Cassazione Lavoro: orario fai-da-te? Si rischia il licenziamento

Secondo quanto affermato da una recente pronuncia della Corte di Cassazione, il dipendente non può autonomamente organizzare il proprio orario di lavoro oltre la flessibilità concessa da contratto.

La Corte ha sostanzialmente aderito alla decisione dei giudici di merito, i quali avevano rigettato il ricorso di un lavoratore che aveva impugnato l’atto di licenziamento. Nel caso di specie, il soggetto era stato licenziato (i) per i reiterati ritardi all'ingresso e per l’anticipazione dell’uscita dal luogo di lavoro, nonché (ii)per l’eccessiva dilatazione della pausa pranzo, fatti questi mai contestati dal lavoratore e giustificati come atti ritorsivi nei confronti dell’azienda.

Avverso il licenziamento, il lavoratore ricorreva all'autorità giudiziaria per richiedere l’annullamento della risoluzione del rapporto, il risarcimento del danno biologico, morale e alla professionalità.

I giudici del Tribunale, prima, e d’Appello, poi, hanno dichiarato la piena legittimità del recesso della parte datoriale dal rapporto di lavoro. Sebbene il lavoratore, adibito a mansioni di quadro, godeva di una certa flessibilità per quanto riguarda l’entrata e l’uscita dal posto di lavoro, come confermato dalle deposizioni testimoniali, “i ritardi contestati dall'azienda si sono protratti, generalmente, ben al di là di quanto sarebbe stato consentito dalla flessibilità dell’orario di lavoro”.

Non avendo provato la veridicità delle sue giustificazioni, il comportamento tenuto dal lavoratore si configurava come un tipico esempio di inadempimento che legittimava la risoluzione del rapporto di lavoro sulla base dell’articolo 2119 del Codice Civile.

In conclusione, la Corte ha confermato un importante principio di diritto: l’organizzazione dell’orario di lavoro è e rimane oggetto di accordo tra le parti e non può essere unilateralmente modificato, salvo il potere riconosciuto al datore di lavoro di coordinare le mansioni di un proprio dipendente con l’organizzazione aziendale (ius variandi).

 

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 31 ottobre 2013, n. 24574)

Secondo quanto affermato da una recente pronuncia della Corte di Cassazione, il dipendente non può autonomamente organizzare il proprio orario di lavoro oltre la flessibilità concessa da contratto.

La Corte ha sostanzialmente aderito alla decisione dei giudici di merito, i quali avevano rigettato il ricorso di un lavoratore che aveva impugnato l’atto di licenziamento. Nel caso di specie, il soggetto era stato licenziato (i) per i reiterati ritardi all'ingresso e per l’anticipazione dell’uscita dal luogo di lavoro, nonché (ii)per l’eccessiva dilatazione della pausa pranzo, fatti questi mai contestati dal lavoratore e giustificati come atti ritorsivi nei confronti dell’azienda.

Avverso il licenziamento, il lavoratore ricorreva all'autorità giudiziaria per richiedere l’annullamento della risoluzione del rapporto, il risarcimento del danno biologico, morale e alla professionalità.

I giudici del Tribunale, prima, e d’Appello, poi, hanno dichiarato la piena legittimità del recesso della parte datoriale dal rapporto di lavoro. Sebbene il lavoratore, adibito a mansioni di quadro, godeva di una certa flessibilità per quanto riguarda l’entrata e l’uscita dal posto di lavoro, come confermato dalle deposizioni testimoniali, “i ritardi contestati dall'azienda si sono protratti, generalmente, ben al di là di quanto sarebbe stato consentito dalla flessibilità dell’orario di lavoro”.

Non avendo provato la veridicità delle sue giustificazioni, il comportamento tenuto dal lavoratore si configurava come un tipico esempio di inadempimento che legittimava la risoluzione del rapporto di lavoro sulla base dell’articolo 2119 del Codice Civile.

In conclusione, la Corte ha confermato un importante principio di diritto: l’organizzazione dell’orario di lavoro è e rimane oggetto di accordo tra le parti e non può essere unilateralmente modificato, salvo il potere riconosciuto al datore di lavoro di coordinare le mansioni di un proprio dipendente con l’organizzazione aziendale (ius variandi).

 

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 31 ottobre 2013, n. 24574)