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Contratto di donazione e negozio gratuito atipico: validità e portata del negozio gratuito atipico di cosa altrui

La donazione è rubricata nel Titolo V del libro II delle successioni, a partire dall'articolo 769 del Codice Civile, il quale ne fornisce una prima definizione che verrà poi resa esaustiva da tutto il novero di altre norme, atte a stabilirne limiti, portata, tipologie, forma, effetti e casi di nullità e revocazione.

Trattasi di un negozio tipico gratuito ex articolo 1321 del Codice Civile, distinto dagli altri per lo spirito di liberalità che lo connota.

Detto requisito ricorre tutte le volte in cui l’arricchimento, insito nella donazione e a favore di una data parte, non solo avvenga in maniera del tutto gratuita, ma sia il mero frutto di un’elargizione diretta, libera, immediata e spontanea che non nasconda alcun doppio fine e che sia svincolata da quei costringimenti conseguenti a rapporti giuridici o extragiuridici, rilevanti per legge, o ad adempimenti di obblighi morali e sociali.

Se, da un lato, l’animus donandi ne costituisce il presupposto soggettivo, dall'altro, l’incremento patrimoniale altrui e l’impoverimento volontario del donante, derivante dall'assunzione di un obbligo o dal consentire la piena disponibilità di un proprio diritto, ne è il presupposto oggettivo.

Sembrerebbe, da un primo approccio puramente letterale che, alla base di ogni donazione, vi sia un intento benefico e altruistico, ma la giurisprudenza chiarisce che, causa di un siffatto atto di liberalità è quella di attribuire gratuitamente un diritto o un bene, per come volontariamente dichiarato, prescindendo da ogni sorte d’indagine sull'elemento psicologico con cui abbia operato il donante.

Il legislatore delimita l’area di intervento di quest’ultimo ai casi in cui viga sullo stesso la piena e consapevole capacità di donare, che viene meno nel caso di declarata incapacità d’agire, in presenza di minore d’età, di emancipato, di interdetto, di inabilitato, seppur sussistono specifiche eccezioni in tal senso di cui gli articoli 774 e seguenti ne sono diretta estrinsecazione.

Circa, invece, le espresse formalità prescritte in tema di pactum donationis, si richiede la forma scritta ex articolo 2699 del Codice Civile, a pena della sua nullità e, ai fini del suo perfezionarsi, rientrando a pieno titolo nella categoria dei contratti, occorre, altresì, che la volontà del donante incontri l’accettazione del donatario.

Per completare quello che è il quadro della tracciata disciplina legislativa, in materia di donazione, è ora il caso di rammentarne i casi, in presenza dei quali, scatti il regime sanzionatorio della nullità e quelli che legittimino la parte che l’ha disposta a richiederne la revocazione.

Circa quest’ultimo punto, sono ridotte a due, dal legislatore, le ipotesi in cui il donante sia facultato a sottoporre il bene e/o diritto oggetto di donazione ad un giudizio di revocabilità, id est l’ingratitudine del donatario e la sopravvenienza dei figli, casistica questa enucleata in quell'articolo 800 del Codice Civile dell’impianto codicistico, cui ha fatto seguito tutta una vasta produzione giurisprudenziale finalizzata a definirne meglio l’operatività, la portata e i confini.

Circa, invece, le ipotesi di nullità dell’atto di donazione, che ne rendano possibile l’impugnazione, rientrano tra queste, oltre al già menzionato vizio di forma, l’errore sul motivo, allorquando esso sia stato l’unico determinante e risultante dall'atto, l’illiceità stessa del motivo, l’apposizione di un onere illecito o impossibile.

Operato il richiamato excursus normativo sulla donazione, l’attenzione si sposta ora su quella norma di chiusura che è l’articolo 809 del Codice Civile , la quale introduce una forma donativa sui generis c.d. indiretta.

Essa appartiene al genus delle liberalità atipiche e si concretizza in un effetto sostanzialmente identico a quello della donazione tipica, ovverosia l’arricchimento, ma facendo ricorso a strumenti giuridici contrattuali differenti rispetto a quelli donativi.

A tal uopo, a sorreggere la legittimità atipica di una siffatta figura, sovvengono quegli orientamenti giurisprudenziali per i quali, ferma restando la finalità di realizzazione di una liberalità, la stessa può essere conseguita con mezzi vari, pur sempre nei limiti imposti dall'ordinamento.

