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Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti dopo la riforma introdotta dal “decreto sviluppo”

Parte I

Parte II

GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI

Generalità

Il grande merito della riforma è quello di consentire all’imprenditore, dopo aver depositato la domanda di concordato in bianco, di poter decidere, nel termine concesso dal tribunale per il deposito del piano e della proposta, di presentare domanda di ristrutturazione dei debiti, con conservazione, fino all’omologazione, degli effetti prodotti dal deposito del ricorso.

Mediante tale accordo vengono individuate, di concerto tra l’imprenditore ed il ceto creditorio, le modalità con cui si intende procedere per ottenere la ristrutturazione dell’esposizione debitoria, prevenendo lo stato di insolvenza o rimuovendolo se già in atto.

Normalmente vengono previste dilazioni di pagamenti, nonché rinunce totali o parziali agli interessi o, spesso, anche ad una parte del capitale, oppure emissione di nuove azioni o titoli di debito, coinvolgendo i creditori nella partecipazione societaria.

L’art. 182-bis prevede che l’accordo deve essere stipulato con i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti: non esistono dubbi interpretativi sul fatto che la percentuale debba si riferisca all’ammontare dei crediti e non al loro numero.

Il decreto-sviluppo, così come convertito, ha recepito le esigenze degli operatori del settore prevedendo che il soddisfacimento dei creditori “estranei” all’accordo, debba avvenire come segue:

-      per i crediti non ancora scaduti alla data di omologazione: pagamento nel termine di 120 giorni dalla scadenza;

-      per i crediti già scaduti alla data dell’omologazione: pagamento entro 120 giorni dalla data di omologa.

   Siamo quindi in presenza di una modifica di notevole importanza che consente all’imprenditore di ottenere una moratoria anche nei confronti dei creditori che non abbiano partecipato all’accordo.

Inoltre il novellato art. 182-bis non fa più riferimento al regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo ma all’integrale pagamento.

 1) Il “preaccordo” ex art. 182-bis, 6° comma

La nuova normativa ha introdotto una previsione che consente all’impresa, che abbia ottenuto il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e/o cautelari, di mantenere tale beneficio anche allorquando la trattativa si interrompa e l’imprenditore si veda costretto ad abbandonare la strada dell’accordo con i creditori e scelga di depositare un ricorso per accedere al concordato preventivo.

 I requisiti per ottenere i benefici di cui sopra sono i seguenti  sono i seguenti:

 Immagine rimossa.

2) La figura del professionista attestatore: obblighi e sanzioni

La figura del professionista attestatore è stata introdotta nella L.F. nel 2005 con riferimento al piano di risanamento previsto dall’art. 67 L.F., dalla disciplina del concordato preventivo e dalle norme sugli accordi di ristrutturazione dei debiti.

La riforma esplicita il principio, peraltro già consolidato a livello interpretativo, secondo il quale il professionista deve essere designato dal debitore, escludendo quindi la possibilità che sia nominato dal tribunale, come richiesto da alcuni a maggior tutela del ceto creditorio.

Requisito fondamentale per il professionista è l’indipendenza, ossia non avere legami di sorta con l’impresa o con coloro che hanno interesse al risanamento; e non aver prestato, negli ultimi cinque anni, attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore, ovvero partecipato agli organi di amministrazione e di controllo.

Nota bene: pur non prevedendosi nulla sul punto, è da ritenersi che la conseguenza per il difetto di indipendenza del professionista sia l’inammissibilità della domanda di concordato o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti.

È, peraltro, spontanea una domanda: se il difetto di indipendenza venisse scoperto dopo l’omologazione il concordato, quest’ultimo sarebbe da ritenersi annullabile ex art. 186 L.F. benché la specifica fattispecie non sia espressamente prevista?

 

 

E’ sancito che i consulenti abilitati all’attestazione, oltre ad essere iscritti nel registro dei revisori legali, debbano appartenere ad una delle seguenti categorie di professionisti: avvocati, commercialisti, ragionieri; ovvero un professionista designato quale responsabile della procedura da studi professionali associati o società tra professionisti.

