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Art. 547 - Correzione della sentenza

1. Fuori dei casi previsti dall’articolo 546 comma 3, se occorre completare la motivazione insufficiente ovvero se manca o è incompleto alcuno degli altri requisiti previsti dall’articolo 546, si procede anche di ufficio alla correzione della sentenza a norma dell’articolo 130.

Rassegna giurisprudenziale

Correzione della sentenza (art. 547)

L’erronea indicazione delle generalità dell’imputata configura, ove non venga contestata l’identità fisica del soggetto nei confronti del quale è stato celebrato il processo, un mero errore. È conseguentemente preclusa al giudice di legittimità la disamina della doglianza in esame atteso che l’istanza di correzione di errore materiale, costituendo a norma dell’art.130 un procedimento incidentale, rientra nelle attribuzioni dello stesso giudice che ha pronunciato il provvedimento oggetto di correzione (Sez. 3, 39229/2018).

Il contrasto tra dispositivo e motivazione non determina nullità della sentenza ma si risolve con la logica prevalenza dell’elemento decisionale su quello giustificativo, potendosi eliminare eventualmente la divergenza mediante ricorso alla semplice correzione dell’errore materiale della motivazione in base al combinato disposto degli artt. 547 e 130 (Sez. 2, 41786/2018).

La procedura di correzione degli errori materiali è applicabile nel caso in cui la sentenza abbia omesso statuizioni obbligatorie per legge e di natura accessoria (fattispecie in tema di sentenza di patteggiamento per reati tributari in cui il giudice aveva omesso di disporre la confisca obbligatoria per equivalente ai sensi dell’art. 322-ter Cod. pen.) (Sez. 339081/2017).

La correzione degli errori materiali inficianti provvedimenti giurisdizionali non è consentita allorché determini la modifica essenziale del provvedimento ovvero si risolva addirittura nella sostituzione della decisione assunta, con la conseguenza che il ricorso alla detta procedura non è possibile per modificare l’essenza della decisione, sia pure adottata dal giudice per errore materiale, mentre ad essa si può fare ricorso allorché l’errore materiale incide su elementi della pronuncia estranei al thema decidendum e conseguenti alla stessa per dettato legislativo non implicante alcuna discrezionalità da parte del giudice (Sez. 6, 38252/2018).

La mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604, per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante.

Nondimeno, nel caso di specie, il giudice di appello non si è limitato a svolgere tale, consentita, operazione. Infatti, in primo luogo, la sentenza di appello ha integrato il dispositivo della sentenza di primo grado, attraverso quella che è stata considerata, impropriamente, come una correzione di errore materiale. In realtà, attraverso la modifica del dispositivo, la Corte territoriale ha mutato sostanzialmente, in termini chiaramente peggiorativi e in assenza di impugnazione della parte pubblica, le statuizioni del tribunale, estendendo la condanna anche ad altro reato e affermando l’esistenza, tra le due fattispecie, del vincolo della continuazione.

Una rettifica, quella appena descritta, in realtà non consentita, vertendosi in una ipotesi di lacuna tale da determinare l’incompletezza del dispositivo nei suoi elementi essenziali, attenendo la stessa alla definizione di un capo della sentenza in ordine al quale si era costituito il rapporto processuale (Sez. 1, 30138/2018).

Non può farsi ricorso alla procedura di correzione dell’errore materiale da parte del giudice dell’esecuzione quando si realizzi un’indebita integrazione della sentenza di merito, che si risolve in una modifica rilevante, essenziale e significativamente innovativa del contenuto della decisione (Sez. 1, 33717/2018).

L’art. 546 dispone che la sentenza deve contenere la data e la sottoscrizione del giudice (comma 1, lett. g) e il comma 3 dell’articolo medesimo espressamente indica nella nullità la mancanza della sottoscrizione del giudice, senza distinguere in alcun modo tra giudice collegiale o monocratico. Tale distinzione rileva, invece, per il caso che la sentenza collegiale non sia stata sottoscritta dal presidente per morte o altro impedimento, ma solo al fine di regolamentare la carenza di firma con la previsione che alla sottoscrizione provveda, previa menzione dell’impedimento, il componente più anziano del collegio.

Nel contempo l’art. 547 ammette che si possa procedere anche di ufficio alla correzione della sentenza a norma dell’articolo 130 ma soltanto «fuori dei casi previsti dall’articolo 546, comma 3», il che esclude che all’omissione della sottoscrizione del giudice possa ovviarsi con la correzione, essendo quest’ultima inapplicabile ai casi di nullità espressa.

Lo stesso articolo 130, richiamato dall’art. 547, esordisce, del resto, con l’affermazione per cui la correzione delle sentenze, delle ordinanze e dei decreti riguarda i casi in cui detti atti siano «inficiati da errori od omissioni che non determinano nullità».

Deve escludersi, dunque, l’applicabilità dell’art. 547 alle ipotesi di nullità della sentenza (SU, 14978/2013).