Da una simile premessa, ne deriva il non assoggettamento, diversamente dalla donazione ex articolo 769 del Codice Civile, a quella forma ad substantiam, essendo semplicemente sufficiente per questa liberalità atipica, la forma prescritta dallo schema negoziale di volta in volta adottato.

La breve parentesi, in tema di donazione indiretta, consente di porre le prime basi laddove si voglia affrontare il tema della atipicità gratuita dei contratti.

In primis, perché ben si sa che il mezzo utilizzato e voluto dall’articolo 809 del Codice Civile diverge da quello tipico ex articolo 769 del Codice Civile, e in secundis, perché si parla della donazione indiretta come di una pur sempre manifestazione della gratuità combinata alla liberalità.

È su questo fronte che si stagliano le prime problematiche.

Premesso che è gratuito quell'atto compiuto senza alcun corrispettivo (in senso giuridico), liberale quello la cui ragione giustificativa è l’intento di arricchire un altro disinteressatamente e atipico quello che secondo il meccanismo di cui all’articolo 1322 del Codice Civile utilizza schemi non normativizzati, è vero sì che la donazione indiretta rispecchi detto spettro tripartito di caratteristiche ma non sempre la categoria della gratuità coincide con quella della liberalità.

Esistono difatti contratti gratuiti ma non liberali perché “interessati”, ovverosia colorati, causalmente parlando, di un fine pur sempre economico.

Ed ecco allora che tra le due figure si è cercato di dare un volto nuovo giuridico anche a quei negozi gratuiti atipici che esulino dall’alternativa contratto di scambio- negozio donativo.

Se, da un lato, la prassi negoziale ammette la coesistenza di validi esempi di contratti non onerosi e non liberali ma animati dal perseguimento di interessi economici - si pensi a tal fine agli omaggi premio, alla diffusione gratuita di giornali, all'attribuzione di premi a clienti dell’impresa a scopo di fidelizzazione, al mutuo erogato da una banca senza interessi, in favore di una società interamente posseduta o controllata - dall'altro, la prassi giurisprudenziale, inizialmente, ha teso pressoché a ridimensionare e contenere gli argini di un simile fenomeno, addirittura escludendo, in specifici e singoli casi, l’eventuale ambito di operatività di fattispecie gratuite non codificate e mostrandosi per lo più scettica innanzi a questi spostamenti patrimoniali che non hanno come schema causale giustificativo né un principio di scambio né uno di liberalità.

Sull’onda di simili orientamenti giurisprudenziali, anche parte della dottrina ha poi propeso per la nullità di tutti i contratti gratuiti atipici, sul presupposto secondo cui gli unici contratti gratuiti da ritenersi validi siano quelli previsti.

A confutare quanto finora esposto, sopraggiunge, però, un diverso e recente orientamento della giurisprudenza che ne nega, chiaramente, la nullità laddove pur sempre sorretti da un fondamento causale diretto o indiretto che li giustifichi, diverso dalla causa donationis e, come tale, in grado altresì di produrre effetti traslativi, ferma restando, ad ogni modo, quella minoritaria ala dei giudici di merito e di legittimità che, in assenza di una controprestazione al trasferimento di un diritto, presume l’animus donandi e qualifica, pertanto, il contratto come donazione sic et simpliciter.

Tra i fautori della categoria dei contratti gratuiti atipici vi sono quelli che ricorrono, in quanto meritevole di fondatezza per legge, seppur non tipizzata, all’istituto della donazione di cosa altrui, nell’ottica di salvaguardia e diretta applicazione del già menzionato articolo 1322 del Codice Civile

Occorre, prima facie, partire da una considerazione di fatto.

Il legislatore sembra non proferire parola alcuna circa il citato schema donativo, concludendo ogni sua utile rassegna in quel solo divieto di donazione di beni futuri ex articolo 771 del Codice Civile.

