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Diritto all’orientamento di bambini e ragazzi

Alla luce della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia il contributo sottolinea l’importanza di fornire una bussola per educare bambini e ragazzi alle proprie scelte in modo consapevole e responsabile
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Si parla tanto di orientamento professionale o orientamento sessuale o altro ma non di orientamento esistenziale che è quello fondamentale inglobante anche le altre forme e che bisogna dare ai bambini sin da piccolissimi: non significa dare il navigatore che indica passo passo dove andare (senza far provare alcuna emozione) ma fornire gli strumenti necessari per cercare e seguire la propria via.

A tale proposito è significativo quanto si legge in più punti della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia: “[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società ed allevarlo nello spirito degli ideali” (dal Preambolo); “Gli Stati parti rispettano le responsabilità, i diritti ed i doveri dei genitori o, all’occorrenza, dei membri della famiglia allargata o della comunità secondo quanto previsto dalle usanze locali, dei tutori o delle altre persone legalmente responsabili del fanciullo, di impartire a quest’ultimo, in modo consono alle sue capacità evolutive, l’orientamento ed i consigli necessari all’esercizio dei diritti della Convenzione” (art. 5, ricordando che i suddetti diritti corrispondono anche ai diritti degli altri bambini); “assicurare  al fanciullo  capace  di  formarsi  una  propria  opinione  il diritto di esprimerla liberamente ed in qualsiasi materia, dando alle opinioni del fanciullo il giusto peso in relazione alla sua età ed al suo grado di maturità” (art. 12 par. 1).

Sul “grado di maturità” il pedagogista Daniele Novara mette in guardia: “Spesso si attribuisce al bambino un potere decisionale non corrispondente alla sua maturità. Se si danno regole precise e condivise tra i genitori, i capricci sono rare eccezioni. Al contrario, se le regole non esistono e vige il regime del comando e della proibizione, che può cambiare di volta a seconda dell’umore dell’adulto, allora i capricci sono all’ordine del giorno”. Dare regole è un onere dei genitori perché le regole fanno parte della vita, della natura, del corpo stesso (per esempio il ritmo veglia-sonno). Le regole stimolano pure la formazione delle opinioni, il pensiero critico, il contraddittorio e il rapporto con gli altri (si pensi anche all’etimo di “confine”, avere un fine, un termine insieme, in comune).

Anche lo psicoanalista Massimo Recalcati rimarca: “Nell’educazione non bisogna cercare sempre il dialogo perché, a volte, è impossibile o non si deve fare, per cui è necessario dire: «Si fa così, perché si fa così, si è fatto sempre così!»” (nella lectio magistralis del 15-02-2020 a Matera). Nell’educazione sono fondamentali alcuni principi, quali l’allevamento nello spirito degli ideali (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) e l’orientamento e i consigli (dall’art. 5 della Convenzione) nel reciproco rispetto dell’educando e dell’educatore (art. 29 della Convenzione). “Rispetto” etimologicamente significa “guardare indietro, di nuovo”, significato che sottolinea quanto sia rilevante lo sguardo educativo.

“Non si può avere alleanza educativa tra famiglia e scuola se si guarda il bambino in maniera contrapposta: i genitori lo vedono come un piccolo Buddha, gli insegnanti come un vaso da riempire” (cit.). I genitori e gli altri educatori (dai nonni agli insegnanti) non devono guardare, dal loro punto di vista, il bambino come un oggetto, ma osservare, considerare il bambino come un soggetto (come hanno fatto i “grandi” da Jean Piaget a Maria Montessori) nei suoi molteplici aspetti (figlio, nipote, alunno, aspirante meccanico o musicista) e nelle sue manifestazioni ed espressioni per cogliere la direzione del suo sguardo e mostrargli ampi orizzonti e indicargli le possibili strade del cammino futuro e imprevedibile, come si legge nell’art. 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, in cui si usa l’espressione significativa “orientamento” senza aggettivazione ma nella sua profonda accezione di guardare e far guardare verso l’oriente, verso il sole che sorge, verso la luce che illumina il cammino, ogni nuovo giorno (ovvero speranza e fiducia).

