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Art. 40

Contenuto del ricorso

1. Il ricorso deve contenere distintamente:

a) gli elementi identificativi del ricorrente, del suo difensore e delle parti nei cui confronti il ricorso è proposto; 
b) l’indicazione dell’oggetto della domanda, ivi compreso l’atto o il provvedimento eventualmente impugnato, e la data della sua notificazione, comunicazione o comunque della sua conoscenza; 

c) l’esposizione sommaria dei fatti; 

d) i motivi specifici su cui si fonda il ricorso; 

e) l’indicazione dei mezzi di prova;

f) l’indicazione dei provvedimenti chiesti al giudice; 

g) la sottoscrizione del ricorrente, se esso sta in giudizio personalmente, oppure del difensore, con indicazione, in questo caso, della procura speciale. 

2. I motivi proposti in violazione del comma 1, lettera d), sono inammissibili. 

Bibliografia. A. Police, Processo Amministrativo, Ipsoa, Assago, 2013; M.A. Sandulli, Il nuovo processo amministrativo, Giuffre’, Milano, 2013; A. Liberati, Il processo innanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali, Cedam, Padova, 2006; M.P. Chiti, L’introduzione del giudizio, in A. Sandulli (a cura di), Diritto Processuale Amministrativo, in S. Cassese (diretto da), Corso di Diritto Amministrativo, Giuffrè, Milano, 2013; L. Donato, sub. articolo 40, in Codice del Nuovo Processo Amministrativo, F. Caringella, M. Protto, Dike, Roma, 2010; R. Chieppa, Codice del Processo Amministrativo, Giuffrè, Milano, 2017, R. De Nictolis, Codice del Processo Amministrativo, IPSOA, Rozzano, 2010; R. Giovagnoli, Formulario del Processo Amministrativo, Giuffrè, Milano, 2012; Caringella-Giustiniani, Manuale del Processo Amministrativo, Dike, Roma, 2017; Piccinini, Il Ricorso al Tar, Dike, Roma, 2017. A. Pantaleo, I soggetti legittimati a esperire l’opposizione di terzo, http://www.ambientediritto.it/dottrina/diritto%20amministrativo/soggetti_legittimati.htm. Amorth, Impugnabilità e disapplicazione dei regolamenti e degli atti generali, in Problemi del processo amministrativo, Milano, 1964, p. 571. M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1993. A. Graziano, La “rinuncia al ricorso” o agli “atti del giudizio” di cui agli articoli 84 Cod. Proc. Amm. e 306 c.p.c. e la rinuncia all’azione e ai motivi” in www.giustizia-amministrativa.it. N. Pignatelli, L’obbligatorietà del rinvio pregiudiziale tra primato del diritto comunitario e autonomia processuale degli stati”, in www.giustizia-amministrativa.it. A. Corsaro, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sull’interpretazione della normativa comunitaria: i poteri del giudice nazionale, in I Quaderni europei, n. 43/2012, http://www.cde.unict.it/sites/default/files/43-2012.pdf; R. Chieppa, V. Lopilato, Studi di diritto amministrativo, Milano, 2009. 

 

Sommario. 1. Il ricorso: nozione. 2. I contenuti del ricorso. 3 L’epigrafe. 4. L’indicazione delle parti e del difensore. 5. Il ricorrente. 6. Il codice fiscale del ricorrente. 7. Il difensore. 8. Indicazione della procura speciale. 9. Le altre parti. 9.1. L’amministrazione intimata. 9.2. I controinteressati. 9.3. I ’beneficiari dell’atto illegittimo’. 9.4. I cointeressati. 10. L’indicazione del giudice adito. 11. L’elezione di domicilio della parte e il ’domicilio telematico’ del difensore. 12. L’indicazione dell’oggetto della domanda, ivi compreso l’atto o il provvedimento eventualmente impugnato, e la data della sua notificazione, comunicazione o comunque della sua conoscenza. 12.1. L’oggetto della domanda. 12.2. L’indicazione dell’atto o del provvedimento eventualmente impugnato. 13. L’indicazione della data di notificazione, comunicazione o comunque della conoscenza del provvedimento impugnato. 14. La domanda nei giudizi diversi da quello di annullamento e di accertamento della nullità. 15. L’esposizione sommaria dei fatti. 16. I Motivi specifici su cui si fonda il ricorso. 17. L’inammissibilità dei motivi dedotti in modo non specifico. 18. L’indicazione dei mezzi di prova. 19. L’indicazione dei provvedimenti chiesti al giudice. 20. La sottoscrizione del ricorrente e del difensore e l’indicazione della procura speciale. 21. La firma digitale e il formato dell’atto. 22. La dichiarazione di valore. 23. I principi di chiarezza e sinteticità. 24. Ricorso collettivo e ricorso cumulativo. 24.1. Ricorso collettivo (cumulo soggettivo di azioni). 24.2. Ricorso cumulativo (cumulo oggettivo di azioni). 

 

1. Il ricorso: nozione

Il ricorso (articoli 40 ss. CPA) è l’atto introduttivo del giudizio amministrativo. La disciplina del ricorso, contenuta nel Libro II del Codice, in virtù del rinvio interno contenuto nell’articolo 38, ha valore generale per tutti i tipi di domanda rivolta al giudice amministrativo, salvo che sia espressamente derogata. Esso vale dunque sia per l’azione di annullamento (articolo 29), sia per l’azione di condanna (articolo 30), sia per l’azione di accertamento (articolo 31). Tale disciplina consta di una serie di prescrizioni, talune a pena di nullità o di inammissibilità, ed altre a cui conseguono mere irregolarità.

Sebbene il parametro normativo di base sia l’articolo 40 CPA, altre disposizioni sui requisiti formali del ricorso si evincono dall’articolo 41, comma 1 (da tale norma, come si vedrà, si ricava il requisito della necessaria indicazione del giudice adito), dagli articoli 25 e 136 in tema di elezione di domicilio e domicilio telematico del difensore e dalle disposizioni del codice di procedura civile che siano espressione di principi generali, richiamate dall’articolo 39 CPA Il contenuto realmente necessario del ricorso va però individuato nell’articolo 44, comma 1, in tema di nullità dell’atto introduttivo e della sua notificazione, a mente del quale “Il ricorso è nullo: a) se manca la sottoscrizione; b) se, per l’inosservanza delle altre norme prescritte nell’articolo 40, vi è incertezza assoluta sulle persone o sull’oggetto della domanda.”. Da tale norma si evince che, appurato il difetto di uno o più requisiti del ricorso formalmente previsti dal Codice (e salvo il caso di difetto di sottoscrizione), occorrerà verificare se, alla luce del tenore complessivo dell’atto, permanga una situazione di assoluta incertezza sulle persone o sull’oggetto della domanda, tale da produrre la nullità del ricorso. 

La disciplina dei requisiti formali indispensabili del ricorso va condotta anche alla luce modifiche di recente apportate all’articolo 25 CPA, all’articolo 136, commi 2, 2 bis, 2 ter e 2 quater e all’allegato 2 al CPA, attuato con d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40, ed in tutte le disposizioni che hanno disciplinato  il processo amministrativo telematico (PAT).

L’applicazione di tali disposizioni determina significative variazioni nella disciplina formale della procura alle liti, della sottoscrizione del difensore e della parte, delle notifiche, del formato e delle modalità del deposito degli atti. Per taluni profili, come per la procura alle liti e la notifica, l’applicazione di dette disposizioni resta facoltativa; per tutti gli adempimenti inerenti al deposito essa è invece obbligatoria a far data dal 1° gennaio 2017. Dalle disposizioni sul PAT sono escluse le controversie di cui all’articolo 22 e agli articoli  39 e seguenti del Capo V della legge 3 agosto 2007, n. 124, inerenti cioè questioni sottoposte a segreto di Stato (articolo 7, comma 4 del d.l. n. 168/2016).

 

2. I contenuti del ricorso

L’articolo 40, comma 1, CPA, nella sua formulazione novellata dall’articolo 1, comma 1, lett. f) del Decreto Legislativo 14 settembre 2012, n. 160, prevede che il ricorso debba contenere “distintamente” gli elementi ivi elencati.

Il Decreto Legislativo n. 160/2012 ha dunque inteso riorganizzare la formulazione della norma, separando e rendendo i requisiti dell’atto autonomi e separati. La stessa novella, aggiungendo il comma 2 all’articolo 44, ha sancito l’inammissibilità dei motivi articolati in modo non specifico. Chiaramente, il rispetto delle prescrizioni dell’articolo 40, pur essendo questa norma rivolta a dettare una disciplina tendenzialmente omogenea dei requisiti formali del ricorso, andrà verificato anche sulla base della tipologia di azione di volta in volta introdotta, con particolare riferimento alla sufficienza e alla ritualità dei contenuti di cui alle lettere b) e c).

 

3. L’epigrafe

La norma in commento non disciplina la c.d. epigrafe, che consiste nella indicazione delle caratteristiche essenziali del ricorso: giudice adito (intestazione), parti (con la relativa qualità, es.: ricorrente, controinteressato), difensore, oggetto della domanda, e di ogni altra informazione essenziale, redatti in forma schematica al fine di consentirne una individuazione immediata ed intuitiva. Sebbene l’uso dell’epigrafe rappresenti una prassi universalmente diffusa, essa svolge una funzione di ausilio, ma non rappresenta un requisito formale imprescindibile, dal momento che le informazioni richieste dall’articolo 40 ben potrebbero risultare dal complesso dell’atto.

 

4. L’indicazione delle parti e del difensore 

L’articolo 40, comma 1, lett. a) del Codice prevede che il ricorso debba indicare gli elementi identificativi del ricorrente, del suo difensore e delle parti nei cui confronti il ricorso è proposto. 

 

5. Il ricorrente

L’identificazione del ricorrente avviene mediante l’indicazione del nome e cognome e del domicilio o residenza. Nel caso di persona giuridica, è necessario identificarla tramite la denominazione e l’indicazione dell’organo dotato di rappresentanza processuale. Prima dell’entrata in vigore del Codice, la giurisprudenza ha adottato un orientamento non formalistico, ritenendo che la mancata indicazione del nome, della residenza o del domicilio del ricorrente determinasse la nullità del ricorso solo qualora vi fosse incertezza assoluta sulla persona (come oggi previsto dall’articolo 44 CPA), e ritenendo altresì possibile l’identificazione del ricorrente anche attraverso la procura (speciale) alle liti, e nonostante la stessa fosse separata e contenuta in un altro atto

(cfr. Cons. St., Sez. V, 28 febbraio 1987, n. 144; Cons. St., Sez. V, 11 novembre 1994, n. 1264). Parimenti, in caso di rappresentanza legale delle società, ove non fosse possibile individuare il nome del rappresentante neppure dalla procura, è stata ammessa la possibilità di desumerlo anche da altri elementi testuali, secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione che ha progressivamente valorizzato la riscontrabilità dei dati relativi a persone giuridiche private sulla base di atti pubblici dai quali desumere i fatti e i nomi rilevanti nella fattispecie (cfr. Tar Lazio, Roma, Sez. III, 18 agosto 2004, n. 7763). Anche all’indomani dell’entrata in vigore del Codice, la giurisprudenza e la prevalente dottrina continuano a ritenere che la norma in esame non sia rigidamente prefigurata in termini di contenuti formali, sicché è sufficiente che la parte sia individuata   in modo tale da renderne inequivoca l’identità.

