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Art. 131

Procedimento in appello in relazione alle operazioni elettorali di comuni, province e regioni

1. L’appello avverso le sentenze di cui all’articolo 130 è proposto entro il termine di venti giorni dalla notifica della sentenza, per coloro nei cui confronti è obbligatoria la notifica; per gli altri candidati o elettori nel termine di venti giorni decorrenti dall’ultimo giorno della pubblicazione della sentenza medesima nell’albo pretorio del comune.

2. Il presidente fissa in via d’urgenza l’udienza di discussione. Al giudizio si applicano le norme che regolano il processo di appello innanzi al Consiglio di Stato, e i relativi termini sono dimezzati rispetto a quelli del giudizio ordinario.

3. La sentenza, quando, in riforma di quella di primo grado, accoglie il ricorso originario, provvede ai sensi dell’articolo 130, comma 9.

4. La sentenza è immediatamente trasmessa in copia, a cura della segreteria del Consiglio di Stato, ai soggetti di cui all’articolo 130, comma 8, i quali provvedono agli ulteriori incombenti ivi previsti e a quelli di cui al comma 11 dello stesso articolo 130(1)(2).

Bibliografia: F. Vetrò, I riti elettorali, in Giustizia amministrativa, a cura di F. G. Scoca, Torino, 2014; G. Guzzo, Il contenzioso elettorale, in www.lexitalia.it, n. 5/2020.  

 

SOMMARIO: Premessa. 1. Il giudizio di appello. 2. La questione della perentorietà dei termini ad impugnare.

 

Premessa

L’articolo 131 del Codice disciplina il processo di appello relativo alle operazioni elettorali di Comuni, Province e Regioni ma non anche del Parlamento europeo che, invece, è disciplinato dal successivo articolo 132 CPA Celerità, speditezza e concentrazione costituiscono le direttrici che connotano questo particolare giudizio al pari di quello di primo grado. Infatti, il termine per impugnare la sentenza di primo grado è di giorni venti dalla notifica della stessa o, per gli altri eventuali controinteresssati, dalla scadenza del termine di pubblicazione di quella di primo grado nell’albo pretorio del Comune.

 

1.Il giudizio di appello

L’articolo 131 del Codice disciplina il processo di appello relativo alle operazioni elettorali di Comuni, Province e Regioni. Il comma 1 dispone che: “(…) l’appello è proposto entro il termine di venti giorni dalla notifica della sentenza, per coloro nei cui confronti è obbligatoria la notifica; per gli altri candidati o elettori nel termine di venti giorni decorrenti dall’ultimo giorno della pubblicazione della sentenza medesima nell’albo pretorio del comune (…)”. Ai sensi del comma 2, il presidente fissa in via d’urgenza l’udienza di discussione. Al giudizio si applicano le norme che regolano il processo di appello innanzi al Consiglio di Stato e i relativi termini sono dimezzati rispetto a quelli del giudizio ordinario (F. Vetro). Il comma 3 dispone che la sentenza quando, in riforma di quella di primo grado, accoglie il ricorso originario provvede con potere correttivo e sostitutivo dei risultati elettorali ai sensi dell’articolo 130, comma 9. Infine, il comma 4 prevede che: “(…) la sentenza è immediatamente trasmessa in copia, a cura della segreteria del Consiglio di Stato, ai soggetti di cui all’articolo 130, comma 8, i quali provvedono agli ulteriori incombenti ivi previsti e a quelli di cui al comma 11 dello stesso articolo 130 (…)”. Com’è agevole scorgere dalla piana lettura della norma, si tratta di un giudizio abbastanza snello il cui passaggio cruciale è indubbiamente rappresentato dal significato che, di volta in volta, il Presidente della Sezione darà alla locuzione “in via d’urgenza” prevista dal comma 2 dell’articolo 131 CPA nella fissazione della udienza.    