La “comunità” tenuta ad impartire orientamento e consigli al fanciullo, ex art. 5 della Convenzione, è anche la comunità di tipo familiare (art. 1 L. 184/1983, legge sull’adozione rubricata “Diritto del minore ad una famiglia” e novellata dalla legge 28 marzo 2001 n. 149) o altre comunità ospitanti minori. “La comunità che accoglie i bambini e i ragazzi è un luogo dove spesso si manifestano una pluralità di esigenze di tutela e, come tale, costituisce uno dei nodi nevralgici su cui porre attenzione per realizzare un sistema che risponda ai bisogni dell’infanzia e dell’adolescenza in modo effettivo e efficace. Sono, infatti, molteplici le ragioni che portano all’ingresso di una persona minore di età all’interno di una comunità di tipo familiare. Basti pensare, senza pretese di esaustività, alle difficoltà educative della famiglia di origine legate a uno stato precario di salute psico-fisica, nonché ai bambini e ragazzi vittime di abusi o maltrattamenti ovvero entrati nel circuito penale senza tralasciare, i ragazzi di minore di età che sfuggono da guerre e povertà giungendo nel nostro paese privi di adulti di riferimento e in condizioni di particolare fragilità. I bisogni di tutela che ruotano attorno al fenomeno dell’accoglienza nelle comunità non si esauriscono nelle difficoltà che determinano l’ingresso nella struttura ma riguardano anche la fase di uscita dal percorso di accoglienza dei ragazzi divenuti maggiorenni. Dobbiamo impegnarci affinché il giorno del diciottesimo compleanno per questi ragazzi sia una data da festeggiare e non da temere in vista del rientro in una famiglia di origine che, il più delle volte non ha ancora colmato le riscontrate carenze, ovvero di un repentino salto verso la dimensione di autonomia propria della vita adulta che, spesso, non si è ancora in grado di affrontare da soli” (dal Rapporto “La tutela dei minorenni in comunità”, ottobre 2017, a cura dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza).

Inoltre, l’art. 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia è l’unica disposizione normativa in cui si prevede l’impartire consigli. Dare consigli comporta possedere maturità e altre competenze, stabilire un dialogo, assumersi responsabilità, lasciare e rispettare lo spazio di libertà altrui: una delle prove di genitorialità. “La dimensione contestativa del consiglio è legata a quella che in psicologia viene chiamata «frustrazione ottimale»: il problema non deve essere «liquidato» in nome di una tranquillità da conservare a tutti i costi, sia perché chi consiglia non ha tale potere, sia soprattutto perché, se ascoltato con intelligenza e pace, il dubbio può diventare la condizione per continuare il cammino con rinnovata energia e maggiore profondità. La decisione è affidata, sempre, alla responsabilità di chi chiede aiuto. È il motivo per cui il grado di certezza che il consiglio può dare non è di tipo matematico o empirico, ma piuttosto morale. In altre parole, esso non è mai costringente, non toglie spazio alla libertà – di accoglienza o di rifiuto – e non può essere delegato” (lo studioso gesuita Giovanni Cucci). Tenendo conto anche delle varie spiegazioni etimologiche (tra cui “sedere insieme”), il consigliare diventi un “con-solare”.