 

6. Il codice fiscale del ricorrente 

L’articolo 163, comma 3, c.p.c., come sostituito dall’articolo 4, comma 8, del d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modificazioni dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24, impone anche l’indicazione del codice fiscale dell’attore, ovvero, nel giudizio amministrativo – cui tale norma è ritenuta applicabile per effetto del rinvio esterno disposto dall’articolo 39 CPA, anche del ricorrente. Il Consiglio di Stato, aderendo al costante orientamento che valorizza la finalità di identificazione a discapito dell’aspetto squisitamente formale, ha però ritenuto che il requisito abbia una valenza non processuale, bensì esclusivamente tributaria, non essendo orientato né alla corretta instaurazione del contraddittorio, né alla identificazione della parte rispetto al giudice e alle altre parti. Il codice fiscale, dunque, pur potendo concorrere alla identificazione della parte, rimane un elemento non richiesto a pena di nullità, che può essere indicato in sede di deposito del ricorso ed inserito nella nota di iscrizione a ruolo. Resta salva, peraltro, la previsione dell’articolo 13, comma 6-bis, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, secondo cui, in caso di mancata indicazione del codice fiscale della parte nel ricorso, gli importi del contributo unificato sono aumentati della metà (Cons. St., Sez. VI, 9 novembre 2010, n. 7981; nello stesso senso, ex plurimis, Trga, Bolzano, Sez. I, 9 agosto 2011, n. 293; Tar Sardegna, Sez. I , 27 febbraio 2015). 

 

7. Il difensore

L’indicazione del difensore del ricorrente risulta obbligatoria in tutti i casi in cui è obbligatorio il patrocinio di un avvocato, regolati dall’articolo 22 CPA Il patrocinio non è obbligatorio nei casi in cui il ricorrente sia egli stesso un legale in grado di difendersi in proprio (articolo 22, comma 3) o si avvalga della facoltà di stare in giudizio personalmente senza l’assistenza del difensore, prevista dall’articolo 23 in materia di accesso e trasparenza amministrativa, in materia elettorale e nei giudizi relativi al diritto dei cittadini dell’unione europea e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. La chiara indicazione del legale officiato (la cui sottoscrizione rappresenta un elemento essenziale previsto a pena di nullità assoluta), assume un rilievo fondamentale soprattutto ai fini della legittimazione a compiere gli atti inerenti al patrocinio. A tale scopo occorre distinguere il difensore effettivamente officiato della difesa dal procuratore domiciliatario, la cui indicazione non comporta il conferimento nemmeno implicito della rappresentanza processuale, sicché, in applicazione del costante orientamento della Corte di Cassazione, l’eventuale attività processuale compiuta deve considerarsi svolta senza il necessario potere di rappresentanza, anche sotto il profilo dell’imputazione sostanziale della provenienza dell’atto (Cass. civ., Sez. I, 7 maggio 1997, n. 3981; id., 30 luglio 1996, n. 6900). Quanto alle modalità di identificazione, pare sufficiente che il legale venga individuato attraverso il nome e cognome, mentre non è necessaria l’indicazione del Foro di appartenenza. Ai sensi dell’articolo 125, comma 1, c.p.c., nella versione novellata dall’articolo 4, comma 8, lett. a) e b) del d.l. n. 193/2009, l’atto introduttivo del giudizio deve indicare anche il numero di codice fiscale del difensore. L’articolo 136, comma 1, del Codice prevede inoltre che i difensori indichino nel ricorso o nel primo atto difensivo " I difensori indicano nel ricorso o nel primo atto difensivo un recapito di fax, che può essere anche diverso da quello del domiciliatario. La comunicazione a mezzo fax è eseguita esclusivamente qualora sia impossibile effettuare la comunicazione all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi, per mancato funzionamento del sistema informatico della giustizia amministrativa", e specifica che ". È onere dei difensori comunicare alla segreteria e alle parti costituite ogni variazione del recapito di fax o di indirizzo di posta elettronica certificata. Ai fini dell’efficacia delle comunicazioni di segreteria è sufficiente che vada a buon fine una sola delle comunicazioni effettuate a ciascun avvocato componente il collegio difensivo". Tale indicazione determina una presunzione di conoscenza delle comunicazioni pervenute con i predetti mezzi nel rispetto della normativa, anche regolamentare, vigente, e costituisce onere dei difensori comunicare alla segreteria e alle parti costituite ogni variazione dei suddetti dati. La mancata indicazione del codice fiscale e del numero di fax non determina nullità del ricorso, ma, per i casi di mancata indicazione del recapito fax del difensore, consegue l’applicazione dell’articolo 13, comma 6-bis, del d.P.R. n. 115/2002, che prevede l’aumento della metà degli importi del contributo unificato. La disposizione è tuttora riferita anche alla mancata indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata, sebbene tale sanzione non possa ritenersi applicabile in ragione della formulazione vigente del comma 1 dell’articolo 136, che fa espresso riferimento all’indirizzo pec risultante dai pubblici elenchi e non prevede più l’obbligo di indicarlo. Ad ogni modo, nonostante la natura chiaramente sanzionatoria di tale disposizione, una circolare del Segretariato generale della Giustizia amministrativa del 18 ottobre 2011 (recante “Istruzioni sull’applicazione della disciplina in materia di contributo unificato nel processo amministrativo”) ha ammesso la possibilità che, anche su espresso invito della segreteria dell’ufficio giudiziario e nel termine all’uopo accordato, il difensore sani l’omissione, depositando in giudizio un atto che rechi l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica e del fax, di cui non occorre la previa notifica alla controparte.

 

8. Indicazione della procura speciale

Dalla lettura del combinato disposto degli articoli 24, 40, comma 1, lett. a) e 40, comma 1, lett. g), si evince che, oltre agli elementi identificativi del difensore, il ricorso debba sempre indicare anche gli estremi della procura speciale, che, dopo  l’entrata in vigore del PAT, può essere conferita sia su supporto cartaceo che in forma digitale e con firma digitale. 

 

9. Le altre parti

Le “altre parti” che il ricorso deve identificare, fatta eccezione per l’amministrazione intimata, variano a seconda del tipo di azione proposta.

 

9.1. L’amministrazione intimata

L’amministrazione o l’ente intimato devono essere identificati nel ricorso attraverso l’indicazione dell’amministrazione nel suo complesso e dell’organo munito di rappresentanza legale. La giurisprudenza ha peraltro ritenuto che l’erronea indicazione, quale destinatario del ricorso, di un organo o ufficio interno dell’ente, rappresenti una mera inesattezza, che non comporta né l’impossibilità di individuare la parte intimata e destinataria della notifica, né l’irregolare instaurazione del contraddittorio, purché la notifica del ricorso venga correttamente effettuata presso la sede dell’ente (Tar Lombardia, Milano, Sez. III, 21 luglio 2011 n. 1974). Parimenti, l’erronea denominazione dell’autorità intimata, allorché non comporti una qualche incertezza sull’identificazione del destinatario dell’impugnativa, costituisce una mera irregolarità inidonea a provocare la nullità dell’atto introduttivo del giudizio (Cons. St., Sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2874). Per le amministrazioni o enti rappresentati in giudizio dall’Avvocatura dello Stato, l’articolo 4 della legge 25 marzo 1958, n. 260 dispone che l’eventuale errore di identificazione della persona alla quale l’atto introduttivo del giudizio doveva essere notificato debba essere eccepito dall’Avvocatura dello Stato nella prima udienza, con la contemporanea indicazione della persona alla quale l’atto doveva essere notificato. A tale indicazione, non più eccepibile, fa seguito, da parte del giudice, l’assegnazione di un termine entro il quale l’atto deve essere rinnovato, in quanto l’eccezione rimette in termini la parte. Ad ogni modo, per le amministrazioni o enti che si avvalgono del patrocinio (obbligatorio o autorizzato) dell’Avvocatura, non è comunque necessario identificare nel ricorso anche la difesa erariale presso cui essi sono domiciliati ex lege, in quanto tale domicilio vale esclusivamente ai fini delle notificazioni. 

 

9.2. I controinteressati

I controinteressati sono coloro che potrebbero subire uno svantaggio dall’accoglimento del ricorso, ed in quanto tali rappresentano contraddittori necessari. 

La figura del controinteressato è eventuale, ben potendo ricorrere il caso in cui non esiste alcun soggetto determinato che possa trarre un vantaggio specifico dalla conservazione del provvedimento impugnato, e, conseguentemente, vantare un interesse uguale e contrario a quello del ricorrente. 

Nel giudizio impugnatorio, il controinteressato viene di regola identificato sulla base di due condizioni: una di tipo formale, che consiste nell’essere espressamente menzionato nell’atto impugnato o agevolmente individuabile in base allo stesso (in tal senso Cons. St. Sez. V, 1° luglio 2019, n.4503, in materia di impugnazione degli atti di esclusione nelle procedure ad evidenza pubblica, secondo cui il controinteressato non deve necessariamente essere indicato nel provvedimento impugnato, essendo sufficiente che sia comunque facilmente individuabile secondo semplice e ordinaria diligenza) ed una seconda di tipo sostanziale, che consiste nell’essere titolare di un interesse differenziato e qualificato alla conservazione degli atti impugnati. Tali condizioni hanno carattere cumulativo.

Nei giudizi che non presuppongono l’emanazione di un provvedimento, laddove non è possibile fare riferimento al requisito formale, l’onere di individuazione dei controinteressati sussiste comunque, in considerazione delle esigenze di garanzia del contraddittorio per coloro nei cui riguardi la sentenza richiesta con l’azione giurisdizionale potrebbe spiegare un effetto pregiudizievole. Alla luce delle superiori premesse, i controinteressati sono parti i cui elementi identificativi sembrano dover essere indicati nel ricorso, ai sensi dell’articolo 40, comma 1, lett. a), del Codice. Tale norma va però coordinata con quanto previsto dall’articolo 41, comma 2, CPA, a mente del quale, quando è proposta azione di annullamento, il ricorso deve essere notificato, entro il termine per la sua proposizione, all’amministrazione procedente e ad almeno uno dei controinteressati che siano individuati nell’atto (salva, dunque, la successiva integrazione del contraddittorio nei confronti degli ulteriori controinteressati ai sensi dell’articolo 49 del Codice, onde garantire la corretta instaurazione del contraddittorio, secondo quanto previsto dall’articolo 27, comma 1, CPA). Sulla base del combinato disposto delle norme sembrerebbe, dunque, che l’onere di indicazione degli elementi identificativi sia limitato, entro il termine per la proposizione del ricorso introduttivo del giudizio, ad un solo controinteressato. Rispetto a tale onere formale di identificazione, tuttavia, dottrina e giurisprudenza hanno in passato adottato un orientamento flessibile, ritenendo che l’indicazione del controinteressato possa risultare non solo dal contesto del ricorso, ma anche dal solo atto di notificazione. Tale orientamento, formatosi sulla previgente disciplina, ed invero non unanime, è stato messo in discussione da una più recente dottrina, secondo cui l’attuale disciplina codicistica imporrebbe di distinguere due diversi adempimenti a carico del ricorrente: l’indicazione del controinteressato come parte (dunque nel testo del ricorso, ai sensi dell’articolo 40) e la notifica al controinteressato. È senz’altro da escludere, per ovvie ragioni, un onere di indicazione nei confronti dei controinteressati c.d. ’successivi’ e ’occulti’, in quanto non identificabili a priori al momento della proposizione del ricorso. 