Pertanto, innanzi al prospettato silenzio e innanzi, soprattutto, a quell'istituto traslativo di cosa altrui di cui all'articolo 1478 del Codice Civile, ci si domanda se può l’interprete pervenire ad una chiara attività di qualificazione sul tema, optando per un meccanismo analogico che, partendo da quell'articolo 1478 del Codice Civile, giunga ad ammettere anche la donazione di cosa altrui o per un criterio di esclusione della stessa, sul presupposto restrittivo già insito nell'articolo 771 del Codice Civile ed in tal senso di equiparazione tra beni futuri e beni altrui.

Chi, tra i teorici del diritto, aderisce alla tesi negativa, sostanzialmente compie l’operazione di livellare la nullità della donazione di beni non rientranti nel patrimonio del donante e quella di beni altrui che, in quanto tali, parimenti non possono far parte della sfera patrimoniale del donante.

Una siffatta rigorosità dottrinaria è frutto, peraltro, dell’impostazione logico-letteraria, affidata a quell'articolo 771 del Codice Civile medesimo che, nell'ottica di limitare ogni qualsivoglia atto di prodigalità del donante, vietando il compimento di schemi traslativi donativi aventi ad oggetto beni futuri, non può che vietarne, altresì, quelli riguardanti beni altrui.

Né i primi, né i secondi appartengono al donante e, pertanto, questi non può disporne oltre misura ed oltre legge, specie poi in ragione del meccanismo sanzionatorio, che non lascia spazio alcuno di “salvezza” dell’atto e che viene azionato ogni volta che si violi quanto ivi imposto dalla legge.

A stemperare i rigidi toni della conclusione cui la dottrina è giunta, potrebbe, in qualche modo, esser utile, come già sopra ricordato, il richiamo analogico all’istituto della vendita di cosa altrui.

Ma anche questa opzione mal si adatta a qualsiasi tentativo di estensione, laddove, ricorda questa parte della dottrina, la vendita di cosa altrui ha natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella generale ex articolo 1470 del Codice Civile, tale, pertanto, da impedirne ogni procedimento interpretativo analogico, volto a colmare l’evidente lacuna normativa ordinamentale.

Vi sono, però, soluzioni dottrinarie di gran lunga divergenti rispetto a quelle finora ampiamente descritte che tendono ad interpretare il generale silenzio del legislatore, in tema di donazione altrui, come eventuale configurabilità della stessa.

A sostegno di detta tesi positiva, due motivazioni di fondo:

-La corrispondenza a quel principio di autonomia negoziale ex articolo 1322 del Codice Civile e di conservazione del negozio giuridico ex articolo 1367 del Codice Civile;

-la differenza strutturale e giuridica tra beni necessariamente futuri, inesistenti in natura, e beni altrui che possono o non possono appartenere al donante, ma che già esistono.

Altrettante discordanti opinioni coesistono in giurisprudenza. Seppur, probabilmente, la tesi dottrinaria che ammette il negozio di donazione altrui sembrerebbe quella maggioritaria, confacente ai dettami codicistici, tuttavia la giurisprudenza recente la ritiene non condivisibile e di conseguenza ritiene nulla la donazione altrui, alla luce della dispiegata e complessiva disciplina della donazione, contraddicendo così quell'altro e diverso orientamento che oblitera la sua nullità, in favore di una più mitigata sua inefficacia.

L’opinabile assetto dottrinario e giurisprudenziale non di certo agevola l’opera di definizione del rapporto tra donante e soggetto terzo il cui bene viene ora acquisito dal donatario.

Tra chi lo assoggetta allo schema del contratto a favore di terzo, tra quelli che, contrariamente, ne parlano in termini di donazione indiretta e quegli altri ancora che affermano la sostanziale autonomia tra il contratto del donante-terzo e quello del donante-donatario, vi sono, poi, quelli che richiamano per esso la disciplina del collegamento negoziale o anche del contratto misto.

Conclusivamente, sebbene permangano zone d’ombra al riguardo, sebbene autorevole giurisprudenza e dottrina continui nell'opera di qualificazione e sebbene per alcuni la stessa non sia affatto immane da vizi e/o incertezze, l’opzione che più di tutte merita di esser condivisa, laddove per di più il negozio donativo nasconda non uno spirito di liberalità in senso stretto, ma semplicemente un atto donativo con il quale si spera di ottenere vantaggi di altro tipo (ectius: trattasi di contratto gratuito atipico), è quella che, in siffatte e controverse ipotesi, ammette l’applicazione della disciplina del contratto a favore di terzo e non, invece, quella della donazione in senso stretto.

