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Francis Scott Fitzgerald: Il grande Gatsby

Dopo due anni ricordo ancora il seguito di quella giornata, e quella notte e l'indomani, unicamente come un interminabile fluire di polizia, fotografi e giornalisti, avanti e indietro in casa di Gatsby. Era stata tirata una fune attraverso il cancello principale e un poliziotto di guardia impediva l'ingresso ai curiosi, ma presto i ragazzini scoprirono che potevano entrare dal mio cortile; ve n'erano sempre alcuni raggruppati a bocca aperta accanto alla piscina. Qualcuno dai modi decisi, forse un detective, usò l'espressione "pazzo" nel curvarsi sul cadavere di Wilson quel pomeriggio, e l'autorità della sua voce diede il tono ai resoconti giornalistici l'indomani mattina.

La maggior parte di questi resoconti erano un incubo: grotteschi, circostanziati, avidi e falsi. Quando la testimonianza di Michaelis all'inchiesta portò alla luce i sospetti di Wilson sulla moglie, pensai che l'intera storia sarebbe stata presto servita sotto forma di pasquinata boccaccesca: ma Catherine, che avrebbe potuto dire parecchie cose, non disse nulla. Mostrò anzi una forma di carattere sorprendente: guardò il coroner con occhi gravi sotto quelle sue sopracciglia rifatte e giurò che la sorella non aveva mai visto Gatsby, che era stata felicissima col marito, che comunque non aveva fatto niente di male. Si convinse di questo, e pianse nel fazzoletto come se non riuscisse a sopportarne neanche il pensiero. Così Wilson fu ridotto a un uomo "sconvolto dal dolore" in modo che l'inchiesta si svolgesse nella forma più semplice. E a questo punto rimase.

[Francis Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby, Einaudi, 2011, III ed. ET, p. 146] Dopo due anni ricordo ancora il seguito di quella giornata, e quella notte e l'indomani, unicamente come un interminabile fluire di polizia, fotografi e giornalisti, avanti e indietro in casa di Gatsby. Era stata tirata una fune attraverso il cancello principale e un poliziotto di guardia impediva l'ingresso ai curiosi, ma presto i ragazzini scoprirono che potevano entrare dal mio cortile; ve n'erano sempre alcuni raggruppati a bocca aperta accanto alla piscina. Qualcuno dai modi decisi, forse un detective, usò l'espressione "pazzo" nel curvarsi sul cadavere di Wilson quel pomeriggio, e l'autorità della sua voce diede il tono ai resoconti giornalistici l'indomani mattina.

La maggior parte di questi resoconti erano un incubo: grotteschi, circostanziati, avidi e falsi. Quando la testimonianza di Michaelis all'inchiesta portò alla luce i sospetti di Wilson sulla moglie, pensai che l'intera storia sarebbe stata presto servita sotto forma di pasquinata boccaccesca: ma Catherine, che avrebbe potuto dire parecchie cose, non disse nulla. Mostrò anzi una forma di carattere sorprendente: guardò il coroner con occhi gravi sotto quelle sue sopracciglia rifatte e giurò che la sorella non aveva mai visto Gatsby, che era stata felicissima col marito, che comunque non aveva fatto niente di male. Si convinse di questo, e pianse nel fazzoletto come se non riuscisse a sopportarne neanche il pensiero. Così Wilson fu ridotto a un uomo "sconvolto dal dolore" in modo che l'inchiesta si svolgesse nella forma più semplice. E a questo punto rimase.

[Francis Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby, Einaudi, 2011, III ed. ET, p. 146]