Sono controinteressati occulti coloro che, come i controinteressati formali, traggono una posizione giuridica soggettiva qualificata dal provvedimento impugnato dal ricorrente ma che, a differenza degli stessi, non sono espressamente menzionati nel provvedimento impugnato né da esso facilmente desumibili. Sono controinteressati successivi, invece, coloro che hanno acquistato una posizione giuridica soggettiva qualificata in virtù di un provvedimento che la Pubblica Amministrazione ha emanato successivamente all’impugnazione dell’atto da parte del ricorrente e, quindi, all’instaurazione del giudizio. Tar Lazio, Roma, Sez. II, 04 marzo 2016,  n. 2865 precisa che "la posizione di controinteressato deve ricollegarsi direttamente ed immediatamente all’atto impugnato e non già ad atti successivi anche se essi trovino nell’atto impugnato il loro presupposto, e va accertata alla data di emanazione del provvedimento impugnato, non avendo alcuna rilevanza le situazioni e i fatti sopravvenuti". 

 

9.3. I ’beneficiari dell’atto illegittimo’

Nell’azione di condanna assumono la qualità di parte, ai sensi dell’articolo 41, comma 2, anche i “beneficiari dell’atto illegittimo”, ovvero, utilizzando un’espressione che forse sarebbe stata più appropriata, dell’atto che si assume illegittimo. Si tratta, come si evince dal richiamo all’articolo 102 c.p.c., di litisconsorti necessari, che, ove siano più di uno, dovranno essere tutti evocati in giudizio entro il termine per la proposizione del ricorso, anche se tale onere, a differenza di quanto avviene per l’evocazione di almeno uno dei controinteressati nell’azione di annullamento, non sembra sanzionato con la decadenza.

 

9.4. I cointeressati

Non sono considerati contraddittori necessari – e perciò non devono essere espressamente indicati nel ricorso (né grava nei loro confronti un onere di notifica) – i cointeressati, vale a dire coloro che vantano un interesse che converge con quello del ricorrente (dunque un interesse all’annullamento degli atti impugnati, nel caso del rito di impugnazione, o comunque all’accoglimento della domanda del ricorrente). Resta ferma, ovviamente, la possibilità che tali soggetti assumano la qualità di parte processuale mediante lo strumento dell’intervento ad adiuvandum (articolo 50). 

 

10. L’indicazione del giudice adito

Manca nell’attuale Codice una norma analoga a quella contenuta nel previgente articolo 6 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642 (“il ricorso deve essere diretto alla sezione giurisdizionale competente”), tuttavia l’indicazione del giudice adito, quale elemento necessario del ricorso, si ricava dall’articolo 41 CPA, secondo cui “le domande si introducono con ricorso [intestato] al tribunale amministrativo regionale competente”. In merito alle conseguenze della mancata indicazione del Giudice, stante l’assenza di una corrispondente disposizione contenuta nell’articolo 44, è controverso se si possa configurare o meno un’ipotesi di nullità insanabile, posto che l’indicazione del giudice incide direttamente sul diritto di difesa delle controparti. L’opinione prevalente ritiene che, pur in assenza di una formale comminatoria da parte dell’articolo 44, debba configurarsi un’ipotesi di nullità, che sarebbe tuttavia sanabile per effetto della costituzione in giudizio dell’amministrazione resistente e dei controinteressati presso il Tar in cui il ricorso è stato depositato. Nei Tar dotati di sezioni distaccate, atteso che l’organizzazione per sezioni non implica questioni di competenza (cfr. articolo 47, comma 1, CPA), la mancata indicazione della sede non determina un vizio del ricorso, bensì esclusivamente la necessità che il giudice ordini la rinnovazione della notificazione per consentire alle parti la costituzione nella sede del deposito del ricorso. Diverso dalla mancata indicazione della sezione, staccata o centrale, del Tar adito, è il caso di ricorso introduttivo indirizzato alla sede centrale ma depositato presso la sede distaccata, e viceversa: in tal caso, infatti, il ricorso è irricevibile perché priva le controparti della possibilità di tutelarsi tempestivamente e adeguatamente contro l’iniziativa giudiziaria.

 

11. L’elezione di domicilio della parte e il ’domicilio telematico’ del difensore

Nel ricorso è contenuta anche l’elezione di domicilio della parte ricorrente, da effettuarsi nel Comune ove ha sede il Tribunale amministrativo regionale o la sezione distaccata ove pende il ricorso. Di regola l’elezione di domicilio avviene presso lo studio di un legale, che può essere lo stesso difensore officiato del mandato, ovvero altro avvocato esclusivamente domiciliatario. Non è escluso che la parte, nella procura speciale conferita al difensore, possa delegargli anche la facoltà di eleggere domicilio in sua vece, sicché sarà lo stesso difensore officiato del mandato ad eleggere domicilio per conto della parte. A decorrere dal 1° gennaio 2018, per i ricorsi soggetti al PAT, agli avvocati che esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori dalla circoscrizione del Tribunale al quale sono assegnati, non si applica più la domiciliazione (residuale) presso la Segreteria del Tribunale, in mancanza di esplicita elezione di domicilio presso un diverso luogo fisico (articolo 25, comma 1 ter). Non trova quindi più applicazione l’articolo 25, comma 1, CPA a mente del quale, ove la parte non avesse provveduto alla elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il Tar (o in Roma per l’appello in Consiglio di Stato), la stessa si intendeva domiciliata, ad ogni effetto, presso la Segreteria del Tribunale amministrativo regionale o della sezione staccata (per il giudizio di appello presso la Segreteria del Consiglio di Stato), che veniva identificata come indirizzo delle comunicazioni e notificazioni diverse da quelle telematiche. 

Ne deriva che l’elezione di domicilio nella circoscrizione del Tribunale sarà necessaria al fine di assicurare la possibilità di dare corso alle notifiche di parte con modalità cartacea, ove il difensore non eserciti il proprio ufficio presso tale circoscrizione. In caso contrario invece (ove cioè il difensore eserciti entro la circoscrizione in cui ha sede il Tribunale), la mancata indicazione dell’indirizzo dello studio fa sì che le notifiche debbano essere effettuate presso il domicilio indicato nell’albo professionale, a norma degli articoli 10 e 17, comma 1, n. 7, del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578. 

Alle disposizioni richiamate si aggiunge quella di cui all’articolo 136 del Codice, che impone ai difensori di indicare nel  ricorso o nel primo atto difensivo un recapito di fax (con onere di comunicare alla Segreteria ogni variazione) che può essere anche diverso da quello del domiciliatario, precisando che la comunicazione a mezzo fax è eseguita esclusivamente qualora sia impossibile effettuare la comunicazione all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi, per mancato funzionamento del sistema informatico della giustizia amministrativa.

La norma è stata da ultimo modificata dall’articolo 45-bis, comma 3, della l. n. 114/2014 eliminando l’obbligo di indicazione dell’indirizzo PEC nel primo atto difensivo, previsto dalla previgente formulazione, sulla base del presupposto che gli indirizzi dei difensori risultano dai pubblici elenchi previsti dall’articolo 7, comma 2, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (ordinamento professionale forense), consultabili dalle segreterie ai sensi degli articoli 16 e 16 ter del d.l. n. 179/2012.

Esiste, dunque, un vero e proprio domicilio telematico del difensore dove gli avvisi di segreteria, una volta inviati, si considerano giuridicamente conosciuti 

In ogni caso, il domicilio eletto dalla parte (comunque di regola presso il difensore) mantiene una sua autonoma rilevanza per le notificazioni (cartacee) eseguite dalle altre parti processuali, mentre ai fini delle comunicazioni di segreteria (rivolte al difensore) viene sostituito dall’indirizzo di posta elettronica del difensore e, mantiene una utilità solo residuale, ove si verifichi un malfunzionamento del sistema informatico.

 

12. L’indicazione dell’oggetto della domanda, ivi compreso l’atto o il provvedimento eventualmente impugnato, e la data della sua notificazione, comunicazione o comunque della sua conoscenza

 

12.1. L’oggetto della domanda

Il requisito in esame, richiesto dall’articolo 40, comma 1, lett. b), ha la funzione di definire l’ambito del giudizio, ed in questo senso è direttamente e strettamente correlato alla previsione di cui all’articolo 34, comma 1, a mente del quale il giudice, in caso di accoglimento del ricorso, provvede “nei limiti della domanda”. È stato osservato che la formula utilizzata dal Codice persegue obiettivi di onnicomprensività e rimarca un profilo applicabile, entro ciascuna tipologia di azione, tanto alle domande di merito (di qualsiasi tipologia) quanto alle domande cautelari. In ogni caso la domanda dovrà risultare anzitutto formulata in termini chiari e specifici, in quanto, in difetto, si configurerebbe l’impossibilità del suo accoglimento. Entro tali limiti, peraltro, il giudice può comunque qualificare la domanda sulla base dei suoi contenuti sostanziali. 

 

12.2. L’indicazione dell’atto o del provvedimento eventualmente impugnato

Nei ricorsi rivolti all’annullamento (articolo 29 CPA) o all’accertamento della nullità del provvedimento (articolo 31, comma 4, CPA) l’oggetto della domanda va individuato nell’affermazione della avvenuta lesione di un interesse legittimo o di un diritto soggettivo per effetto dell’emanazione di un atto, e nella consequenziale richiesta di annullamento o declaratoria di nullità dello stesso in relazione alle censure proposte. Di qui la necessità che l’atto introduttivo contenga la precisa indicazione dell’atto o del provvedimento impugnato

Il requisito è stabilito a pena di nullità, sancita dall’articolo 44, comma 1, lett. c), CPA: trattasi peraltro di nullità relativa in quanto per dichiararla occorre che sia riscontrata un’incertezza assoluta sull’oggetto della domanda.

