Art. 76
Modalità della votazione
1. Possono essere presenti in camera di consiglio i magistrati designati per l’udienza.
2. La decisione è assunta in camera di consiglio con il voto dei soli componenti del collegio.
3. Il presidente raccoglie i voti. La decisione è presa a maggioranza di voti. Il primo a votare è il relatore, poi il secondo componente del collegio e, infine, il presidente. Nei giudizi davanti al Consiglio di Stato il primo a votare è il relatore, poi il meno anziano in ordine di ruolo, e così continuando sino al presidente.
4. Si applicano l’articolo 276, secondo, quarto e quinto comma, del codice di procedura civile e l’articolo 118, quarto comma, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile.
Bibliografia. R. De Nictolis, Codice del Processo Amministrativo Commentato, IV ed., Wolters Kluver, 2017; F. Caringella e M. Giustiniani, Manuale del processo amministrativo, II ed., Dike, 2017; De Francisco, Il nuovo Codice del processo amministrativo: il giudizio di primo grado, in www.giustizia-amministrativa.it, 2011, Quaranta e Lopilato, Il Processo amministrativo – commentario al Decreto Legislativo 104/2010, Giuffrè editore, 2011
Sommario. 1. La presenza in camera di consiglio. 2. La modalità di voto. 3. La redazione della sentenza.
1. La presenza in camera di consiglio
Il codice del processo amministrativo ha codificato con l’articolo 76 una prassi che si era già formata anteriormente alla stesura del codice che ammetteva la presenza in camera di consiglio di magistrati designati per l’udienza, anche se non componenti del collegio della singola causa.
Il codice ha precisato quindi che la presenza in camera di consiglio è ammessa per tutti i magistrati assegnati per l’udienza, quindi anche a quelli non interessati dalla singola causa.
La decisione però, secondo il comma 2 del medesimo articolo, deve essere assunta dai giudici componenti il collegio, designati per l’udienza di discussione.
Sulla base di tale disposizione, alle udienze di discussione potranno partecipare quindi magistrati in un numero superiore a quello previsto per la deliberazione sulla singola causa.
I magistrati presenti andranno a comporre i collegi per le singole cause, sulla base del ruolo di udienza.
L’articolo 1, comma 1, lett. i, Decreto Legislativo 14 settembre 2012, n. 160, c.d. secondo correttivo al codice, ha eliminato il riferimento al comma 4 dell’articolo 114 delle disp. att. al c.p.c., previsto al comma 4 del medesimo articolo 76.
Secondo l’articolo 114, appena citato, i collegi degli organi giudicanti di primo grado dovevano essere formati seguendo l’ordine di anzianità di ruolo dei magistrati.
Il rinvio normativo alla disposizione di attuazione del c.p.c. è stata abrogata ed è stata prevista una modifica all’articolo 9 delle disposizioni di attuazione del CPA, per cui la composizione dei collegi giudicanti, è stabilita “in base ai criteri stabiliti dal Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa”.
2. La modalità di voto
Il comma 3 dell’articolo 76 delinea le modalità di voto della decisione.
La decisione è assunta con la maggioranza di voti.
I voti vengono raccolti dal presidente, il quale esprime un voto paritetico a quello degli altri magistrati.
Il primo a votare è il relatore, poi il secondo componente del collegio e, infine, il presidente.
Nei giudizi davanti al Consiglio di Stato invece il primo a votare è il relatore, poi il meno anziano in ordine di ruolo, e così continuando sino al presidente.
Il CPA richiama, in quanto applicabile, l’articolo 276 co. 4.
Sulla base di tale previsione se intorno a una questione si prospettano più soluzioni e non si forma la maggioranza alla prima votazione, il presidente mette ai voti due delle soluzioni per escluderne una.
Il presidente successivamente mette ai voti la non esclusa e quella eventualmente restante, e così finché le soluzioni siano ridotte a due, sulle quali avviene la votazione definitiva.
L’articolo 76 co. 4 richiama inoltre l’articolo 276 co. 2 c.p.c. il quale prevede che “Il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e quindi il merito della causa”.