 

2. La questione della perentorietà dei termini ad impugnare

Uno degli aspetti più controversi riguardo all’articolo 131 CPA (e 132 CPA) è che non viene espressamente stabilita la natura perentoria dei termini processuali. Tuttavia, secondo la costante giurisprudenza amministrativa formatasi sul punto, il mancato rispetto del termine per impugnare e per depositare il ricorso determina l’inammissibilità dello stesso (Cons. St., sent. n. 1190/2016). I giudizi di impugnazione delle operazioni elettorali devoluti alla giurisdizione amministrativa sono improntati a un criterio di celerità, il quale si manifesta in primo luogo nell’eccezionale dimezzamento del termine per proporre ricorso contro gli esiti delle elezioni (articolo 130, comma 1, Cod. proc. amm.), oltre che di tutti i termini del procedimento, salvo quelli regolati da una specifica disposizione (comma 10 del citato articolo 130), e quindi nella fissazione dell’udienza d’ufficio (comma 2). Le descritte caratteristiche di celerità del rito si correlano a loro volta all’esigenza di stabilità degli organi elettivi degli enti pubblici a base rappresentativa e degli atti e dei rapporti di diritto pubblico derivanti dalla loro costituzione e funzionamento all’esito delle elezioni (G. Guzzo). In questo quadro – precisa ulteriormente la Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella citata sentenza del 22.3.2016 n. 1190 - è imprescindibile che il giudizio sia scandito da termini perentori che ne assicurino la rapida definizione attraverso la previsione di sanzioni processuali per comportamenti che possano vanificare la pratica attuazione delle descritte esigenze di ordine imperativo. Sulla base di tale premessa i Giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato come, in primo luogo, non giova porre in evidenza, in senso contrario a quanto finora premesso, il fatto che il comma 4 dell’articolo 130 non contenga alcuna qualificazione di perentorietà del termine per il deposito del ricorso e del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza. Infatti, ancorché il comma 1 della medesima disposizione relativo al termine per impugnare, non è qualificato come perentorio, ciò nondimeno non si dubita che dal mancato rispetto di esso derivi l’irricevibilità del ricorso. In realtà questa conseguenza è espressamente prevista dal Codice del processo amministrativo e precisamente dal combinato disposto degli articoli 29 e 35, comma 1 - lett. a), contenuti nel I libro del Codice “disposizioni generali”, dunque valevoli anche per il contenzioso elettorale, a tenore dei quali, rispettivamente, il termine per impugnare è qualificato come decadenziale ed il suo mancato rispetto è appunto sanzionato con la dichiarazione di irricevibilità. La medesima dichiarazione in rito è prevista anche per il mancato rispetto del termine previsto per il deposito del ricorso, questa volta in virtù del combinato disposto del comma 4 dell’articolo 130 e dell’articolo 45, comma 1, correttamente richiamato dal giudice di primo grado, ed il citato articolo 35, comma 1 - lett. a), del Codice, secondo cui il ricorso è irricevibile non solo se notificato ma anche se depositato tardivamente. All’argomento di carattere testuale finora svolto, poi, se ne aggiunge uno di ordine logico-sistematico, in base al quale sarebbe evidentemente irrazionale che in un rito improntato alla massima celerità, quale quello elettorale, non fossero applicabili le decadenze previste per l’ordinario giudizio di cognizione. In tal senso il Consiglio di Stato ha richiamato il precedente giurisprudenziale che nel lumeggiare la funzione della perentorietà del termine previsto in generale per la costituzione in giudizio ha puntualizzato che la caratteristica in questione è “(…) espressione di un precetto di ordine pubblico processuale posto a presidio del contraddittorio e dell’ordinato lavoro del giudice (…)” (così: Cons. Stato, V, 16 gennaio 2015, n. 68). Ed infatti, in questa prospettiva, il deposito del ricorso in segreteria “con la prova dell’avvenuta notificazione, insieme con gli atti e documenti del giudizio” (così il comma 4 dell’articolo 130), ha una funzione essenziale ai fini dell’instaurazione del rapporto processuale, perché consente al giudice adito di verificare se il contraddittorio con le parti evocate in giudizio sia stato correttamente instaurato e tanto al primo quanto a queste ultime di prendere piena cognizione della controversia.     

 

Il punto di vista dell’Autore

La sensazione che si ricava dalla lettura dell’articolo 131 del CPA è che, risolta la questione riguardante la natura perentoria dei termini, si sia al cospetto di una sequenza processuale assolutamente in linea con il giudizio di primo grado. Dunque, si tratta di giudizio che valorizza appieno i principi di concentrazione e speditezza della macchina processuale a patto, però, che l’udienza di discussione venga fissata entro ragionevoli tempi in modo da rendere coerente con l’architettura del processo il dimidiamento dei termini processuali rispetto a quelli previsti nel giudizio ordinario che si svolge innanzi al Consiglio di Stato.