Si deve tenere conto, al riguardo, che, sebbene il potere di annullamento sia riferito espressamente al provvedimento (articolo 34), l’azione di annullamento può essere esperita contro tutte le possibili manifestazioni del potere amministrativo, e dunque contro qualsiasi atto, comportamento con valore di atto (silenzio significativo) ovvero comportamento esecutivo dell’atto, secondo la previsione di cui all’articolo 7, comma 4, del Codice, che sottopone alla giurisdizione generale di legittimità “atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni”. Dottrina e giurisprudenza hanno avuto modo di chiarire che l’identificazione dell’atto o provvedimento impugnato va operata non in senso formalistico (e dunque con riferimento all’epigrafe del ricorso) bensì in relazione all’effettiva volontà del ricorrente desumibile dal gravame nel suo insieme, dai motivi prospettati e da ogni altro elemento utile. Più recentemente il Consiglio di Stato ha precisato che il provvedimento impugnato deve comunque essere puntualmente indicato, in quanto l’azione impugnatoria esige la specificazione, nel ricorso, “oltre che della causa petendi (i motivi di gravame) anche del petitum e, cioè, la domanda di annullamento dell’atto impugnato (che dev’essere puntualmente indicato)" (in tal senso, ex plurimis, Sezione V, n. 2543 del 13 giugno 2016; Sez. III, 02 maggio 2019, n. 2843). Secondo costante orientamento, anche l’errata indicazione degli estremi dell’atto impugnato non determina nullità del ricorso.

Può però verificarsi l’ipotesi in cui gli estremi dell’atto impugnato siano, al momento della notifica del ricorso, sconosciuti al ricorrente: in tal caso (c.d. ricorso al buio) l’identificazione dell’atto impugnato avviene di regola attraverso il suo contenuto, desumibile da altri atti conosciuti ovvero dagli effetti che il provvedimento stesso ha in concreto generato.

Più in particolare il ricorrente può trovarsi costretto ad introdurre il giudizio mediante ricorso ’al buio’ quando, ad esempio, pur avendo proposto una domanda di accesso, al momento della notifica del ricorso non abbia ancora ottenuto copia degli atti richiesti, ma si trovi già in grado di percepire l’esistenza e la lesività del provvedimento (si pensi al proprietario confinante nel caso in cui oggetto dell’impugnazione sia il permesso di costruire per un intervento edilizio in corso). Il ricorso al buio è, poi, frequente nelle materie per cui i termini per impugnare sono dimezzati e finiscono per coincidere col termine ordinariamente previsto per il rilascio di copia dei documenti. Da tempo, peraltro, l’onere per il ricorrente di proporre ricorso al buio è stato oggetto di serrate critiche da parte della giurisprudenza. In particolare, nella materia dei contratti pubblici, sono state rimesse alla Corte di giustizia (Tar Puglia, Bari, Sez. I, ord. 25 marzo 2013, n. 427) le seguenti questioni pregiudiziali: “a) se gli articoli 1, 2-bis, 2-quater e 2-septies della direttiva 1992/13/CEE vadano interpretati nel senso che il termine per proporre un ricorso, diretto a far accertare la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, decorra dalla data in cui il ricorrente ha conosciuto, o avrebbe dovuto conoscere secondo l’ordinaria diligenza, l’esistenza della violazione stessa; b) se gli articoli 1, 2-bis, 2-quater e 2-septies della direttiva 1992/13/CEE ostano a disposizioni processuali nazionali ovvero a prassi interpretative, quali quelle enunciate nella causa principale, che consentono al giudice di dichiarare irricevibile un ricorso diretto a far accertare la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, quando il ricorrente è venuto a conoscenza della violazione dopo la formale comunicazione degli estremi del provvedimento di aggiudicazione definitiva, per la condotta tenuta dall’Amministrazione aggiudicatrice”. La Corte di giustizia UE si è pronunciata su tali questioni pregiudiziali con sentenza dell’8 maggio 2014 (C-161/2013), ove ha stabilito che “gli articoli 1, paragrafi 1 e 3, nonché 2 bis, paragrafo 2, ultimo comma, della direttiva 92/13/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle norme comunitarie in materia di procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, devono essere interpretati nel senso che il termine per la proposizione di un ricorso di annullamento contro la decisione di aggiudicazione di un appalto deve iniziare nuovamente a decorrere qualora sia intervenuta una nuova decisione dell’amministrazione aggiudicatrice, adottata dopo tale decisione di aggiudicazione ma prima della firma del contratto e che possa incidere sulla legittimità di detta decisione di attribuzione. Tale termine inizia a decorrere dalla comunicazione agli offerenti della decisione successiva o, in assenza di detta comunicazione, dal momento in cui questi ultimi ne hanno avuto conoscenza. Nel caso in cui un offerente abbia conoscenza, dopo la scadenza del termine di ricorso previsto dalla normativa nazionale, di un’irregolarità asseritamente commessa prima della decisione di aggiudicazione di un appalto, il diritto di ricorso contro tale decisione gli è garantito soltanto entro tale termine, salvo espressa disposizione del diritto nazionale a garanzia di tale diritto, conformemente al diritto dell’Unione”. L’onere per il ricorrente di procedere in taluni casi alla proposizione di un ricorso al buio è stato fortemente censurato dalla Corte di giustizia” (per una applicazione di detta pronuncia, cfr. Tar Umbria, Sez. I, 9 settembre 2014, n. 448). Successivamente alla pronuncia della Corte di giustizia, il Consiglio di Stato, con la pronuncia della III Sezione n. 4432 del 28 agosto 2014, preso atto dell’interpretazione della Corte di giustizia, ha ribadito il principio interpretativo sostenuto nell’ordinanza della VI Sezione n. 790 del 11 febbraio 2013, affermando che, in materia di contratti pubblici, "il termine di trenta giorni per l’impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre dal momento della comunicazione, di cui ai commi 2 e 5 dell’articolo 79 [del Decreto Legislativo n. 163/2006 - ora articolo 76 del Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50] ma può essere incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto leso dall’aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell’atto e dei profili di illegittimità". Più recentemente, in tema di ricorso ’al buio’, Tar Lazio, Sez. III, 4 agosto 2016, n. 9058 ha ritenuto che la censura ’al buio’ possa essere ritenuta ammissibile solo quando la parte ricorrente non abbia avuto la possibilità di accedere alla documentazione in possesso dell’amministrazione, e si sia riservata di articolare meglio le proprie difese nel momento in cui, spontaneamente o issu judici, tali documenti siano stati depositati in giudizio, purché, a seguito dell’intervenuto deposito, l’interessato abbia provveduto a dare concretezza, con lo strumento dei motivi aggiunti, alle questioni prospettate in via ipotetica al momento dell’introduzione del giudizio, sicché i motivi aggiunti devono ritenersi inammissibili quando la tardiva conoscenza sia imputabile a negligenza del ricorrente. Nello stesso Tar Sicilia, Palermo, sez. III, 2 luglio 2018, n.1498. In materia di procedure ad evidenza pubblica Con. St., Sez. III, 26 gennaio 2018, n.565 ha invece osservato che, ai sensi dell’articolo 120 comma 2-bis CPA, l’onere di impugnazione dell’altrui ammissione è ragionevolmente subordinato alla pubblicazione degli atti della procedura.

Si ricorda che esiste anche la possibilità di introdurre il rito in materia di accesso in corso di causa a mente dell’articolo 116, comma 2, CPA

In caso di impugnazione parziale (vale a dire in caso di richiesta di annullamento di un atto nelle sole parti ritenute lesive), il ricorso potrà indicare il contenuto delle sole parti dell’atto o del provvedimento di cui si chiede l’annullamento. È di uso corrente la formula di stile secondo cui, all’atto espressamente impugnato, si aggiungono tutti gli atti preparatori, presupposti, o comunque connessi e conseguenti, anche non conosciuti: tale formulazione, per la sua genericità, non è però in grado, secondo costante giurisprudenza (ex plurimis, Cons. St., Sez. III, 23 novembre 2017, n. 5468; Tar Lazio, Roma, Sez. II, 19 giugno 2009, n. 5850; Tar Toscana, Sez. II, 25 agosto 2010, n. 4892; Cons. St., Sez. V, 16 settembre 2004, n. 6018; Cons. St., Sez. V, 15 settembre 2001, n. 4820; Cons. St., Sez. V, 28 dicembre 2007, n. 6711; Cons. St., Sez. VI, 20 maggio 2009, n. 3105; Cons. St., Sez. VI, 24 gennaio 2012, n. 291; Cons. St., Sez. IV, 21 giugno 2001, n. 3346; Tar Liguria, Sez. II, 13 novembre 2008, n. 1989, Cons. St., Sez. VI, 14 aprile 2009, n. 2280; Cons. St., Sez. VI, 7 luglio 2003, n. 4037; Tar Lombardia, Milano, Sez. IV, 28 marzo 2012, n. 928; Cons. St., Sez. IV, 12 maggio 2014 n. 2417; Tar Sicilia, Catania, Sez. III, 20 aprile 2014 n. 1084; Cons. St., Sez. III, 7 maggio 2015 n. 3392) di determinare conseguenze dirette in ordine all’estensione dell’impugnazione, salvo che dal contesto del ricorso non risultino altri atti e provvedimenti effettivamente connessi. Invero, l’origine della clausola in questione è collegata al tema, sostanziale e dibattuto, del rapporto tra invalidità viziante e invalidità caducante, cui si ricollega, a propria volta, il tema del rapporto tra il ricorso principale ed i motivi aggiunti. Basti qui ricordare che si ha invalidità ad effetto caducante allorché fra due atti, appartenenti al medesimo contesto procedimentale, sia ravvisabile un rapporto di presupposizione – consequenzialità immediata, diretta e necessaria, nel senso che l’atto successivo si pone come inevitabile conseguenza di quello precedente, non comportando nuove ed ulteriori valutazioni di interessi. In mancanza di tali requisiti si ha invalidità viziante, che deve essere dedotta mediante un’ulteriore impugnativa.

La dottrina ha in passato dibattuto anche sul tema della configurabilità della impugnazione c.d. ’implicita’, in particolar modo con riferimento a norme regolamentari presupposte. Diverso tema è quello dell’impugnazione del c.d. ’atto implicito’, che si configura quando l’amministrazione adotta un atto (esplicito) in cui siano inclusi e ravvisabili anche tutti i tratti tipici di un altro provvedimento (implicito), nel senso che dall’atto esplicito emerge come l’amministrazione si sia determinata in una direzione cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento corrispondente (ex plurimis, Tar Sicilia, Palermo, Sez. II, 08 gennaio 2020, n.20; Tar Firenze, Sez. I, 07.05.2015, n. 733; Cons. St., Sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2112; Tar Umbria, Sez. I, 23 marzo.2016, n. 261; Tar Lazio, Latina, Sez. I, 12 febbraio 2016, n. 85; Tar Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 3 dicembre 2015, n. 1065; Tar Sicilia, Palermo, Sez. II, 26 novembre 2015, n. 3015; Tar Campania, Salerno, Sez. I  04 novembre 2016 n. 2396).