Il giudice, ai sensi degli articoli 276 comma 2, c.p.c. e 76 comma 4 CPA, è quindi tenuto a decidere gradatamente le questioni pregiudiziali e, per effetto di tale obbligo, una volta decisa una di queste questioni in modo da definire l’intera controversia, non occorre decidere il merito della stessa, la quale non sarebbe idonea a divenire giudicato in senso sostanziale tra le parti, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2909 c.c. (Consiglio di Stato sez. V, 29/05/2017, n.2533; Consiglio di Stato sez. IV, 08/09/2015, n. 4170).
Il principio generale che presiede alla disciplina processuale dell’ordine logico di esame delle questioni dedotte in giudizio è stato enunciato dall’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011 e confermato anche dall’Adunanza Plenaria n. 9 del 2014, per cui trova «applicazione la norma di diritto positivo codificata dagli articoli 76, comma 4, cod. proc. amm. e 276, comma 2, cod. proc. civ. (v., altresì, articolo 527, comma 1, cod. proc. pen.), secondo cui, nella decisione della causa, il giudice procede secondo un ordine che antepone le questioni pregiudiziali a quelle di merito, con conseguente necessità di esaminare, in via pregiudiziale, le questioni che mettono in discussione la legittimazione e l’interesse a ricorrere della ricorrente principale, indipendentemente dalla legittimità o meno dell’aggiudicazione conseguita dalla controinteressata, poiché, in una logica di giurisdizione di diritto soggettivo, è prioritario stabilire se chi propone una domanda di tutela ne abbia titolo, e se la domanda risponda a un suo interesse concreto e attuale. In tale ipotesi, si conclude sul punto, « la circostanza che le parti si trovino in una posizione differente nel processo, non è altro che una conseguenza di una differente situazione di diritto sostanziale, nel senso che la parte legittimata a resistere è tale in quanto aggiudicataria (sulla base di un provvedimento legittimo, o meno, non fa differenza, attenendo tale questione al merito della controversia), mentre la parte ricorrente è tale perché intende contestare il risultato della gara, ma nel rispetto della disciplina processuale in tema di legittimazione ed interesse a ricorrere (Consiglio di Stato sez. VI, 30/09/2015, n. 4544)
3. La redazione della sentenza
L’articolo 276 co. 5, richiamato espressamente dall’articolo 76 co. 4 CPA prevede che, una volta chiusa la votazione, il presidente scrive e sottoscrive il dispositivo.
La motivazione viene poi stesa dal relatore, a meno che il presidente non creda di stenderla egli stesso o affidarla ad altro giudice.
Tale ultima previsione deve essere letta congiuntamente all’articolo 118, quarto comma, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, anch’esso richiamato dall’articolo 76 CPA, il quale prevede che la scelta dell’estensore della sentenza prevista nell’articolo 276 ultimo comma del codice è fatta dal presidente tra i componenti il collegio che hanno espresso voto conforme alla decisione.
La regola generale prevede pertanto che il presidente stenda il dispositivo ed il relatore la motivazione.
Il combinato disposto dell’articolo 276 co. 5 e dell’articolo 118 disp. att. c.p.c. disciplinano il caso in cui il relatore si sia trovato in minoranza in sede di votazione.
In questo caso quindi la motivazione non potrà essere stesa dal relatore, bensì da altro magistrato componente il collegio che abbia votato a favore.
Il relatore e l’estensore della sentenza, in questo caso, non coincideranno.
Il punto di vista dell’Autore
L’articolo 76 delinea le modalità di votazione delle decisioni assunte dal collegio, con previsioni atte a garantire la segretezza della decisione e l’efficacia della decisione.
Il collegio infatti, per tale ragione, non decide all’unanimità, ma a maggioranza dei componenti del collegio.
Le regole imposte dal CPA, anche attraverso il richiamo al c.p.c., permettono di superare l’eventuale empasse che si potrebbe creare in caso di opinioni divergenti tra i magistrati.
La disposizione deve quindi essere letta congiuntamente alle disposizioni processualcivilistiche che ne completano il quadro applicativo.