  La donazione è rubricata nel Titolo V del libro II delle successioni, a partire dall'articolo 769 del Codice Civile, il quale ne fornisce una prima definizione che verrà poi resa esaustiva da tutto il novero di altre norme, atte a stabilirne limiti, portata, tipologie, forma, effetti e casi di nullità e revocazione.

Trattasi di un negozio tipico gratuito ex articolo 1321 del Codice Civile, distinto dagli altri per lo spirito di liberalità che lo connota.

Detto requisito ricorre tutte le volte in cui l’arricchimento, insito nella donazione e a favore di una data parte, non solo avvenga in maniera del tutto gratuita, ma sia il mero frutto di un’elargizione diretta, libera, immediata e spontanea che non nasconda alcun doppio fine e che sia svincolata da quei costringimenti conseguenti a rapporti giuridici o extragiuridici, rilevanti per legge, o ad adempimenti di obblighi morali e sociali.

Se, da un lato, l’animus donandi ne costituisce il presupposto soggettivo, dall'altro, l’incremento patrimoniale altrui e l’impoverimento volontario del donante, derivante dall'assunzione di un obbligo o dal consentire la piena disponibilità di un proprio diritto, ne è il presupposto oggettivo.

Sembrerebbe, da un primo approccio puramente letterale che, alla base di ogni donazione, vi sia un intento benefico e altruistico, ma la giurisprudenza chiarisce che, causa di un siffatto atto di liberalità è quella di attribuire gratuitamente un diritto o un bene, per come volontariamente dichiarato, prescindendo da ogni sorte d’indagine sull'elemento psicologico con cui abbia operato il donante.

Il legislatore delimita l’area di intervento di quest’ultimo ai casi in cui viga sullo stesso la piena e consapevole capacità di donare, che viene meno nel caso di declarata incapacità d’agire, in presenza di minore d’età, di emancipato, di interdetto, di inabilitato, seppur sussistono specifiche eccezioni in tal senso di cui gli articoli 774 e seguenti ne sono diretta estrinsecazione.

Circa, invece, le espresse formalità prescritte in tema di pactum donationis, si richiede la forma scritta ex articolo 2699 del Codice Civile, a pena della sua nullità e, ai fini del suo perfezionarsi, rientrando a pieno titolo nella categoria dei contratti, occorre, altresì, che la volontà del donante incontri l’accettazione del donatario.

Per completare quello che è il quadro della tracciata disciplina legislativa, in materia di donazione, è ora il caso di rammentarne i casi, in presenza dei quali, scatti il regime sanzionatorio della nullità e quelli che legittimino la parte che l’ha disposta a richiederne la revocazione.

Circa quest’ultimo punto, sono ridotte a due, dal legislatore, le ipotesi in cui il donante sia facultato a sottoporre il bene e/o diritto oggetto di donazione ad un giudizio di revocabilità, id est l’ingratitudine del donatario e la sopravvenienza dei figli, casistica questa enucleata in quell'articolo 800 del Codice Civile dell’impianto codicistico, cui ha fatto seguito tutta una vasta produzione giurisprudenziale finalizzata a definirne meglio l’operatività, la portata e i confini.

Circa, invece, le ipotesi di nullità dell’atto di donazione, che ne rendano possibile l’impugnazione, rientrano tra queste, oltre al già menzionato vizio di forma, l’errore sul motivo, allorquando esso sia stato l’unico determinante e risultante dall'atto, l’illiceità stessa del motivo, l’apposizione di un onere illecito o impossibile.

Operato il richiamato excursus normativo sulla donazione, l’attenzione si sposta ora su quella norma di chiusura che è l’articolo 809 del Codice Civile , la quale introduce una forma donativa sui generis c.d. indiretta.

Essa appartiene al genus delle liberalità atipiche e si concretizza in un effetto sostanzialmente identico a quello della donazione tipica, ovverosia l’arricchimento, ma facendo ricorso a strumenti giuridici contrattuali differenti rispetto a quelli donativi.

A tal uopo, a sorreggere la legittimità atipica di una siffatta figura, sovvengono quegli orientamenti giurisprudenziali per i quali, ferma restando la finalità di realizzazione di una liberalità, la stessa può essere conseguita con mezzi vari, pur sempre nei limiti imposti dall'ordinamento.