 

13. L’indicazione della data di notificazione, comunicazione o comunque della conoscenza del provvedimento impugnato

Le attività necessarie per portare gli atti e i provvedimenti a conoscenza dei loro destinatari si svolgono, di regola, nella fase integrativa dell’efficacia del provvedimento. Al riguardo l’articolo 40 si riferisce, in primis, alle due tipiche misure di conoscenza individuale (comunicazione e notificazione), ed in via residuale alla data della conoscenza effettiva, indipendentemente dalla fonte di tale conoscenza. Sulla differenza tra le due misure di partecipazione individuale menzionate dalla norma, è stato rilevato che la comunicazione può consistere sia nella trasmissione integrale dell’atto adottato, sia nella notizia della sua adozione, ed in tale secondo caso, la comunicazione deve consistere in una notizia sufficiente a dare una compiuta conoscenza del provvedimento. La notificazione è, invece, una forma di comunicazione della quale il ricevimento è ufficialmente documentato, idonea a conferire certezza legale sia dell’invio che del ricevimento dell’atto o della notizia dell’atto, e può essere eseguita nelle forme regolate dal codice di procedura civile direttamente dagli uffici amministrativi. Il procedimento di notificazione può avvenire per consegna di copia conforme all’originale, annotazione su apposito registro, per convocazione o mediante lettura contestualmente verbalizzata: modalità che determinano certezza della conoscibilità e, se il destinatario è effettivamente raggiunto, anche della conoscenza. Sia la comunicazione che la notificazione possono avvenire a mezzo PEC (Tar Toscana, Sez. II, 16 febbraio 2015, n. 272).

Quanto alla conoscenza dell’atto o del provvedimento lesivo, è stato chiarito che la stessa non deve essere intesa quale conoscenza piena ed integrale, essendo sufficiente la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del ricorrente, in modo da rendere percepibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso. Si comprende dunque come l’indicazione della data di notifica, comunicazione o piena conoscenza dell’atto o provvedimento impugnato appaia funzionale alla valutazione della tempestività del ricorso (la cui irricevibilità per tardività sarebbe infatti rilevabile d’ufficio ex articolo 35, comma 1, lett. a, del Codice): infatti, tale data determina il dies a quo per il computo del termine decadenziale di impugnazione, ed è perciò collegata all’articolo 64, comma 2, del Codice, a mente del quale “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite”. In ogni caso, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che la mancata indicazione della data di notificazione, comunicazione o conoscenza dell’atto o provvedimento impugnato non sia idonea a ribaltare l’orientamento che onera chi eccepisce la tardività del ricorso di provare la conoscenza anteriore (ex plurimis, Cons. St., Sez. IV, 2 febbraio 2011, n. 7479. Per altro verso, la mancata indicazione della data di notificazione, comunicazione o conoscenza dell’atto o provvedimento sarebbe idonea a determinare la nullità del ricorso, ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lett. b), solo nel caso in cui tale omissione contribuisce a determinare un’incertezza assoluta sull’oggetto della domanda: caso che è stato definito come una remota evenienza, a tal punto da ritenere che la disposizione in esame costituisca una norma senza sanzione, o, meglio, una norma che agisce sul differente piano della responsabilizzazione del ricorrente. Sotto tale ultimo profilo, in particolare, si può ipotizzare che, ove sia accertata la tardività dell’azione proposta, la dichiarazione circa la data di conoscenza effettiva del provvedimento possa costituire oggetto di valutazione anche ai fini della condanna alle spese, ai sensi dell’articolo 26, comma 2, del Codice, in applicazione dei principi di buona fede e divieto di abuso dello strumento processuale.

 

14. La domanda nei giudizi diversi da quello di annullamento e di accertamento della nullità

In generale, nei giudizi diversi da quello di annullamento o declaratoria di nullità, l’individuazione dell’oggetto della domanda deve tenere conto dell’inapplicabilità della regola dell’indicazione dell’atto o provvedimento impugnato: soccorrono, dunque, le previsioni processuali ordinarie rivolte ad assicurare la cognizione del rapporto sostanziale. Così, ad esempio, nel caso in cui sia proposta una domanda di accertamento di comportamenti omissivi non formali (es.: silenzio-inadempimento), l’oggetto della domanda va individuato nell’affermazione della avvenuta lesione di un interesse legittimo causata dall’omessa emanazione di un provvedimento in una certa situazione, e nella consequenziale domanda di condanna ad emanare il provvedimento: il dato centrale della domanda verrà dunque ad essere costituito dall’allegazione degli estremi del fatto dal quale il comportamento sia desumibile. Nell’ipotesi in cui sia proposta domanda di condanna al risarcimento del danno ingiusto, anche in forma specifica ex articolo 2058 c.c., derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa ovvero dal mancato esercizio di quella obbligatoria (articolo 30 CPA), l’oggetto della domanda va individuato nell’affermazione della avvenuta lesione di un interesse legittimo per effetto dell’emanazione di un atto amministrativo di cui viene lamentata l’illegittimità (o per effetto del mancato esercizio dell’attività amministrativa), e nella consequenziale domanda di risarcimento del pregiudizio subito; chiaramente in questa tipologia di azione, anche laddove la domanda risarcitoria sia proposta in via autonoma (ipotesi limitata alle materie di giurisdizione esclusiva dall’articolo 30, comma 2, CPA), l’indicazione dell’atto o del provvedimento non sarà necessaria in sé, quale requisito formale del ricorso, quanto piuttosto ai fini del rispetto dell’onere di allegazione rispetto alla fonte dell’obbligo risarcitorio. Nell’azione c.d. di adempimento, l’oggetto della domanda va individuato nell’affermazione della avvenuta lesione di interessi legittimi consequenziale alla mancata emanazione di un provvedimento favorevole, nella richiesta di accertamento della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio e nella condanna della P.A. all’adozione del provvedimento richiesto.

Nell’azione di accertamento esperita in assenza del definitivo esercizio di un potere ancora in fieri, l’oggetto della domanda va individuato nell’affermazione della avvenuta lesione di un interesse legittimo per effetto di un’attività amministrativa posta in essere durante lo svolgimento di un procedimento amministrativo non ancora concluso e nella richiesta all’autorità giurisdizionale di adottare, nella pendenza del giudizio di merito, le misure cautelari necessarie ad impedire che, nelle more della definizione del procedimento, possano essere arrecati al ricorrente pregiudizi gravi e irreparabili.

 

15. L’esposizione sommaria dei fatti

L’esposizione dei fatti consiste in una narrazione succinta delle circostanze storico-ambientali da cui trae origine la vicenda sottoposta al giudice, e concorre a delineare l’oggetto della domanda, in quanto definisce la fattispecie concreta sulla quale il giudice sarà tenuto a pronunciarsi: in questo senso l’esposizione dei fatti è strettamente collegata al requisito della specificità dei motivi e quello dell’indicazione dei provvedimenti chiesti al giudice. È sufficiente che l’esposizione sia “sommaria”, il che va inteso nel senso che l’esposizione deve essere “sintetica”, ma non “generica”, perché i fatti rilevano nei limiti in cui rientrano nella materia del contendere. Non è necessario, per il ricorrente, delineare anche la qualificazione giuridica dei fatti, in ragione del principio iura novit curia. In questo senso, l’assolvimento dell’onere di allegazione dei fatti, ove tale allegazione sia sufficientemente precisa, è capace di influenzare (ed entro una certa misura soccorrere) anche la qualificazione dei motivi, in termini di genericità o specificità. La narrazione dei fatti dovrà chiaramente risultare appropriata alle conclusioni rassegnate ed al tipo di motivo dedotto. Non sembra, invece, che l’avverbio ’distintamente’ imponga una rigorosa separazione della narrazione dei fatti dai motivi di diritto. È stato osservato che l’espressione utilizzata dall’articolo 40 riguardo all’indicazione dei fatti sembra ricomprendere sia i fatti principali, ossia quelli costitutivi della pretesa dedotta in giudizio, sia i fatti secondari, ossia quelli che assolvono ad una funzione esclusivamente probatoria: sicché, l’onere di allegazione dei fatti appare direttamente collegato sia all’onere probatorio, che il Codice pone a carico delle parti (articolo 63), sia al principio di non contestazione sancito dall’articolo 64, comma 2, CPA.

 

16. I Motivi specifici su cui si fonda il ricorso 

I motivi sono l’insieme delle argomentazioni con i quali si giustifica la richiesta. Essi individuano la causa petendi, come ragione o titolo posto a fondamento della domanda, e in questo senso sono strettamente correlati all’esposizione dei fatti: senza una puntuale esposizione dei fatti di causa, è impossibile procedere ad una loro sussunzione all’interno del parametro legale che il ricorrente assume violato. La stretta connessione tra fatto e motivi si manifesta anche in relazione alla possibilità che un determinato fatto possa dar luogo ad una pluralità di motivi: motivi che, nel sistema di preclusioni processuali, rappresentano le conseguenze che il ricorrente ha l’onere di trarre integralmente da quel dato fatto al momento della proposizione del ricorso, non essendo poi ammissibile l’ampliamento dei motivi nel corso del giudizio (salvo ovviamente che ricorrano i presupposti per la proposizione di motivi aggiunti). Il requisito della necessaria specificazione dei motivi si riferisce tipicamente all’azione di annullamento, ed in particolare alle illegittimità prospettate dall’articolo 29 del Codice e dall’articolo 21-octies della legge 7 agosto 1990, n. 241, vale a dire violazione di legge, eccesso di potere ed incompetenza; ma vale anche per l’azione di nullità e per i vizi individuati dall’articolo 21-septies legge n. 241/1990. Il requisito della specificità dei motivi sta ad indicare la necessità che essi abbiano una adeguata consistenza, e che diano dimostrazione, secondo l’intendimento del ricorrente, del titolo e della causa della richiesta e delle norme che la giustificano. Più in particolare, nel caso in cui sia dedotta la violazione di legge, si richiede al ricorrente di indicare il parametro normativo che reputa violato. È stato peraltro osservato che, ai fini della ritualità del motivo, la mancanza di una individuazione specifica delle norme violate, ovvero una individuazione erronea o lacunosa, non determinano la nullità del motivo. Infatti, ove la questione giuridica sia stata configurata nei suoi tratti essenziali, è riconosciuto al giudice un potere di riqualificazione che costituisce applicazione del principio iura novit curia, seppure limitato dalla necessità di non alterare gli elementi obiettivi di identificazione dell’azione: entro tale limite, la riqualificazione dei motivi, data dall’individuazione della precisa norma di legge violata rispetto ai motivi di ricorso, rappresenta espressione della libertà di scelta della norma prevista dall’articolo 113 c.p.c., e pertanto non costituisce ultrapetizione. Nel caso in cui sia dedotta l’incompetenza, la censura è ritenuta ammissibile solo ove accompagnata dalla specifica indicazione dell’autorità competente. Analogamente, per il caso in cui sia dedotto il vizio di eccesso di potere, il motivo dovrà essere articolato in modo tale da consentire l’esatta comprensione del contenuto della doglianza. L’onere di indicazione dei motivi specifici  collegato è  anche al principio della domanda, in quanto essi contribuiscono a delimitare l’ambito del giudizio. A proposito del rapporto tra motivi e principio della domanda, è stato osservato che i motivi di ricorso rappresentano la posizione unitaria del ricorrente, alla quale tuttavia non corrisponde una inscindibilità, anzi i motivi possono investire profili differenti o atti differenti: tale caratteristica rende possibile al ricorrente imprimere una graduazione o ordine di importanza (c.d. cumulo condizionale).