Per quanto concerne il contenuto della relazione di attestazione, questa deve avere per oggetto la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano.

La grande novità della riforma è la fattispecie di reato di falso in attestazioni e relazioni prevista dell’art. 236-bis che punisce con la reclusione da 2 a 5 anni e con la multa da 50 mila a 100 mila euro il professionista che esponga informazioni false o ometta di riferire informazioni rilevanti, con aumenti di pena se il fatto sia compiuto per trarne un ingiusto profitto o qualora ne sia derivato danno per i creditori.

Tale norma costituisce una garanzia a fronte del ruolo centrale riconosciuto al professionista attestatore nell’intero intervento normativo.

Nota bene:  la previsione del reato di cui all’art. 236-bis si è resa necessaria anche per evitare squilibri rispetto alla rilevanza penale del comportamento dell’organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento del soggetto privo dei requisiti di fallibilità. L’art. 19 della L. 27 gennaio 2012 n. 3, prevede, infatti, che sia punito “con la reclusione da 1 a 3 anni e con la multa da € 1.000 ad € 50.000 colui che rende false attestazioni in merito all’esito della votazione dei creditori sulla proposta di accordo formulata dal debitore ovvero in ordine alla veridicità dei dati contenuti in tale proposta o nei documenti ad essa allegati”.

 PROFILI TRIBUTARI

1) Modifiche apportate al T.U.I.R.

L’art. 33 del decreto sviluppo, così come convertito, ha sostituito integralmente due disposizioni del Testo Unico delle Imposte sui Redditi:

-      l’art. 88, comma 4, riguardante le sopravvenienze attive da riduzione dei debiti;

-      l’art. 101, comma 5, riguardante la deducibilità delle perdite su crediti da procedura concorsuale o da accordo di ristrutturazione dei debiti.

  • Sopravvenienze attive: art. 88 Tuir

La grande novità della riforma è costituita dal fatto che il legislatore si è finalmente deciso ad avviare il coordinamento tra le disposizioni del Tuir e quelle della legge fallimentare. Il D.P.R. n. 917/1986, infatti, mentre prevedeva che non si considerasse sopravvenienza attiva la riduzione dei debiti d’impresa in sede di concordato preventivo, ignorava l’esistenza degli accordi di ristrutturazione dei debiti.

L’art. 88 comma 4, così come oggi riformato, prevede, invece, che la riduzione dei debiti d’impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite pregresse e di periodo di cui all’art. 84, nei seguenti casi:

-      accordo di ristrutturazione dei debiti purché omologato;

-      piano attestato di risanamento che sia iscritto nel registro imprese.

Quando l’accordo di ristrutturazione preveda la parziale rimessione dei debiti, nel bilancio della società dovrà essere contabilizzata una sopravvenienza attiva. Tuttavia, a seguito della riforma, tale riduzione non costituisce più sopravvenienza per la parte che eccede le perdite pregresse e di periodo.

Esempio

Riduzione debiti (sopravvenienza attiva)€ 10.000
Perdita di periodo€   3.000
Perdite pregresse (anni precedenti)€   5.000
Eccedenza non imponibile€   2.000

  • Perdite sui crediti: art. 101 Tuir

La novità dell’art. 101, comma 5, del TUIR, in tema di perdite sui crediti, è costituita dal fatto che anche gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati sono stati ricompresi nel novero delle le procedure concorsuali: in tal modo il legislatore ha disatteso l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate la quale aveva giudicato tale accordo non rientrante tra le procedure previste dall’art. 101, comma 5, ante riforma (vedi Circolare 13 marzo 2008 n. 8). Le perdite sui crediti qualora il debitore sia assoggettato ad una procedura concorsuale, sono deducibili dal reddito d’impresa.

Tuttavia, mentre per il concordato preventivo la perdita diviene deducibile dalla data di apertura della procedura con il provvedimento di ammissione, per gli accordi di ristrutturazione dei debiti il legislatore ha previsto una tempistica meno celere, in quanto occorre attendere il provvedimento di omologa dell’accordo.