Da una simile premessa, ne deriva il non assoggettamento, diversamente dalla donazione ex articolo 769 del Codice Civile, a quella forma ad substantiam, essendo semplicemente sufficiente per questa liberalità atipica, la forma prescritta dallo schema negoziale di volta in volta adottato.

La breve parentesi, in tema di donazione indiretta, consente di porre le prime basi laddove si voglia affrontare il tema della atipicità gratuita dei contratti.

In primis, perché ben si sa che il mezzo utilizzato e voluto dall’articolo 809 del Codice Civile diverge da quello tipico ex articolo 769 del Codice Civile, e in secundis, perché si parla della donazione indiretta come di una pur sempre manifestazione della gratuità combinata alla liberalità.

È su questo fronte che si stagliano le prime problematiche.

Premesso che è gratuito quell'atto compiuto senza alcun corrispettivo (in senso giuridico), liberale quello la cui ragione giustificativa è l’intento di arricchire un altro disinteressatamente e atipico quello che secondo il meccanismo di cui all’articolo 1322 del Codice Civile utilizza schemi non normativizzati, è vero sì che la donazione indiretta rispecchi detto spettro tripartito di caratteristiche ma non sempre la categoria della gratuità coincide con quella della liberalità.

Esistono difatti contratti gratuiti ma non liberali perché “interessati”, ovverosia colorati, causalmente parlando, di un fine pur sempre economico.

Ed ecco allora che tra le due figure si è cercato di dare un volto nuovo giuridico anche a quei negozi gratuiti atipici che esulino dall’alternativa contratto di scambio- negozio donativo.

Se, da un lato, la prassi negoziale ammette la coesistenza di validi esempi di contratti non onerosi e non liberali ma animati dal perseguimento di interessi economici - si pensi a tal fine agli omaggi premio, alla diffusione gratuita di giornali, all'attribuzione di premi a clienti dell’impresa a scopo di fidelizzazione, al mutuo erogato da una banca senza interessi, in favore di una società interamente posseduta o controllata - dall'altro, la prassi giurisprudenziale, inizialmente, ha teso pressoché a ridimensionare e contenere gli argini di un simile fenomeno, addirittura escludendo, in specifici e singoli casi, l’eventuale ambito di operatività di fattispecie gratuite non codificate e mostrandosi per lo più scettica innanzi a questi spostamenti patrimoniali che non hanno come schema causale giustificativo né un principio di scambio né uno di liberalità.

Sull’onda di simili orientamenti giurisprudenziali, anche parte della dottrina ha poi propeso per la nullità di tutti i contratti gratuiti atipici, sul presupposto secondo cui gli unici contratti gratuiti da ritenersi validi siano quelli previsti.

A confutare quanto finora esposto, sopraggiunge, però, un diverso e recente orientamento della giurisprudenza che ne nega, chiaramente, la nullità laddove pur sempre sorretti da un fondamento causale diretto o indiretto che li giustifichi, diverso dalla causa donationis e, come tale, in grado altresì di produrre effetti traslativi, ferma restando, ad ogni modo, quella minoritaria ala dei giudici di merito e di legittimità che, in assenza di una controprestazione al trasferimento di un diritto, presume l’animus donandi e qualifica, pertanto, il contratto come donazione sic et simpliciter.

Tra i fautori della categoria dei contratti gratuiti atipici vi sono quelli che ricorrono, in quanto meritevole di fondatezza per legge, seppur non tipizzata, all’istituto della donazione di cosa altrui, nell’ottica di salvaguardia e diretta applicazione del già menzionato articolo 1322 del Codice Civile

Occorre, prima facie, partire da una considerazione di fatto.

Il legislatore sembra non proferire parola alcuna circa il citato schema donativo, concludendo ogni sua utile rassegna in quel solo divieto di donazione di beni futuri ex articolo 771 del Codice Civile.

Pertanto, innanzi al prospettato silenzio e innanzi, soprattutto, a quell'istituto traslativo di cosa altrui di cui all'articolo 1478 del Codice Civile, ci si domanda se può l’interprete pervenire ad una chiara attività di qualificazione sul tema, optando per un meccanismo analogico che, partendo da quell'articolo 1478 del Codice Civile, giunga ad ammettere anche la donazione di cosa altrui o per un criterio di esclusione della stessa, sul presupposto restrittivo già insito nell'articolo 771 del Codice Civile ed in tal senso di equiparazione tra beni futuri e beni altrui.