In merito alla sussistenza di un eventuale vincolo per il giudice in corrispondenza della graduazione dei motivi, l’Adunanza Plenaria, con decisione del 27 aprile 2015, n. 5, ha chiarito che nel giudizio impugnatorio di legittimità di primo grado debbono valere i seguenti principi: (i) l’unicità o pluralità di domande proposte dalle parti, mediante ricorso principale, motivi aggiunti o ricorso incidentale, si determina esclusivamente in funzione della richiesta di annullamento di uno o più provvedimenti autonomamente lesivi; (ii) la parte può graduare, esplicitamente e in modo vincolante per il giudice, i motivi e le domande di annullamento, ad eccezione dei casi in cui, ex articolo 34, comma 2, CPA, il vizio si traduca nel mancato esercizio di poteri da parte dell’autorità per legge competente; (iii) non vale a graduare i motivi di ricorso o le domande di annullamento il mero ordine di prospettazione degli stessi; (iv) in mancanza di rituale graduazione dei motivi e delle domande di annullamento, il giudice amministrativo, in base al principio dispositivo e di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, è obbligato ad esaminarli tutti, salvo che non ricorrano le seguenti ipotesi: assorbimento per espressa previsione di legge; evidenti e ineludibili ragioni di ordine logico – pregiudiziale; ragioni di economia processuale, se comunque non risulti lesa l’effettività della tutela dell’interesse legittimo e della funzione pubblica (cfr. anche Con. St., Sez. V, 17 aprile 2020, n.2471; Con. St., Sez. IV, 27/08/2019, n.5891). Diversa è, invece, la tecnica (invero molto criticata in dottrina) dell’assorbimento dei motivi, attraverso cui il giudice annulla il provvedimento accogliendo un solo motivo o solo alcuni motivi, non esaminando le residue censure proposte. Su tale tecnica ha preso posizione – come appena visto – l’Adunanza Plenaria, che con la citata decisione n. 5/2015 ha puntualizzato che, in primo grado e nei giudizi avente natura impugnatoria, in mancanza di rituale graduazione dei motivi e delle domande di annullamento, il giudice amministrativo, in base al principio dispositivo e di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, è obbligato ad esaminare tutte le censure, fatti salvi i soli casi di assorbimento per tre ordini di ragioni: assorbimento per legge, per pregiudizialità necessaria e per ragioni di economia processuale, se comunque non risulti lesa l’effettività della tutela dell’interesse legittimo e della funzione pubblica (cfr. sul punto Cons. St., Sez. IV, 05 febbraio 2018, n.706 sull’ ipotesi di assorbimento dei motivi di gravame in caso di conferma di un capo autonomo della impugnata sentenza)

Dalla scindibilità dei motivi deriva altresì la possibilità di rinuncia ad uno o più motivi. Controverso è se tale rinuncia possa promanare anche dal difensore, senza che sia necessaria una procura ad hoc, a differenza di quanto è invece richiesto per la rinuncia al ricorso. 

Per quanto riguarda la forma e la presentazione dei motivi, costante giurisprudenza ha ritenuto che i motivi vadano considerati ritualmente formulati quando, al di là di una schematizzazione e presentazione formale secondo la loro divisione in rubriche, siano comunque desumibili dal complesso dell’impugnazione (ex plurimis, Cons. St., Sez. V, 16 marzo 2011, n. 1623), sicché non sarebbe necessario che il ricorso contenga la definizione formale e la puntuale rubricazione giuridica dei singoli motivi di gravame, né che, nella redazione dell’atto introduttivo, venga osservata una rigida ripartizione del fatto e dei motivi. Pur non mettendo in discussione la non necessità di una rigida ripartizione, un diverso orientamento, formatosi prima della modifica introdotta al comma 2 dell’articolo 40 dal Decreto Legislativo n. 160/2012, afferma che, laddove il ricorrente abbia scelto di operare una ripartizione tra parte in fatto e motivi, i motivi non devono risultare c.d. ’intrusi’, stante il carattere vincolante della ripartizione che la parte abbia autonomamente prescelto, sicché “i motivi devono essere collocati nella parte dedicata ai motivi, e non possono essere, senza un ordine ed una numerazione puntuale, intrusi in modo casuale nella parte dedicata al fatto, tanto più se al fatto è dedicata una estensione ampia, perché diversamente sarebbe impossibile delimitare l’ambito della materia del contendere". Un più recente orientamento ricollega, invece, alla modifica introdotta dal Decreto Legislativo n. 160/2012 un onere di indicare i motivi in una apposita parte del ricorso (cfr. Cons. St., Sez. VI, 04 gennaio 2016,  n. 8, secondo cui, in seguito alla modifica apportata all’articolo 40, comma 2 CPA "l’inammissibilità dei motivi di ricorso non consegue solo al difetto di specificità ma anche alla loro mancata indicazione «distintamente», in apposita parte del ricorso dedicata a tale elemento del ricorso (sia esso di primo grado o d’appello), di cui i motivi costituiscono il nucleo essenziale e centrale". Nello stesso senso Cons. St., Sez. V, 15 luglio 2016, n.3166, riferito alla redazione dell’atto di appello secondo cui  “non è possibile qualificare come motivi di gravame in senso proprio le notazioni ricostruttive genericamente critiche contenute nel paragrafo recante ’Brevi considerazioni critiche introduttive’ , nel paragrafo recante ’Sintesi del thema decidendum posto dal ricorso introduttivo’ e nel paragrafo ecante ’Precisazioni in fatto e svolgimento del processo’”, in quanto “lo scopo della previsione di cui all’articolo 40 del cod. proc. amm. (il quale, come è noto, reca puntuali disposizioni in tema di ’contenuto del ricorso’) è quello di incentivare la redazione di ricorsi dal contenuto chiaro e di porre argine ad una prassi in cui i ricorsi oltre ad essere poco sintetici, non contengono una esatta suddivisione tra fatto e motivi, con il conseguente rischio che trovino ingresso i c.d. ’motivi intrusi’, ossia i motivi inseriti nelle parti del ricorso dedicate al fatto, che, a loro volta, ingenerano il rischio della pronuncia di sentenze che non esaminino tutti i motivi per la difficoltà di individuarli in modo chiaro e univoco e, di conseguenza, incorrano in un vizio revocatorio”.

 

17. L’inammissibilità dei motivi dedotti in modo non specifico

L’articolo 40, comma 2, CPA, introdotto dal Decreto Legislativo n. 160/2012, sancisce espressamente l’inammissibilità dei motivi formulati in forma non specifica. Tale declaratoria di inammissibilità può riguardare i singoli motivi ovvero l’intero ricorso, se risulti che nessuno dei motivi proposti è stato formulato in maniera specifica. Alla luce di questa previsione, parte della dottrina si è chiesta se debba essere rivista l’elaborazione giurisprudenziale che ammette un intervento ermeneutico del giudice volto alla più corretta e completa interpretazione delle censure, tenendo conto della volontà delle parti e di tutti gli elementi a disposizione: ed in effetti la più recente giurisprudenza parrebbe orientata in tal senso. Ad ogni modo, già in epoca anteriore all’intervento del secondo correttivo, la giurisprudenza aveva raggiunto alcuni ’punti fermi’ relativamente ai ’limiti’ dell’intervento del giudice, considerando inammissibili i motivi generici, vaghi o perplessi, i quali non consentono al giudice di comprendere i vizi denunciati dalla parte, pur tenendo conto del contesto del gravame ed anche i motivi dedotti per relationem

Una formulazione generica dei motivi potrebbe, però, dipendere dal fatto che il ricorrente non è stato ancora in grado di conoscere in pieno la questione: si pensi al caso già in precedenza esaminato in cui il ricorrente stesso abbia presentato una domanda di accesso agli atti non evasa, o non completamente evasa al momento della formulazione del ricorso: in tale ipotesi, il ricorso potrebbe essere redatto allo stato degli atti, per poi integrare le censure già svolte mediante lo strumento dei motivi aggiunti, all’esito dell’accesso. Pertanto sembra che, in tal caso, l’onere di specificazione dei motivi debba essere valutato in modo meno rigoroso. Altra ipotesi similare si verifica nel contenzioso elettorale, in ragione della circostanza che le fasi del procedimento elettorale non sono tutte conoscibili immediatamente dal soggetto legittimato al ricorso. Anche in questo caso, però, sono inammissibili i ricorsi che scendono al di sotto di una soglia minimale di specificità, e assurgono, così, ad una funzione meramente esplorativa.

 

18. L’indicazione dei mezzi di prova

L’articolo 40 del Codice impone al ricorrente anche l’indicazione dei mezzi di prova. È tuttavia univoco il riconoscimento che al momento della proposizione del ricorso non maturi alcuna preclusione, né del resto l’articolo 44 fa cenno ad eventuali conseguenze della mancata indicazione dei mezzi di prova sulla validità del ricorso. D’altra parte, il momento preclusivo per la presentazione di istanze istruttorie va identificato nei termini indicati dall’articolo 73 CPA, che rappresentano termini perentori e inderogabili, salvo il caso di autorizzazione al deposito tardivo, previsto dall’articolo 54 CPA Chiaramente, anche i mezzi di prova variano in relazione al tipo di azione intrapresa ed ai provvedimenti chiesti al giudice.

 

19. L’indicazione dei provvedimenti chiesti al giudice

I provvedimenti chiesti al giudice (le conclusioni) variano in primis in relazione al tipo di azione intrapresa: annullamento, accertamento e declaratoria di nullità, condanna al risarcimento del danno per equivalente e/o in forma specifica, azione di adempimento (che si sostanzia nella richiesta di adozione dell’atto negato al ricorrente), azione avverso il silenzio con richiesta di condanna a provvedere (se del caso con contestuale richiesta di nomina di un commissario ad acta). Nel ricorso, è anche possibile rivolgere al giudice una pluralità di domande, pur se assoggettate a riti differenti. Oltre alla domanda principale, il ricorso può contenere anche l’istanza cautelare, ai sensi dell’articolo 55 CPA (misure collegiali) dell’articolo 56 CPA (misure monocratiche) o entrambe. Non sono previste forme predeterminate, ma è sufficiente che le conclusioni risultino con chiarezza dall’atto. Anche con riferimento alle conclusioni vale il principio iura novit curia, che consente al giudice di qualificare la domanda sulla base dei suoi elementi sostanziali, disponendo, ove ne ricorrano i presupposti, la conversione dell’azione.

