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Ente no profit: indeducibili i canoni di leasing qualora non siano rispettate le finalità proprie dell’Ente

La Corte di Cassazione Civile, Sezione Tributaria, con Sentenza del 2 ottobre 2013 n. 22493, ha stabilito che al fine del riconoscimento del beneficio della riduzione alla metà dell’aliquota dell’IRPEG – ai sensi dell’articolo 6, lettera c, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973 – in favore degli enti equiparati a quelli di beneficenza od istruzione, come gli enti ecclesiastici con fini di religione o di culto, non è sufficiente che detti enti siano sorti con tali enunciati fini, ma occorre altresì accertare, alla stregua del coordinamento della citata norma con gli articoli 1 e 2 del Decreto del Presidente della Repubblica  n. 598/1973 istitutivo dell’IRPEG, che l’attività in concreto esercitata dagli enti medesimi (come descritta nell’atto costitutivo, con precisa indicazione dell’oggetto, ovvero, in difetto, come effettivamente svolta) non abbia carattere commerciale, in via esclusiva o principale, e, inoltre, in presenza di un’attività commerciale di tipo non prevalente, che la stessa sia in rapporto di strumentante diretta ed immediata con quei fini di religione e di culto, e quindi non si limiti a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti, dovendo altrimenti essere classificata come “attività diversa”.

Anche se, tutti gli enti ecclesiastici o religiosi civilmente riconosciuti sono da considerarsi, sotto il profilo fiscale, enti non commerciali, in quanto non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (articolo 73, comma 1, lettera c, Decreto del Presidente della Repubblica n. 917/1986, modificato con Decreto Legislativo n. 344/2003) avendo per legge, infatti, fine di religione o di culto e per oggetto principale attività dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana (Legge n. 222/1985, articolo 16, lettera a), essi tuttavia possono svolgere anche attività diverse (Legge n. 222/1985, articolo 15 e articolo 16, lettera b), che “sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime” .

È proprio in quest’ultima ipotesi che gli enti ecclesiastici o religiosi sono soggetti, se hanno redditi imponibili, all’imposta sul reddito delle società (già IRPEG ora IRES), nonché alla presentazione annuale della dichiarazione dei redditi e alla dichiarazione dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).

Essi però possono beneficiare di alcune agevolazioni, come quella consistente nella riduzione alla metà dell’IRPEG, in virtù di quanto disposto dall’articolo 6, lettera c, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973.

Tale agevolazione, anche se non compete agli enti ecclesiastici non riconosciuti civilmente, riconosce agli enti non commerciali una capacità contributiva limitata, nel senso che, a differenza di quanto previsto per gli altri soggetti, nel loro caso concorrono alla formazione del reddito imponibile soltanto alcune categorie di entrate: redditi da immobili, redditi da capitali, redditi derivanti dall’esercizio anche occasionale di attività cosiddette commerciali, e plusvalenze realizzate mediante particolari operazioni di cessione di fabbricati o di aree edificabili (articoli 67-71 e articoli 143-149 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917/1986, modificato con Decreto Legislativo n. 344/2003). Non costituiscono perciò reddito le offerte dei fedeli, i contributi e le altre entrate che pervengono agli enti ecclesiastici.

Per l’accertamento dell’esenzione dal riconoscimento del beneficio della riduzione alla metà dell’aliquota dell’IRPEG, occorre, dunque, che l’ente rientri nelle categorie elencate dall’articolo 6, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973, e quindi, che sia un ente ecclesiastico (requisito soggettivo), ma anche che esso svolga una delle attività che il legislatore ha voluto incentivare (requisito oggettivo).

Proprio riguardo alle attività esercitata dall’Ente, infatti si deve distinguere – ex articolo 16 Legge n. 222/1985 – tra “attività di religione e culto” (rientranti nell’agevolazione) ed “attività diverse” (e, tra queste, attività commerciali o a scopo di lucro), invece non rientranti in tale agevolazione.

Ampia giurisprudenza di legittimità, inoltre, proprio in riferimento alla questione di diritto interno concernente l’individuazione dei presupposti per tale agevolazione, ha sempre puntualizzato il rapporto esistente tra l’articolo 6 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973 e l’articolo 10-bis della Legge n. 1745/1962 il quale dispone che gli utili spettanti a persone giuridiche pubbliche o fondazioni esenti dall'imposta sulle società, e che hanno esclusivamente scopo di beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica, sono esonerati dalla ritenuta a titolo di acconto prevista dall'articolo 10 della presente legge.

