Editoriale

Independence Day, l'astratto a fuoco
Ph. Giacomo Porro / Independence Day, l'astratto a fuoco

In questo numero,

nella parte iniziale due scritti testimoniano l’interesse al linguaggio che sarà una caratteristica costante della rivista.

Il primo, “Il linguaggio dei tribunali nei casi di violenza maschile contro le donne e la capacità di ascolto delle donne maltrattate”, è della scrittrice e criminologa Maria Dell’Anno che osserva i desolanti fenomeni della violenza di genere e del rischio di vittimizzazione secondaria attraverso il prisma del linguaggio delle decisioni giudiziarie.

Il secondo, “Le leggi giuste e le parole giuste. La comprensibilità e l’accessibilità delle leggi: una mera chimera?” di Iacopo Benevieri e Riccardo Radi, pone in evidenza la stretta correlazione tra la chiarezza delle norme e della loro quotidiana declinazione e la qualità democratica dell’ordinamento che regola le nostre vite.

Nella parte centrale della rivista si propone uno spazio denominato Gran Bazar. Ospiterà contributi più agili e meno strutturati e formali, destinati essenzialmente a comunicare l’impressione che i loro redattori hanno ricavato da eventi di attualità a valenza giuridica. Lo scritto di questo numero, redatto da Vincenzo Giglio e Riccardo Radi e intitolato “Pre-giudizi veneziani”, è stato occasionato da un preoccupante episodio verificatosi in un’udienza dinanzi alla sezione penale della Corte di appello lagunare.

Il numero zero prosegue osservando la triade classica del giudizio penale.

Lo fa con una nota a sentenza di Antonio Tamburrano, “Il delitto di illecita concorrenza con violenza o minaccia: le Sezioni Unite affermano la natura concorrenziale degli atti lesivi della libertà di impresa” che analizza una recentissima pronuncia del giudice di legittimità e con uno studio di Emanuele Damante, “Da consigliere a “consigliori”: la responsabilità penale del difensore nei procedimenti di criminalità organizzata, tra ermeneutica di garanzia ed esigenze di politica criminale” che offre un’ampia visuale sulla crescente responsabilizzazione dei difensori impegnati in giudizi per fatti associativi mafiosi, sui criteri interpretativi utilizzati dall’accusa pubblica per sostenerla giuridicamente e sulla risposta giurisprudenziale.

Nella parte conclusiva la rivista propone due riflessioni che riportano entrambe alla pena e, più in generale, all’esecuzione penale: la prima è di Costanza Porro, “Etica della cura: una proposta per l’universo della pena”, particolarmente interessante per l’abbinamento di una categoria, quella della cura in un significato che ricorda da vicino il pensiero di Don Milani, a un universo che la sensibilità pubblica contemporanea mostra invece di voler isolare e nascondere alla vista; la seconda è di Maria Brucale, “L’ergastolo ostativo nel dialogo tra Corti. Ipotesi e aspettative di superamento”, uno studio di ampio respiro su una condizione, quella del fine pena mai, che aspetta di trovare soluzioni più conformi al principio pro homine che dovrebbe ispirare l’intero ordinamento.

Segue uno scritto di Vincenzo Giglio, “Controllo giudiziario delle aziende e impugnazione dell’informazione interdittiva antimafia: quale rapporto tra giurisdizione ordinaria e amministrativa?”, che manifesta l’attenzione, anch’essa destinata a diventare una costante di Percorsi Penali, verso i molteplici mondi paralleli all’ambito penalistico in senso stretto.

Il numero si chiude con un contributo di Massimo Luigi Ferrante, “Responsabilità penale dei medici e pandemia”. Al di là dell’attualità dell’emergenza, che continua a generare elevati rischi sociali ed economici, la riflessione riporta a trend piuttosto diffusi: la mutevolezza degli umori del corpo sociale e il bisogno di capri espiatori a fronte di bisogni (autentici o indotti) rimasti insoddisfatti.

Buona lettura.