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Art. 516 - Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine

1. Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine sostanze alimentari non genuine è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 1.032 (1).

(1) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

Il delitto di cui all’art. 516 è un reato di pericolo che punisce la semplice immissione sul mercato di sostanze alimentari non genuine come genuine e, in quanto relativo ad una fase preliminare alla relazione commerciale vera e propria tra due soggetti, rappresenta una forma di tutela anticipata e sussidiaria rispetto a quello di frode in commercio previsto dall’art. 515 che invece sussiste, nella forma consumata o tentata, nell’ipotesi di materiale consegna della merce all’acquirente o di atti univocamente diretti a tale fine (Sez. 3, 50745/2016).

Il delitto di cui all’art. 516 (vendita di sostanze alimentari non genuine) è punibile a titolo di dolo, sia pure generico, a differenza delle ipotesi contravvenzionali previste dall’art. 5 L. 283/1062, punibili anche a titolo di colpa (Sez. 3, 38671/2004).

La fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 516 rappresenta una forma di tutela avanzata rispetto al reato di frode in commercio di cui all’art. 515, in quanto essa è relativa ad una fase preliminare ed autonoma rispetto alla relazione commerciale vera e propria, e si consuma con la messa in commercio delle cose non genuine, configurando un reato di pericolo (Sez. 3, 19625/2003).

Tale delitto, infatti, copre l’area della semplice immissione sul mercato ed è sussidiario rispetto a quello di cui all’art. 515, atteso che nell’ipotesi di materiale consegna della merce all’acquirente, o di atti univocamente diretti a tale fine, il reato è quello di cui al citato art. 515, rispettivamente nella forma consumata o tentata, assorbente rispetto a quello di cui all’art. 516 (Sez. 3, 8292/2006).

Fra gli artt. 515 e 516 e le norme della legislazione speciale sui vini vi è una «relazione di specialità reciproca». E difatti, così come la disciplina speciale sui vini non copre ovviamente l’intera estensione dell’art. 516, anche quest’ultimo non copre l’intera estensione della L. 82/2006 e del DPR 162/1965, perché, ad esempio, ha ad oggetto solo la condotta di chi pone in vendita o mette altrimenti in commercio il prodotto alimentare, e non anche tutte le altre attività concernenti le operazioni di vinificazione e di produzione del vino e prodotti assimilati.

Pertanto, la possibilità di applicazione di entrambe le discipline deriva dal fatto che le norme del DPR 162/1965 e della L. 82/2006 hanno un ambito di applicazione che non è interamente coperto da quello degli artt. 515 e 516. Se dunque una fattispecie concreta rientri totalmente nella sfera di applicazione sia della norma del codice sia di quella speciale sulla produzione ed il commercio dei vini, in forza del principio di specialità dovrà applicarsi solo quest’ultima.

A meno che, ovviamente, la norma speciale amministrativa non ponga una riserva di applicazione della norma generale penale, come avviene, ad esempio, nel caso, dianzi ricordato, dell’art. 35, comma 5, della L. 82/2006, il quale prevede espressamente che le sanzioni amministrative ivi indicate si applichino «salvo che il fatto costituisca reato». Se invece il soggetto ponga in essere una condotta complessiva che violi, per una parte, le norme della disciplina speciale e, per altra parte, diverse ed ulteriori norme ricavabili dagli artt. 515 e 516, allora non potrebbe escludersi l’applicazione delle due norme in relazione alla condotta complessiva (in realtà alle due diverse condotte).

Al contrario, quando l’intera condotta violi la normativa speciale sul mercato del vino, troverà applicazione solo quest’ultima, tranne che nelle ipotesi per le quali questa contenga la clausola «salvo che il fatto costituisca reato (Sez. 3, 5906/2014).

Configura il reato di cui all’art. 516 la vendita di un alimento prodotto senza il rispetto di tutte le modalità di produzione prescritte dal disciplinare, come nel caso di violazione delle modalità di alimentazione degli animali destinati alla produzione del latte con il quale viene preparato un formaggio individuato dal regolamento sul riconoscimento delle denominazioni (fattispecie relativa alla violazione del DPR 9 febbraio 1990 contenente il disciplinare di produzione della denominazione di origine del formaggio parmigiano reggiano) (Sez. 3, 9643/2006).

Configura il reato di cui all’art. 516 la vendita come carne fresca di puro suino contenente anche carne bovina, atteso che per sostanza alimentare non genuina deve intendersi anche quella che non contiene le sostanze ed i quantitativi previsti (Sez. 3, 38671/2004).

In materia di sostanze alimentari il concetto di genuinità non è soltanto quello naturale, ma anche quello formale fissato dal legislatore con la indicazione delle caratteristiche e dei requisiti essenziali per qualificare un determinato tipo di prodotto alimentare.

Pertanto deve ritenersi non genuino il formaggio «grana padano» confezionato con latte termizzato in quanto tale procedura, non è contemplata dalle disposizioni che regolano il riconoscimento della denominazione di origine con riferimento ai metodi di lavorazione ed alle caratteristiche merceologiche e, inoltre, priva il prodotto dei microrganismi la cui presenza nel processo di maturazione consente, tra l’altro, di distinguere il formaggio in questione (Sez. 3, 23276/2004).

In tema di reati alimentari, la detenzione a scopo di vendita di sostanze alimentari «comunque nocive» costituisce un reato di pericolo che deve essere però concreto ed attuale, sicché perché una sostanza alimentare possa qualificarsi nociva, non è sufficiente la mera probabilità, legata ad un differimento più o meno a lungo della immissione al consumo, che la stessa assuma successiva attitudine a cagionare danni o porre a rischio la salute umana (Sez. 3, 976/2004).

La messa in vendita di prodotti scaduti di validità integra il delitto di cui all’art. 516 solo qualora sia concretamente dimostrato che la singola merce abbia perso le sue qualità specifiche, atteso che il superamento della data di scadenza dei prodotti alimentari non comporta necessariamente la perdita di genuinità degli stessi (SU, 28/2000).

Il delitto di cui all’art. 516 si consuma nel momento in cui la sostanza è messa in vendita o altrimenti in commercio, senza che sia richiesta la vendita effettiva. Tale commercializzazione coincide con il momento in cui la merce esce dalla disponibilità del produttore per entrare nel mercato. Ciò significa che anche per tale delitto è configurabile il tentativo, che si realizza quando ancora la merce non è uscita dalla disponibilità del produttore, ma questi abbia compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco alla commercializzazione effettiva del prodotto (Sez. 3, 8662/1999).