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Gli atti notori di terzi nel processo tributario

Nel processo tributario, stante il divieto della prova testimoniale previsto dall'articolo 7 del Decreto Legislativo n. 546 del 31 dicembre 1992, si è sempre posto il problema dell’ammissibilità o meno degli atti notori di terzi nonché la loro validità ai fini delle decisioni.

A tal proposito, la Corte di Cassazione, con varie sentenze, adottando un'interpretazione costante, ha dato origine ad una consolidata giurisprudenza sul tema.

In sostanza, è stato ribadito il principio secondo il quale, nel processo tributario, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale, il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extra processuale, con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, va riconosciuto non solo all'Amministrazione finanziaria, ma anche al contribuente. Tali elementi indiziari non sono idonei a costituire da soli il fondamento della decisione del giudice, ma possono concorrere a formare il suo convincimento (Corte Costituzionale, Sentenza 21 gennaio 2000, n. 18). In sostanza, si garantisce così la concreta attuazione dei principi del giusto processo (articolo 111 della Costituzione), quali il principio “della parità delle armi processuali”, nonché l’effettività del diritto di difesa.

Il suddetto, costante principio è stato ribadito dalle seguenti sentenze della Corte Cassazione – Sezione Tributaria: Sentenza 25 marzo 2002, n. 4269; Sentenza 14 maggio 2010, n. 11785; Sentenza 27 marzo 2013, n. 7707.

Così, per esempio, la Corte di Cassazione ha confermato una corretta sentenza della Commissione Tributaria Regionale che non aveva fondato la decisione unicamente sulle dichiarazioni del padre del contribuente, valutabili, appunto, come elemento indiziario a favore di costui, ma le aveva ritenute integrate dalla prova documentale, secondo cui l’apertura di credito al padre era stata effettivamente concessa poco tempo prima dell’investimento immobiliare che, attribuito a mezzi propri del figlio, aveva dato causa all'accertamento.

In sostanza, le succitate sentenze confermano il principio che gli atti notori, pur non costituendo prova decisiva, devono essere tenuti presenti dal giudice come elemento indiziario, da valutare insieme agli altri elementi, come le presunzioni, la documentazione acquisita, le eventuali movimentazioni finanziarie, la mancata contestazione dell’Amministrazione finanziaria.

Infatti, nel processo tributario vige il principio di non contestazione (articolo 115 Codice di Procedura Civile, la cui applicazione non è esclusa dal rito tributario), per cui, se l’ufficio costituito in giudizio non contesta il contenuto della dichiarazione, resa dal terzo, i fatti ivi riportati devono ritenersi per provati.

In ogni caso, il giudice è sempre tenuto a motivare l’eventuale inutilizzabilità delle dichiarazioni del terzo “in osservanza del principio della parità delle parti – applicabile anche nel processo tributario – il giudice tributario deve prendere in considerazione le dichiarazioni extra processuali di persone informate sui fatti, sia che siano rese all'ufficio finanziario o alla Guardia di Finanza sia che siano rese al contribuente o a chi lo assiste” (Corte di Cassazione – Sezione Tributaria, Sentenza 26 marzo 2003, n. 4423).

Quindi, la Corte di Cassazione, nel rispetto del novellato articolo 111 della Costituzione, conferma la validità degli atti notori, logicamente se supportati da altri documenti, e suggerisce ai difensori una nuova strategia processuale, secondo cui “in forza del principio di parità delle parti, ben può il contribuente produrre in giudizio dichiarazioni di terzi, il cui valore probatorio di tali dichiarazioni è pari a quello delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione finanziaria, cioè quello proprio degli elementi indiziari” (Corte di Cassazione – Sezione Tributaria, Sentenza 16 aprile 2008, n. 9958; Sentenza 17 giugno 2008, n. 16348; Sentenza 14 gennaio 2011, n. 767).

Infine, occorre precisare che nel processo tributario il terzo può rilasciare dichiarazioni scritte senza incorrere in alcun tipo di sanzione penale, perché il falso ideologico in scrittura privata (articolo 495 Codice Penale) – quale è la falsa dichiarazione scritta del terzo – non è, infatti, previsto dalla legge come reato, perché la falsa testimonianza dell’articolo 372 Codice Penale prevede una dichiarazione orale resa davanti all’autorità giudiziaria, e l’atto notorio non è certo una dichiarazione orale.

Alla luce di ciò, la dichiarazione scritta proveniente dal terzo, priva della sanzione penale, offre meno garanzie rispetto ad altre dichiarazioni la cui falsità è punibile.

In definitiva, anche se apprezzabile la giurisprudenza della Corte di Cassazione nel consentire l’utilizzo degli atti notori, seppur con i limiti sopra esposti, è auspicabile, nella generale ed urgente riforma del processo tributario, cancellare il divieto della testimonianza, per dare la possibilità al difensore del contribuente di potersi difendere senza alcuna limitazione, proprio nel rispetto dell’effettivo principio “della parità delle armi”, come ho previsto nel mio progetto di legge di riforma del processo tributario, che può essere letto e scaricato dal mio sito (www.studiotributariovillani.it).

Speriamo che, con la delega fiscale attualmente in discussione al Parlamento, nel prossimo anno si possa mettere finalmente mano ad una seria riforma del processo tributario.