Chi, tra i teorici del diritto, aderisce alla tesi negativa, sostanzialmente compie l’operazione di livellare la nullità della donazione di beni non rientranti nel patrimonio del donante e quella di beni altrui che, in quanto tali, parimenti non possono far parte della sfera patrimoniale del donante.

Una siffatta rigorosità dottrinaria è frutto, peraltro, dell’impostazione logico-letteraria, affidata a quell'articolo 771 del Codice Civile medesimo che, nell'ottica di limitare ogni qualsivoglia atto di prodigalità del donante, vietando il compimento di schemi traslativi donativi aventi ad oggetto beni futuri, non può che vietarne, altresì, quelli riguardanti beni altrui.

Né i primi, né i secondi appartengono al donante e, pertanto, questi non può disporne oltre misura ed oltre legge, specie poi in ragione del meccanismo sanzionatorio, che non lascia spazio alcuno di “salvezza” dell’atto e che viene azionato ogni volta che si violi quanto ivi imposto dalla legge.

A stemperare i rigidi toni della conclusione cui la dottrina è giunta, potrebbe, in qualche modo, esser utile, come già sopra ricordato, il richiamo analogico all’istituto della vendita di cosa altrui.

Ma anche questa opzione mal si adatta a qualsiasi tentativo di estensione, laddove, ricorda questa parte della dottrina, la vendita di cosa altrui ha natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella generale ex articolo 1470 del Codice Civile, tale, pertanto, da impedirne ogni procedimento interpretativo analogico, volto a colmare l’evidente lacuna normativa ordinamentale.

Vi sono, però, soluzioni dottrinarie di gran lunga divergenti rispetto a quelle finora ampiamente descritte che tendono ad interpretare il generale silenzio del legislatore, in tema di donazione altrui, come eventuale configurabilità della stessa.

A sostegno di detta tesi positiva, due motivazioni di fondo:

-La corrispondenza a quel principio di autonomia negoziale ex articolo 1322 del Codice Civile e di conservazione del negozio giuridico ex articolo 1367 del Codice Civile;

-la differenza strutturale e giuridica tra beni necessariamente futuri, inesistenti in natura, e beni altrui che possono o non possono appartenere al donante, ma che già esistono.

Altrettante discordanti opinioni coesistono in giurisprudenza. Seppur, probabilmente, la tesi dottrinaria che ammette il negozio di donazione altrui sembrerebbe quella maggioritaria, confacente ai dettami codicistici, tuttavia la giurisprudenza recente la ritiene non condivisibile e di conseguenza ritiene nulla la donazione altrui, alla luce della dispiegata e complessiva disciplina della donazione, contraddicendo così quell'altro e diverso orientamento che oblitera la sua nullità, in favore di una più mitigata sua inefficacia.

L’opinabile assetto dottrinario e giurisprudenziale non di certo agevola l’opera di definizione del rapporto tra donante e soggetto terzo il cui bene viene ora acquisito dal donatario.

Tra chi lo assoggetta allo schema del contratto a favore di terzo, tra quelli che, contrariamente, ne parlano in termini di donazione indiretta e quegli altri ancora che affermano la sostanziale autonomia tra il contratto del donante-terzo e quello del donante-donatario, vi sono, poi, quelli che richiamano per esso la disciplina del collegamento negoziale o anche del contratto misto.

Conclusivamente, sebbene permangano zone d’ombra al riguardo, sebbene autorevole giurisprudenza e dottrina continui nell'opera di qualificazione e sebbene per alcuni la stessa non sia affatto immane da vizi e/o incertezze, l’opzione che più di tutte merita di esser condivisa, laddove per di più il negozio donativo nasconda non uno spirito di liberalità in senso stretto, ma semplicemente un atto donativo con il quale si spera di ottenere vantaggi di altro tipo (ectius: trattasi di contratto gratuito atipico), è quella che, in siffatte e controverse ipotesi, ammette l’applicazione della disciplina del contratto a favore di terzo e non, invece, quella della donazione in senso stretto.