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I processi informativi a presidio della democrazia

Riflettiamo su quello che stiamo vivendo, ripensando al legame tra processi informativi e democrazia, perché i dati falsi sono un pericolo per il sistema Paese
processi informativi
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[L’articolo anticipa il dibattito organizzato da Filodiritto Live in data 5 aprile 2022, alle ore 12.30, tra il Direttore di Filodiritto, l’Avv. Antonio Zama e l’Avv. Andrea Lisi, in diretta sui nostri canali social Facebook e YouTube e LinkedIn]


Abstract

La democrazia si intreccia con i tessuti digitali della società dell’informazione. Le nostre stesse esistenze dipendono da “tunnel” comunicativi, basati sulla libera circolazione di dati, di diversa natura. Il principio dell’esattezza del dato personale (e non personale) va oltre gli stessi regolamenti UE 2016/679 e 2018/1807 e riguarda i processi informativi a presidio della democrazia. Ma l’utilizzo distorto dei social o di alcuni strumenti, come ad esempio l’app Immuni o il Green Pass, sta generando pericolose strade alternative di formazione dei consensi rispetto a ciò che pretenderebbe la nostra Costituzione.


Indice

  1. Gli archivi pubblici sono “il baluardo della democrazia”
  2. La (disperata) ricerca di fonti autorevoli
  3. Chi si sta impegnando per tutelare il patrimonio informativo pubblico?
  4. I principi archivistici della democrazia (digitale)
  5. L’emergenza può sospendere la democrazia?


Anche in questi giorni pervasi da presagi di guerra, l’Italia conferma di essere uno Stato a parte sotto diversi punti di vista, in alcuni casi timido, burocratico e prudente, in altri, inutilmente e pericolosamente autoritario.

Dal punto di vista digitale, nonostante la “rivoluzione” stia investendo la PA da – ormai – 15 anni, i processi che riguardano la gestione del patrimonio informativo dei cittadini non risultano essere ancora così lineari. Per di più, la pandemia ci ha messo di fronte a dei “tunnel” comunicativi dai quali dipende la nostra stessa libertà, basati sulla libera circolazione di dati, di diversa natura, spesso gestiti in maniera confusionaria, senza una precisa strategia di information governance alle spalle.

L’ex presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati, Antonello Soro, nella sua ultima relazione prima del passaggio di consegna al prof. Pasquale Stanzione, (attuale presidente dell’Authority), affermò autorevolmente che ‘tutto ciò che mettiamo online resta e rischia di restare per sempre’. Noi non abbiamo la percezione di tutto questo, pensiamo invece che nel mondo online tutto sia breve e che ciò che mettiamo in rete subito dopo venga cancellato, posizionato in basso nel motore di ricerca. E invece il web mette in pancia, analizza, modifica, manipola e solo a volte scarta.

E che cosa potrebbe accadere in caso di informazioni errate immesse in rete dalle stesse PPAA?

In realtà, è proprio ciò che sta accadendo in questi giorni, giustificato da un’emergenza che continua a permanere oscillando pericolosamente tra covid e guerra in Ucraina.


1. Gli archivi pubblici sono “il baluardo della democrazia”

A proposito di PA e di importanza dei documenti e delle informazioni, Barack Obama nel 2009, durante suo primo discorso da Presidente degli Stati Uniti, ha ricordato in un profondo monito premonitore che gli archivi pubblici costituiscono un baluardo delle nostre democrazie. E gli archivi pubblici, anche in ottica digitale, devono infatti garantire, come un fondamentale vessillo, che il principio della pubblica fede non si perda tra database sterminati, informazioni disseminate on line e condivisioni di dati pubblici. Del resto intorno agli essenziali concetti di esattezza dei dati, immodificabilità, sicurezza, cancellazione, ruotano normative diverse, italiane ed europee, che si occupano di trasparenza e digitalizzazione, e ancora di protezione dei dati personali (e non personali) che è argomento trasversale alle stesse. Inevitabilmente il principio di esattezza si interseca con quello di veridicità dei dati trattati e quindi delle informazioni fornite, come ricordato recentemente dal prof. Francesco Pizzetti.


2. La (disperata) ricerca di fonti autorevoli

Se già nel 2013 prendevamo coscienza che qualunque frase priva di fonti bibliografiche certe, su internet la si poteva trovare attribuita per il 99% a: Oscar Wilde, Jim Morrison o Albert Einstein – e per il restante 1% a un altro autore sbagliato, oggi ci stiamo rendendo conto di come il fenomeno delle fake news sia destabilizzante e in grado di manipolare le nostre coscienze, fino ad orientarci ed essere utilizzato in guerra come arma di propaganda.

Oggi il mondo digitale è caratterizzato da un magma disinformativo, dove in assenza di fonti certe, veniamo facilmente orientati dai social (e/o anche dai motori di ricerca) in base alle nostre abitudini commerciali, culturali, sino a quelle più intime, politiche, sessuali, sanitarie, in un calderone ipertrofico e dai confini incerti. Del resto, secondo recenti analisi anche i siti web di fonti informative autorevoli dopo pochi anni diventano inaffidabili, perdendo la completezza di articoli che con i loro hypertext rinviano a fonti non più ricercabili. Tanto da far arrivare qualcuno a riferire che Internet si sia rotta, perché con i siti cancellati rischia di sparire la nostra memoria collettiva.