 2) La tassazione del decreto di omologa del concordato preventivo

Finalmente l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 27/E del 26 marzo 2012, ha rivisto la posizione adottata con una precedente risoluzione (n. 28/2008), ed ha sancito il principio, più volte ribadito dalla Corte di Cassazione, per cui il decreto di omologa del concordato preventivo deve essere assoggettato a imposta di registro in misura fissa e non in misura proporzionale.

L’Agenzia, dopo un travagliato percorso che l’ha vista più volte soccombente nelle aule giudiziarie, sia in commissioni tributarie che in cassazione, ha aderito alla tesi, che gli autori da anni propugnavano, secondo la quale anche nel concordato con cessione dei beni ai creditori il decreto di omologazione non produce effetti traslativi, in quanto i beni del debitore concordatario, dopo l’omologazione e durante la fase di liquidazione, rimangono di sua proprietà, benché assoggettati ad un vincolo di destinazione cui non possono essere sottratti.

La mancanza dell’effetto traslativo, che se vi fosse ben giustificherebbe l’imposizione proporzionale, conduce alla conclusione dell’assoggettamento dei concordati (sia con garanzia che con cessio bonorum) ad imposta di registro in misura fissa, posto che gli stessi sono annoverabili tra gli atti di cui alla lettera g) dell’art. 8 della tariffa, parte prima, allegata al Tuir, relativa agli ”atti di omologazione”.

NOTA BENE: sul punto vedi sentenze Cass. 10352/2007 e 19141/2010.

In dottrina: Abbate, in www.filodiritto.it

 La risoluzione di agenzia entrate non si este

 La risoluzione dell’Agenzia non estende le conclusioni tratte per i concordati con garanzia e con cessio bonorum al concordato con cessione di beni al terzo assuntore.

In tal caso, infatti, l’atto giudiziario di omologa ha natura traslativa e pertanto rimane tassato in misura proporzionale (3%).

CONSIDERAZIONI FINALI

Con la nuova disciplina il legislatore ha portato avanti la strada intrapresa a partire dal 2005 volta a spostare il baricentro della gestione della crisi dell’impresa verso soluzioni alternative al fallimento.

Il primo problema cui si è cercato di dare soluzione è sicuramente quello della tempistica. Un imprenditore che decida di depositare una domanda di concordato deve incaricare un professionista per l’espletamento di un lavoro complesso, preciso, di esame della contabilità, tenuto conto del fatto che, tra l’altro, nei periodi di crisi spesso la tenuta contabile non è né precisa né aggiornata. L’esigenza di un congruo periodo di tempo per predisporre il piano concordatario è sempre stata in conflitto con le iniziative dei creditori, volte ad aggredire il patrimonio dell’impresa per il soddisfacimento delle loro ragioni di credito.

Per queste ragioni,come prevedibile, dall’esame delle domande depositate nei primi sei mesi di applicazione della nuova normativa emerge come il deposito anticipato della sola domanda di concordato sia la modalità operativa più diffusa tra i debitori che decidano di accedere alle procedure di soluzione giudiziale della crisi d’impresa.

…La protezione del patrimonio prevista dalla normativa assicura al debitore un tempo ragionevole per predisporre il piano concordatario e per valutare quale sia la strada maggiormente percorribile tra il concordato preventivo e gli accordi per la ristrutturazione dei debiti. E’ stata, quindi, predisposta dal legislatore una barriera protettiva a favore del debitore per il periodo in cui è impegnato con i professionisti dal medesimo incaricati a valutarle scelte da compiere, bloccando le singole iniziative dei creditori che potrebbero pregiudicare il buon esito della procedura mutando l’assetto patrimoniale complessivo.

 …Mentre in passato il nostro sistema concorsuale appariva orientato in primis alla tutela del ceto creditorio, oggi sembra aver mutato orientamento: il legislatore, determinato anche dalla crisi economica globale, ha fatto propria la tesi della continuità aziendale, che consente di salvare posti di lavoro e di evitare che la crisi dell’impresa si estenda alle imprese fornitrici.