Nel processo tributario, stante il divieto della prova testimoniale previsto dall'articolo 7 del Decreto Legislativo n. 546 del 31 dicembre 1992, si è sempre posto il problema dell’ammissibilità o meno degli atti notori di terzi nonché la loro validità ai fini delle decisioni.

A tal proposito, la Corte di Cassazione, con varie sentenze, adottando un'interpretazione costante, ha dato origine ad una consolidata giurisprudenza sul tema.

In sostanza, è stato ribadito il principio secondo il quale, nel processo tributario, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale, il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extra processuale, con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, va riconosciuto non solo all'Amministrazione finanziaria, ma anche al contribuente. Tali elementi indiziari non sono idonei a costituire da soli il fondamento della decisione del giudice, ma possono concorrere a formare il suo convincimento (Corte Costituzionale, Sentenza 21 gennaio 2000, n. 18). In sostanza, si garantisce così la concreta attuazione dei principi del giusto processo (articolo 111 della Costituzione), quali il principio “della parità delle armi processuali”, nonché l’effettività del diritto di difesa.

Il suddetto, costante principio è stato ribadito dalle seguenti sentenze della Corte Cassazione – Sezione Tributaria: Sentenza 25 marzo 2002, n. 4269; Sentenza 14 maggio 2010, n. 11785; Sentenza 27 marzo 2013, n. 7707.

Così, per esempio, la Corte di Cassazione ha confermato una corretta sentenza della Commissione Tributaria Regionale che non aveva fondato la decisione unicamente sulle dichiarazioni del padre del contribuente, valutabili, appunto, come elemento indiziario a favore di costui, ma le aveva ritenute integrate dalla prova documentale, secondo cui l’apertura di credito al padre era stata effettivamente concessa poco tempo prima dell’investimento immobiliare che, attribuito a mezzi propri del figlio, aveva dato causa all'accertamento.

In sostanza, le succitate sentenze confermano il principio che gli atti notori, pur non costituendo prova decisiva, devono essere tenuti presenti dal giudice come elemento indiziario, da valutare insieme agli altri elementi, come le presunzioni, la documentazione acquisita, le eventuali movimentazioni finanziarie, la mancata contestazione dell’Amministrazione finanziaria.

Infatti, nel processo tributario vige il principio di non contestazione (articolo 115 Codice di Procedura Civile, la cui applicazione non è esclusa dal rito tributario), per cui, se l’ufficio costituito in giudizio non contesta il contenuto della dichiarazione, resa dal terzo, i fatti ivi riportati devono ritenersi per provati.

In ogni caso, il giudice è sempre tenuto a motivare l’eventuale inutilizzabilità delle dichiarazioni del terzo “in osservanza del principio della parità delle parti – applicabile anche nel processo tributario – il giudice tributario deve prendere in considerazione le dichiarazioni extra processuali di persone informate sui fatti, sia che siano rese all'ufficio finanziario o alla Guardia di Finanza sia che siano rese al contribuente o a chi lo assiste” (Corte di Cassazione – Sezione Tributaria, Sentenza 26 marzo 2003, n. 4423).

Quindi, la Corte di Cassazione, nel rispetto del novellato articolo 111 della Costituzione, conferma la validità degli atti notori, logicamente se supportati da altri documenti, e suggerisce ai difensori una nuova strategia processuale, secondo cui “in forza del principio di parità delle parti, ben può il contribuente produrre in giudizio dichiarazioni di terzi, il cui valore probatorio di tali dichiarazioni è pari a quello delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione finanziaria, cioè quello proprio degli elementi indiziari” (Corte di Cassazione – Sezione Tributaria, Sentenza 16 aprile 2008, n. 9958; Sentenza 17 giugno 2008, n. 16348; Sentenza 14 gennaio 2011, n. 767).

Infine, occorre precisare che nel processo tributario il terzo può rilasciare dichiarazioni scritte senza incorrere in alcun tipo di sanzione penale, perché il falso ideologico in scrittura privata (articolo 495 Codice Penale) – quale è la falsa dichiarazione scritta del terzo – non è, infatti, previsto dalla legge come reato, perché la falsa testimonianza dell’articolo 372 Codice Penale prevede una dichiarazione orale resa davanti all’autorità giudiziaria, e l’atto notorio non è certo una dichiarazione orale.

Alla luce di ciò, la dichiarazione scritta proveniente dal terzo, priva della sanzione penale, offre meno garanzie rispetto ad altre dichiarazioni la cui falsità è punibile.

In definitiva, anche se apprezzabile la giurisprudenza della Corte di Cassazione nel consentire l’utilizzo degli atti notori, seppur con i limiti sopra esposti, è auspicabile, nella generale ed urgente riforma del processo tributario, cancellare il divieto della testimonianza, per dare la possibilità al difensore del contribuente di potersi difendere senza alcuna limitazione, proprio nel rispetto dell’effettivo principio “della parità delle armi”, come ho previsto nel mio progetto di legge di riforma del processo tributario, che può essere letto e scaricato dal mio sito (www.studiotributariovillani.it).

Speriamo che, con la delega fiscale attualmente in discussione al Parlamento, nel prossimo anno si possa mettere finalmente mano ad una seria riforma del processo tributario.