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Cassazione SU: il decreto di revisione delle disposizioni sullo scioglimento del matrimonio ha immediata esecutività

Con il decreto del Tribunale emesso in sede di modifica delle condizioni di divorzio l’ex coniuge può pretendere subito il pagamento delle somme dovute per il mantenimento del figlio, anche se il decreto è stato impugnato davanti alla Corte d’appello.

Le Sezioni Unite, sciogliendo il contrasto insorto in seno alla Cassazione negli ultimi anni (sentenze 9373/2011 e 4376/2012), hanno infatti elaborato il seguente principio di diritto:

in materia di revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere a seguito dello scioglimento e della cessazione degli effetti del matrimonio, a norma dell’articolo 9 della Legge 1 dicembre 1970 n.898 e successive modificazioni, il decreto pronunciato dal tribunale è immediatamente esecutivo, in conformità di una regola più generale, desumibile dall’articolo 4 della citata legge regolativa della materia e incompatibile con l’articolo 741 Codice Procedura Civile, che subordina l’efficacia esecutiva al decorso del termine utile per la proposizione de reclamo.

Secondo la Corte, “lo stretto collegamento che deve ravvisarsi tra il giudizio di scioglimento o di cessazione degli effetti del matrimonio e quello successivo, di revisione, e che impone per il problema qui esaminato, dell’efficacia esecutiva del provvedimento emesso al termine del giudizio di primo grato, una soluzione uniforme, appare dunque dettato da ragioni immanenti alla materia trattata”.

In definitiva le Sezioni Unite hanno preferito “una ricostruzione sistematica della volontà del legislatore, tale da contemperare la specialità del processo, regolato in funzione della materia, con i principi della ragionevolezza. In sintesi, la soluzione deve essere ricercata all’interno della disciplina processuale, disegnata dagli articoli 4 e 9 della Legge n.898 del 1970 con speciale riguardo alla natura della controversia che ne costituisce l’oggetto, rimanendo l’implicito rimando alle regole del processo camerale confinato a un ruolo meramente residuale, per quei casi nei quali la specialità del procedimento non offra indicazioni pertinenti”.

Per la consultazione della sentenza integrale si rinvia al sito della Cassazione.

Con il decreto del Tribunale emesso in sede di modifica delle condizioni di divorzio l’ex coniuge può pretendere subito il pagamento delle somme dovute per il mantenimento del figlio, anche se il decreto è stato impugnato davanti alla Corte d’appello.


Le Sezioni Unite, sciogliendo il contrasto insorto in seno alla Cassazione negli ultimi anni (sentenze 9373/2011 e 4376/2012), hanno infatti elaborato il seguente principio di diritto:

in materia di revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere a seguito dello scioglimento e della cessazione degli effetti del matrimonio, a norma dell’articolo 9 della Legge 1 dicembre 1970 n.898 e successive modificazioni, il decreto pronunciato dal tribunale è immediatamente esecutivo, in conformità di una regola più generale, desumibile dall’articolo 4 della citata legge regolativa della materia e incompatibile con l’articolo 741 Codice Procedura Civile, che subordina l’efficacia esecutiva al decorso del termine utile per la proposizione de reclamo.

Secondo la Corte, “lo stretto collegamento che deve ravvisarsi tra il giudizio di scioglimento o di cessazione degli effetti del matrimonio e quello successivo, di revisione, e che impone per il problema qui esaminato, dell’efficacia esecutiva del provvedimento emesso al termine del giudizio di primo grato, una soluzione uniforme, appare dunque dettato da ragioni immanenti alla materia trattata”.

In definitiva le Sezioni Unite hanno preferito “una ricostruzione sistematica della volontà del legislatore, tale da contemperare la specialità del processo, regolato in funzione della materia, con i principi della ragionevolezza. In sintesi, la soluzione deve essere ricercata all’interno della disciplina processuale, disegnata dagli articoli 4 e 9 della Legge n.898 del 1970 con speciale riguardo alla natura della controversia che ne costituisce l’oggetto, rimanendo l’implicito rimando alle regole del processo camerale confinato a un ruolo meramente residuale, per quei casi nei quali la specialità del procedimento non offra indicazioni pertinenti”.

Per la consultazione della sentenza integrale si rinvia al sito della Cassazione.