Parte I

Parte II

GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI

Generalità

Il grande merito della riforma è quello di consentire all’imprenditore, dopo aver depositato la domanda di concordato in bianco, di poter decidere, nel termine concesso dal tribunale per il deposito del piano e della proposta, di presentare domanda di ristrutturazione dei debiti, con conservazione, fino all’omologazione, degli effetti prodotti dal deposito del ricorso.

Mediante tale accordo vengono individuate, di concerto tra l’imprenditore ed il ceto creditorio, le modalità con cui si intende procedere per ottenere la ristrutturazione dell’esposizione debitoria, prevenendo lo stato di insolvenza o rimuovendolo se già in atto.

Normalmente vengono previste dilazioni di pagamenti, nonché rinunce totali o parziali agli interessi o, spesso, anche ad una parte del capitale, oppure emissione di nuove azioni o titoli di debito, coinvolgendo i creditori nella partecipazione societaria.

L’art. 182-bis prevede che l’accordo deve essere stipulato con i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti: non esistono dubbi interpretativi sul fatto che la percentuale debba si riferisca all’ammontare dei crediti e non al loro numero.

Il decreto-sviluppo, così come convertito, ha recepito le esigenze degli operatori del settore prevedendo che il soddisfacimento dei creditori “estranei” all’accordo, debba avvenire come segue:

-      per i crediti non ancora scaduti alla data di omologazione: pagamento nel termine di 120 giorni dalla scadenza;

-      per i crediti già scaduti alla data dell’omologazione: pagamento entro 120 giorni dalla data di omologa.

   Siamo quindi in presenza di una modifica di notevole importanza che consente all’imprenditore di ottenere una moratoria anche nei confronti dei creditori che non abbiano partecipato all’accordo.

Inoltre il novellato art. 182-bis non fa più riferimento al regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo ma all’integrale pagamento.

 1) Il “preaccordo” ex art. 182-bis, 6° comma

La nuova normativa ha introdotto una previsione che consente all’impresa, che abbia ottenuto il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e/o cautelari, di mantenere tale beneficio anche allorquando la trattativa si interrompa e l’imprenditore si veda costretto ad abbandonare la strada dell’accordo con i creditori e scelga di depositare un ricorso per accedere al concordato preventivo.

 I requisiti per ottenere i benefici di cui sopra sono i seguenti  sono i seguenti:

 Immagine rimossa.

2) La figura del professionista attestatore: obblighi e sanzioni

La figura del professionista attestatore è stata introdotta nella L.F. nel 2005 con riferimento al piano di risanamento previsto dall’art. 67 L.F., dalla disciplina del concordato preventivo e dalle norme sugli accordi di ristrutturazione dei debiti.

La riforma esplicita il principio, peraltro già consolidato a livello interpretativo, secondo il quale il professionista deve essere designato dal debitore, escludendo quindi la possibilità che sia nominato dal tribunale, come richiesto da alcuni a maggior tutela del ceto creditorio.

Requisito fondamentale per il professionista è l’indipendenza, ossia non avere legami di sorta con l’impresa o con coloro che hanno interesse al risanamento; e non aver prestato, negli ultimi cinque anni, attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore, ovvero partecipato agli organi di amministrazione e di controllo.

Nota bene: pur non prevedendosi nulla sul punto, è da ritenersi che la conseguenza per il difetto di indipendenza del professionista sia l’inammissibilità della domanda di concordato o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti.

È, peraltro, spontanea una domanda: se il difetto di indipendenza venisse scoperto dopo l’omologazione il concordato, quest’ultimo sarebbe da ritenersi annullabile ex art. 186 L.F. benché la specifica fattispecie non sia espressamente prevista?

 

 

E’ sancito che i consulenti abilitati all’attestazione, oltre ad essere iscritti nel registro dei revisori legali, debbano appartenere ad una delle seguenti categorie di professionisti: avvocati, commercialisti, ragionieri; ovvero un professionista designato quale responsabile della procedura da studi professionali associati o società tra professionisti.