Realtà come Internet Archive (o progetti come IPFS) nascono per porre un argine, puntando a preservare nel tempo i contenuti del web, che si è dimostrato appunto un custode ben poco affidabile. E, se una non appropriata digitalizzazione della nostra epoca rende molto più effimera la conservazione autentica del sapere, allora si spiegano facilmente le fake news che imperano e che alimentano forme più o meno appropriate di “censura”.

Nulla è certo, quindi tutto è dimostrabile.


3. Chi si sta impegnando per tutelare il patrimonio informativo pubblico?

Non c’è trasparenza senza esattezza dei dati pubblicati on line. La normativa italiana in materia, contenuta nel D.Lgs. 33/2013, prevede infatti che le pubbliche amministrazioni garantiscano la qualità delle informazioni riportate nei siti istituzionali nel rispetto degli obblighi di pubblicazione previsti dalla legge, assicurandone l’integrità, il costante aggiornamento, la completezza, la tempestività, la semplicità di consultazione, la comprensibilità, l’omogeneità, la facile accessibilità, nonché la conformità ai documenti originali in possesso dell’amministrazione, quindi l’indicazione della loro provenienza e la riutilizzabilità.

Quale PA si sta impegnando davvero a garantire tutto questo? E la politica ha anche solo una vaga idea del pericolo in atto?

Molti di questi principi sono di tutela degli archivi e quindi di garanzia per il nostro patrimonio informativo pubblico e si intersecano infatti con quanto contenuto nel Codice dell’amministrazione digitale (e nelle relative Linee Guida AgID sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici) a proposito di digitalizzazione documentale.

E non c’è digitalizzazione affidabile senza aver posto in essere appropriate misure di sicurezza a tutela di database e archivi digitali.


4. I principi archivistici della democrazia (digitale)

Del resto, anche nel GDPR (e indirettamente nel regolamento UE 2018/1807 relativo a un quadro applicabile alla libera circolazione dei dati non personali nell’Unione europea) si fa riferimento ai principi – di origine archivistica – di esattezza, integrità, riservatezza e limitazione della conservazione (che gli archivisti identificherebbero con lo “scarto”).

Questi argomenti e principi, che mirano a costruire un processo di digitalizzazione responsabile a tutela degli archivi digitali pubblici, non possono non essere presi come modello di riferimento anche nella costruzione del sapere che caratterizza l’attuale società dell’ipertrofia informativa e della sorveglianza. E infatti fanno da sponda con la libertà di stampa i principi, anche di natura deontologica, che caratterizzano l’attività del giornalista, il quale deve appunto garantire veridicità nella sua attività, attraverso una verifica sapiente delle sue fonti documentali.

Principi che invece si stanno perdendo, macinati da un’epoca dove l’informazione sembra essere governata da influencer, da motori di ricerca che indirizzano i nostri interessi attraverso profilazioni non sempre trasparenti e da una contaminazione delle fonti di informazione che sono difficili da accertare nella loro affidabilità. E la veridicità dell’informazione può essere assicurata appunto solo dal principio dell’esattezza del dato che dovrebbe essere reso anche accessibile in modo trasparente per assicurare la verifica attenta della collettività.


5. L’emergenza può sospendere la democrazia?

Questa è e dovrebbe essere democrazia, anche nel mondo digitale. Ma tali principi fondamentali sembrano spegnersi nel caos e nelle azioni che animano le politiche governative a tutela dell’emergenza, come se l’emergenza possa sospendere del tutto la nostra democrazia.

Tutto ciò, ad esempio, è successo prima con la progettazione dell’app Immuni, che avrebbe dovuto proteggerci dalla pandemia attraverso un controllo delle distanze e dei possibili contagi in atto, e successivamente con il Green Pass [1]. Entrambi progetti portati avanti con approssimazione, con una fede cieca verso lo strumento tecnologico, avviati senza un preventivo e doveroso coinvolgimento dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, quindi assolutamente criticabili nella loro genesi e nella successiva messa in atto, perché proprio quei principi dell’esattezza e della trasparenza del dato non sono stati rispettati e preservati.

In estrema sintesi, pensare confusamente – pur in un periodo di emergenza – a strumenti così diversi e poco tutelanti per l’inoltro di informazioni particolarmente sensibili denota ancora oggi una certa confusione sulle strade più corrette da intraprendere per la digitalizzazione del nostro Paese. Gli strumenti di digitalizzazione dovrebbero essere seguiti da una corretta opera di alfabetizzazione informatica per i cittadini, oltre che per i decisori pubblici, come previsto dalla stessa normativa contenuta nel CAD. Invece, la fretta dettata dall’emergenza o da caotiche esigenze di “accessibilità” dei dati non può essere ritenuta condizione sufficiente a giustificare la cronica mancanza degli standard di tutela della protezione del dato in tutte le recenti azioni governative animate da ingenue spinte di innovazione digitale.

Sono argomenti questi legati alla governance delle informazioni digitali su cui costruire le fondamenta delle democrazie del futuro. È incredibile che ancora siano argomenti di nicchia nel diritto e nella politica delle nostre società. È invece un dovere discuterne se abbiamo a cuore il futuro dei nostri figli.

Perché non può esserci futuro senza memoria.

 

[1] La strada intrapresa in Italia ci sta portando ancora una volta lontano dal sentiero tracciato in Ue, perché – ad esempio – il green pass effettivamente è previsto dall’ordinamento europeo, ma come strumento di circolazione delle persone negli e tra gli Stati membri, minimizzando il più possibile il trattamento dei dati personali. Invece, si sta continuando a utilizzare questo strumento in maniera impropria, non più per garantire la circolazione tra i vari Stati europei ma in qualche modo per forzare un consenso vaccinale.