Per accettare o ascoltare i consigli i bambini e i ragazzi devono aver prima sperimentato l’accoglienza e devono avvertire l’autenticità di coloro che hanno accanto. Come nell’asilo nido e nella scuola dell’infanzia o nei casi di affidamento e adozione e in altri casi simili si parla di “accoglienza”, perché in realtà ogni bambino ha diritto di essere accolto da adulti che siano adulti. L’educatrice Maria Teresa Guerrisi scrive: “Un adulto capace di meravigliarsi, in grado di interpretare attraverso l’osservazione quali siano le direzioni intraprese, un adulto che fa domande e non genera risposte automatiche, un adulto che non si fa condizionare dai pre-giudizi, che progetta con e per il bambino. Un adulto che guida e si fa guidare, perché talvolta è necessario guardare con gli occhi altrui per vedere meglio. Un adulto attento ai particolari, alle tracce e alle parole dei bambini, che organizza lo spazio, il quale diviene luogo, che propone materiali, i quali diventano cose, in cui tutto si fa relazione dentro alla quale sostare. Un adulto che si “costruisce” nel tempo e con il tempo, che affina lo sguardo e amplifica le sue percezioni, che scioglie i propri nodi di resistenza. Un adulto che lascia spazio e così facendo non lo toglie ai bambini, ma anzi permette l’emersione del proprio bambino interiore, il quale può essere una guida verso un incontro autentico con i bambini e bambine di cui si prende cura. Un adulto che incoraggia, sostiene, si affida e lascia che l’altro gli si affidi. Un adulto in relazione con altri adulti, nel rispetto delle contaminazioni dei differenti punti di vista e dei tempi di ciascuno, che siano educatori, docenti o genitori”. Tra le numerose indicazioni normative della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, oltre all’art. 5, da ricordare il “guidare” dell’art. 14 e, comunque, tutta la Convenzione - coinvolgendo tutti coloro che hanno delle responsabilità nei confronti dei bambini, dalle autorità ai genitori - diventa un’istanza di adultità.

Adultità e orientamento sono ancor più necessari per i ragazzi con problemi di natura penalistica: “Saranno previste norme relativa alla tutela, all’orientamento e alla supervisione, alla consulenza, all’affidamento familiare, a programmi di formazione educativa generale, professionale, nonché a soluzioni alternative al trattamento istituzionale, al fine di garantire che i fanciulli vengano trattati in modo adeguato al loro benessere e proporzionato sia alla loro specifica condizione sia al reato commesso” (art. 40 par. 4 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). “Chi insegna ai ragazzi difficili deve riuscire a costruire il loro tempo interiore. E non è facile, perché essi, spesso, si trovano a vivere tempi “sgangherati”, fatti a pezzi, senza alcuna logica. Insegnare diventa dare anche il proprio tempo. In questo attimo, preciso e fuggente, dobbiamo cercare di educare ad apprendere e accompagnare questo percorso. Quando un ragazzo sta bene a scuola sta bene anche il suo maestro. Come si fa? Io ho imparato ad ascoltare, a usare i loro interessi per far esprimere un vissuto che tanto povero non è. La maggior parte non ha mai avuto una famiglia, qualcuno che li seguisse nei compiti, che chiedesse loro come stava, che dicesse loro un “no”, che avesse mai letto loro delle fiabe. Io le ho raccontate, per la prima volta a ragazzi di 19 anni” (Mario Tagliani, maestro nel carcere minorile di Torino).

La pedagogista Alessandra Augelli sostiene: “Secondo la Convenzione e la pedagogia contemporanea, l’interesse dei minori dev’essere considerato preminente in qualsiasi istituzione e decisione che li riguardi; per questo si afferma che la loro crescita non può che fondarsi su una sorta di ottimismo esistenziale, che va coltivato dalla comunità e dagli adulti di riferimento”. E nelle Linee guida sull’infanzia e l’adolescenza (emanate dall’AICS, Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo nel giugno 2021) si legge, tra l’altro: “[…] indirizzare la strategia e l’azione sul campo in un settore trasversale […], dando corpo al motto per cui il futuro dell’umanità è patrimonio dell’infanzia e dell’adolescenza” e “L’impegno dell’Italia nelle attività di cooperazione allo sviluppo non può prescindere da un costante focus su bambine, bambini e adolescenti, che saranno il futuro di ogni società e che, per questo, diventano protagonisti di sviluppo e contribuiscono alla costruzione di un mondo migliore”.

I bambini e i ragazzi hanno bisogno di “ottimismo esistenziale”: bambini e ragazzi non hanno solo diritto al futuro ma hanno anche il dovere di contribuire a costruirlo. I bambini e i ragazzi hanno bisogno non di essere spinti ma di essere sospinti, bisogna dare loro speranza e non di cose l’abbondanza!