la Cassazione, lamentando la violazione o falsa applicazione della Legge sul diritto d’autore, e, in particolare dell’articolo 96 (terzo motivo) e dell’articolo 97 (secondo motivo), in materia di consenso per la diffusione dell’immagine personale e relative eccezioni.

I giudici di legittimità, prendendo in esame congiuntamente i due profili e affermando l’assenza di un loro  fondamento, rigettano il ricorso e confermano la pronuncia di secondo grado.

Vale la pena di ripercorrere i passaggi salienti della pronuncia.

Dando rilevanza alla costante giurisprudenza di legittimità – secondo la quale l’esposizione o la pubblicazione dell’immagine altrui non può considerarsi abusiva quando si ricollega a fatti, avvenimenti o cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico, in conformità a quanto disposto dall’articolo 97, comma 1 della Legge sul diritto d’autore – la Corte sostiene che il concetto di avvenimento o cerimonia di interesse pubblico non può essere inteso in senso restrittivo, bensì nell’accezione più ampia, tale da “ritenere ricompresi nella previsione legislativa anche quegli episodi che, pur non integrando in sé l’evento, al medesimo si ricolleghino in modo inequivocabile”.

Pertanto, nonostante l’evento gay pride avesse luogo nella capitale, il fatto che una folla di persone si radunava nella stazione di Milano in direzione Roma, è da considerarsi quale fatto rilevante dal punto di vista mediatico ai sensi del sopra citato articolo, legittimante la riproduzione del ritratto personale.

Per quanto attiene la mancanza del consenso o, meglio detto, l’impossibilità di manifestare il dissenso in relazione alla diffusione della propria immagine, la Corte rigetta la tesi della violazione dell’articolo 96 della Legge sul diritto d’autore, in quanto, alla luce dell’attribuzione della rilevanza mediatica alla situazione dell’offeso, la fattispecie è a giusto titolo ricompresa nell’alveo dell’articolo 97. Pertanto non rivestendo alcun interesse il profilo della mancanza del consenso per la diffusione della propria immagine, la RAI è legittimata alla riproduzione dell’immagine del soggetto che lamenta la lesione.

Sul tema del preteso pregiudizio all’onore, alla reputazione o al decoro della persona, derivante dalla diffusione della sua immagine, il cui accertamento non è giudicato sindacabile (e comunque, secondo la Corte, è rimasto del tutto indimostrato), la Cassazione rileva che l’evento gay pride e il costume sessuale che rappresenta, di per sé non presenta profili di negatività  così come invece sembra evocare il ricorrente. Allo stesso modo, la Cassazione ritiene che quest’ultimo non possa sentirsi danneggiato dalla ripresa qualora abbia volontariamente preso parte alla concentrazione di persone e tanto più, laddove casualmente si fosse trovato in tale contesto non essendo collegabile la sua presenza fisica alla partecipazione alla suddetta manifestazione romana. Tale profilo, secondo la Cassazione non rileva nemmeno alla luce del diritto della riservatezza, in quanto il fatto di trovarsi in un contesto pubblico impone l’accettazione del rischio di poter essere astrattamente individuato; rischio che rientra “se così può dirsi, fra i <<rischi della vita>>, che non ci si può esimere dall’accettare”.

(Corte di Cassazione, Terza Sezione Civile, Sentenza 18 settembre 2013, n. 24110)

 

 

 

La materia è sempre di interesse e ricca di spunti di attualità e, soprattutto, concreti: qual è il contemperamento del diritto di cronaca e del diritto all’immagine?

Il tribunale di primo grado condannava la RAI a pagare all’attore il risarcimento del danno derivante dalla divulgazione non autorizzata della sua immagine, ripresa durante la manifestazione del gay pride e messa in onda nel corso di una trasmissione televisiva su rete nazionale.