Per quanto concerne il contenuto della relazione di attestazione, questa deve avere per oggetto la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano.

La grande novità della riforma è la fattispecie di reato di falso in attestazioni e relazioni prevista dell’art. 236-bis che punisce con la reclusione da 2 a 5 anni e con la multa da 50 mila a 100 mila euro il professionista che esponga informazioni false o ometta di riferire informazioni rilevanti, con aumenti di pena se il fatto sia compiuto per trarne un ingiusto profitto o qualora ne sia derivato danno per i creditori.

Tale norma costituisce una garanzia a fronte del ruolo centrale riconosciuto al professionista attestatore nell’intero intervento normativo.

Nota bene:  la previsione del reato di cui all’art. 236-bis si è resa necessaria anche per evitare squilibri rispetto alla rilevanza penale del comportamento dell’organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento del soggetto privo dei requisiti di fallibilità. L’art. 19 della L. 27 gennaio 2012 n. 3, prevede, infatti, che sia punito “con la reclusione da 1 a 3 anni e con la multa da € 1.000 ad € 50.000 colui che rende false attestazioni in merito all’esito della votazione dei creditori sulla proposta di accordo formulata dal debitore ovvero in ordine alla veridicità dei dati contenuti in tale proposta o nei documenti ad essa allegati”.

 PROFILI TRIBUTARI

1) Modifiche apportate al T.U.I.R.

L’art. 33 del decreto sviluppo, così come convertito, ha sostituito integralmente due disposizioni del Testo Unico delle Imposte sui Redditi:

-      l’art. 88, comma 4, riguardante le sopravvenienze attive da riduzione dei debiti;

-      l’art. 101, comma 5, riguardante la deducibilità delle perdite su crediti da procedura concorsuale o da accordo di ristrutturazione dei debiti.

  • Sopravvenienze attive: art. 88 Tuir

La grande novità della riforma è costituita dal fatto che il legislatore si è finalmente deciso ad avviare il coordinamento tra le disposizioni del Tuir e quelle della legge fallimentare. Il D.P.R. n. 917/1986, infatti, mentre prevedeva che non si considerasse sopravvenienza attiva la riduzione dei debiti d’impresa in sede di concordato preventivo, ignorava l’esistenza degli accordi di ristrutturazione dei debiti.

L’art. 88 comma 4, così come oggi riformato, prevede, invece, che la riduzione dei debiti d’impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite pregresse e di periodo di cui all’art. 84, nei seguenti casi:

-      accordo di ristrutturazione dei debiti purché omologato;

-      piano attestato di risanamento che sia iscritto nel registro imprese.

Quando l’accordo di ristrutturazione preveda la parziale rimessione dei debiti, nel bilancio della società dovrà essere contabilizzata una sopravvenienza attiva. Tuttavia, a seguito della riforma, tale riduzione non costituisce più sopravvenienza per la parte che eccede le perdite pregresse e di periodo.

Esempio

Riduzione debiti (sopravvenienza attiva)€ 10.000
Perdita di periodo€   3.000
Perdite pregresse (anni precedenti)€   5.000
Eccedenza non imponibile€   2.000

  • Perdite sui crediti: art. 101 Tuir

La novità dell’art. 101, comma 5, del TUIR, in tema di perdite sui crediti, è costituita dal fatto che anche gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati sono stati ricompresi nel novero delle le procedure concorsuali: in tal modo il legislatore ha disatteso l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate la quale aveva giudicato tale accordo non rientrante tra le procedure previste dall’art. 101, comma 5, ante riforma (vedi Circolare 13 marzo 2008 n. 8). Le perdite sui crediti qualora il debitore sia assoggettato ad una procedura concorsuale, sono deducibili dal reddito d’impresa.

Tuttavia, mentre per il concordato preventivo la perdita diviene deducibile dalla data di apertura della procedura con il provvedimento di ammissione, per gli accordi di ristrutturazione dei debiti il legislatore ha previsto una tempistica meno celere, in quanto occorre attendere il provvedimento di omologa dell’accordo.