 

20. La sottoscrizione del ricorrente e del difensore e l’indicazione della procura speciale

Il ricorso dovrà essere sottoscritto dal ricorrente o dal difensore munito di procura speciale, i cui elementi identificativi devono essere menzionati nell’atto, a mente dell’articolo 40, comma 1, lett. a). Si tratta di un requisito la cui mancanza rende il ricorso nullo ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lett. a), senza la possibilità di indagini sul verificarsi, o meno, di una situazione di incertezza assoluta. La formulazione dell’articolo 40, comma 1, lett., g), ha dato luogo ad un dubbio interpretativo: ci si è chiesti, in particolare, se, nei casi in cui il ricorso sia sottoscritto dal solo difensore, quest’ultimo debba essere munito di una procura che preveda espressamente la facoltà di sottoscrivere il ricorso anche per la parte. L’origine del dubbio è riconducibile alla formulazione del previgente articolo 6, comma 1, n. 4, del r.d. n. 642/1907, secondo cui il ricorso poteva essere sottoscritto: (i) dalla parte personalmente; (ii) dalla parte e dal difensore, sicché, in caso di doppia sottoscrizione, si riteneva di poter prescindere dal mandato al difensore, essendo deducibile proprio da tale norma la necessità, nel processo amministrativo, della sola assistenza e non anche della rappresentanza in giudizio; (iii) dal solo difensore, onerato, in tal caso, di indicare la “data del mandato speciale”, che comunque deve essere antecedente alla notifica. Al riguardo si deve preliminarmente osservare che la disciplina codicistica ha eliminato l’opzione della doppia sottoscrizione (Cons. St., Sez. V, 31 ottobre 2013 nn. 5244 e 5245), sicché, salvi i casi – marginali – in cui la parte sta in giudizio personalmente, il ricorso è di regola sottoscritto dal solo difensore, che deve sempre essere munito di procura speciale, espressamente indicata nel ricorso. Dunque, la questione che attualmente si pone è se la procura conferita ai sensi dell’articolo 24, sempre necessaria salvi i casi in cui la parte sta in giudizio personalmente, possa ritenersi automaticamente comprensiva della facoltà di sottoscrizione per la parte anche ove tale facoltà non sia stata esplicitata. La soluzione più rigorosa, facendo leva sulla formulazione degli articoli 22 e 23 del Codice, evidenzia come tali norme si riferiscano espressamente al patrocinio e all’assistenza, ma non alla rappresentanza, sicché il conferimento del potere rappresentativo, da cui scaturisce la facoltà di firma per la parte richiederebbe sempre e comunque una procura ad hoc, concettualmente differente dalla procura prevista dall’articolo 24, che può essere ivi inclusa, ma necessita di una esplicitazione a sé. Occorre dare atto, peraltro, che, già prima dell’entrata in vigore del Codice, si era formato un orientamento meno rigoroso, secondo cui, ove il mandato fosse redatto in calce o a margine del ricorso e fosse privo della specificazione che il difensore è abilitato a sottoscrivere il ricorso, la firma del ricorrente sul mandato, autenticata dal difensore, unitamente alla firma del difensore, avrebbero comunque integrato il requisito della doppia sottoscrizione (Cons. St., Sez. V, 19 luglio 2004, n. 5226): mutatis mutandis, venuta meno l’opzione della doppia sottoscrizione e generalizzata la necessità della procura speciale, alla luce della vigente disciplina si ritiene che la sottoscrizione della parte sulla procura ex articolo 24 valga comunque a conferire al difensore il potere di firma. La procura speciale deve in ogni caso essere anteriore alla notifica del ricorso: al riguardo è  controversa l’applicabilità sia dell’articolo 182, comma 2, c.p.c., in considerazione della natura decadenziale del termine per ricorrere, sia dell’articolo 125 c.p.c., che prevede, nel processo civile, la possibilità che la procura venga rilasciata in data posteriore alla notifica del ricorso, purché anteriormente alla costituzione. È indubbio che nel processo amministrativo la rappresentanza tecnica non possa essere conferita con procura generale alle liti, sicché l’atto sottoscritto dal difensore munito di procura generale deve ritenersi nullo. Secondo un orientamento, formatosi sulla disciplina previgente, si tratta di nullità sanabile per effetto della costituzione dell’amministrazione intimata nel termine decadenziale per la proposizione del ricorso; tale orientamento, che si ricollegava alla possibilità di doppia sottoscrizione, sembra tuttavia superato alla luce della vigente disciplina. La giurisprudenza ha da tempo chiarito che il requisito della sottoscrizione deve essere valutato con riferimento all’originale dell’atto, ed all’uopo non assume alcun rilievo la mancanza della sottoscrizione nella copia notificata. È pacifica la nullità del ricorso che sia stato sottoscritto esclusivamente dal procuratore domiciliatario, non avendo, quest’ultimo, i poteri di rappresentare e difendere il ricorrente.

 

21. La firma digitale e il formato dell’atto

La firma digitale (articolo 1, lett. s) Decreto Legislativo n. 82/2005, come sostituita dall’articolo 1, comma 1, lettera g), del Decreto Legislativo 30 dicembre 2010, n. 235 e successivamente modificata dall’articolo 1, comma 1, lettera e), del Decreto Legislativo 26 agosto 2016, n. 179 e dall’articolo 1, comma 1, lettera a), numero 4), del Decreto Legislativo 13 dicembre 2017, n. 217) individua una tipologia di sottoscrizione che rappresenta un particolare tipo di firma elettronica avanzata, basata su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare   di firma elettronica tramite la chiave privata e a un soggetto terzo tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici. 

La firma digitale è basata sulla tecnologia della crittografia a chiave pubblica (PKI), e si propone di soddisfare tre esigenze: (i) che il destinatario possa verificare l’identità del mittente; (ii) che il mittente non possa disconoscere un documento da lui firmato (non ripudio); (iii) che il destinatario non possa modificare un documento firmato da qualcun altro. A norma dell’articolo 136 CPA, comma 2 bis:Tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, del personale degli uffici giudiziari e delle parti sono sottoscritti con firma digitale.”. A tale disposizione si collega l’articolo 9 del Decreto del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa 22 maggio 2020 a mente del quale il ricorso introduttivo, le memorie, il ricorso incidentale, i motivi aggiunti e qualsiasi altro atto del processo sono redatti in forma di documento informatico sottoscritto con firma digitale conformemente all’articolo 24 del Decreto Legislativo n. 82/2005 (CAD). La tipologia di firma digitale utilizzabile per il PAT è esclusivamente la firma PAdES (PDF Advanced Electronic Signatures) la cui caratteristica è quella di potere essere apposta su un singolo tipo di file (PDF). Ciò differenzia il PAT dal PCT (processo civile telematico), ove è invece utilizzabile la firma CAdES (CMS Advanced Electronic Signatures) che può essere apposta su qualsiasi tipo di file. La struttura del documento con firma digitale è PAdES-BES. L’articolo 9 del decreto 22.05.2020 ha contenuto analogo alla previsione dell’articolo 9 del d.P.C.M. n. 40/2016. Detto d.P.C.M., a norma dell’articolo 4, comma 3 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, non ancora convertito in legge è abrogato a decorrere dal quinto giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del primo decreto adottato dal Presidente del Consiglio di Stato di cui al comma 1 dell’articolo 13 dell’allegato 2 al CPA (Processo telematico e criteri di redazione degli atti processuali), come modificato dall’articolo 4, comma 2 del d.l. n. 28/2020. Le regole tecnico-operative contenute nel decreto del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa 22 maggio 2020 (G.U. 27 maggio 2020, n. 135) sono state emanate alla luce della nuova formulazione dell’articolo 13 dell’allegato 2 al CPA, al dichiarato scopo di evitare soluzioni di continuità, riapprovando le regole già contenute nel d.P.C.M. n. 40/2016 e formulando  nuove regole tecnico-operative per la sperimentazione e la graduale applicazione degli aggiornamenti al processo amministrativo telematico, anche relativamente ai procedimenti connessi attualmente non informatizzati, ivi incluso il ricorso straordinario. 

22. La dichiarazione di valore 

Il ricorso, in quanto atto introduttivo, è sottoposto alle regole fiscali previste dalla vigente normativa. A tale scopo si applica l’articolo 14, comma 2, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, che richiede l’inserimento, nelle conclusioni, di un’apposita dichiarazione della parte inerente il valore del processo (determinato senza tenere conto degli interessi). 

 

23. I principi di chiarezza e sinteticità 

È il caso di ricordare che nella redazione del ricorso, come di tutti gli altri atti processuali, si dovrà tenere conto anche del precetto contenuto nell’articolo 3, comma 2, CPA, che impone al giudice e alle parti di redigere gli atti processuali in maniera chiara e sintetica. Detti principi hanno trovato una specificazione nel decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 22.12.2016, che ha introdotto limiti dimensionali degli atti processuali di parte per ciascun rito e tipologia di atto (articolo 3), specifiche tecniche per il conteggio (articolo 8) per ciascun rito e relative deroghe e ha altresì disciplinato il procedimento di autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali

Secondo l’elaborazione giurisprudenziale, sono comunque considerate elusive dell’obbligo di sinteticità: l’enunciazione di principi o la ricostruzione di istituti che, per la loro notorietà, non è necessario richiamare all’attenzione del Collegio giudicante; la trasposizione, nell’atto introduttivo del giudizio, di massime giurisprudenziali consolidate ovvero di brani di sentenze o di contributi dottrinari; le ripetizioni; un elevato numero di motivi di ricorso palesemente infondati o inammissibili. Il principio di chiarezza appare come un invito alle parti a presentare le proprie tesi in modo ordinato e conciso, ricorrendo alla presentazione di assunti che risultino sostenibili, logici, bene aderenti al fatto. Tale principio è stato aggiunto a quello di sinteticità contestualmente alla generalizzazione del primo, operata dal Codice. Parte della dottrina ha colto un collegamento sostanziale tra i principi di chiarezza e sinteticità e la sanzione di inammissibilità per difetto di specificità dei motivi comminata dal comma secondo dell’articolo 40. La previsione sembra comunque correlata, su un piano più generale, al principio di collaborazione delle parti e del giudice nella realizzazione del principio di ragionevole durata del processo (articolo 2, comma 3), tanto è vero che il difetto di sinteticità e chiarezza viene oggi preso in considerazione – indipendentemente dalla soccombenza – dall’articolo 26 CPA, come da ultimo novellato dal d.l. n. 90/2014 e dalla legge di conversione n. 114/2014, ai fini della decisione sulle spese del giudizio. Tale norma, a propria volta, codifica un orientamento già presente sia nella giurisprudenza amministrativa che della Cassazione che riconosce al giudice adito il potere di condannare alla sanzione pecuniaria prevista dall’articolo 96, comma 3, c.p.c. (richiamato dal citato articolo 26) la parte che avesse depositato atti inutilmente prolissi, tali da rendere particolarmente gravosa l’attività difensiva delle controparti.