Secondo il costante indirizzo manifestato dalla Corte, sussiste, infatti, un rapporto di stretta connessione tra l’articolo 6 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973 e l’articolo 10-bis della Legge n. 1745/1962, in quanto i presupposti per la spettanza della riduzione a metà dell’aliquota dell’imposta sui redditi costituiscono condizione indispensabile per l’esonero dalla ritenuta sui dividendi.

In altri termini, l’esonero di cui all’articolo 10-bis della Legge n. 1745/1962 spettava in presenza di due presupposti in capo all’ente beneficiario:

1. perseguire, in fatto e in diritto, il fine esclusivo della beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica;

2. possedere i requisiti per l’applicazione dell’articolo 6 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973.

Recentemente la Corte di Cassazione, proprio con la Sentenza di cui sopra, in un’ottica più restrittiva, è tornata di nuovo a pronunciarsi sui i requisiti per l’applicazione dell’articolo 6 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973 .

Nel caso in esame, infatti, l’ente ricorrente gestiva plurime case di cura con modalità, organizzazione ed interessi sottostanti tali da far ritenere alla Corte di Cassazione che lo stesso esercitasse “un’attività commerciale” non in rapporto di strumentalità diretta ed immediata, né con il fine di religione e culto di cui alla citata legge, né con il fine istituzionale proprio dell’Ente.

In virtù di tali considerazioni, la Suprema Corte ha precisato che il rapporto di strumentalità diretta con il fine di religione o di culto deve escludersi anche qualora si tratti di un’attività volta al procacciamento di mezzi economici da impiegare in un’ulteriore attività, fosse anche quest’ultima direttamente finalizzata al culto o alla religione.

In conclusione, appare evidente che con tale orientamento giurisprudenziale si è voluto in qualche modo regolamentare tutti quei casi in cui gli enti religiosi, le fondazioni, etc., potranno usufruire di forti agevolazioni fiscali, prima fra tutte l’esenzione dal pagamento dell’ICI, ora IMU, sui beni immobiliari che utilizzano per finalità “non esclusivamente non commerciali”.

La Corte di Cassazione Civile, Sezione Tributaria, con Sentenza del 2 ottobre 2013 n. 22493, ha stabilito che al fine del riconoscimento del beneficio della riduzione alla metà dell’aliquota dell’IRPEG – ai sensi dell’articolo 6, lettera c, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973 – in favore degli enti equiparati a quelli di beneficenza od istruzione, come gli enti ecclesiastici con fini di religione o di culto, non è sufficiente che detti enti siano sorti con tali enunciati fini, ma occorre altresì accertare, alla stregua del coordinamento della citata norma con gli articoli 1 e 2 del Decreto del Presidente della Repubblica  n. 598/1973 istitutivo dell’IRPEG, che l’attività in concreto esercitata dagli enti medesimi (come descritta nell’atto costitutivo, con precisa indicazione dell’oggetto, ovvero, in difetto, come effettivamente svolta) non abbia carattere commerciale, in via esclusiva o principale, e, inoltre, in presenza di un’attività commerciale di tipo non prevalente, che la stessa sia in rapporto di strumentante diretta ed immediata con quei fini di religione e di culto, e quindi non si limiti a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti, dovendo altrimenti essere classificata come “attività diversa”.

Anche se, tutti gli enti ecclesiastici o religiosi civilmente riconosciuti sono da considerarsi, sotto il profilo fiscale, enti non commerciali, in quanto non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (articolo 73, comma 1, lettera c, Decreto del Presidente della Repubblica n. 917/1986, modificato con Decreto Legislativo n. 344/2003) avendo per legge, infatti, fine di religione o di culto e per oggetto principale attività dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana (Legge n. 222/1985, articolo 16, lettera a), essi tuttavia possono svolgere anche attività diverse (Legge n. 222/1985, articolo 15 e articolo 16, lettera b), che “sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime” .

È proprio in quest’ultima ipotesi che gli enti ecclesiastici o religiosi sono soggetti, se hanno redditi imponibili, all’imposta sul reddito delle società (già IRPEG ora IRES), nonché alla presentazione annuale della dichiarazione dei redditi e alla dichiarazione dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).