 2) La tassazione del decreto di omologa del concordato preventivo

Finalmente l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 27/E del 26 marzo 2012, ha rivisto la posizione adottata con una precedente risoluzione (n. 28/2008), ed ha sancito il principio, più volte ribadito dalla Corte di Cassazione, per cui il decreto di omologa del concordato preventivo deve essere assoggettato a imposta di registro in misura fissa e non in misura proporzionale.

L’Agenzia, dopo un travagliato percorso che l’ha vista più volte soccombente nelle aule giudiziarie, sia in commissioni tributarie che in cassazione, ha aderito alla tesi, che gli autori da anni propugnavano, secondo la quale anche nel concordato con cessione dei beni ai creditori il decreto di omologazione non produce effetti traslativi, in quanto i beni del debitore concordatario, dopo l’omologazione e durante la fase di liquidazione, rimangono di sua proprietà, benché assoggettati ad un vincolo di destinazione cui non possono essere sottratti.

La mancanza dell’effetto traslativo, che se vi fosse ben giustificherebbe l’imposizione proporzionale, conduce alla conclusione dell’assoggettamento dei concordati (sia con garanzia che con cessio bonorum) ad imposta di registro in misura fissa, posto che gli stessi sono annoverabili tra gli atti di cui alla lettera g) dell’art. 8 della tariffa, parte prima, allegata al Tuir, relativa agli ”atti di omologazione”.

NOTA BENE: sul punto vedi sentenze Cass. 10352/2007 e 19141/2010.

In dottrina: Abbate, in www.filodiritto.it

 La risoluzione di agenzia entrate non si este

 La risoluzione dell’Agenzia non estende le conclusioni tratte per i concordati con garanzia e con cessio bonorum al concordato con cessione di beni al terzo assuntore.

In tal caso, infatti, l’atto giudiziario di omologa ha natura traslativa e pertanto rimane tassato in misura proporzionale (3%).

CONSIDERAZIONI FINALI

Con la nuova disciplina il legislatore ha portato avanti la strada intrapresa a partire dal 2005 volta a spostare il baricentro della gestione della crisi dell’impresa verso soluzioni alternative al fallimento.

Il primo problema cui si è cercato di dare soluzione è sicuramente quello della tempistica. Un imprenditore che decida di depositare una domanda di concordato deve incaricare un professionista per l’espletamento di un lavoro complesso, preciso, di esame della contabilità, tenuto conto del fatto che, tra l’altro, nei periodi di crisi spesso la tenuta contabile non è né precisa né aggiornata. L’esigenza di un congruo periodo di tempo per predisporre il piano concordatario è sempre stata in conflitto con le iniziative dei creditori, volte ad aggredire il patrimonio dell’impresa per il soddisfacimento delle loro ragioni di credito.

Per queste ragioni,come prevedibile, dall’esame delle domande depositate nei primi sei mesi di applicazione della nuova normativa emerge come il deposito anticipato della sola domanda di concordato sia la modalità operativa più diffusa tra i debitori che decidano di accedere alle procedure di soluzione giudiziale della crisi d’impresa.

…La protezione del patrimonio prevista dalla normativa assicura al debitore un tempo ragionevole per predisporre il piano concordatario e per valutare quale sia la strada maggiormente percorribile tra il concordato preventivo e gli accordi per la ristrutturazione dei debiti. E’ stata, quindi, predisposta dal legislatore una barriera protettiva a favore del debitore per il periodo in cui è impegnato con i professionisti dal medesimo incaricati a valutarle scelte da compiere, bloccando le singole iniziative dei creditori che potrebbero pregiudicare il buon esito della procedura mutando l’assetto patrimoniale complessivo.

 …Mentre in passato il nostro sistema concorsuale appariva orientato in primis alla tutela del ceto creditorio, oggi sembra aver mutato orientamento: il legislatore, determinato anche dalla crisi economica globale, ha fatto propria la tesi della continuità aziendale, che consente di salvare posti di lavoro e di evitare che la crisi dell’impresa si estenda alle imprese fornitrici.