Contro tale pronuncia la RAI ricorreva in appello, vedeva accolta l’impugnazione, in quanto, a giudizio del giudice di secondo grado, nel caso di specie:

(i)  non era stata dimostrata la corrispondenza tra la persona identificata mediante fotografia prodotta in atti e quella oggetto della trasmissione televisiva;

(ii) la RAI aveva legittimamente esercitato il proprio diritto di cronaca in quanto il gay pride costituiva un evento pubblico di rilevanza  mediatica;

(iii) il soggetto non era facilmente individuabile tra la folla che faceva da sfondo al servizio;

(iv) il soggetto non aveva immediatamente provveduto a esprimere il suo dissenso alla divulgazione.

Il soggetto offeso adiva pertanto la Cassazione, lamentando la violazione o falsa applicazione della Legge sul diritto d’autore, e, in particolare dell’articolo 96 (terzo motivo) e dell’articolo 97 (secondo motivo), in materia di consenso per la diffusione dell’immagine personale e relative eccezioni.

I giudici di legittimità, prendendo in esame congiuntamente i due profili e affermando l’assenza di un loro  fondamento, rigettano il ricorso e confermano la pronuncia di secondo grado.

Vale la pena di ripercorrere i passaggi salienti della pronuncia.

Dando rilevanza alla costante giurisprudenza di legittimità – secondo la quale l’esposizione o la pubblicazione dell’immagine altrui non può considerarsi abusiva quando si ricollega a fatti, avvenimenti o cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico, in conformità a quanto disposto dall’articolo 97, comma 1 della Legge sul diritto d’autore – la Corte sostiene che il concetto di avvenimento o cerimonia di interesse pubblico non può essere inteso in senso restrittivo, bensì nell’accezione più ampia, tale da “ritenere ricompresi nella previsione legislativa anche quegli episodi che, pur non integrando in sé l’evento, al medesimo si ricolleghino in modo inequivocabile”.

Pertanto, nonostante l’evento gay pride avesse luogo nella capitale, il fatto che una folla di persone si radunava nella stazione di Milano in direzione Roma, è da considerarsi quale fatto rilevante dal punto di vista mediatico ai sensi del sopra citato articolo, legittimante la riproduzione del ritratto personale.

Per quanto attiene la mancanza del consenso o, meglio detto, l’impossibilità di manifestare il dissenso in relazione alla diffusione della propria immagine, la Corte rigetta la tesi della violazione dell’articolo 96 della Legge sul diritto d’autore, in quanto, alla luce dell’attribuzione della rilevanza mediatica alla situazione dell’offeso, la fattispecie è a giusto titolo ricompresa nell’alveo dell’articolo 97. Pertanto non rivestendo alcun interesse il profilo della mancanza del consenso per la diffusione della propria immagine, la RAI è legittimata alla riproduzione dell’immagine del soggetto che lamenta la lesione.

Sul tema del preteso pregiudizio all’onore, alla reputazione o al decoro della persona, derivante dalla diffusione della sua immagine, il cui accertamento non è giudicato sindacabile (e comunque, secondo la Corte, è rimasto del tutto indimostrato), la Cassazione rileva che l’evento gay pride e il costume sessuale che rappresenta, di per sé non presenta profili di negatività  così come invece sembra evocare il ricorrente. Allo stesso modo, la Cassazione ritiene che quest’ultimo non possa sentirsi danneggiato dalla ripresa qualora abbia volontariamente preso parte alla concentrazione di persone e tanto più, laddove casualmente si fosse trovato in tale contesto non essendo collegabile la sua presenza fisica alla partecipazione alla suddetta manifestazione romana. Tale profilo, secondo la Cassazione non rileva nemmeno alla luce del diritto della riservatezza, in quanto il fatto di trovarsi in un contesto pubblico impone l’accettazione del rischio di poter essere astrattamente individuato; rischio che rientra “se così può dirsi, fra i <<rischi della vita>>, che non ci si può esimere dall’accettare”.

(Corte di Cassazione, Terza Sezione Civile, Sentenza 18 settembre 2013, n. 24110)