Essi però possono beneficiare di alcune agevolazioni, come quella consistente nella riduzione alla metà dell’IRPEG, in virtù di quanto disposto dall’articolo 6, lettera c, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973.

Tale agevolazione, anche se non compete agli enti ecclesiastici non riconosciuti civilmente, riconosce agli enti non commerciali una capacità contributiva limitata, nel senso che, a differenza di quanto previsto per gli altri soggetti, nel loro caso concorrono alla formazione del reddito imponibile soltanto alcune categorie di entrate: redditi da immobili, redditi da capitali, redditi derivanti dall’esercizio anche occasionale di attività cosiddette commerciali, e plusvalenze realizzate mediante particolari operazioni di cessione di fabbricati o di aree edificabili (articoli 67-71 e articoli 143-149 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917/1986, modificato con Decreto Legislativo n. 344/2003). Non costituiscono perciò reddito le offerte dei fedeli, i contributi e le altre entrate che pervengono agli enti ecclesiastici.

Per l’accertamento dell’esenzione dal riconoscimento del beneficio della riduzione alla metà dell’aliquota dell’IRPEG, occorre, dunque, che l’ente rientri nelle categorie elencate dall’articolo 6, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973, e quindi, che sia un ente ecclesiastico (requisito soggettivo), ma anche che esso svolga una delle attività che il legislatore ha voluto incentivare (requisito oggettivo).

Proprio riguardo alle attività esercitata dall’Ente, infatti si deve distinguere – ex articolo 16 Legge n. 222/1985 – tra “attività di religione e culto” (rientranti nell’agevolazione) ed “attività diverse” (e, tra queste, attività commerciali o a scopo di lucro), invece non rientranti in tale agevolazione.

Ampia giurisprudenza di legittimità, inoltre, proprio in riferimento alla questione di diritto interno concernente l’individuazione dei presupposti per tale agevolazione, ha sempre puntualizzato il rapporto esistente tra l’articolo 6 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973 e l’articolo 10-bis della Legge n. 1745/1962 il quale dispone che gli utili spettanti a persone giuridiche pubbliche o fondazioni esenti dall'imposta sulle società, e che hanno esclusivamente scopo di beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica, sono esonerati dalla ritenuta a titolo di acconto prevista dall'articolo 10 della presente legge.

Secondo il costante indirizzo manifestato dalla Corte, sussiste, infatti, un rapporto di stretta connessione tra l’articolo 6 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973 e l’articolo 10-bis della Legge n. 1745/1962, in quanto i presupposti per la spettanza della riduzione a metà dell’aliquota dell’imposta sui redditi costituiscono condizione indispensabile per l’esonero dalla ritenuta sui dividendi.

In altri termini, l’esonero di cui all’articolo 10-bis della Legge n. 1745/1962 spettava in presenza di due presupposti in capo all’ente beneficiario:

1. perseguire, in fatto e in diritto, il fine esclusivo della beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica;

2. possedere i requisiti per l’applicazione dell’articolo 6 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973.

Recentemente la Corte di Cassazione, proprio con la Sentenza di cui sopra, in un’ottica più restrittiva, è tornata di nuovo a pronunciarsi sui i requisiti per l’applicazione dell’articolo 6 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973 .

Nel caso in esame, infatti, l’ente ricorrente gestiva plurime case di cura con modalità, organizzazione ed interessi sottostanti tali da far ritenere alla Corte di Cassazione che lo stesso esercitasse “un’attività commerciale” non in rapporto di strumentalità diretta ed immediata, né con il fine di religione e culto di cui alla citata legge, né con il fine istituzionale proprio dell’Ente.

In virtù di tali considerazioni, la Suprema Corte ha precisato che il rapporto di strumentalità diretta con il fine di religione o di culto deve escludersi anche qualora si tratti di un’attività volta al procacciamento di mezzi economici da impiegare in un’ulteriore attività, fosse anche quest’ultima direttamente finalizzata al culto o alla religione.

In conclusione, appare evidente che con tale orientamento giurisprudenziale si è voluto in qualche modo regolamentare tutti quei casi in cui gli enti religiosi, le fondazioni, etc., potranno usufruire di forti agevolazioni fiscali, prima fra tutte l’esenzione dal pagamento dell’ICI, ora IMU, sui beni immobiliari che utilizzano per finalità “non esclusivamente non commerciali”.