 

24. Ricorso collettivo e ricorso cumulativo

Ai sensi dell’articolo 32, comma 1, prima parte, del Codice, nel processo amministrativo è consentita la proposizione con unico atto introduttivo di più azioni di impugnazione da parte di soggetti diversi – ricorso collettivo – nonché di impugnazioni contro atti diversi – ricorso cumulativo – ed anche la combinazione delle due ipotesi – c.d. ricorso collettivo cumulativo, purché fra le varie domande vi sia, in generale, connessione, nel senso di ’identità di situazione processuale e sostanziale’ fra i ricorrenti (ricorso collettivo), oppure di atti collegati allo stesso episodio (ricorso cumulativo).

 

24.1. Ricorso collettivo (cumulo soggettivo di azioni)

Il ricorso collettivo si configura nel caso di contitolarità di situazioni soggettive o titolarità di situazioni soggettive similari lese dallo stesso provvedimento, e determina un litisconsorzio facoltativo (ogni ricorrente rimane libero di scegliere una autonoma azione). Secondo la giurisprudenza (in tal senso, ad esempio, Tar Lazio, Roma, Sez. III, 10 marzo 2020, n.3078) il ricorso collettivo è ammesso, nell’azione di annullamento, nel caso in cui sussista identità di petitum e causa petendi ed uguale interesse a ricorrere, nel senso che non deve verificarsi un conflitto di interessi tra ricorrenti, giacché, in caso di conflitto di interessi anche solo tra alcuni, si verificherebbe l’inammissibilità del ricorso per tutti i ricorrenti, in applicazione del principio per cui il ricorso collettivo dà luogo ad un rapporto processuale unico pur essendo contraddistinto da una pluralità di azioni. Resta invece necessaria una valutazione distinta e separata sia delle condizioni di ricevibilità che di ammissibilità per ciascun ricorrente, e che obbliga ad adempimenti processuali distinti. Così, ad esempio, ciascun ricorrente dovrà sottoscrivere separatamente il ricorso e/o la procura. Parimenti ciascun ricorrente ha la disponibilità della propria azione. La questione che potrebbe porsi è se ciascuno dei ricorrenti abbia la facoltà di disporre separatamente la rinuncia ad uno o più motivi o all’azione, o indicare una diversa graduazione dei motivi: al riguardo sembra di poter affermare che la rinuncia, anche ad uno o più motivi, così come le ipotesi di irricevibilità o inammissibilità del ricorso intervenute per uno dei ricorrenti, non pregiudichi la pronuncia di merito per gli altri. Diversa è la conclusione con riferimento alla possibilità di differente graduazione dei motivi, che sembra invece da escludere in quanto determinerebbe un conflitto di interessi. Per quanto concerne l’azione proposta avverso il silenzio, la giurisprudenza generalmente nega l’esperibilità del ricorso collettivo, rilevando al riguardo che “non si riscontra l’esistenza di norme recate dal CPA che autorizzano la proposizione di un ricorso collettivo per proporre la domanda di accertamento e di condanna di cui all’articolo 31 CPA; sotto tale aspetto, non soccorre, nel senso della proponibilità di siffatta azione, la circostanza che sia ritenuto possibile il cumulo tra l’azione di accertamento del silenzio e l’azione di annullamento dell’atto medio tempore adottato ovvero dell’azione di condanna al risarcimento del danno [cfr. Cons. St., Sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 355], giacché in tali casi l’orientamento ha ad oggetto i ricorsi cumulativi e non quelli collettivamente proposti e, conseguentemente, detto orientamento è dimostrativo della necessità che, stante il principio di tipicità delle azioni e domande proponibili dinanzi al giudice amministrativo, al fine di avanzare correttamente una domanda giudiziale al giudice amministrativo occorre sempre che essa sia inserita nel catalogo delle azioni proponibili di cui al CPA Del resto, osta ad una interpretazione estensiva sul tema, la circostanza che la domanda di accertamento e di condanna in materia di silenzio non può che essere riferita al singolo procedimento avviato e non concluso e si ricollega all’istanza procedimentale (nella specie, di rilascio del provvedimento di concessione della cittadinanza italiana) proposta da un ben determinato soggetto, per la cui istruzione procedimentale è necessario il riscontro della presenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento favorevole o sfavorevole pur sempre riferiti al singolo istante”. Per quanto concerne, infine, l’azione di condanna, la giurisprudenza non ravvisa ostacoli al ricorso collettivo sia nel caso in cui la domanda di condanna sia proposta congiuntamente a quella impugnatoria, sia nel caso in cui la domanda di condanna sia proposta in via autonoma. 

24.2. Ricorso cumulativo (cumulo oggettivo di azioni)

A differenza del ricorso collettivo, che richiama il profilo soggettivo, il ricorso cumulativo si caratterizza per il profilo oggettivo dell’impugnazione contestuale di più provvedimenti, o cumulo di diverse domande, come quella impugnatoria e quella di condanna. Anche il ricorso cumulativo, come quello collettivo, presuppone una connessione tra gli atti impugnati e/o tra le domande proposte, è facoltativo (il ricorrente potrebbe, teoricamente, impugnare separatamente i provvedimenti o proporre separatamente le azioni, salva la possibilità di riunione dei ricorsi), eccezionale (il principio generale è che il ricorso abbia ad oggetto un solo provvedimento e che i vizi dedotti si correlino strettamente a quest’ultimo, a meno che gli atti non abbiano una connessione procedimentale e funzionale, pena la violazione dell’articolo 24 Cost.) e richiede una autonoma valutazione dei requisiti di cui all’articolo 40 CPA per ciascuna domanda. Così, a titolo esemplificativo, se rispetto ai provvedimenti impugnati vi fossero diversi controinteressati, il requisito della notifica ad almeno uno andrà valutato con riferimento a ciascun provvedimento e/o con riferimento a ciascuna domanda. Secondo la tesi prevalente, nell’eventualità in cui venga promosso un ricorso cumulativo contro provvedimenti che non sono connessi, il ricorso è ammissibile nei confronti dell’atto che venga considerato dal giudice come atto principale.

Una specifica preclusione è oggi prevista in materia di contratti pubblici dall’articolo 120, comma 11 bis CPA, introdotto dall’articolo 204 del Decreto Legislativo n. 50/2016, a mente del quale "Nel caso di presentazione di offerte per più lotti l’impugnazione si propone con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto".

 

Il punto di vista dell’Autore

Nel processo amministrativo, molto più che nel processo civile, il principio della domanda appare inscindibilmente collegato al sistema di preclusioni processuali e al correlato divieto – sia per la parte che per il giudice – di modifica della domanda in corso di causa. Un’interessante questione concerne i rapporti tra tale principio e lo strumento processuale, di derivazione comunitaria, del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE fu posta per la prima volta dall’ordinanza della VI Sezione del Consiglio di Stato n. 1244 del 5 marzo 2012, che sollevò un quesito pregiudiziale relativo alla interpretazione dell’articolo 267, par. 3, TFUE, inerente l’obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia previsto per i giudici di ultima istanza nel caso si prospettino questioni di interpretazione del diritto comunitario rilevanti ai fini della decisione del giudizio, non perfettamente identiche ad altre già decise dal giudice comunitario e sulle quali la corretta applicazione del diritto comunitario non si impone con evidenza tale da non lasciare adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alle questioni sollevate. In particolare, nell’ordinanza in parola, riferita al caso in cui non sia stata chiesta sin dal primo grado di giudizio la formulazione di quesiti pregiudiziali alla Corte di giustizia, furono sollevati alcuni profili di incompatibilità tra il principio della domanda, il sistema di preclusioni processuali e il correlato divieto – sia per la parte che per il giudice – di modifica della domanda in corso di causa (regole processuali nazionali) e l’obbligo di rinvio disposto dal citato articolo 267, par. 3, del Trattato, ritenendo al riguardo che la richiesta di trasmissione degli atti alla Corte di giustizia con la formulazione di proposte di quesiti pregiudiziali potesse configurarsi, se introdotta solo in grado di appello, come una modifica della domanda. In risposta all’ordinanza del Consiglio di Stato, la Corte di giustizia, con sentenza del 18 luglio 2013 (C-136/12) ha ribadito che compete esclusivamente al giudice di ultima istanza apprezzare la necessità del rinvio, il che, peraltro, implica l’ininfluenza di eventuali preclusioni processuali. Il riscontro della Corte, in realtà, non è apparso sufficiente al giudice amministrativo, che pure di recente ha nuovamente sollevato la questione con (sentenza del Consiglio di Stato sez. IV, 15 luglio 2019 n. 4949), chiedendo se il giudice nazionale, le cui decisioni non sono impugnabili con un ricorso giurisdizionale, è tenuto, in linea di principio, a procedere al rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto dell’Unione, anche nei casi in cui tale questione gli venga proposta da una delle parti del processo dopo il suo primo atto di instaurazione del giudizio o di costituzione nel medesimo, ovvero dopo che la causa sia stata trattenuta per la prima volta in decisione, ovvero anche dopo che vi sia già stato un primo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. 

A parere d chi scrive, i suddetti rinvii pregiudiziali scontano ciò che correttamente è stato accostato a una sorta di pregiudizio culturale (cfr. N. Pignatelli, citato in bibliografia) che affronta istituti provenienti dall’ordinamento comunitario (connotato da una impostazione notoriamente più “sostanzialista”) correlandoli ai motivi di ricorso e - nonostante sia ormai risalente l’integrazione all’interno del processo amministrativo di azioni diverse da quelle di annullamento – a una struttura processuale di tipo impugnatorio. D’altro lato non può non scorgersi una correlazione anche con le statuizioni dell’articolo 99 CPA sulle funzioni interpretative che competono all’Adunanza Plenaria, che pure rappresentano un chiaro vincolo per il giudice amministrativo, come del resto esplicitato anche nella prima ordinanza di rimessione di cui si è detto.

È ragionevole auspicare che, in seguito a quelli che saranno i prossimi riscontri della Corte di Giustizia, quest’ultima affronti in maniera più diretta e più esplicita un quesito - quello della correlazione tra le preclusioni del processo amministrativo e lo strumento del rinvio pregiudiziale - la cui risposta appare tanto logica quanto distante da tematiche che sembrano focalizzarsi in diverse direzioni, quali l’esigenza di evitare la proliferazione di rinvii e, dall’alto lato, quella di escludere responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario.